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Visti per Voi » Re della terra selvaggia  
RE DELLA TERRA SELVAGGIA
di Andrea Pradella


Titolo originale: Beasts of the Southern Wild
Regia: Benh Zeitlin
USA, 2012
Voto: 9


Semplicità. Questa è la parola che più di ogni altra sembra descrivere il film. Semplice è la vicenda, la narrazione, la scenografia, la regia, il montaggio. Semplice la voce della piccola protagonista. Si chiama Hushpuppy e semplicemente racconta un pezzo della sua storia. Nata e cresciuta con (solo) il padre in una “terra” al confine della civiltà americana. La chiamano: la “grande vasca”. E’ questo lo scenario nel quale vive una piccola tribù di persone (di ogni età e colore) apparentemente prive di ogni regola e private delle opportunità offerte dal mondo “occidentale”. Tutto in realtà è in perfetta armonia, nel più semplice equilibrio con cui l’uomo da sempre, si pone in relazione alla natura che lo accoglie e lo sfama. Hushpuppy sembra non avere niente, ma sentire tutto. La potenza del mondo e degli eventi percepiti dalla piccola protagonista smuovono in chi guarda, il rimando ad un atavico senso di libertà. Si arriva pian piano a dimenticarsi dell’idea di “civiltà”, a superare la paura dell’ignoto selvaggio e a volerne abbracciare i sapori, gli odori, i colori. Hushpuppy vive l’esperienza dell’uragano, perfettamente descritto nel suo essere un evento naturale con cui doversi confrontare, misurare ed eventualmente perdere. Non conosce il termine “povertà” o “miseria”, ne “diseguaglianza” o “privazione”. Attraverso i suoi occhi si vivono lucidamente i confini di un mondo di innumerevoli possibilità nonostante, ad un primo scorcio, tutto appaia marcio, putrido e in rovina. Anche la mancanza per la madre, scomparsa prematuramente, viene vissuta come il decorso naturale con cui si alternano il giorno e la notte. Qualsiasi sia la difficoltà posta innanzi, qualsiasi sia l’entità della paura che morde sordamente gli angoli più bui e remoti della propria individualità, è attraverso una misteriosa e primitiva forza la chiave attraverso cui misurarsi.
È inevitabile il disgregarsi di concetti base della propria esistenza. La vita vince la “vita”. Trovare un senso al proprio agire tramite la più semplice presa di coscienza di essere “solo un pezzo del tutto” e che va bene così.
Un tuffo in un mondo da cui sembriamo scappare più per la paura del confronto con i limiti della natura umana, che per una scelta di maggiori e concrete opportunità.
Un messaggio potente. Un concetto complesso e che solo in questa “semplice” chiave di racconto poteva essere così squisitamente raccontato.


 

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