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Non siamo indiani d'America
Israele - Palestina - Nablus (Cisgiordania) - 04.1.2008
Lettera aperta agli israeliani di un ragazzo palestinese

(dal sito www.peacereporter.it )

di Raed Debie*

Beverly Naidoo, in uno dei suoi romanzi, ha scritto: “Sono cresciuto e ho conosciuto i concetti che la maggior parte dei bianchi hanno portato in Sudafrica. Li ho condivisi senza alcun pregiudizio con il ragazzo di colore che lavora per noi e con i suoi tre figli, che vivono a 300 metri da noi. Ancora oggi sento una rabbia incontenibile per il modo in cui il razzismo ha distorto i fatti che sono accaduti durante la mia infanzia”.

Cari giovani Israeliani, cari genitori, intellettuali, scrittori, lavoratori e datori di lavoro in Israele. C’è una frase che gli anziani della città vecchia di Nablus amano ripetere e che fa parte dei ricordi della mia infanzia: “La luce di una candela è meglio della maledizione dell’oscurità”. Oggi mi ritrovo qua: sono un ragazzo palestinese, come tanti altri, che vive nell’oscurità. L’oscurità che cresce ogni giorno toccando ogni angolo della nostra vita quotidiana, ma io, nonostante questa oscurità crescente, ho deciso che la fiamma della candela può essere parte della luce che accende il percorso verso la verità, la giustizia e la libertà dall’oppressione e dall'esclusione da parte di esseri umani nei confronti di altri esseri umani.

Sicuramente avete sentito parlare della libertà, della sicurezza e dell’autodeterminazione dei popoli, compresa quella del popolo palestinese, che soffre l’occupazione da più di 40 anni e che vive lontano dalla propria terra natia da più di 59 anni.

Il 15 Maggio di ogni anno voi ricordate ciò che chiamate “il giorno dell’indipendenza”, quando avete fondato il vostro stato nella terra in cui, prima di voi, vivevano i nostri antenati. Voglio ricordarvi, nel caso in cui non lo sapeste o ve lo foste dimenticati, che nello stesso giorno più di 5 milioni di palestinesi ricordano tutti coloro che sono stati obbligati a lasciare la loro casa, la loro terra e il loro mare. E le nostre memorie di grano e di spighe ricordano fiumi, uccelli e marinai che cantano sulle spiagge di Haifa e Jaffa, Nissan e Tiberiade. Promesse di duro e abbondante lavoro, speranze che ricominci quel bellissimo sogno, dopo un momento di orrore, quando un terrificante incubo ha spazzato via il sogno di un giardino pieno d’amore per i profughi che vivevano nelle tendopoli.

Se ci rivolgiamo ai vasti mari dei campi profughi, i grandi giardini pieni di grano per fare la farina ci vengono dati dalle Nazioni Unite, lasciando la nostra terra natia un sogno distante. Anche i nostri antenati non avevano messo in conto che la terra, dove hanno vissuto la loro infanzia e la loro gioventù, sarebbe diventata una tomba.

Il 7 giugno del 1967 è la data dell’occupazione e della diaspora (che noi chiamiamo nakba), quando gli israeliani hanno occupato la Cisgiodania e la Striscia di Gaza, ed è iniziato un nuovo capitolo di tragedie per la nostra gente. Un nuovo stato di occupazione, tirannia e ingiustizie contro la nostra gente e i nostri giovani che esercitano il sacrosanto diritto di resistere all’occupazione della loro terra e che hanno accolto il riconoscimento ufficiale della legittimità della resistenza palestinese da parte delle Nazioni Unite, nel 1974, ed il suo diritto di ricorrere alla lotta armata per realizzare la loro libertà, autodeterminazione e sovranità contro l’ingiustizia, la tirannia, l’oppressione chiedendo la partecipazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in sedi e istituzioni delle Nazioni Unite

Con il passare degli anni, dopo che la gente ha sofferto nei campi profughi di Sabra e Chatila, abbiamo preso parte agli accordi di Oslo, nei quali abbiamo visto un barlume di luce alla fine del tunnel e un preludio alla libertà dei nostri figli. Un mondo senza occupazione e senza fame, ma sfortunatamente quella luce era solo un miraggio nel deserto che ha dato inizio alla Seconda intifada, quando i palestinesi hanno perso ogni speranza nella pace, perché la nostra vita quotidiana è tornata quell'insopportabile inferno che ci vede bersagli e che tenta di umiliarci creando muri e campi di detenzione.

Care madri israeliane. Scrivo queste parole pieno di dolore per la perdita del mio amico Rawhi Shuman, che è stato ucciso nella sua migliore età. L’assassino potrebbe essere vostro figlio.

Una pallottola ha reso il mio amico un semplice ricordo. Una pallottola sparata da un adolescente israeliano in uniforme ha impedito al mio amico di realizzare il suo sogno di finire l’università e diventare ingegnere. Una pallottola che farà vivere il resto della vita a sua madre in un dolore lancinante. Una pallottola che mi ha lasciato senza il mio migliore amico, con cui giocavo fin da quando ero bambino. Perché l’hanno ucciso? L’hanno ucciso perché il 3 gennaio di qualche anno fa stava comprando del latte per il suo fratellino.

Così, senza introduzioni, finisce la vita dei palestinesi che si trasforma in mera memoria affissa alle pareti, lasciando solo il dolore dei famigliari e degli amici. Vi chiedo ora d’immaginare vostro figlio che torna a casa pieno di sangue.

