venerdì 26 aprile 2024   
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Visti per Voi » Caramel  
Un microcosmo rifugio di sensualità e sogni

Caramel – voto : 7/8


In occasione di queste festività, a disegnare un’isola di assoluta eccellenza sugli schermi italiani ( privilegio purtroppo riservato a sole 30 sale ), giunge “ Caramel “, lavoro di produzione franco libanese e opera prima della regista Nadine Labak.

La regista nata a Beirut 33 anni fa, completamente sconosciuta al pubblico occidentale, è già celebre in medio oriente per aver diretto video musicali e spot pubblicitari: performance che le hanno creato qualche problema per l’eccessiva “audacia femminile” contenuta nelle immagini.

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La bellissima artista, che nel film interpreta anche il ruolo da protagonista ( Layale ), ambienta la sua storia in un salone di bellezza della capitale libanese. Le esistenze di chi lavora, frequenta e ruota attorno al locale, danno vita ad un prezioso ritratto della sua sfera femminile. Quel luogo si trasforma in un rifugio per i sogni, le speranze, i drammi delle donne che lo animano, senza porre barriere religiose o culturali. Un angolo di Beirut dove l’intreccio di confidenze e sensazioni trova accoglienza, al riparo da una società dominata dalla cultura maschilista, piena di pregiudizi e veti alla libera espressione delle donne.

Qui incontriamo Layale, e le sue pene per un amore adombrato dalla clandestinità, e Nisrine ( Jasmine Al Masri ), alle prese con una verginità perduta prima del matrimonio a cui porre rimedio; conosciamo Rima ( Joanna Moukarzel ) con l’inquietudine di una giovane che prova attrazione solo per altre ragazze. Assistiamo a come Jamale ( Gisele Aouad ) non accetti il tempo che avanza inesorabile, rifiutando i mutamenti inevitabili che l’età lascia sul corpo ; siamo commossi da Rose ( Siham Haddad ), i cui sogni per un amore galante atteso forse da sempre, si scontrano con le esigenze della anziana e malata sorella Lilì ( Aziza Semaan ).

Nadine Labak costruisce ad arte un ambiente dal clima soffuso, dove il profumo del caramello da ceretta e il fluire dello shampoo, estirpano e lavano via le inquietudini della mente, consentendo di sognare e sperare. Un luogo che stride con la realtà che ognuna delle protagoniste deve affrontare per le strade di un Libano ancora alla ricerca di pace, stabilità e di una modernizzazione sociale.

Un film dove il bisogno d’amore viene posto in cima ai desideri femminili, ma per ognuna delle donne nella storia, la limpidezza del sentimento sognato, verrà minato dagli ostacoli della vita.

Un inno fortissimo alle donne libanesi e non solo. Una pellicola che esalta la loro irresistibile sensualità e bellezza mediorientale, rimarcandone il coraggio e l’intraprendenza, ma che non manca di sottolineare la tristezza racchiusa nel ritrovare se stesse solo in quel microcosmo.

Una lode assoluta all’incalcolabile valore da attribuire all’auto ironia, una dote spiccatamente femminile, quasi che madre natura abbia donato le donne di una speciale virtù, per addolcire le tante amarezze che la vita gli ha da sempre riservato.

Artisticamente il film è un autentico gioiello. Una sinfonia di atmosfere dove i silenzi trasmettono emozioni meglio di ogni parola.

La Labak è stata molto abile nel consegnare ad un sottile e sensuale gioco di sguardi, il compito di comunicare limpidi messaggi allo spettatore, senza cadere nelle trappole che la rigida moralità araba avrebbe trasformato in censura.

Alcune sequenze come la conversazione telefonica, bivio tra sogno e realtà per Layale e Youssef, le lavande ai capelli di Rima ad una splendida cliente, o le caramel al viso sempre di Youssef, cristallizzano una consolidata maturità alla regia . A completare la miscela una struggente e malinconica colonna sonora ( Khaled Mouzannar ), mix di brani mediterranei, e una fotografia accesa dai colori vivi e caldi di abiti e arredamenti. Il tutto nel chiaro intento di esaltare la ricchezza di una cultura troppo spesso associata a violenza ed arretratezza, e di fornire l’immagine di un Libano che nel crogiuolo etnico crede come speranza per il futuro. Il cast di attrici è composto per intero da non professioniste, che per lo più portano in scena se stesse, o figure a loro vicine. Un gruppo di interpreti di grande bravura e spontaneità, capaci come ha dichiarato la regista, di creare sul set un clima di stretta complicità.

La dedica finale della regista “ Alla mia Beirut “, racchiude il grande significato che l’intero lavoro cela alle sue origini. Il film è stato girato nell’estate del 2006, e pochissimi giorni dopo, si è scatenato l’ultimo sanguinoso attacco israeliano sulla antica terra dei cedri.

Il progetto, sempre per le parole della regista, è stato lungamente messo in pericolo dai risvolti della guerra. Per molto tempo Nadine Labak non sentiva giusto mostrare al mondo un film “ così leggero”, in relazione alla morte e distruzione che aveva sconvolto la sua gente. Poi con l’aiuto della produttrice francese Anne Dominique Touissant, e il coinvolgimento di enti internazionali franco libanesi, è maturata la convinzione che il film fosse un importante veicolo per lanciare oltre i confini, il forte desiderio di vita, di normalità, di pace della gente del Libano.

Egli ha inoltre dichiarato: “Come ho cercato di far vedere nel film, la nostra non è una società molto aperta, alcune questioni vengono vissute di nascosto, però le reazioni al film sono state molto positive forse perchè non ho voluto fare nessun tipo di provocazione, non ho voluto fare lezioni o dare giudizi. Mi sono limitata a mostrare la realtà, è arrivato il momento di far vedere le cose come sono realmente”.

A riguardo dei preconcetti sulla verginità femminile prematrimoniale prosegue: “La rivergination è un intervento più che diffuso, come mi hanno confermato molti dei medici ai quali ho chiesto informazioni”.
La pellicola rappresenterà il suo paese agli Oscar di Hollywood e spera nella candidatura come miglior film straniero.

Aldilà di eventuali successi o premi, condivido a pieno il commento di una porzione della critica: “ Un film di donne, indispensabile per gli uomini”.

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