Acque
torbide
Rossana
Rossanda
Siamo
tutti adulti e vaccinati, non facciamo finta che queste siano
elezioni come le altre. In ballo non è solo un cambio di
governo, ma la cancellazione dalla scena politica di ogni sinistra di
ispirazione sociale. Questa è la novità, reclamata
ormai non più solo dalla destra ma dall'ex Pci, poi Pds poi Ds
e ora confluito, assieme alla cattolica Margherita, nel Partito
democratico. E' l'approdo della «svolta» del 1989 e il
suo vero senso: non si trattava di condannare le derive del comunismo
o dei «socialismi reali», ma di stabilire che il
capitalismo è l'unico modo di produzione possibile.
Ci
sono voluti diversi anni di manfrina ma ora Veltroni dichiara tutti i
giorni che la sola società possibile è quella di
«mercato», e a governarla «democraticamente»
bastano due partiti come nel modello anglosassone, uno più
«compassionevole» e l'altro più feroce. Che ci sia
un conflitto di classe fra proprietari e non, che i primi possano
sfruttare, usare e gettare i secondi, che questi siano riusciti a
conquistarsi dei diritti extramercato è stata una favola
cattiva, che ha seminato l'odio e spezzato l'armonia del paese.
Operai e padroni sono egualmente lavoratori, hanno un interesse
comune che è l'azienda, anzi il padrone, detto più
benevolmente l'imprenditore, vi rischia di più il suo
capitale, mentre l'operaio solo il suo salario. Veltroni ha così
liquidato due secoli di lotte sociali e ridotto la democrazia secondo
il modello americano a sistema elettorale e poco più. Il suo
«riformismo» non mira, come quello delle
socialdemocrazie, a correggere il capitale: ma a «riformare i
diritti del lavoro» fino a farne, com'era all'inizio del XIX
secolo, una merce come le altre, abolirne ogni regolamentazione a
cominciare dalla durata.
Agitando un'avvenente flexsicurity che,
oltre a mandare all'aria qualsiasi professionalità (perché,
quando sei licenziato devi accettare qualsiasi secondo mestiere ti si
offra) è una frottola se non dove, come in Danimarca, è
altissima la spesa sociale e per quattro anni, aiutato dal sindacato,
puoi cercare un altro impiego senza perdere il salario. Da noi vige
il comandamento: ridurre la spesa pubblica, già inferiore alla
media europea dell'Ocse. Il trend è ridurre il «bene
pubblico» e l'«intervento pubblico» in genere. Già
nel prodiano «sussidiarietà» stava il germe del
teorema: il pubblico interviene «soltanto dove il privato non
arriva». Negli Stati uniti non rispondono a questa regola anche
istruzione e sanità? E per la pensione non ci sono le
assicurazioni private?
Il sindaco d'Italia aggiunge con uno
smagliante sorriso che solo se «aumenta la ricchezza» ci
sarà meno disuguaglianza. La torta piccola si divide fra
pochi. E precisa che se non ci fossero stati i comunisti (lui nel
profondo del cuore non lo è mai stato) o i veti sindacali o le
leggi tipo Giugni eccetera, saremmo un paese prospero e felice. Lo
ridiventeremo votando lui o Berlusconi, che ha ripescato quando era
al suo punto più basso, considerandolo il solo in grado di
rappresentare l'«altro» grande leader. E quello si è
attaccato alla pertica che gli veniva tesa e s'è fuso con
Fini. Poi se la vedranno ciascuno con i propri cespugli - come li ha
prontamente definiti la stampa - il primo con il centro, Casini e
compagni, il secondo con quel che resta della sinistra. A sinistra
non sarà facile. Ma a questo fine supremo il Nostro ha
preferito sacrificare il premio che in caso di vittoria l'attuale
legge gli darebbe se corresse coalizzato. Forse, sapendo che la
recessione è in arrivo, non gli dispiacerebbe che grandinasse
sulla testa di Berlusconi piuttosto che sulla sua.
E' a questa
strategia che gli italiani democratici e già benevolmente
progressisti vogliono dare una mano? Facciano. Ma non raccontiamoci
storie, voteranno per un capitalismo che resterà straccione,
con una manodopera vieppiù senza difesa e con garanzie zero
contro la nota propensione agli imbrogli. Evitiamo la figura ridicola
dei francesi che, dopo aver intronizzato Nicolas Sarkozy, scoprono
che è un padrone duro, cosa che non aveva mai nascosto, oltre
che un nevrotico narcisista. Lo hanno fatto precipitare nei sondggi
dal 66% di settembre al 42% di oggi. Ma se lo dovranno tenere per
cinque anni a meno di andare sulle barricate.
Che comporta la
piega che stiamo prendendo? Uscita di scena anche da noi una sinistra
di derivazione classista e marxista, trascolora la cultura politica
europea - il cui segno dal 1789 al 1989 è stato quello
sociale, diversamente dagli Stati Uniti e dal mondo non occidentale.
