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Controinformazione » I giorni del G8 di Genova  
I GIORNI DEL G8 DI GENOVA DEL LUGLIO 2001


Genova, i giorni della manifestazione contro il G8 2001
Voci dalla notte più buia della città. Le telefonate tra le forze dell’ordine e le richieste d’aiuto.  
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G8 di Genova, il giorno dopo l’apertura del processo agli agenti
Audio tratto dalla trasmissione “Reporter24” condotta da Alessandro Milan del 18/1/07 sulla sparizione delle molotov.
Con Vittorio Agnoletto Europarlamentare PRC e Senatore Alfredo Biondi (FI)
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Cronistoria dei fatti con articoli tratti da “La Repubblica”, “Il Manifesto”.

I GIORNI PRECEDENTI

(19 luglio 2001) “La Repubblica”

Intervista al ministro dell'Interno Claudio Scajola
"Garantiremo l'ordine pubblico con elasticità … Siamo preoccupati per alcuni gruppi in arrivo dalla Grecia … Genova blindata? Sì, ma anche bella e rimessa a nuovo"

 
ROMA - Nessuna ripresa del terrorismo. Il ministro dell'Interno, Claudio Scajola, nel giorno delle lettere bomba recapitate in diverse città d'Italia e alla vigilia del vertice di Genova, assicura che non c'è nessun disegno eversivo tale da far parlare di un ritorno agli anni di piombo.

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E' comparso anche un volantino firmato Brigate Rosse, ministro. La preoccupa?
"Dubitiamo della sua attendibilità".
E allora qual è secondo il Viminale la pista da seguire?
"Pensiamo che gli episodi delle ultime ore siano riconducibili a un unico filone anarchico-insurrezionalista. Ma dallo stesso nome con cui viene indicato si capisce che ci troviamo in presenza di un universo diviso, frastagliato, non un fronte unico".
Stesso filone anarchicoinsurrezionalista, lei dice. Con quale obiettivo?
"Tenere alta la tensione, naturalmente, rendere più difficile la gestione dell'ordine pubblico, cercare di costruire qualche incidente in occasione del G8. Ma insomma, non tale da creare allarme".
Avete qualche elemento specifico per poter indicare questa area particolare?
"Le forze dell'ordine stanno svolgendo un compito di notevole intelligence: abbiamo elementi precisi e si seguono piste precise".
E non si corre il rischio che mentre Genova viene blindata, le forze eversive sferrino il loro attacco altrove?
"Noi non controlliamo solo Genova. Ad oggi abbiamo respinto alla frontiera 850 persone, stiamo operando in piena collaborazione con le forze di polizia degli altri paesi del G8 e dei paesi confinanti con l'Italia. Abbiamo qualche preoccupazione in più per alcuni esponenti che stanno arrivando in queste ore dalla Grecia, ma è in atto un'operazione di controllo del territorio complessiva, tant'è vero che sono state portate a compimento azioni di polizia anche importanti su altri fronti. Penso all'operazione di Ercolano: c'era stato un appello del sindaco la settimana scorsa, abbiamo mandato sul posto forze speciali che hanno sgominato bande di camorra importanti, effettuando sette arresti. Questo a dimostrazione che il resto d'Italia non è rimasto in alcun modo sguarnito. Le forze in più che abbiamo mandato a Genova fanno parte di una riserva che è stata costruita senza alleggerire altre zone d'Italia".
Dopo l'esperienza di Goteborg, ci sono gruppi antiglobalizzazione che ritenete di dover temere in modo particolare?
"Abbiamo contato seicento sigle differenti".
E' difficile, cioè, trovare un interlocutore unico?
"Se pensa che queste seicento sigle sono in parte italiane, parte si ripetono tali e quali all'estero, alcune sono presenti solo in altri paesi e non da noi... una mappatura è difficilissima. C'è un fenomeno non organizzato che trova il suo comune denominatore in questo momento di crisi di tutte le altre ideologie falsificando la globalizzazione e dandone un taglio semplicistico: da una parte i ricchi dall'altra i poveri, da una parte i cattivi dall'altra i buoni. Questo ha unito sigle spontanee, pasticciate, dove c'è un po' di tutto, pacifisti, pacifisti cattolici, ecologisti: per carità, assolutamente spontanei e sinceri nelle loro valutazioni. A questi, però, si mescolano i soliti gruppi di provocatori storici, frange di disoccupati organizzati e dei centri sociali, nuovi esponenti dell'estremismo anarchico, che cercano di gestire questa fase pensando di esserne i protagonisti. Stiamo tenendo gli occhi bene aperti".
La politica italiana sul tema della globalizzazione non si è divisa. Un dato importante.
"Quello che è emerso con particolare evidenza in questi ultimi due giorni è il dato della sinistra italiana. Che passa al movimentismo, partecipa alle manifestazioni dopo aver essa stessa indetto e organizzato il G8 quando era ancora al governo. Al di là di questo travaglio interno, inequivocabile, guardando gli atti in Parlamento, però, la linea del governo sul G8 a partire dal giorno della fiducia e dall'emendamento che stanzia tre miliardi per l'accoglienza, è passata a stragrande maggioranza".
Casarini, il leader delle tute bianche, ha detto: noi siamo per la non violenza, ma entreremo nella zona rossa. Una sfida in piena regola.
"Vedono l'ingresso nella zona rossa come un simbolo".
Ma quale sarà la risposta delle autorità?
"Le disposizioni che hanno ricevuto le autorità di pubblica sicurezza sono di gestire l'ordine pubblico con la massima serenità per garantire che non vi siano né provocazioni né incidenti. La piazza si gestisce con molta elasticità e le forze dell'ordine sanno gestirla".
A sentirla, ministro, la si direbbe tranquillo. E' davvero così?
"E' così, sì. Ma sa, io sono per natura uno che ha sempre creduto nell'intelligenza degli uomini, da qualunque parte stiano".
….


I GIORNI DEL G8:
LA MORTE DI CARLO GIULIANI

 
(20 luglio 2001) LA Repubblica

Bruno Abile, fotografo, spiega la dinamica della tragedia
"Colpi esplosi da una jeep dei carabinieri"
Un testimone racconta: "Così gli hanno sparato"


GENOVA - Il corpo del ragazzo ucciso in via Caffa è ancora immobile, la polizia e i carabinieri formano un cordone tutto intorno. La gente preme, urla, piange e in molti raccontano la loro versione. I primi testimoni sono due ragazze, due volontarie del Gsf, che sono state le prime a cercare di prestare soccorso al ragazzo ucciso.
Le loro parole sono frammentarie: "Ha perso la vita in seguito a due colpi in pieno volto: sulla fronte una ferita lacero contusa profonda, all'altezza di uno zigomo un foro circolare, simile a quelli provocati da colpi d'arma da fuoco". La ragazza ha riferito che il giovane morto portava un passamontagna nero. "Sono stata io a levarglielo e ho visto quelle ferite". Erano da arma da fuoco? "Non lo so, so solo che quel ragazzo quando siamo arrivati era appena morto. Aveva gli occhi azzurri e perdeva molto sangue dalla bocca. Qualcuno gli ha fatto un massaggio cardiaco, ma inutilmente".