Come vi sentireste se vostro figlio vivesse nelle oscure celle dell’occupazione? Provate a immaginare, ogni mattina, una casa vuota dei sorrisi dei vostri figli. È giusto e ragionevole lasciare i nostri bambini paralizzati per il resto della loro vita a causa delle bombe dell’occupazione, rifiutando di riconoscere il diritto della nostra gente alla libertà, alla giustizia, all’uguaglianza e al diritto di vivere in uno stato indipendente come tutte le altre persone al mondo?

Questa è la vita quotidiana dei vostri vicini, delle “madri palestinesi”. Quello di cui sto parlando non è una storia tragicomica ispirata dalla mia fervida immaginazione, ma la realtà. Le nostre madri sono esattamente come voi, soffrono e amano esattamente come voi amate i vostri figli.

Mi dispiace, ma i vostri figli, i vostri mariti, i vostri amici sono la causa delle sofferenze delle nostre madri. Potete immaginare com’è difficile per noi vedere le nostre madri piangere ogni venerdì sulla tomba dei loro figli? E i bambini che vivono solo con l’immagine dei loro padri?

Cari padri israeliani. Sapete che dietro al “muro del razzismo” che avete eretto ci sono padri palestinesi, esattamente come voi, a cui piace svegliarsi e provvedere al cibo per i propri figli, costretti a passare quotidianamente i check-point che dividono le nostre città, presidiati da adolescenti che non esitano a umiliare quotidianamente uomini coetanei dei loro stessi genitori?

Lasciate che vi ricordi, per un momento, che dall’altro lato di questa terra ci sono dei genitori palestinesi che non possono vedere i loro figli da anni, perché sono dietro le sbarre. Sapete che i cuori dei nostri padri sono pieni di amore, di paura e compassione per noi, come lo sono i vostri cuori per i vostri figli? Sapete che i nostri padri si tolgono il pane di bocca per poterlo offrire ai figli? Mio padre paga il suo sangue e la sua dignità per offrirlo a noi.

Cari intellettuali e politici israeliani. Pensate che la costruzione del “muro del razzismo” e la discriminazione vi condurrà da qualche parte? Pensate anche che l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, il furto della nostra acqua e lo sradicamento dei nostri alberi, renda voi una “nuova America” e noi i “pellerossa” nativi degli Stati Uniti?

Pensate davvero che questa serie di azioni unilaterali vi daranno una vita più semplice e tranquilla? Credete davvero che il furto della nostra acqua, la confisca delle nostre terre e le proibizioni sulla libertà di movimento fra città e villaggi della nostra terra ci condurranno a innalzare bandiera bianca?

Come potete pensare che l’edificazione del muro di segregazione razziale, costruito sulle rovine dei nostri ulivi, ci farà urlare alla sconfitta prima di urlare contro le vostre ingiustizie e tirannie?

Cari giovani israeliani. Sapete qualcosa di noi che non sia quello che dicono i media israeliani? Avete idea dei giovani palestinesi che si mobilitano contro l’occupazione durante il vostro servizio militare? Sapete che i vostri vicini, dietro al muro, hanno un cuore, odiano, amano e provano compassione? Sapete che gli altri uomini costretti ad aspettare ore sotto il sole cocente e sotto la pioggia ai vostri check-point sono i vostri partner umanitari e i vostri vicini di un pezzo di terra piccolissimo? Sapete che le vostre azioni quotidiane contro di noi non fanno altro che aumentare il senso di ingiustizia nei nostri giovani che provocano una naturale reazione, che viene frettolosamente descritta dal mondo intero come “terrorismo”?

Potete immaginare cosa significa per noi vedere ogni giorno i nostri genitori bloccati per ore ai check-point?

Sapete cosa significa perdere i nostri bambini nel sonno, mentre voi attaccate le nostre case causandoci paure e problemi mentali?

Sapete cosa significa vedere le nostre madri piangere ogni giorno, perché le vostre azioni contro di noi sono quotidiane? Sapete che i giovani palestinesi non possono recarsi all’università a causa dei vostri check-point? Dovete sapere che le vostre azioni quotidiane non fanno altro che incrementare la nostra resistenza, la nostra costanza e la nostra sfida. Sapete che il vostro comportamento contro la nostra gente ci induce a credere che l’opportunità della pace sia più distante e il dialogo ancora assente a causa delle nubi dell’occupazione, della violenza, dell’ingiustizia, dell’oppressione e della tirannia?

Cari israeliani. Perché non ci guardiamo intorno, nel mondo, e impariamo? Se guardiamo alla realtà dell’occupazione in tutto il mondo troviamo che ha portato solo sangue e odio. Perché non costruiamo una speranza per un futuro di stabilità e rispetto dei diritti umani, invece di costruire un muro di odio, ostilità e guerra?

Per tutto questo credo che questo sanguinoso conflitto sulla nostra terra, che ha buttato la mia gente in grandi prigioni, non rende molto diversa la vostra situazione. La vostra vittoria non può essere la nostra sconfitta, perché crediamo al nostro diritto di vivere su questa terra, e questo non cambierà mai. Per questo credo che la pioggia di sangue non si fermerà senza una decisione basata sulla risoluzione 242 e sulla 338, che risolva anche il problema dei profughi in accordo con la risoluzione 194 o entrambe le parti saranno coinvolte in azioni e reazioni tipiche di un conflitto, morte e assassinii. E in questa guerra non ci saranno né vincitori né vinti, perché noi non siamo gli indiani d’America e rimarremo nella terra dei nostri padri e dei nostri nonni.

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