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Visti per Voi » Marilyn  
MARILYN
di Enrico Gatti


Regia: Simon Curtis
Gran Bretagna USA, 2011
Voto: 7 ½


Michelle Williams, classe 1980, sembra avere energie da vendere. Interpretare 22 film in 10 anni, dal 2001 al 2011, arrivando addirittura a girare 4 film nelle stesso anno, non è uno scherzo. La giovane Jen Lindley di Dawson’s Creek ne ha fatta di strada. Incredibile fra le altre cose le 3 candidature agli Oscar di cui ben due consecutive, 2011 e 2012, per il ruolo di miglior attrice protagonista. Dopo Blue Valentine (pellicola del 2010 diretta da Derek Cianfrance), la nomination è arrivata per questo nuovo film, in cui la Williams si scontra con l’icona delle icone, la diva per eccellenza Marilyn Monroe.
L’interpretazione della Williams è effettivamente incredibile. Particolarmente intensa e calibrata, l’attrice riesce a dar corpo ad una sceneggiatura molto interessante perché frizzante e allo stesso tempo drammatica, come lo era la figura di Marilyn, capace di giocare su un riuscito equilibrio di questi due elementi; equilibrio che in un certo senso viene mantenuto anche nella messa in scena, molto classica, quasi scolastica, al limite dell’ordinario, della pellicola. La grande cura formale e la bellezza delle immagini filtrano le emozioni e proteggono il pubblico da un eccessivo coinvolgimento. Nonostante, e forse proprio grazie a, questa distanza il film riesce a delineare finemente la psicologia della protagonista senza perdersi in un punto di vista troppo soggettivo, sempre a rischio di patetismo. Con molta onestà il film racconta, senza accanirsi, la depressione e le insicurezze che hanno fatto parte fin dall’infanzia della vita di Marilyn. Quello che viene delineato è il ritratto di una donna incapace, nonostante tutto, di apprezzare se stessa. La pesante consapevolezza di non essere una brava attrice, da cui la spinta a cercare di migliorarsi, diventa un tedio ancora più frustrante quando sistematicamente le viene nascosta questa verità dalle persone che la circondano. Tutti si erano accorti della fragilità di Marilyn e tutti, a quanto pare, volevano proteggerla. Ma è stato proprio questo volerla conservare sotto una campana di vetro che l’ha isolata sempre di più da un mondo diventato col tempo una cornice di menzogne. Tutti le hanno sempre detto che era bravissima, che era perfetta, mentendole. Tutti le dicevano che l’amavano, anche quando non era vero. Lei questo lo sentiva. Ma forse non lo sapeva. E in questo si è smarrita, nel non potersi mai fidare di se stessa e delle sue sensazioni, nel volere qualcosa che le costantemente le veniva negato: il riscontro che quello che percepiva era vero. Quella persona che tutti le dicevano di essere non era quella che lei si sentiva di essere.
In questo il film riesce, anche piuttosto bene, anche senza il coraggio di ‘demolire’ l’icona. Questa Marilyn forse è sempre troppo diva. I momenti di solitudine, l’intimità non  sono mai rappresentati liberi della presenza stereotipata dell’attrice. L’autenticità, forse è questo che manca nell’opera di Curtis, tanto profonda eppure limitata alla superficie. I ricordi del resto si sa sono sempre inaffidabili, mentono anche loro, forse per non rovinare la bellezza del passato. Nella visione del ventitreenne, vero protagonista della storia e autore del libro-diario da cui è tratto il lungometraggio, è sicuramente l’amore ad essere più forte della verità e quello stesso amore impedisce all’incanto di un sogno divenuto realtà di diventare meno luminoso col passare degli anni.

 

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