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Documenti di approfondimento » Sui suicidi ai tempi della crisi  
Sui suicidi ai tempi della crisi, tra patologia e normalità.

di Montanari Maurizio


La crisi ammazza. 
Le persone licenziate, gli imprenditori in difficoltà insormontabili, si uccidono. Si chiamano fuori, fuori scena.
La fanno finita per primi i più deboli, e questa non è certo una novità. Per primi si lasciano cadere quelli che  sono già predisposti strutturalmente.   Nel momento in cui il legame si sfilaccia, il melanconico è irrimediabilmente risucchiato verso una posizione primigenia. In molti casi l’uscita di scena è subitanea e richiama il passaggio all’atto ( il lasciarsi cadere, niedderkommen) di cui parla Lacan. La falcidie colpisce dunque più facilmente il melanconico.  Chi vive cioè  la questione del divenire oggetto più sulla pelle della propria storia, sulla carrozzeria della propria struttura .
La melanconia è uno stato dell'animo che predispone ai passaggi all'atto di tipo suicidario. Il depresso sotto soglia è colui che vive la vita sempre con un sospiro di insoddisfazione. La melanconia può giungere a livelli così profondi da indurre il soggetto che ne è avvolto a chiamarsi fuori scena, spesso in modo subitaneo, lasciando sorpresi amici e parenti. Anche quando la situazione non pareva irrisolvibile. Ci si chiama fuori quando l'azienda tracolla, quando il proprio posto di lavoro sfuma. Ma anche quando uno scossone fa barcollare le sicurezze.
Il melanconico patisce un antico fuori scena.
Si tratta di una condizione di esclusione  ab inizio, un fuori squadra come dato costitutivo. Nella triangolazione edipica, il melanconico non è stato introdotto, non ha trovato forti mani genitoriali  che ne hanno circoscritto  e protetto il posto. Egli occupa così una posizione permanente di oggetto suscettibile di caduta, non tanto perchè più vulnerabile a certi eventi della vita, ma come condizione originaria. Una provvisorietà radicale, delle fondamenta poco profonde. 
Questa è la condizione che tanti melanconici cercano  di neutralizzare nel corso della vita. Si tratta dunque di una ricerca di posto, di un confezionamento di un abito artigianale che implica maggior fatica, perchè fronteggia una sorta di precarietà radicale innata. L'obbiettivo di questa stabilizzazione dell'essere, è quello di scongiurare la ricaduta nella ancestrale  posizione di cosa, di oggetto eliminabile. ‘Il lasciarsi cadere è essenziale a qualsiasi  improvvisa messa in rapporto del soggetto con ciò che esso è in quanto oggetto a’ ( J. Lacan, Seminario x). Per lui dunque la situazione economica attuale, dove tutti siamo oggetti, è più pericolosa e letale, in quanto mette in luce e spoglia una condizione più fragile, elevandola a sistema. Individui che si trovano a battagliare per scongiurare l’esclusione radicale che patisce il melanconico,  l’essere ridotti a oggetto,  in un contemporaneo che lavora per ridurre tutti a quello stato. Pezzi di ricambio.
 
E dire che negli anni ottanta, qualcuno ne andava anche fiero! Quel capitalismo &n bsp; ha contribuito non poco a degradare l’individuo a cosa, a oggetto.
Era un vanto, e per alcuni lo è tutt’ora, essere alfieri di un libero mercato senza regole nel quale ‘ ti devi scordare il posto fisso, ciascuno deve essere pronto a cambiare svariati lavori o mansioni nel corso della sua vita’.
Bell’affare. Oggetti, appunto.
Che bastione difendono costoro!  Senza regole, liberissimo mercato, che sennò sei comunista!. Oggetti semi pensanti senza l’assistenza sanitaria, che è una roba da parassiti. Abbiamo assistito alla negazione della soggettività come traguardo ultimo.....Un annientamento della specificità visto come traguardo radioso, un trionfo dell’Eurasia e del Socing predetta da Orwell, percorrendo però  la pista del capitalismo. Cellule totipotenti, neutre, buone per raccattare  frutta, intessere paglia o portare le pizze. Il soggetto viene di colpo privato del suo desiderio ( cosa altro è un percorso di studi in filosofia, in architettura o anni di pratica presso un falegname se non la costruzione di un rivolo del proprio desiderio?) per diventare oggetto buono per ogni mansione. Oggetto cosa, oggetto trasportabile e sostituibile.