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Poi arriva il racconto di Bruno Abile, fotografo freelance di Parigi che fornisce molti dettagli sulla vicenda: "Ho sentito due colpi. Pensavo
fossero in aria invece ho visto cadere un ragazzo. Intorno alle 17.30 il grosso dello schieramento di polizia in via Tolemaide ha cominciato a tornare indietro rapidamente fino a fermarsi all'altezza del cavalcavia della ferrovia in corso Torino. Trecento manifestanti hanno seguito la polizia, mentre molti da dietro gridavano 'è una trappola'".
"Io sono andato dietro ai manifestanti - aggiunge - tranquillo e in un piccolo vicolo a sinistra ho visto 30-40 carabinieri con gli scudi. La polizia ha sparato i lacrimogeni. I carabinieri del vicolo invece non hanno sparato, ma si sono spostati indietro di una ventina di metri correndo in disordine sino a piazza Alimonda. Qui c'erano un furgone e due jeep che sono subito partite. Una jeep si scontrata contro un cassonetto. E non è riuscita a ripartire. A bordo c'erano un autista e due persone. Sei o sette manifestanti si sono avvicinati e hanno gettato sassi da cinque o sei metri. Poi hanno cominciato a colpire la macchina con i bastoni".
"I poliziotti erano fermi a venti metri - conclude il fotografo - Io non capivo perché non andavano ad aiutare i carabinieri. Mentre fotografavo, ho visto un uomo in divisa senza scudo, forse un ufficiale, che impugnava una pistola. Ho sentito due colpi. Pensavo fossero in aria invece ho visto cadere un ragazzo. Il proiettile gli è entrato nell'occhio destro e il sangue zampillava dall'occhio".


l dramma in via Caffa la vittima è un ragazzo italiano.
Testimoni accusano: "Hanno sparato i carabinieri"
Tragedia a Genova ucciso un manifestante


di ANDREA DI NICOLA  

GENOVA - Un ragazzo italiano, Carlo Giuliani, riverso sul selciato davanti alla chiesa di Nostra signora del rimedio, sul volto ancora il passamontagna a coprire i capelli biondicci radi e la barbetta anch'essa rada. Il morto, che era stato sfiorato a Goteborg a Genova, si materializza intorno alle 17,20 di una giornata di battaglia con una chiazza di sangue sotto la nuca del giovane colpito da due pistolettate. La vittima aveva 23 anni, era di Roma, ma risiedeva a Genova da qualche anno, figlio di un noto sindacalista.
Attorno al suo corpo, steso sul selciato, un cordone di poliziotti e carabinieri in assetto da battaglia a coprire quel volto sfigurato dalla morte. Attimi di gelo nella piazzetta dove fino a pochi minuti prima si sentivano le urla e i colpi dei fall che sparavano lacrimogeni a ripetizione, gli schiocchi delle pietre che volavano sui caschi e sugli scudi dei poliziotti e dei carabinieri.
Una questione di attimi e il budello di stradine del quartiere Foce, intorno a via Caffa, diventa un macello. I contestatori rinforzano le loro cariche, le forze dell'ordine si ritirano ma una camionetta di carabinieri resta intrappolata nella stradina resa ancora più stretta da un bidone della spazzatura rovesciato per terra.
Gli assalitori circondano la jeep e la assalgono: il ragazzo con il passamontagna nero ha in mano un estintore rosso, dalla camionetta un militare tira fuori la pistola e spara, si sentono almeno due colpi, il ragazzo si accascia ma nella bolgia nessuno pensa a qualcosa di così grave. Il giovane, in fin di vita, finisce sotto la camionetta. I poliziotti caricano per tirare fuori i loro colleghi dall'impiccio nel quale sono finiti.
La battaglia continua intorno al corpo del ragazzo morente tanto che un poliziotto, sfinito dallo stress della giornata butta via lo scudo: il suo modo per dire basta a questa lunga sequela di follie di cui la battaglia intorno al corpo di un giovane morto è stata solo la più grave.
Alla fine i contestatori vengono ricacciati indietro mentre i medici del Genova social forum accorrono. "C'è lì uno ferito da una pietra dei suoi amici", dice un celerino. Claudia, l'infermiera tedesca, arriva sul corpo del ragazzo gli toglie il passamontagna e nota "un foro piccolo sulla fronte, nessun segno sul corpo". Tenta un impossibile massaggio cardiaco, chiede dell'ossigeno che non si trova, vuole un medico ma sull'ambulanza accorsa non c'è.
Claudia e una sua collega tentano fino alla fine di tenere il giovane attaccato alla vita, ma si devono arrendere. Il giovane è morto fra le pietre, i vetri, i candelotti lacrimogeni. Poliziotti e carabinieri formano un cordone intono al corpo riverso nel sangue, cercano di non far vedere, di coprire il più possibile i due buchi sulla faccia del ragazzo.


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Vogliono evitare che i suoi compagni lo vedano e che i giornalisti vedano. Intorno, sul sagrato, giovanissimi dal volto scoccato piangono, insultano. "Assassini", "Ridete, assassini". Ogni movimento del blocco di poliziotti e carabinieri viene sottolineato dagli applausi ironici. Ma la tensione cresce.
Carabinieri e polizia sembrano indecisi ma devono presidiare quel corpo mentre intorno si fa strada la versione delle pistolettate. "Ho registrato tutto dice Paolo, giovanissimo, casco in testa e videocamera digitale in mano ho le immagini" e scappa per evitare che gli sequestrino la prova. Anche un signore che abita in zona racconta: "L'ho visto sparare anche se i ragazzi avevano assaltato la camionetta e i carabinieri se la stavano vedendo brutta".
Passa poco tempo, insomma, e si capisce che la prima versione ("è stato colpito da una pietra") non regge. E questo fa salire ancora la tensione. Un furgone del Comune viene a prendere quel povero corpo dopo che il procuratore capo era passato, sfidando la sassaiola, a vederlo. Pratica necessaria quando c'è di mezzo un morto. Quando il furgone va via i giovani avanzano, vogliono per loro quell'angolo di strada dove ormai c'è solo un mucchio di segatura a coprire il sangue.
Le forze dell'ordine capiscono. Iniziano lentamente una ritirata fra le pietre che cominciano a volare e rispondono sparando lacrimogeni. Praticamente di corsa si vanno a ritirare dietro le grate di ferro. Si lasciano dietro un quartiere distrutto, una coperta di pietre e vetri di bottiglie ed anche un ragazzo morto.



I GIORNI DEL G8:
IRRUZIONE NOTTURNA ALLA SCUOLA DIAZ


(25 luglio 2001) La Repubblica

Il capo della Polizia Gianni De Gennaro:
"Genova servirà da esempio per i futuri vertici. Alla Diaz siamo stati attaccati … Non abbiamo nulla da rimproverarci"


ROMA - Non lo dice esplicitamente, ma il senso delle parole del capo della polizia Gianni De Gennaro si può riassumere così: non abbiamo nulla da rimproverarci. Non la gestione della manifestazione "che servirà da esempio ai futuri vertici"; non il blitz della scuola Diaz, "era una normale perquisizione trasformata in un'operazione di ordine pubblico dal comportamento violento degli occupanti"; non l'episodio che ha provocato la morte di Carlo Giuliani, "il carabiniere ha sparato per legittima difesa". Ovvio che la conclusione dell'analisi del capo della Polizia non può essere che una: "Non ho mai pensato di dimettermi".

