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editoriale » Marchionne e Confindustria  

MARCHIONNE E CONFINDUSTRIA
uno strategico divorzio

di Boris


Ormai è certo. Marchionne e la sua Fiat lascerà Confindustria, l'organizzazione degli imprenditori che, nel bene o nel male, dalla nascita della Repubblica del dopo regime fascista ha svolto un importante ruolo interlocutore tra Governo e sindacati.
L'abbandono di Marchionne arriva in un momento storico molto particolare per il nostro paese. Non solo per il continuo attacco delle agenzie di rating alla nostra economia ma anche in una fase strategica e al tempo stesso pericolosa, del rapporto capitale finanziario, crisi internazionale e bilanci aziendali. Soprattutto per un settore strategico, come quello dell'auto.
Già altre volte ci siamo soffermati sull'operazione finanziaria intrapresa in questi ultimi anni dal A.D. FIAT. Dalla divisione del gruppo auto dalle macchine movimento terra, all'acquisto di General Motors con i soldi pubblici di Obama. Operazioni queste che nonostante un calo globale delle vendite auto del gruppo, che si attesta a non meno del -23%, ha portato più che soddisfacenti utili di borsa nelle casse del gruppo torinese. E ancora non è finita. Ora toccherà alla produzione del gruppo auto di lusso e da competizione come la Ferrari e la Maserati. Sulla Ferrari gli spazi di manovra per il momento sembrano contenuti dal controllo ancora esercitato da Luca di Montezemolo, mentre per la povera Maserati si prospetta da subito la realizzazione di una macchina di lusso con motore General Motors che forse piacerà tanto agli americani ma che porterà, molto probabilmente, alla perdita di quel poco di mercato europeo che a fatica manteneva. Il rischio e forse obiettivo, è quello di uscire da un eccellenza tutta italiana nel campo delle vetture di potenza e prestigio che potrebbe in futuro condurre un più facile trasferimento nella terra del presidente Obama.
In questo scenario, la decisione di uscire da Confindustria ha certamente lasciato stupito la presidente Marcegaglia, anche perchè arriva a poca distanza dalla firma dell'accordo del 28 giugno, ratificato anche dalla CGIL e l'approvazione in parlamento dell'articolo 8 della finanziaria.  Accordo e legge che certamente si collocano nella direzione sperata e attuata dal nuovo gruppo FIAT a Pomigliano e Mirafiori. Una volontà spiegata in modo chiaro con una lettera di Marchionne direttamente alla presidente di Confindustria.  

"Cara Emma", scrive Marchionne, "negli ultimi mesi, dopo anni di immobilismo, nel nostro Paese sono state prese due importanti decisioni con l'obiettivo di creare le condizioni per il rilancio del sistema economico. Mi riferisco all'accordo interconfederale del 28 giugno, di cui Confindustria è stata promotrice, ma soprattutto all'approvazione da parte del Parlamento dell'Articolo 8 che prevede importanti strumenti di flessibilità oltre all'estensione della validità dell'accordo interconfederale ad intese raggiunte prima del 28 giugno. Ma con la firma dell'accordo interconfederale del 21 settembre è iniziato un acceso dibattito che, con prese di posizione contraddittorie e addirittura con dichiarazioni di volontà di evitare l'applicazione degli accordi nella prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull'efficacia dell'Articolo 8. Si rischia quindi di snaturare l'impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale.”
Marchionne ha ricordato che Fiat è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 Paesi e quindi non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato. Per queste ragioni, spiega Marchionne, che non sono politiche e che non hanno nessun collegamento con i nostri futuri piani di investimento, "ti confermo che, come preannunciato nella lettera del 30 giugno scorso, Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto dal 1 gennaio 2012".

L'obiettivo per FIAT è e rimane quello di eliminare il contratto nazionale, sostituendolo al massimo con un contratto di filiera auto, e avere mano libera nella stesura dei contratti aziendali. Nell'ottica precisa di poter disporre liberamente delle persone e del loro tempo di vita, in funzione dell'esigenza di produzione. Chiarificatrici sono le parole stese di Marchionne: "Da parte nostra, utilizzeremo la libertà di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative. I rapporti con i nostri dipendenti e con le Organizzazioni sindacali saranno gestiti senza toccare alcun diritto dei lavoratori, nel pieno rispetto dei reciproci ruoli, come previsto dalle intese già raggiunte per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco".

Questo atteggiamento evidenzia essenzialmente due fattori: un tempo il gruppo poteva considerarsi un azienda dello stato italiano che investiva anche all'estero, mentre oggi il suo principale obiettivo rimane quello di voler collocarsi nel mercato come una vera e propria multinazionale. Per ora dell'auto, in futuro vedremo.
Il secondo, strettamente legato al primo, è una strategia di rottura con la CGIL orchestrata per poter indurre gli operai e gli azionisti ad accettare future e radicali trasformazioni. Soprattutto per quanto riguarda gli attuali e previsti investimenti nel nostro paese. Al Sig. Marchionne non interessa nulla contribuire all'ammodernamento del paese nel campo delle relazioni sindacali, il suo non è un problema politico. Al contrario: per lui la politica è solo un ostacolo alla libera impresa, un lacciolo che impedisce di comprendere ai più che “il mercato oggi è cambiato e di conseguenza anche le relazioni devono cambiare”. E per fare questo era necessario riuscire a estromettere la FIOM dal Gruppo e avere la possibilità di poter licenziare senza l'intermediazione di nessuno. Obiettivo in parte raggiunto senza neanche troppa fatica, grazie l'accordo firmato il 26 giugno, confermato poi dal Governo con l'approvazione della finanziaria.
Ma questo non bastava. Anche la Confindustria è considerata dal AD FIAT una lobby interlocutrice da eliminare. Ma quale controllo della concorrenza sleale o coordinazione tra imprenditori, qui è necessario dare libero arbitrio alle ragioni di mercato e che vinca il migliore.
In questa ottica il quadro che si presenta non è il migliore nonostante la conferma da parte anche del  ministro Sacconi degli investimenti FIAT nel nostro paese.
E questo dimostra ancora una volta, che qualcosa sta cambiando in seno agli imprenditori italiani. Basti pensare anche alla fuoriuscita del gruppo Pigna da Confindustria “perchè fa troppo politica contro il governo”; l'attacco portato dal produttore Della Valle all'immobilismo dell'attuale maggioranza nei confronti della crisi o le conferenze sul valore dell'impresa nel campo sociale del ferrarista Montezemolo. Una simpatica mobilitazione di imprenditori che odiano la politica e che, da sempre, pretendono che altri la facciano come piace a loro.
Quello che sta accadendo sono solo le prime scosse di un terremoto che rischia di travolgere in modo serio non solo gli attuali vertici di Confindustria ma il suo stesso ordinamento futuro.
Paradossale è che mai come oggi, la CGIL e Confindustria, sono stati così vicini alla loro  possibile delegittimazione sociale e politica. Chissà se un accordo non li salvi entrambi?

8 ottobre 2011
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