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I neutrini e l’esperimento OPERA: il punto della situazione a un anno di distanza
di Daniele Tavernari



È passato ormai più di un anno dalla sorprendente misurazione, poi smentita, relativa alla velocità delle sfuggenti particelle chiamate neutrini. Un discorsivo e non troppo approfondito riassunto della vicenda e della sua evoluzione, anticipato da una breve introduzione all’argomento, può aiutare a fare chiarezza.

Il neutrino è una particella elementare priva di carica elettrica e di piccolissime dimensioni, dotata di una massa di parecchi ordini di grandezza più piccola degli elettroni; il suo nome fu coniato da Enrico Fermi, che ne studiò le caratteristiche e il comportamento nel 1934.
La sua esistenza venne invece ipotizzata per la prima volta nel 1930 da Wolfang Pauli, uno dei pionieri e dei padri fondatori della meccanica quantistica, nell’ambito delle sue ricerche sul decadimento beta, uno dei fenomeni correlati alle radiazioni sfruttate da numerose apparecchiature mediche. Essi furono osservati sperimentalmente per la prima volta nel 1956.
Di neutrini ne esistono tre tipologie, dette “sapori”, a seconda delle interazioni che possono avere con il resto della materia: il neutrino elettronico, quello muonico e quello tauonico.
La loro formazione può essere dovuta a diverse cause, di origine naturale o artificiale. Solo per citare alcuni esempi, essi possono essere prodotti da reazioni nucleari, siano esse presenti all’interno di reattori o di stelle, da decadimenti radioattivi, dall’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera o dalla collisione tra altre particelle elementari.
Una delle proprietà fondamentali dei neutrini è la cosiddetta “oscillazione del sapore” in volo, ovvero la possibilità che, in determinate condizioni, durante il loro tragitto il loro sapore cambi da uno all’altro: neutrini elettronici possono, ad esempio, “trasformarsi”  in muonici o tauonici.
Una seconda, importante, caratteristica risiede nel fatto che essi, per le loro minuscole dimensioni, interagiscono molto di rado con la materia: un neutrino immerso in acqua viaggia in media per 160 anni-luce prima di collidere con una molecola del mezzo in cui si sta muovendo. Ciò li rende molto difficili da rilevare ma anche estremamente interessanti in quanto consentono di ottenere spettacolari immagini computerizzate dell’interno dei corpi celesti.
Il loro studio è, infine, fondamentale per la ricerca di base nella fisica delle particelle e nella cosmologia.

L’esperimento OPERA, che ebbe luogo tra il CERN e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, si prefiggeva come obiettivo l’indagine e l’osservazione dell’oscillazione del sapore e la misura della velocità di volo dei neutrini. Essi venivano prodotti nell’acceleratore LHC del centro di Ginevra tramite collisioni tra protoni e direzionati verso i rivelatori presenti nell’istituto abruzzese; il loro tempo di volo veniva misurato da orologi atomici sincronizzati molto sensibili, mentre per la distanza si è sfruttato un accurato sistema GPS. L’utilizzo di laboratori sotterranei preveniva interferenze provenienti dai raggi cosmici. Sorvolando sull’infelice uscita dell’allora Ministro dell’Istruzione italiano Mariastella Gelmini, è sufficiente sottolineare come la seconda proprietà sopra citata consentisse all’esperimento di non richiedere alcun tipo di canale di passaggio, nemmeno improbabili “tunnel” tra i due centri di ricerca.
Mentre per quanto riguarda l’oscillazione di sapore si raggiunse lo scopo di verifica sperimentale del modello teorico che ci si era prefissati, per il secondo obiettivo si ottennero risultati davvero sorprendenti: sembrava che i neutrini avessero raggiunto i rivelatori con un anticipo di 61 nanosecondi rispetto a quanto avrebbe impiegato un fotone (una particella di luce). Proprio qui sta il nocciolo della questione: il superamento della velocità della luce da parte di una particella dotata di massa è impedito dalla Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein, poiché, senza entrare nel dettaglio, ciò richiederebbe una quantità infinita di energia.
Proprio per questo l’esito venne accolto con cautela e scetticismo dagli stessi autori dell’esperimento, che si limitarono, nel diffondere la notizia, a descriverla come un’”anomalia”, ancora tutta da verificare e valutare.
Le eventuali fonti di errore potevano essere sia di carattere metodologico che tecnico.
Per quanto riguarda le prime, esse consistevano nel fatto che non era possibile sapere esattamente in quale punto dell’acceleratore di particelle i neutrini si fossero formati e dunque avessero iniziato il loro viaggio: nonostante le inferenze statistiche consentissero di determinare, con buona approssimazione, la posizione e l’istante di tempo più probabili, risulta evidente che si aveva a che fare con incertezze non trascurabili. Questi calcoli numerici si basavano, inoltre, sull’assunto che ognuno dei protoni in collisione avesse la stessa probabilità di generare un neutrino, asserzione intuitivamente sensata ma, per la verità, non ancora dimostrata né teoricamente né sperimentalmente.
I problemi di carattere tecnico erano, invece, evidentemente legati alle misure in sé, e fu proprio un errore di questa natura che comportò l’anomalia. L’analisi dei dati aveva portato a risultati compatibili: l’incertezza complessiva sul tempo di volo era di 10 nanosecondi quindi, nella peggiore delle ipotesi, i neutrini sarebbero arrivati comunque prima dei fotoni, sebbene di soli 50 nanosecondi.
Ciò che non funzionò fu una connessione di un cavo a fibra ottica tra il sistema di localizzazione GPS e uno dei computer. Si trovò inoltre un’imprecisione nella sincronizzazione degli orologi atomici.
Tutto ciò venne notato solo alcuni mesi dopo, durante le dovute verifiche della strumentazione.

Nelle parole dell’allora responsabile dell’istituto del Gran Sasso Antonio Ereditato vi fu, tuttavia, prudenza anche nel riportare questi errori: si stanno tuttora verificando i parametri, fisici e tecnici, e i dati ottenuti per cercare di capire come essi abbiano davvero influito sull’esito dell’esperimento. È infatti da notare, inoltre, che le due fonti di errore avrebbero agito in senso opposto: una avrebbe portato ad una sottostima del tempo di volo, l’altra ad una sovrastima.
Laboratori di ricerca indipendenti negli Stati Uniti si stanno mobilitando e stanno procedendo con indagini e rilevamenti analoghi, allo scopo di fornire ulteriore materiale per dirimere la questione. Altre misurazioni da parte dei progetti Icarus e LVD avrebbero invece confermato l’errore commesso, portando lo stesso gruppo di ricerca di OPERA a presentare uno mozione di sfiducia contro Ereditato la quale, nonostante l’esito negativo, ha comunque spinto il fisico napoletano alle dimissioni.
Sulla vicenda della velocità dei neutrini la parola “fine” è, quindi, ancora piuttosto lontana.



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