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Il Tg5 realizza l'ennesimo scoop di questo G8 e manda in onda l'intervista del suo direttore Enrico Mentana con il capo della Polizia. Gianni De Gennaro fino ad oggi non aveva mai parlato. Di lui invece si era parlato molto. E adesso tocca a lui spiegare e analizzare le violenze di Genova. "Avevamo tre esigenze: proteggere il summit, consentire la manifestazione, garantire la sicurezza ai cittadini di Genova" attacca De Gennaro. Centrato il primo obiettivo, meno gli altri due. Di chi è la colpa? "Di un migliaio di violenti, dai Black Bloc agli anarchici insurrezionalisti, a coloro che hanno cercato lo scontro con le forze di polizia" replica De Gennaro.
Mentana arriva alla morte di Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola mentre assaliva una camionetta dei carabinieri. De Gennaro la vede così: "Le immagini rendono l'idea di un'aggressione violenta e di una condizione di assoluto pericolo per il carabiniere". Le responsabilità semmai vanno cercate nel tentativo di un gruppo di manifestanti "più violenti" che hanno cercato di "sfondare la zona rossa e hanno aggredito le forze dell'ordine".
Poi tocca al blitz nella sede del Gsf. Quelle immagini che hanno fatto il giro del mondo: poliziotti in assetto di guerra, ragazzi portati fuori in barella, macchie di sangue ovunque. De Gennaro però anche stavolta non ha dubbi: "Era una semplice operazione di identificazione di alcune persone che si è trasformata in un'azione di ordine pubblico perché gli agenti sono stati attaccati". Nessun errore dunque, nessun abuso, al massimo, concede De Gennaro, "eccessi da parte di singoli" che un'indagine della Polizia servirà ad accertare "se saranno verificati". Di sicuro però, e su questo il capo della Polizia non sente il bisogno di verifiche, non ci sono stati "errori di valutazione o di comportamento collettivo".


I GIORNI DEL G8:
GLI ARRESTATI ALLA CASERMA DI BOLZANETO


(5 agosto 2001) La Repubblica

I magistrati genovesi hanno ormai raccolto testimonianze
abbondanti e concordanti su quanto è accaduto nella caserma. Bolzaneto, l'accusa dei pm "Fu un luogo di tortura"
Il problema è individuare i singoli responsabili
delle sevizie. Chiunque poteva entrare e picchiare?


di MARCO PREVE  

GENOVA - Nell'inchiesta giudiziaria sui fatti di Bolzaneto entra la parola tortura. Imputazione che non esiste nel nostro codice penale ma che, sostanzialmente, potrebbe essere contestata ai picchiatori della caserma attraverso un concorso di reati, dalle lesioni alla violenza privata aggravati dall'"aver adoperato sevizie o l'aver agito con crudeltà". Accuse cementate da un articolo del codice - citato in conferenza stampa dal procuratore capo Francesco Meloni - che è il 608, quello che punisce gli abusi dell'autorità nei confronti di persone arrestate o detenute. Davanti alle telecamere nessuno si sbilancia, ma quando le porte si chiudono i magistrati, non possono nascondersi che "anche se siamo all'inizio del lavoro, i racconti delle violenze, le testimonianze fotocopia di decine di persone che in ore e in giorni diversi sono transitate nel carcere del G8, fanno pensare a un metodo sistematico di torture, a vere e proprie violazioni dei diritti dell'uomo". Detenuti costretti a stare in piedi anche per 15/16 ore, divieto di andare in bagno, manganellate sotto le piante dei piedi, teste sbattute contro i muri, calci, insulti, offese (l'avvocato Simonetta Crisci annuncia una denuncia anche per violazione della legge Mancino sul razzismo), filastrocche naziste cantate dai carcerieri o fatte cantare a suon di sberle ai detenuti, medici che a gente con la testa rotta dicevano "abile e arruolato". Le stesse storie su decine di verbali italiani, tedeschi, svizzeri, inglesi.

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Non siamo stati noi, dissero a turno i poliziotti del Reparto Mobile e gli agenti della polizia penitenziaria presenti, in numero consistente, anche con le teste di cuoio del Gom. "Quando sono stato a Bolzaneto nella notte di sabato e ho visitato personalmente l'area detentiva, non ho visto nulla di irregolare" disse il ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, e tutto si svolse con assoluta normalità anche per i responsabili in loco della struttura, Alessandro Perugini funzionario Digos, Anna Poggi vicequestore aggregato, e pure per Alfonso Sabella, magistrato e alto dirigente del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che l'altro giorno in procura è stato sentito, e ha portato i primi registri con gli elenchi del personale impiegato nei vari turni.

Anche se i pm Monica Parentini, Patrizia Petruzziello, Enrico Zucca e Francesco Pinto ripetono fino alla noia che per ora stanno raccogliendo le testimonianze di chi è passato nella caserma di via Sardorella, si intuisce che dietro all'ennesimo scaricabarile tra le forze dell'ordine potrebbe esserci di nuovo la confusione, l'anarchia che ha generato anche il pasticcio del blitz alla Diaz. Perché è vero che a Bolzaneto c'era chi comandava, ma, sembra emergere dalle prime ricostruzioni, i regolamenti sarebbero stati riscritti. Ad esempio, le severe norme che regolano l'ingresso in una struttura carceraria anche per gli appartenenti alle forze dell'ordine, nei tre giorni di delirio del G8 vennero cancellati. Negli stanzoni dei reclusi entrava chiunque. Gli agenti della penitenziaria avrebbero aperto le porte anche a chi non era autorizzato. Bastava appartenere all'armata dei bravi ragazzi, essere "uno di noi", poi si poteva picchiare, insultare, oppure semplicemente (e tanti lo hanno fatto) guardare.
Nelle prime denunce presentate alla procura e dai tantissimi stralci degli interrogatori di convalida trasmessi dai gip ai piemme, la descrizione delle violenze e dei soprusi, si comincia sempre con le botte, si prosegue con forme di detenzione che sfiorano il sadismo, e si finisce con insulti e offese quasi sempre di natura politica (Che Guevara bastardo, inni a Pinochet, per i comunisti è finita, e via di seguito). A differenza di quanto accaduto alla Diaz, dove è difficilissimo riuscire a individuare i singoli agenti responsabili delle violenze, a Bolzaneto questo compito potrebbe risultare più semplice una volta ricostruito l'organigramma e gli orari del personale indicato nei registri dei turni. E per riuscire a definire anche le responsabilità dei vari corpi il pool di pm ha fatto acquisire tutte le divise indossate nei giorni del summit dai poliziotti, dagli agenti penitenziari e anche dai carabinieri che, in numero ridotto, erano presenti anche loro.
Inoltre, il video che un consulente ha filmato l'altro ieri nel corso del sopralluogo dei magistrati con tre dei ragazzi che hanno presentato denuncia, servirà durante gli interrogatori per far indicare ai testimoni i luoghi delle violenze. Una scelta decisa per evitare a tanti un traumatico ritorno nella prigione della paura.