La cronaca racconta che Luca Disarò si toglie la vita mercoledì 22 luglio di tre anni fa, dopo aver confidato in una lettera la sua crescente angoscia legata al timore di perdere il suo posto di lavoro in un azienda bolognese, a causa di una delocalizzazione della produzione in Cina. Fa da sottofondo a questo dramma una recente crisi coniugale. Si tratta di episodi frequenti, che purtroppo  balzano all’onore delle cronache solo quando sfociano in un esito nefasto. E’ la progressione dell’incertezza, il non sapere quale posto si debba occupare che genera un movimento d’angoscia crescente e spesso insopportabile, spiega Lacan. Una situazione dalla quale spesso ci si affranca facendola finita. Stando a quello che Luca lascia scritto, la sua dipartita appare figlia non solo della perdita del posto di lavoro, ma del crescente stato d’incertezza che la struttura nella quale prestava la sua opera mostrava nei confronti del suo impiego. Una situazione indefinita, fatta di convocazioni e richieste di andarsene. Una graticola che preannunciando il licenziamento, apriva le porte al nulla, alla non ricollocazione. 
Da mesi era cambiato, da mesi i sindacati cercavano di aiutarlo.
Da mesi stava dimagrendo, da mesi prendeva farmaci.

Cerchiamo di andare al di la del triste caso specifico, e allarghiamo l’orizzonte ad una situazione che sempre più connota le nostre terre. Noi possiamo evitare che le aziende chiudano, o che delocalizzino? Probabilmente no.
Possiamo però mettere in atto un apparato recettivo che sappia cogliere lo stato di fluidità, di nullificazione e di oscillazione alla quale molti lavoratori vengono sottoposti?
Questo sì. Uno degli effetti della crisi, quella crisi che per il nostro Governo è ormai al termine, sta proprio nel rendere molti uomini e donne oggetti intercambiabili, collocabili ad hoc sul mondo del lavoro, ai quali togliere poi l’abito di utilità, scaraventandoli in un deserto di incertezza.
Una non strada, una non terra, un luogo di non appartenenza dove nessuno può orientarsi.
Un tempo si diceva ‘negli Stati Uniti è così..un uomo deve saper cambiare lavoro molte volte nell’arco della sua vita’. E questo era detto con un aura di rispetto, di ‘ accidenti gli americani’.
Gli ultimi effetti della crisi e le manovre che Obama sta cercando di mettere in atto, sul credito, sulla sanità e sul salvataggio ‘comunista ‘ delle fabbriche di auto monstre che restavano negli hangar e che rischiavano di scaricare sui dipendenti gli effetti finali del loro fallimento, mette una bella pietra sopra  a tanti anni di glorificazione di un sistema economico che non ci è appartiene, e che ora viene messo in discussione anche oltreoceano.
I frati, Dio solo sa quanto la loro presenza sia sottovalutata, da tempo vanno dicendo che si rivolgono a loro in cerca di un pasto non solo le famiglie dei migranti, ma anche nuclei di nostri concittadini, affamati, privi di quelle che un tempo erano punti fermi di una esistenza: una casa, un lavoro, qualcosa da mettere sotto i denti.
Non ci sono ricette semplici a problemi complessi. Penso ad esempio alla cacciata degli ambulanti di centri storici o altre simili baggianate.
Certo è che le nostre comunità qualcosa possono fare.
Anzitutto non lasciare soli, magari in un deserto farmacologico, quelli che , tramite lettera si vedono spedire da un giorno all’altro nel mondo della non occupazione.
Cercare risorse sul territorio utili a tamponare l’emergenza : quel momento particolare nel quale si lascia una situazione economica acquista, che si riteneva incrollabile,  e si entra nel fluido mondo di chi non ha lavoro, e a 40 anni deve rimettersi in fila.
 
Una città deve aprire le orecchie, aguzzare la vista, scendere in strada. Una amministrazione ha il compito di trovare al proprio interno i canali di ascolto rivolti al proprio territorio. E questo senza assecondare  guerre tra poveri  o cercare facili scorciatoie ( via gli ambulanti dal centro o baggianate simili )
 Quanti concittadini sono in queste condizioni?
Quante industrie utilizzano metodi discutibili nel tenere appesi ad un filo i propri dipendenti?
Quanto c’è da fare in questa direzione…
Oggi la crisi mette alla prova le amministrazioni, più di tempo fa.
Oggi che le risorse dal governo centrale vengono tagliate, c’è un motivo in più per rimettersi in strada e snidare quelle situazioni di disagio che possono evolvere in tragedie come quella del signor Luca.
Oggi non va peggio di un tempo, è una difficoltà diversa.
Ai tempi del liceo avevo come docente di storia e filosofia Pierpaolo Tassi.
Gli sono debitore di un insegnamento: quando qualcuno lo interpellò affermando che i tempi erano magri, e che noi liceali difficilmente avremmo trovato lavoro, lui ribatteva così : ‘Non è vero che oggi va male. Un tempo andava peggio, molto peggio. Nel periodo rurale poteva capitare che il proprietario del fondo venisse a Vignola,  la Domenica. Se scorgeva tra la gente un suo ‘fattore’, aveva il potere di dirgli ‘ cosa fai qua? Torna a casa’, e questo , sottoposto al di la dell’orario di lavoro, doveva rincasare.’


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