Nel Novecento questa sinistra si era aspramente divisa fra correnti
rivoluzionarie e gradualiste - cioè sul «come»
cambiare una società ingiusta - ma che fosse ingiusta e
andasse cambiata è il tema che ha alimentato due secoli di
storia e era penetrato anche nella classe proprietaria attraverso
l'assioma «per essere conservato il capitalismo va regolato»,
legittimando e legiferando la dualità di interessi. Decisiva
era stata la crisi del 1929, a definire le forme della
regolamentazione era stato il keynesismo. L'ultimo sprazzo, ma
rimasto isolato, è stato il tentativo teorico di Michel
Aglietta. Con il ritorno a Von Hayek, non è un sistema
«economico» che muta, è un arretramento dell'idea
di società che ha retto il grande pensiero politico moderno.
Che una democrazia immobile ed esclusivamente di mercato portasse dei
pericoli l'aveva intuito perfino de Toqueville, alla fine della sua
grande opera controrivoluzionaria «De la démocratie en
Amérique» (sospetto che non ha sfiorato Furet cento anni
dopo). In verità, che resta della tradizione fondante
dell'Europa, della rivoluzione inglese e francese e poi russa?
Vacillano i pilastri di una democrazia non meramente elettorale, che
democrazia può anche non essere affatto, quando al posto delle
dichiarazioni del 1789 e della loro complessa filiazione subentra il
solo mercato attivando a mo' di risposta i fuochi devastanti delle
etnie e dei fondamentalismi. L'ultimo Lucio Colletti, ormai polemico
con il marxismo, si chiedeva tuttavia quali mostri avrebbero preso
corpo nel caso che venisse a cessare la speranza di una liberazione
egualitaria in terra.
Una seconda considerazione è ancora
più cogente. Nella rapida e crudele mondializzazione della
produzione e dei commerci e nel giganteggiare delle operazioni
puramente speculative, l'Europa e quel che resta dei suoi stati
nazionali perdono ogni propria fisionomia politico-sociale. Le regole
della Ue assicurano la mera lubrificazione dei capitali del resto del
mondo che la sfondano da tutte le parti, demolendo quella che era
stata la sua conquista e caratteristica principale: i diritti e il
compenso del lavoro. Le nazioni più deboli come la nostra
vacillano sotto la tempesta, si dilatano oltre ogni dire
disuguaglianza e povertà perché i primi a passare sono
i redditi non da capitale, cioè il 90% di essi. Non c'è
più posto né legittimità per una politica
industriale - basta veder oggi la fatica che fanno Gran Bretagna e
Germania per salvare alcune banche, squassate dalla crisi dei
subprime, e come i nostri più fiacchi capitali si diano allo
sport di comprare aziende più o meno decotte in Francia o
Spagna per spostarle in Tunisia, dove il lavoro costa meno lasciando
a piedi la manodopera continentale. La frattura sociale torna ad
allargarsi come all'inizio del Novecento. Il capovolgimento politico
della Russia e della Cina, con la loro intollerabile miseria
salariale, può concorrere illimitatamente con le produzioni
occidentali, minandone le società e inducendovi una
inclinazione autoritaria. Si è tolto senso alla libertà
salvo a quella di imprendere, comprare e vendere, si è
dichiarata la fine della storia e poi si va elucubrando sulla
«poltiglia» degli adulti e la «violenza» dei
giovani.
E' fuori del Partito democratico che cade la
responsabilità di una linea di difesa e di opposizione a
questo trend devastante. Ma come sostenere che le sinistre alla sua
sinistra hanno saputo in questi anni delinearla e praticarla?
Veltroni dice molte stravaganze, ma una non lo è: nelle grandi
fasi di mutamento non si regge sulla sola linea del «no».
No del tutto fondati quando vanno contro i diritti elementari della
persona (nel lavoro, nell'immigrazione, nella pratica repressiva) e
ormai sempre più spesso contro gli equilibri fondamentali del
sistema ecologico-ambientale, per non parlare della guerra. Ma è
sotto gli occhi di tutti come le lesioni degli uni e degli altri non
vengano più ormai da scelte controvertibili su un piano locale
ma da una spinta potente e univoca su scala mondiale, contro la quale
le azioni locali sono essenziali ma non contano molto oltre la
testimonianza. La vicenda del popolo di Seattle ha avuto un peso
incalcolabile sulla formazione della soggettività, nullo sulla
forza concreta della Wto - le forze che chiamavamo «strutturali»
avendo raggiunto con la propria mondializzazione e la frammentazione
di chi le avversa un impatto mai raggiunto prima. L'ampiezza e
inoperatività del movimento per la pace obbligano a riflettere
sul mutamento avvenuto nel rapporto fra maturazione delle coscienze e
agenti di decisione economico-militari.
In Italia la Sinistra
Arcobaleno, in Francia le sinistre disunite comunista, ecologista,
trotzkiste, in Germania la Linke (è quella che sta andando più
avanti e sta obbligando la Spd a una riflessione cui era impreparata)
hanno da rendersi conto di questa dimensione e passare dalla
resistenza alla proposta. Che non può essere, una volta
passata la notte elettorale, la sommatoria di tre o quattro urgenze
pur evidenti. L'arretramento è stato grande e poco conta
dolersene o sdegnarsene - niente è più derisorio delle
punte di astensionismo che emergono qua e là, infantile «Non
gioco piu!» mentre rotola il mondo. Molto va aggiornato, molto
va ricominciato da capo. A questa ricerca tenteremo di partecipare. E
va da sé che il giornale è aperto.
IL MANIFESTO, 4/3/08