(8 agosto 2001) La Repubblica

Acquisite oggi dalla Commissione parlamentare
le relazioni degli investigatori del Viminale
"Alla caserma di Bolzaneto atti sporadici di violenza"
Montanaro: "In caserma la disorganizzazione può aver scatenato la violenza degli agenti"

 
ROMA - E' verosimile che nella caserma di Bolzaneto gli arrestati abbiano subito violenze da parte degli agenti di polizia. L'udienza della commissione d'indagine parlamentare di oggi - che vede l'audizione del capo della polizia Gianni De Gennaro ma anche l'acquisizione delle relazioni dei superispettori inviati a Genova dal Viminale per indagare sugli episodi di violenza durante il simmit del G8 - conferma le notizie trapelate nei giorni del "licenziamento" dei tre superpoliziotti da parte del ministro Scajola. Il disastro organizzativo avrebbe mandato in confusione gli agenti delle forze dell'ordine scatenando episodi di violenza e abusi sui manifestanti fermati.

All'attenzione della Commissione parlamentare è stata soprattutto la relazione del super ispettore Salvatore Montanaro, che ha indagato sugli episodi della caserma di Bolzaneto. Queste le conclusioni, al termine delle molte pagine consegnate: "A parte il lungo e pesante disagio sopportato dai fermati per l'espletamento delle pratiche di rito, non può escludersi il verificarsi di sporadici atti di rudezza facilitati dalla situazione di estrema tensione". E Montanaro, che chiede tra l'altro provvedimenti disciplinari nei confronti di alcuni funzionari ascoltati, aggiunge: "Risulta però estremamente difficile, al momento, individuare precise responsabilità personali anche a causa delle condizioni fisiche di quasi tutti i fermati, determinate dagli scontri o dalla perquisizione subita".
La violenza sarebbe stata provocata soprattutto dalla mancanza di organizzazione: Montanaro parla di totale e inequivocabile incapacità di gestire l'emergenza; di inosservanza diffusa dell'obbligo di relazionare; di una gestione caotica e separata della situazione da parte delle forze dell'ordine che hanno agito come "corpi separati"; di scorrettezza della compilazione dei verbali d'arresto e di inadeguatezza della struttura.

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Una relazione dura, impietosa nei confronti dei colleghi come pure quella dell'ispettore Pippo Macalizio, inviato a Genova per indagare sul blitz alla scuola Diaz. Macalizio punta il dito sui troppi uomini impiegati a fronte di solo 93 manifestanti trovati nella scuola, e sulla mancanza di un responsabile designato a coordinare i 275 agenti della polizia criminale, polizia di prevenzione e squadra mobile. Ma smentisce che possa essersi trattato di rappresaglia, come i manifestanti hanno denunciato. "Nessuno degli uomini impiegati nel blitz - scrive l'ispettore - ha dimostrato di voler infierire sui giovani che erano presenti nella scuola".
Resta il fatto che, emerge dalla relazione, delle 93 persone trovate ben 62 sono state ricoverate in ospedale dopo l'intervento della polizia: il 24% con prognosi fino a 5 giorni; il 36% da 6 a 10 giorni; l'11% da 11 a 20 giorni; il 18% da 21 a 40 giorni; il 5% con prognosi riservata.



I GIORNI DELLE INDAGINI: PRIME VERITA’ SULLA DIAZ
FALSE LE MOLOTOV E LE COLTELLATE AI POLIZIOTTI


(1 agosto 2002)

Genova, una nuova super-prova smentisce i vertici della Ps.
Mostra i capi della polizia col sacco delle molotov
G8, un video-verità sull'irruzione alla Diaz

di MASSIMO CALANDRI

GENOVA - Quello sulla sinistra, che sembra reggere il sacchetto azzurro con dentro le molotov, è Giovanni Luperi, braccio destro del prefetto Arnaldo La Barbera. Sta parlando con Spartaco Mortola, l'ex capo della Digos genovese, a un passo da loro c'è l'autista del furgone Magnum, il "pentito" che ha confessato d'aver portato le bottiglie incendiarie dentro la scuola per ordine del vice-questore Pietro Troiani. E poi gli altri, tutti insieme: Francesco Gratteri e Gilberto Caldarozzi, numero 1 e 2 dello Sco, il capo della Celere Vincenzo Canterini, il vicario Lorenzo Murgolo. La Barbera è distante qualche metro dal capannello, Troiani si è appena allontanato, manca solo Massimiliano Di Bernardini. Poi, qualcuno che regge un casco con l'altra mano apre il sacchetto, i presenti guardano all'interno. Luperi telefona col cellulare, sembra quasi chiedere consiglio ad uno sconosciuto interlocutore.
Eccolo, il video-verità sulla Diaz: pochi secondi che smascherano i funzionari di polizia, gli stessi che fino a ieri giuravano di averle viste solo all'interno dell'istituto (o addirittura di non averle viste affatto), le molotov. I pm l'hanno ribattezzato "Blue sky", ironizzando sul sacchetto azzurro. Un filmato che, se ancora non dimostra che tutti erano a conoscenza della falsificazione delle prove, tuttavia sbugiarda in maniera clamorosa i vertici della Polizia di Stato e sottolinea un dato di fatto: il falso e la calunnia, almeno nella redazione del verbale di arresto dei 93 no-global e di sequestro delle fantomatiche armi, ci sono stati.

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I difensori degli imputati giocano in difesa: "Bisogna stabilire ancora quando il video è stato girato: all'inizio, durante o al termine della perquisizione? Perché se l'ipotesi giusta è la terza, allora siamo al massimo di fronte ad un 'difetto di memoria' di alcuni funzionari". In Procura rispondono con un sorriso: le bottiglie incendiarie, paradossalmente, non sono che uno dei tanti "errori" commessi nel corso di un'operazione folle. E che dire delle false coltellate al giubbotto di un agente per "giustificare" il pestaggio dei manifestanti, o del presunto lancio di pietre che è poi il motivo dell'irruzione, o ancora di quegli "strani" feriti tra gli agenti protagonisti del blitz, per non dimenticare il ritrovamento di spranghe e picconi così simili agli arnesi da lavoro scomparsi da un cantiere vicino alla Diaz?
I racconti dei funzionari sarebbero zeppi di contraddizioni ma soprattutto partirebbero da un presupposto difficilmente credibile: che i super-poliziotti abbiano avuto un ruolo defilato nell'intervento e, di conseguenza, nell'elaborazione delle "prove". La squadra speciale della Mobile genovese, cui è stato affidato il compito di svolgere alcuni accertamenti sulla vicenda, è stata rafforzata nel numero. In ballo adesso c'è una verifica delicatissima ordinata dai magistrati: attraverso i tabulati dei cellulari in uso ai funzionari indagati si dovrà risalire alle telefonate fatte la notte del blitz in via Cesare Battisti, scoprendo in particolare con chi stava parlando - osservando le molotov - Giovanni Luperi.


