martedì 23 aprile 2024   
  Cerca  
 
wwwalkemia.gif
  Login  
Mondo lavoro » UN MILIONE DI ROBOT  

Il nuovo piano Foxconn per contrastare crisi, minor competitività e la grana dei suicidi…
Delocalizzazione interna e un milione di robot da oggi al 2014

di Ermanno Bugamelli


La regione del Guandong nel sud est della Cina, rappresenta un modello di crescita demografica ed industriale tra i più clamorosi della storia. In meno di un ventennio città di medie dimensioni distribuite lungo la costa, si sono trasformate in metropoli con milioni di abitanti, popolate da un massiccio flusso migratorio giunto da vari angoli del paese. L’eccezionale sviluppo del Guandong ha visto la luce grazie a capitali colossali giunti dal ricco Occidente, la disponibilità quasi illimitata di mano d’opera a costi bassissimi, e la totale assenza di etica, morale, regole e diritti sul lavoro da parte di industriali e politici senza scrupoli. Il risultato è oggi ben ritratto da industrie come la Foxconn Technology, leader mondiale dei prodotti Hi-Tech con base a Taiwan, che in Cina annovera circa un milione di dipendenti suddivisi in 13 stabilimenti. Il più imponente è alle porte di Shenzhen e vi lavorano 420mila persone, e qui come in tutte le fabbriche Foxconn si produce per conto delle maggiori multinazionali elettroniche come Apple, Amazon, Nokia, Sony, Nintendo, Microsoft, Dell…


Negli ultimi dieci anni le retribuzioni nella regione del Guandong, sono aumentate di oltre il 90%, quasi del 30% dal solo 2010, attestandosi oggi nell’ordine dei 2000-2200 euro all’anno. Stipendi che restano improponibili nell’ottica occidentale, e la tragicità del contesto si amplifica rapportandoli alle condizioni di lavoro. Eppure l’attuale crisi economica mondiale non risparmia neppure angoli del pianeta in grado di produrre a simili costi. Cresce la preoccupazione per un occidente sempre meno in grado di assorbire prodotti, per l’inflazione cinese crescente, per i consumi interni incapaci di bilanciare il calo dell’esportazione, per un PIL 2012 previsto “solo” ad un +9.2% contro un +9.4% del 2011. Dietro l’angolo avanzano paesi come Vietnam, Bangladesh, Cambogia, Indonesia, realtà disposte ad accettare lavoro a costi dimezzati rispetto al Guandong, capaci quindi di rendere alla regione cinese il medesimo servizio che la stessa comminò a Taiwan e Giappone alcuni anni or sono, quando la delocalizzazione in Cina provocò lo smantellamento di vaste aree industriali di quei paesi. Accade così che anche colossi come la Foxconn con un giro di affari annuo di 60 miliardi di dollari, levino al cielo il loro grido di dolore per una competitività sotto scacco. "È chiaro però che l’aumento del costo del lavoro mette sotto pressione l’industria cinese, costretta a trovare presto soluzioni", queste le parole di Terry Gou presidente e fondatore della Foxconn. Affermazioni in apparenza surreali ma drammaticamente reali, tanto che la Foxconn ha già in mente un preciso piano industriale per affrontare la situazione. La soluzione studiata verte su due punti: una delocalizzazione interna verso regioni dove il salario medio è inferiore, e avviare la costruzione di un milione di robot in tre anni per sostituire un numero imprecisato di lavoratori.


