IL SOMMERSO DEI PROGRAMMI
Democrazia al verde
di Giovanni Sartori
Torno ai programmi elettorali. Scrivevo
che oramai si riducono a essere strumenti acchiappa- voti. Servono
per vincere. Il che non implica che servano per ben governare. Può
darsi; ma può anche darsi che costringano a governare
malissimo. In parte perché promettono quel che non dovrebbero,
e in parte perché occultano i veri problemi, i problemi che
sono davvero da affrontare. Questi problemi, scrivevo, costituiscono
la parte sommersa delle campagne elettorali. Vediamo di farla
emergere. Una prima partita sulla quale troppo si sorvola è
quella del nostro debito pubblico. Sì, sappiamo che c'è;
ma poi si svicola.
Eppure batte ogni record: oscilla
intorno al 105% del Pil (prodotto interno lordo), e cioè della
ricchezza prodotta dal Paese in un anno; il che comporta un carico di
interessi di 70 miliardi di euro. Ora, anche un bambino (ma non i
sindacati e nemmeno la sinistra-sinistra) arriva a capire che
trovarsi ogni anno con 70 miliardi bloccati è un’intollerabile
palla al piede. Questo debito era superato, in passato, dal Belgio,
che però è riuscito a dimezzarlo. A noi non riesce.
Perché? E' un segreto di Pulcinella, debitamente oscurato da
tutti. Una seconda partita dolente, anzi dolentissima, è
quella della mafia (nella quale ricomprendo camorra e 'ndrangheta).
Vedi caso, nessun programma si impegna in una «guerra alla
mafia». Eppure la mafia è la più grossa azienda
del Paese, con un fatturato nell'ordine di 90 miliardi all'anno,
tutti esentasse, tutti in nero. Ma né Tremonti né Visco
né nessuno hanno mai davvero cercato soldi nel colossale
patrimonio mafioso.
Perché? E' un altro segreto di
Pulcinella. E' che il voto malavitoso condiziona e inquina la
politica e le elezioni di metà del Paese. Nel 2001 Berlusconi
vinse in Sicilia 61 collegi su 61. E’ comune opinione che quel
trionfo fu dovuto anche ai voti controllati dalla mafia. E ora il
Cavaliere ritenta il colpo rilanciando il ponte di Messina, che
sarebbe inevitabilmente una colossale pacchia per l'onorata società.
Come insegna l'autostrada Salerno- Reggio Calabria, fatturata metro
per metro dalle cosche. Aggiungo che questo lassismo, e ancor più
la collusione tra politica e mafia, sono particolarmente vergognosi
perché impiombano l'economia del Sud e di riflesso tutta
l'economia italiana. Il Sud non riesce a decollare, economicamente,
anche perché strangolato dal «pizzo» e da un
gigantesco parassita che oramai è arrivato al Lazio. Come
scrive Giorgio Bocca, la malavita sta «sconfiggendo lo Stato in
metà dello Stato». Eppure i partiti (paghi di qualche
fortunato arresto) non fiatano e anzi candidano personaggi in
altissimo odore di sospetto. Una terza grossa partita è quella
delle infrastrutture. Sono tante. Qui ho in mente strade e ferrovie,
che sono infrastrutture disattese da decenni.
Giuseppe Turani stima che la rete
ferroviaria da rifare costerebbe 30-40 miliardi, e che «per
diventare (in materia di viabilità) un Paese moderno in media
con gli altri Paesi europei dovremmo spendere nell'arco di una
ventina d'anni almeno un altro Pil al completo». Basta e avanza
così? Purtroppo no. Perché tra le partite ad alto costo
c'è anche la partita ecologica e dell'incombente disastro
climatico. In materia i nostri Verdi fanno ridere o fanno danno. Per
loro il problema principale è di bloccare strade, ferrovie e
fabbricati «brutti», nonché il grosso degli
impianti per l'energia elettrica e la rigassificazione del metano. Il
brutto non piace nemmeno a me. Ma è irresponsabile raccontarci
che il fabbisogno energetico (in vertiginosa crescita) sarà
fronteggiato dal sole e dal vento. Nel contempo si limitano a
piangere, soltanto l'estate, quando i nostri boschi bruciano; e il
ministro Pecoraro Scanio si è distinto nel bloccare a Napoli i
termovalorizzatori perché il suo collegio elettorale è,
appunto, Napoli. Abbiamo sottoscritto gli accordi di Kyoto, dopodiché
le nostre emissioni di gas serra (il vero problema) hanno superato
del 13% il limite che abbiamo accettato.
La verità è che sia
Berlusconi che Prodi del riscaldamento della Terra si sono
strafregati, e nemmeno Veltroni si stravolge più di tanto.
Quanti Pil verrà a costare, quando i nodi verranno al pettine
(sarà presto), questa cecità? Nessuno lo sa né
lo vuol sapere. Infine c'è il costo del federalismo promesso a
Bossi da Berlusconi. Nei programmi è un costo non contemplato,
come se spezzettare il Paese in parecchie Sicilie aggiuntive non
comportasse un esiziale aggravio di sprechi clientelari e di ogni
sorta di disfunzioni. Pertanto quando si osserva che i programmi del
Pd e del Pdl si equivalgono, si dimentica che se Berlusconi vincerà
dovrà pagare a Bossi il salatissimo prezzo del suo sostegno.
Ripeto, nessuno lo nota ma su questa partita Berlusconi, e soltanto
lui, ci costerà molto caro. Cerchiamo di fare il punto a oggi.
Siamo una democrazia troppo indebitata? Sicuramente sì. Siamo
anche una «democrazia in deficit», per dire che le uscite
superano regolarmente le entrate? Per ora è ancora così;
e dubito sulla redenzione prevista per il 2012.
La cosa certa è, invece, che
siamo una «democrazia al verde», senza un soldo in tasca,
e che ha raschiato il fondo del barile (ci resta soltanto la risorsa,
poco saggia, di continuare a vendere il patrimonio dello Stato). Si
risponde che siamo pur sempre una «democrazia in crescita»
in termini di Pil. Ma questa crescita è modestissima. Eppoi il
Pil a questo effetto non è un buon indicatore. Il dato
significativo è che oggi, secondo i dati Ocse, il potere di
acquisto dei nostri lavoratori è del 18% circa inferiore a
quello dei Paesi dell’euro. E siccome ci mancano i soldi per
rimediare, il mio sospetto è che noi siamo una «democrazia
in decrescita» e cioè caduta nel vortice di uno sviluppo
non sostenibile che distribuisce più di quel che produce.
Corriere della sera (13 marzo 2008)