I GIORNI DEI PROCESSI:
A GIUDIZIO LE FORZE DELL’ORDINE


(14/12/04) La Repubblica

Genova, rinviati a giudizio 28 poliziotti della scuola Diaz

GENOVA - Sono stati rinviati a giudizio 28 poliziotti per l'irruzione nella scuola Diaz durante il G8. Lo ha deciso stamani il gip Daniela Faraggi accogliendo la richiesta dei sostituti procuratori Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini.
Fissata anche la data della prima udienza: il prossimo 6 aprile presso la terza sezione del Tribunale. I capi di imputazione sono abuso, calunnia, concorso in lesioni gravi e falso. Tra gli imputati che dovranno rispondere delle accuse, l'ex capo della Digos di Genova Spartaco Mortola; Francesco Gratteri, all'epoca dei fatti capo dello Sco e ora al vertice dell'antiterrorismo; Nando Dominici, già capo della Squadra Mobile di Genova; Giovanni Lupperi, all'epoca del G8 vice capo dell'Ucigos; Vincenzo Canterini, comandante del Settimo Nucleo Sperimentale di Roma; Gilberto Caldarozzi, vice di Gratteri durante il G8; Michelangelo Fournier, all'epoca vice di Canterini; il vice questore Pietro Troiani; Fabio Ciccimarra, vice questore aggiunto di Napoli; Carlo Di Sarro, vice questore aggiunto di Genova.
L' accusa di falso, riguarda le due bottiglie molotov trovate nella scuola poi risultate false prove della polizia per giustificare gli arresti, e l'episodio della falsa coltellata, secondo i pm, che un poliziotto sostiene di aver ricevuto nella scuola da un manifestante rimasto sconosciuto.
Si tratta della prima richiesta di giudizio sull'irruzione nella scuola Diaz di Genova quando 93 no global furono arrestati e feriti, anche gravemente, da agenti di polizia. Il rinvio a giudizio è stato deciso dopo tre anni di indagini e sei mesi di udienza preliminare.

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Per gli avvocati difensori la scelta del giudice era nell'aria da tempo. Luigi Ligotti, difesore di Francresco Gratteri: "E' stata una decisione che non ci ha particolarmente sorpreso".
Per nulla sorpreso si è detto anche l'avvocato Silvio Romanelli, legale di Vincenzo Canterini: "Non c'era nessuna aspettativa di altro genere sia per il numero degli imputati sia per l'importanza del G8. Sarebbe stato utopistico pensare che in sede di udienza preliminare il giudice potesse scegliere diversamente".
Amareggiato l'avvocalto Piero Porciani, difensore di quattro capisquadra: "Non sono stupito della sentenza odierna. Sono molto amareggiato che ragazzi che hanno fatto il loro dovere si trovino in questa situazione. Hanno eseguito solo gli ordini".
Laconico invece il commento dell'avvocato di parte civile Riccardo Passeggi: "Non faccio commenti sui processi in corso. Stiamo ai dati concreti e i dati concreti dicono che la tesi accusatoria ha passato il vaglio dell'udienza preliminare e quindi ci sono gli elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Faremo si che questi elementi portino ad una sentenza di condanna".
Il ministro dell'Interno Pisanu ha commentato il rinvio a giudizio dei 28 poliziotti ricordando che "siamo appena all'inizio della fase processuale" e che, comunque, "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, come dice la nostra Costituzione". Il ministro si è poi detto certo che "Il processo è nell'interesse di tutti e, in primo luogo, della Polizia di Stato, che è in grado di affrontare e superare anche questa prova".
Il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, ha espresso solidarietà agli agenti rinviati a giudizio: ''Quelli furono giorni terribili e nella città furono compiute azioni di guerriglia contrarie ad ogni forma di democrazia. Genova fu letteralmente assediata da frange di violenti e le forze di polizia furono chiamate a svolgere un lavoro molto delicato. Oggi 28 agenti, tra questi anche funzionari e dirigenti, sono stati rinviati a giudizio. Ho fiducia nel lavoro dei magistrati".



I GIORNI DEI PROCESSI:
LA SPARIZIONE DELLE PROVE E LE PRIME AFFERMAZIONI


(26/01/07) Il Manifesto
Genova Il tribunale ordina un'inchiesta contro ignoti: com'è stato possibile «perdere» il corpo del reato?
Diaz, senza molotov il processo non si ferma


Simone Pieranni

Il processo Diaz continua: la sparizione delle due molotov non ferma il cammino del dibattimento. Comincia in parallelo un'indagine sulle ragioni e le cause della scomparsa. L'ordinanza emessa ieri dal tribunale di Genova non lascia scampo alle difese dei poliziotti e ridicolizza la questura genovese: la stessa corte si riserva di accertare le ragioni dello smarrimento o della distruzione (per errore??) «di un corpo di reato di simile importanza». Per il presidente del tribunale Gabrio Barone le testimonianze, le foto e le perizie della scientifica bastano e avanzano per proseguire il processo contro i 29 tra dirigenti, funzionari e agenti di polizia accusati di lesioni, abuso d'ufficio, falso e calunnia, in relazione all'assalto alla scuola Diaz del 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova.


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Poco prima che la corte si riunisse in camera di consiglio, era stato il pm Enrico Zucca ad agitare un'udienza già tesa in partenza. Rispondendo alle accuse della difesa rivolte contro la procura - che non avrebbe mostrato il decreto di sequestro delle molotov - ha ricordato la possibilità che alcuni degli attuali imputati potrebbe aver concorso alla sparizione delle due molotov. Un riferimento che in molti hanno inteso verso Spartaco Mortola, allora capo della Digos e Nando Dominici, dirigente della squadra mobile di Genova, ancora in carica nei propri ruoli genovesi nei giorni che precedettero la scomparsa delle molotov: in serata con un comunicato l'avvocato di Mortola, Maurizio Mascia, ha respinto le accuse.
Il documento della questura di Genova depositato ieri in tribunale tenta di descrivere l'iter delle due bottiglie incriminate, con una premessa che sembra trovarsi concorde con le difese degli imputati, secondo la quale le molotov non sarebbero tra gli atti del procedimento Diaz, ribadendo la tesi assolutoria dei poliziotti imputati. Quelle molotov alla questura risultano ad oggi «sequestrate» alla Diaz e a carico dei 93 arrestati, come non ci fossero mai state indagini. Nel documento si giustifica l'assenza attraverso una cronistoria che si ferma a settembre: il 6 agosto 2001 le molotov sono repertate all'interno del fascicolo contro i 93 manifestanti pestati e poi arrestati; il 16 agosto le prende in consegna l'artificiere Marcellino Melis e le porta in questura: è la prassi per il materiale ritenuto potenzialmente pericoloso; il 28 agosto vengono portate alla polizia scientifica: i tecnici devono effettuare i rilievi per le impronte digitali; il 10 settembre 2001 la scientifica trasmette i rilievi a Dominici, dirigente della squadra mobile di Genova, che li invia alla Procura; tra il 9 e il 14 settembre 2001, per ordine del procuratore capo di Genova, Francesco Lalla, presso lo stadio Carlini viene fatto brillare materiale esplodente di varia natura. Poi il nulla. Nel documento della questura genovese si lascia intendere che le due bottiglie molotov potrebbero esser state distrutte per errore, indicando il nome dell'artificiere, Marcellino Melis, come il probabile sbadato del caso. Non sarebbe il primo in questa storia. Nelle sue relazioni sulle avvenute distruzioni di varie bottiglie incendiarie del G8 (pochissime, di cui alcune di plastica) Melis tuttavia non menziona l'esplosione delle molotov che lui stesso aveva custodito e poi sottoposto alle analisi della scientifica, né ricorda l'esistenza di un verbale che attesti la distruzione - e il premio di disattivazione riservato agli artificieri a lavoro finito - di «quelle» molotov. Prossima udienza il 30 gennaio, in attesa che la polizia ancora una volta indaghi su se stessa.


