martedì 16 aprile 2024   
  Cerca  
 
wwwalkemia.gif
  Login  
Mondo lavoro » Sindacati:vittime nell'indifferenza internazionale  

Le reazioni ai suicidi: la Foxconn aumenta gli stipendi e punta all’Open Day. Per i sindacati…
…Le morti vittima anche dell’indifferenza internazionale

di Ermanno Bugamelli

Quando lo scorso anno l’attenzione dei media internazionali si concentrò sul lungo elenco di suicidi alla Foxconn (ben 14 nel solo 2010), l’imbarazzo tra i suoi vertici e le fila del Governo cinese fu palpabile. Persino Steve Jobs, il recentemente scomparso leader della Apple, che alla Foxconn commissiona Ipad e Iphone, prese posizione in prima persona e condannò senza riserve le rigide regole produttive imposte dal suo prestatore d’opera. Una iniziativa che non sapremo mai quanto spontanea o suggerita dalla brusca picchiata in borsa del titolo a seguito della serie di morti. Di fatto, il coro di disapprovazione si fuse alla mole di denunce che giungevano da anni dal mondo industriale cinese. L’Occidente economico sembrò svegliarsi da un torpore anestetizzato dai profitti che il sistema garantiva. La Foxconn pur esprimendo sentito e profondo dolore, dichiarò con candida innocenza che le condizioni di lavoro nei suoi stabilimenti erano “normali” allineandosi agli standard del paese, e che la percentuale di suicidi nella sua azienda risultava addirittura inferiore alla media nazionale. I “must” aziendali di efficienza e produttività del resto, distano anni luce da ogni considerazione di natura etica e morale.


Aldilà delle dichiarazioni i primi provvedimenti non brillarono certo per empatia e sensibilità. Oltre alla promessa di non suicidarsi estorta ai dipendenti, Foxconn provvede alla installazione attorno a dormitori e fabbriche di milioni di metri quadri di reti protettive sospese per impedire che i lavoratori si gettino nel vuoto dai piani alti degli stabili, e all’assunzione di centinaia di guardie di sicurezze che vigilino al riguardo. L’azienda interviene anche sul fronte stipendi, promettendo aumenti fino al 30%.  Ma il pezzo da novanta della campagna mediatica di redenzione, consiste nell’aprire le porte dei propri stabilimenti alla stampa internazionale. Un “Open Day” organizzato nel maggio del 2010, teso a rassicurare il mondo sulle reali condizioni di vita nelle sue fabbriche, e per l’occasione tra i tredici stabilimenti in terra di Cina, si sceglie il luogo pietra dello scandalo, il mega complesso di Shenzhen da 420mila dipendenti. A infrangere il muro di segretezza Foxconn sarà il leader e fondatore dell’azienda di Taiwan Terry Gou, che di persona guiderà la nutrita delegazione tra le catene di montaggio di uno dei poli industriali più imponenti al mondo. Una decisione che secondo gli addetti ai lavori fu dettata a Gou dal fronte delle imbarazzate multinazionali tecnologiche (Apple, Dell, Microsoft, Nokia, Sony, Nintendo, Amazon…), che di Foxconn sono le committenti.


IL SUICIDIO COME STRUMENTO DI LIBERTA'
Anche altre colossi dell’elettronica mondiale avviarono procedure interne di accertamento nei propri stabilimenti di produzione, perché quanto emerso sulle condizioni del lavoro in Foxconn, costituisce la regola per vaste aree industriali dell’intera Asia. Il Governo cinese apri ufficialmente una serie di inchieste sulle condizioni di vita di milioni di lavoratori, ma secondo una delle reti sindacali territoriali con sede ad Hong Kong, molte di queste iniziative non hanno apportato significativi miglioramenti, ma solo fornito un impegno di facciata per calmare il fronte d’indignazione internazionale. Ciò nonostante più di un segnale lascia ben sperare per il futuro, in quanto si registra il rafforzamento di una consapevolezza popolare collettiva da parte di un numero sempre crescente di lavoratori. “Sintomi di un cambiamento a cui prima o poi anche la Cina dovrà adeguarsi”, ne è convinto Lee Cheuk Yan, sindacalista e membro del Consiglio Legislativo di Hong Kong. Si moltiplicano le manifestazioni di protesta a rivendicare diritti in vari angoli del paese, ignorati dalla stampa ma diffusi da chi con fatica aggira l’ostacolo grazie ai social network. Mentre negli scorsi decenni molti migranti provenivano da famiglie molto povere e disposte a sopportare di tutto, le ultime generazioni pur se non abbienti, sono cresciute nella Cina contaminata dalle libertà occidentali e sognano posti di lavoro a migliori condizioni. Circa l’85% dei 420mila lavoratori di Shenzhen sono giovani migranti nati dopo gli anni ’80. Una chiave di lettura di un così alto numero di suicidi, risiede proprio nel rifiuto di questi ragazzi ad accettare realtà da moderni schiavi.

L’assenza di sostegno da parte di associazioni sindacali continuamente represse dal governo, lascia la nuova classe operaia in stato di abbandono a fare i conti con ideali sognati ma impossibili da realizzare. Alla mercè di sconforto e depressione, morire diventa quindi una via per sfuggire senza piegarsi ad una realtà immutabile troppo dura da accettare. Anche per questo la totalità degli attivisti sindacali è concorde nel sostenere che tutte le morti suicide debbano pesare oltre che sulla coscienza dei dirigenti Foxconn e su quelle del Governo della Cina, anche sull’intera comunità internazionale, responsabile per l’indifferenza mostrata dinanzi a forme di autentica schiavitù protratte indisturbate da lungo tempo, e attenta alla sola individuazione di aree del pianeta dove produrre con la mano d’opera al minor costo.


Un beffardo destino rischia però di profilarsi all’orizzonte per milioni di lavoratori cinesi, e la minaccia è costituita proprio dall’unico elemento che nell’ultimo decennio si è evoluto a loro favore: la retribuzione. Dal fronte Foxconn come da altri colossi industriali, provengono grida di allarme per una competitività sotto attacco, e imputano quale causa primaria gli aumenti salariali conquistati dai lavoratori nelle regioni più industrializzate della Cina.  

14 Dicembre 2011

DotNetNuke® is copyright 2002-2024 by DotNetNuke Corporation