All’indomani della serie di suicidi che nell’arco del 2010-2011 ha visto ben 15 dipendenti togliersi la vita nei suoi stabilimenti, la stessa Foxconn aveva attuato una politica di incremento dei salari intorno al 30%. A distanza di alcuni mesi, ancora prima dell’ultimo suicidio della ventenne Li Rongying del 25 novembre scorso, i vertici hanno cambiato idea, ed ora i conti non tornano più. Via dal Guandong quindi, verso ovest per svariate centinaia di chilometri, verso regioni della Cina ancora più dimesse che portano il nome di Hunan, Hubei, Henan, in grado di offrire mano d’opera sino a meno di 130 euro al mese. A riempire gli stabilimenti, nuovi migranti dalle campagne, nuovi disperati da sfruttare che ingaggeranno una guerra fratricida tra poveri in seno alla Cina, innescando nuovi drammi sociali, nuovi traumi, nuove vittime.


L’opzione robotica appare più affascinante, proiettata verso un futuro che ci richiama ai classici della fantascienza alla  Asimov. Le parole di Gou non hanno però nulla di romantico e tranquillizzante: “…Per ora gli operai possono stare tranquilli..”. Già per ora. Sembra che in una prima fase i robot-colleghi si limiteranno a svolgere "...mansioni pericolose, operazioni di precisione e operazioni che espongono agli effetti di sostanza tossiche…" prosegue Gou. Poi si vedrà. Nel frattempo la sperimentazione è già partita con 10mila robot inseriti nelle catene di montaggio più avanzate di Zhengzhou, Henan, e Chengdu. Un numero destinato a salire a 300 mila nel 2012, per raggiungere il milione di unità nel 2014. Ma tra le ragioni che hanno indotto la Foxconn a percorrere la soluzione automatizzata estrema, con un investimento stimato nell’ordine di svariati miliardi di dollari, lo strascico della vicenda suicidi ha avuto un peso determinante. No, non è l’ipotesi delle solite menti afflitte da sindrome del complotto. Con immacolato candore Lin Xinqi, direttore del dipartimento risorse umane della Renmin University of China non ha esitato a sostenere che “…I robot non si suicidano, non rivendicano diritti, e se gli ordini calano basta spegnerli”. Tre grandi questioni disturbatrici del sonno Foxconn risolte in un sol colpo.


La realizzazione di un simile piano industriale, con un milione di robot impiegati nei reparti produttivi è destinata a sconvolgere la realtà di milioni di lavoratori. L’esempio Foxconn inoltre, può costituire un modello replicabile per altre realtà cinesi e planetarie, generando un effetto cascata negli equilibri occupazionali e sociali su vasta scala. Regioni come il Guandong rischiano di essere colpite da una deindustrializzazione selvaggia, affollandosi di decine migliaia di migranti sotto minaccia di disoccupazione, o con la prospettiva di conservarlo al prezzo di ulteriori migrazioni a stipendio fortemente decurtato. Non sono scenari ipotetici, quanto accaduto tra il 2000 ed il 2008 a Detroit nel Michigan (USA), dove la delocalizzazione verso i paesi emergenti delle industrie automobilistiche provocò la perdita di oltre 150 mila posti di lavoro americani, è materia di storia, non da romanzo di fantascienza. Quella che era la Motor City della Grande America, ha visto i suoi abitanti scendere dai due milioni degli anni cinquanta, ai 713 mila di oggi. Le due facce dell’occidente industriale osservano le evoluzioni in stile Foxconn con spiriti diversi: da un lato l’interessato club dei capitali economici, assapora nuove opportunità di profitto; dall’altro cresce l’angoscia tra le fila delle confederazioni sindacali, consapevoli di non possedere antidoti adeguati al cospetto di una potenziale tragedia senza confini per l’intera categoria mondiale dei lavoratori dell’industria.


E mentre non lesiniamo sforzi per soddisfare la fame di dispositivi Hi-Tech dei nostri ragazzi, siamo in grado di alimentare in loro la cognizione di quanto dovrà abbassarsi il nostro standard in retribuzioni, regole e organizzazione sul lavoro, e qualità della vita, per garantire la competitività necessaria a giocarsi la partita con simili avversari?

14 Dicembre 2011

DotNetNuke® is copyright 2002-2024 by DotNetNuke Corporation