(13/06/07) La Repubblica

G8: ex vicequestore, “alla Diaz fu operazione da macelleria”

"Fu un'operazione da macelleria messicana". E' stata definita così dal vicequestore Michelangelo Fournier, la sanguinosa irruzione della Polizia nella scuola Diaz durante il G8 di Genova, nel corso del suo interrogatorio al processo in cui è imputato con altri 28 colleghi.

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Fournier, all' epoca vice questore aggiunto del primo reparto mobile di Roma comandato da Vincenzo Canterini, a sua volta imputato, dopo aver ribadito la colorita definizione dell'irruzione, già contenuta nei verbali, per la prima volta ha invece ammesso che al momento della sua irruzione al primo piano dell' istituto erano in atto ancora veri e propri pestaggi di no global inermi a terra. Precedentemente aveva detto ai pm che al suo ingresso non aveva visto aggressioni in corso.
Alla contestazione dei pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini sul perché oggi abbia cambiato versione, Fournier ha spiegato: "Durante le indagini non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave da parte dei poliziotti per spirito di appartenenza". Con un moto di orgoglio ha aggiunto:"Faccio parte di una famiglia di poliziotti". Fournier non ha neppure escluso che qualche agente del suo reparto abbia picchiato.   "Sono rimasto terrorizzato e basito - ha raccontato - quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo che stesse morendo anche perché mi sembrò di vedere attorno grumi di materia cerebrale". Fu a quel punto, come hanno anche confermato dodici dei no global presenti al primo piano, che il poliziotto, togliendosi il casco, gridò:"Basta,basta" e allontanò i poliziotti ancora intenti  a picchiare. Poi Fournier fece chiamare le ambulanze e ordinò ai suoi uomini di uscire dalla scuola. Quindi si occupò di trasferire i fermati "quelli ancora interi" nella caserma di Bolzaneto.
La testimonianza di Forunier ha sollevato polemiche e spinto diversi esponenti della sinistra a rinnovare la richiesta di una commissione d'inchiesta sui fatti del G8. Secondo Heidi Giuliani, madre di Carlo, "la coraggiosa testimonianza dell'ex vice questore sulla mattanza compiuta dalla polizia ha rotto finalmente l'intreccio di menzogne e coperture indegne di un paese civile". "E' urgente istituire una commissione  parlamentare d'inchiesta per identificare i responsabili".
Analoga richiesta arriva, tra gli altri, da Francesco Caruso, sempre di Rifondazione comunista; Paolo Cento, sottosegretario all'economia; da Pino Sgobio (Pdc) e Carlo Leoni(Sinistra Democratica). Per Vittorio Agnoletto, portavoce del Genova Social Forum all'epoca del G8:"finalmente dopo sei anni un poliziotto trova il coraggio di dire la verità e conferma che alla Diaz fu un vero e proprio massacro. Ora il governo non ha più nessuna scusa: bisogna costituire una commissione d' inchiesta". Per Ermete Realacci dell' esecutivo della Margherita, "si è fatto un passo avanti importante per l' accertamento della verità".


G8 a Genova, «la polizia ha infierito»
Testimonianza choc in aula del vice questore aggiunto Fournier:«Durante le indagini non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave: la scuola Diaz come una macelleria»


GENOVA - Sugli incidenti accaduti a Genova in occasione del G8 è arrivata un'ammissione importante: «Durante le indagini non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave da parte dei poliziotti per spirito di appartenenza». È questa la testimonianza resa da Michelangelo Fournier, all'epoca del G8 a Genova vice questore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma e oggi uno dei 28 poliziotti imputati per la sanguinosa irruzione nella scuola Diaz. In aula, Fournier ha fornito infatti una nuova versione su quello che aveva visto nella scuola al momento della sua irruzione: non manifestanti già feriti a terra, ma veri e propri pestaggi ancora in atto.
«I POLIZIOTTI HANNO INFIERITO» - «Arrivato al primo piano dell'istituto - ha detto Fournier - ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana». Nelle dichiarazioni invece rese precedentemente dal poliziotto ai pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini il poliziotto aveva raccontato di aver trovato a terra persone già ferite e non pestaggi ancora in atto. …

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Fournier, sollecitato dalle domande del Pm Francesco Cardona Albini ha aggiunto: « … Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze». Fournier ha poi raccontato di aver assistito la ragazza ferita fino all'arrivo dei militi con l'aiuto di un'altra manifestante che aveva con sè una cassetta di pronto soccorso. «Ho invitato però la giovane - ha raccontato - a non muovere la ragazza ferita perché per me la ragazza stava morendo».
«HA SBAGLIATO A TACERE» - «Il dottor Michelangelo Forrnier - scrive in un comunicato il Comitato Verità e Giustizia per Genova - ha sbagliato a tacere per sei anni su quello che ha visto dentro la scuola Diaz. Proprio lo "spirito di appartenenza" avrebbe dovuto spingerlo a raccontare tutto e subito. Solo così avrebbe servito nel migliore dei modi, con lealtà e responsabilità, lo stato di cui è funzionario. Ad ogni modo, sia pure in ritardo, ha raccontato ciò che ha visto, confermando le testimonianze di decine di persone. Il dottor Fournier ha parlato di "macelleria messicana". L'attuale ministro degli Esteri, nel 2001, parlò di "notte cilena". Si ricorre all'esotismo, ma siamo di fronte a una "perquisizione all'italiana" che ha macchiato la credibilità della polizia e dello stato. A questo punto chiediamo: il capo della polizia non ha niente da dire? Il ministro degli Interni farà finta di nulla anche stavolta? Il parlamento continuerà a tenere in un cassetto la legge sulla commissione d'inchiesta?

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA - «La testimonianza resa da Michelangelo Fournier è l'ennesima conferma della necessità di istituire quella commissione parlamentare d'inchiesta sui fatti del G8 di Genova, prevista nel programma di governo dell'Unione e che il centrodestra, nella precedente legislatura, ha sempre negato». Lo afferma il vice presidente della Camera e parlamentare della Sd, Carlo Leoni, commentando la deposizione di oggi presso il tribunale penale di Genova.


(20 giugno 2007) La Repubblica

ll capo della Polizia iscritto dopo una testimonianza dell'ex questore Colucci. L'ipotesi di reato è quella di istigazione alla falsa testimonianza Gianni De Gennaro indagato nell'inchiesta sul G8 di Genova.
Il capo della Polizia avrebbe suggerito una sua versione dei fatti della Diaz
Un piano preparato a tavolino per scagionare alcuni dirigenti


di MARCO PREVE e MASSIMO CALANDRI

GENOVA - Induzione e istigazione alla falsa testimonianza. La recente iscrizione nel registro degli indagati del prefetto Gianni De Gennaro sarebbe legata ad un'indagine aperta nel corso del processo per lo sciagurato blitz nella scuola Diaz, durante il G8 di Genova. Un'indagine tesa a dimostrare che i vertici della Polizia di Stato si sarebbero messi d'accordo per raccontare in tribunale un'altra "verità", molto più comoda, sulla sanguinaria irruzione del 21 luglio 2001.
Un piano a tavolino per scagionare alcuni e scaricare le colpe sui rimanenti. Le accuse della locale Procura a De Gennaro sono conseguenza del fascicolo per la "falsa testimonianza" di Francesco Colucci, che sei anni fa era questore nel capoluogo ligure.

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Lo scorso 3 maggio Colucci era stato interrogato in aula, e di fronte alle domande dei pm era caduto in un'imbarazzante serie di contraddizioni, "non ricordo" e silenzi. Cambiando versione rispetto a quanto dichiarato subito dopo il G8 aveva indirettamente alleggerito la posizione del prefetto, che da Roma sembrava non aver avuto alcun ruolo nell'operazione.
Alcuni giorni più tardi il questore ha ricevuto un avviso di garanzia per le presunte bugie raccontate. Bugie che gli sarebbero state suggerite dallo stesso De Gennaro. Il mese passato i pubblici ministeri avevano in programma di ascoltare anche il capo della polizia sul blitz alla Diaz, ma all'improvviso l'appuntamento in tribunale era saltato. Con il senno di poi, è facile ritenere che non abbiano voluto convocare in pubblico il prefetto perché sarebbero stato costretti a rivelargli che era ufficialmente indagato in un altro procedimento. L'avviso di garanzia gli è comunque arrivato - l'undici giugno - perché gli inquirenti hanno deciso di sentirlo nei loro uffici, assistito da un avvocato: De Gennaro ha chiesto e ottenuto di differire l'incontro a data ancora da destinarsi.  
Tutto ruoterebbe intorno alla presenza alla scuola Diaz, quella notte da dimenticare, dell'uomo che allora era l'addetto stampa del capo della polizia: Roberto Sgalla. Interrogato dai pm Francesco Cardona Albini ed Enrico Zucca, nell'ottobre del 2001 Francesco Colucci raccontò che subito dopo aver deciso la perquisizione dell'istituto - e prima ancora di farvi irruzione - ricevette una telefonata da De Gennaro, che durante il vertice non si era mosso da Roma: "Mi disse di avvertire Sgalla". Era mezzanotte, l'addetto stampa a sua volta chiamò giornali e televisioni: c'era aria di arresti, di riscatto. Dopo due giorni di guerriglia urbana le forze dell'ordine volevano dimostrare di avere ripreso in pugno la situazione. E il prefetto coordinava l'operazione.
Interrogato nel dicembre 2002 dalla Procura di Genova, De Gennaro smentisce la versione del questore: "Prendo atto che il dottor Colucci ha riferito che avrei dato disposizioni di avvisare il dottor Sgalla. Credo che ricordi male. Ricordo bene invece che raccomandai il giorno dopo misura, prudenza e sobrietà nel dare notizia sull'evento". Sei anni più tardi, nel corso del processo che vede imputati 25 tra agenti e superpoliziotti, Colucci ci ripensa: "Fui io a chiamare Sgalla: lo giuro davanti a Dio e allo Stato italiano".
Scatta l'iscrizione nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Poco dopo l'apertura del nuovo fascicolo, ecco il secondo indagato: Gianni De Gennaro, accusato di aver istigato e indotto un suo subalterno a raccontare l'"altra" verità sulla Diaz.



(29 giugno 2007) LA Repubblica

Dalle carte dell'inchiesta, le perplessità del futuro numero uno della polizia sui fatti di Genova. Espresse direttamente al suo capo G8, tutti i dubbi di Manganelli
"A De Gennaro dissi: ne usciamo male"

di MARCO PREVE

Una manifestante ferita portata via in ambulanza dopo l'irruzione della polizia alla scuola Diaz
"Io credo che tu abbia visto un altro G8", gli dissi scherzosamente... "noi ne usciamo male e insomma, a me non sembrano pregresse quelle ferite". Credo di essere stato io, e il capo della polizia Gianni De Gennaro me ne dà atto ancora oggi, quello che gli ha richiamato l'attenzione sulla gravità degli incidenti... erano circa le 10 del mattino di domenica 22 luglio e fino a quel punto, guardando la televisione, mi era sembrato di cogliere dal capo della polizia una sensazione di "esito positivo"".
È uno dei passaggi contenuti nelle 60 pagine di interrogatorio cui venne sottoposto, in qualità di testimone, Antonio Manganelli, il 16 dicembre 2002 a Roma, dai pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini.

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I magistrati che iniziavano la difficile inchiesta sull'irruzione alla scuola Diaz di Genova, avvenuta l'ultima notte del G8, il 21 luglio 2001. Ecco il pensiero, le valutazioni, i dubbi, sulla vicenda Diaz espresse dall'allora direttore centrale della polizia criminale e futuro numero uno della Ps, uno che quella notte come ricorda lui stesso "stava andando a letto" e si ritrova "in una delle pagine storiche".
Le frasi più dure sono nei confronti dell'episodio delle due bottiglie molotov, infiltrate nella scuola dalla stessa polizia e poi usate come prove a carico dei 93 no global arrestati, scagionati e oggi parti offese al processo. "Mi è sembrato che alla perquisizione Diaz ci fossero un po' troppi generali senza contestuale distribuzione di compiti e di livelli di responsabilità... poi tutto va storicizzato... debbo dire che la cosa che mi ha colpito di più in assoluto, che non riesco a digerire è la provenienza illegale delle molotov. Perché guardi, io ne ho viste tante, mi spiace dirlo al registratore, ma ne ho anche fatte tante... situazioni complicate difficili... la Uno Bianca, le stragi a Palermo, i sequestri a Nuoro... ma la bustina in tasca allo spacciatore... insomma l'avevo vista nei film ma non credevo potesse succedere".  
I pm sottolineano che non è solo la questione delle molotov in gioco, ma "l'anomalia pare risiedere in tutto l'atto di polizia giudiziaria", e Manganelli concorda: "Su questo siamo assolutamente d'accordo. Guardare con particolare disapprovazione una scelta operativa non significa approvare il resto".
Molte domande riguardano il ruolo di Francesco Gratteri, allora direttore del Servizio Centrale Operativo, uno degli imputati che secondo l'allora vice capo della polizia Ansoino Andreassi "già dal mattino del sabato aveva assunto direttamente il controllo di alcune operazioni che avevano portato ad arresti...".
Manganelli ricorda le telefonate scambiate dalla sua casa romana con Gratteri e le parole che gli disse il suo ospite, l'ex direttore dell'unità e deputato Ds Giuseppe Caldarola a proposito dei disordini di strada "... e l'intellettuale impegnato mi faceva notare "ma tu guarda che rischi di tornare dieci anni indietro" e non c'era stata ancora la Diaz...".
I pm ricordano che Andreassi parla di due riunioni prima del blitz alla Diaz, e alla seconda, quella operativa, il vice di De Gennaro non partecipa. "Lo trovo perfettamente coerente con la nostra organizzazione... il prefetto è il prefetto... magari se ci fossi stato io - dice Manganelli - mi sarei intrufolato nella riunione operativa, perché c'è ancora la matrice sbirresca che mi motiva... Andreassi è di un'altra formazione, non è quello che si mette a pianificare...". E poco prima sulle modalità del blitz: "Come pianificazione delle modalità operative, da come è andata credo che, insomma, abbia lasciato un po' a desiderare...". E infine sulla contestata conferenza stampa in questura il mattino dopo l'irruzione: "Io l'avrei organizzata meglio".



(6 luglio 2007) La Repubblica

Genova, gli avvocati delle parti offese depositeranno le comunicazioni oggi al processo per il blitz nella scuola.
Un agente della polizia dopo l'irruzione:
"Qui ci sono teste aperte a manganellate"
G8, le telefonate tra poliziotti e centrale
"Speriamo che muoiano tutti, 1-0 per noi"

di MARCO PREVE

GENOVA - C'è la poliziotta che scherza sulla tragedia di Carlo Giuliani ("speriamo che muoiano tutti... tanto uno già...1 a 0 per noi.."), il funzionario che impreca per i ritardi, l'agente che non sa che accade, l'altro che racconta di teste spaccate, il capoufficio stampa di Gianni De Gennaro "dimenticato" per strada, il capo della celere distrutto dalla nottata, quello della Digos che cerca di disfarsi delle due molotov. Sono le 26 telefonate che gli avvocati delle parti offese del processo per il blitz alla Diaz nel luglio 2001 - 29 tra funzionari e agenti imputati per lesioni, falso e calunnia - depositeranno nell'udienza di oggi, l'ultima prima della pausa estiva. Le comunicazioni sono quelle che intercorrono tra i poliziotti sul campo e la centrale operativa del 113 in questura.

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Ore 21.35 l'irruzione deve ancora essere decisa ma vengono inviate pattuglie per verificare la situazione attorno alla scuola che ospita la sede del Genoa Social Forum. Una funzionaria della centrale operativa (Co) parla prima con una pattuglia della Digos: "In piazza Merani ci hanno segnalato questi dieci zecconi (i manifestanti ma anche i giovani di sinistra, ndr) maledetti che mettevano i bidoni della spazzatura in mezzo alla strada...". Alle 21.57 la stessa poliziotta parla via radio con un collega (R) il tono è rilassato e scherzoso.
R: "Ma guarda che io dalle 7 di ieri e di oggi sono stato in servizio fino alle 11, quindi... ho visto tutti 'sti balordi queste zecche del cazzo... comunque...". Co: "... speriamo che muoiano tutti...". R: "Eh sei simpatica". Co: "Tanto uno già va beh e gli altri... 1-0 per noi... tanto siamo solo sul 113 e registrano tutto".
 A cavallo della mezzanotte, al 113, arrivano le telefonate allarmate di residenti della zona. Ore 23.58: "... via Cesare Battisti... guardi che è un macello... "; ore 23.59: "Lo sapete che hanno attaccato i ragazzi qui della scuola Diaz".
I primi feriti. Ore 00.17, l'agente al posto di polizia dell'ospedale San Martino chiama il 113: "Ascolta ha chiamato il 118 che sta arrivando una valanga di feriti, è possibile?". 113: "Sì no, guarda io non te lo so dire...".
Non hanno idea della situazione neanche gli agenti del reparto prevenzione mandati a piantonare i feriti all'ospedale. Alle 2.36 uno di loro chiama la Centrale operativa. "Sono 25 persone, uno ha problemi al torace... l'altro lo metti in chirurgia, l'altro in neurologia..", 113: "Sono in stato d'arresto?". Il poliziotto: "No devono essere accompagnati... si vede che questi sono i protagonisti degli scontri di oggi... però chi ha proceduto io non lo so". Co: "Guarda non lo so neanche io... ".
Alla stessa ora il poliziotto al San Martino spiega al 113, che chiede se ci sono ferite da taglio: "No, no teste aperte a manganellate".
Uno degli imputati il commissario Alfredo Fabbrocini parla al telefono con il 113 che chiede informazioni su quanto accaduto alla Diaz. Co: "Allora scusami esatto... quante persone avete accompagnato voi a Bolzaneto?".
F: "Guarda ti direi una bugia, non lo so... c'era un tale caos, guarda, anche perché noi non accompagnavamo, noi facevamo la scorta... comunque c'era il funzionario della Digos, il funzionario della mobile". Co: "E lì ti fermi... perché non c'era altro". F: "Non lo so se non c'era altro, c'era qualche funzionario addetto della Digos, ce n'erano almeno tre o quattro.. c'era il dottor Sgalla, c'era anche Ciccimarra che li conosco, quella là più alta in grado non so chi era, comunque ce n'erano altri... ah c'era Gratteri, c'era il dottor Gratteri... loro hanno disposto il servizio, noi abbiamo fatto manovalanza...".
All'1.23 Lorenzo Murgolo alto funzionario della questura di Bologna, indagato e poi prosciolto, si infuria con il 113 perché non arriva un pullman per il trasferimento dei "prigionieri" arrestati: "Sono il dottor Murgolo porca... perché non rispondete porca.. è tutt'oggi che non rispondete a sto ca... di 113.. ".
Cinque minuti dopo è ancora lui, in sottofondo si sente la gente che urla "assassini assassini". L'operatrice del 113 è in difficoltà di fronte alla rabbia di Murgolo e chiama un funzionario ma la musica non cambia: "Ma porca... ma mi volete dire dov'è 'sto pullman..". 113: "La navetta è sul posto...". M: "Mah.. io non la vedo".
Alle 2.07 Mario Viola funzionario collaboratore di Roberto Sgalla capo ufficio stampa del capo della polizia chiama ripetutamente il 113 per avere una volante che li riporti indietro perché tutti i mezzi sono partiti "scordando" i due dirigenti. Alle 2.44 richiama e dice che è stato accompagnato dal capo della mobile "perché se aspettavamo una volante stavamo ancora lì".
Mentre attendono di essere collegati dal centralino Viola parla con dei colleghi: "Che ha detto?... ha detto che non è stata proprio una bella cosa quella che abbiamo fatto" e un altro ribatte "che se ne andasse a fan... ".
Alle 3.05 Vincenzo Canterini ("... sai che non connetto più io.. dissociato.. davvero so dissociato...") capo della celere romana parla con un suo attuale coimputato, Spartaco Mortola, ex dirigente Digos di Genova che agli agenti nel suo ufficio dice: "Oh ragazzi le molotov non lasciatemele qui...". Sono le due bottiglie che, scoprirà la procura, furono introdotte nella Diaz dagli stessi poliziotti.


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