lunedì 16 giugno 2025   
  Cerca  
 
wwwalkemia.gif
  Login  
Home1 » Fiera del libro 2008 » LETTERE  

LETTERE

Critichiamo, ma piantiamola con il boicottaggio

Decisione faziosa e di parte

E' con grande sorpresa che ho letto l'intervento di Marco d'Eramo sul manifesto di domenica scorsa. Egli infatti è caduto nella stessa trappola in cui hanno finto di cadere alcuni commentatori faziosi. Nessuno io credo (e non sarebbe comunque la mia opinione) si propone di mettere il bavaglio agli scrittori israeliani o a chicchessia. Si fosse trattato di un qualunque incontro di scrittori, o esposizione di libri, sarebbe stata iniziativa lodevole e benvenuta, come benvenuti sono coloro che pensano e scrivono, non importa in quale nazione e paese. Il fatto è che la Fiera del libro di quest'anno ha scelto di avere come ospite d'onore lo stato d'Israele nel 60° anniversario della sua fondazione. E questa è ben altra cosa. Che attiene molto più alla politica degli stati che alla cultura. E non perché io ritenga sia in discussione l'esistenza dello stato d'Israele. Al contrario: perché io vedo - confermato dal sangue di questi giorni e dalla catastrofe umanitaria di Gaza - che è in discussione l'esistenza dello stato palestinese. Anzi, essa è proprio, attivamente, tenacemente, ferocemente impedita dallo stato d'Israele, contro la volontà della maggioranza della comunità internazionale e della stessa Ue. Dunque la scelta della Fiera del Libro è decisione faziosa e di parte, che non può non essere percepita che come scelta di parte da chi si batte per avere la sua terra e per poterci vivere in pace. Mi auguro che vi sia ancora il modo di modificare quella scelta infausta e sbagliata e che si possa organizzare l'esposizione dei libri di tutti gli scrittori della terra martoriata di Palestina, a prescindere dallo stato di cui hanno il passaporto e che tutti vi si possano confrontare in pace. La pace non c'è e non si potrà aiutarla a esserci celebrando la vittoria degli uni sugli altri.

Giulietto Chiesa

Preferire il dialogo e la persuasione

Vorrei fare qualche valutazione critica sul modo in cui è stata condotta la discussione sulla Fiera del libro di Torino. Premetto che quella del boicottaggio mi è parsa subito una cattiva idea. Ma che, come Ester Fano e diversamente da Marco d'Eramo, ne comprendo e ne rispetto le ragioni. Le ragioni sono semplici e sono state enunciate con chiarezza. Esse risiedono nel «carattere celebrativo» che l'invito a (o l'autocandidatura di) Israele ha assunto fin dall'inizio. Il giorno della Dichiarazione d'Indipendenza (15 maggio 1948) è un giorno di festa per Israele, ma un giorno di dolore e di lutto per i palestinesi: questo hanno detto i fautori del boicottaggio. (Devo aggiungere che chi non ama unirsi ai festeggiamenti non per questo contesta il diritto all'esistenza dello stato di Israele?Sì, devo farlo). Qualsiasi riferimento all'argomento portato a sostegno del boicottaggio è assente nell'intervento di d'Eramo. Che si concede i fasti dell'invettiva accusando i fautori del boicottaggio di essere disposti a dialogare solo con chi è d'accordo con loro. L'intervento di Mariuccia Ciotta mi è parso assai più equilibrato, ma menziona l'intento celebrativo solo per dichiararlo irrilevante. Ben diversa la posizione di Ester Fano, che dichiara «comprensibile» ma «sterile» la minaccia del boicottaggio: sterile perché «azzera la figura dell'antagonista, ma così rinuncia a ridimensionarlo criticamente». Anche nella discussione sul manifesto (per non parlare degli altri giornali) si è affacciata la tendenza ad «azzerare la figura dell'antagonista» dipingendolo non come nemico delle celebrazioni ma del dialogo. Quanto all'umanissima, pur se discutibile, tendenza a preferire il dialogo con chi ci è meno lontano, vorrei fornirne un esempio io stesso non solo scrivendo, come faccio, al manifesto ma anche suggerendo ai suoi lettori un piccolo, straordinario straordinario libro: «Cattivi ricordi. Il dibattito in Israele sulle espulsioni di palestinesi nel 1948-1949», pubblicato dalla cooperativa «Una città» di Forlì, alla quale può essere richiesto (www.unacitta.it). Costa 12 euro comprese le spese di spedizione; 10 euro per gli abbonati

alla bella rivista dallo stesso titolo. Il cuore del libro è rappresentato da un saggio di Anita Shapira sul percorso attraverso cui l'espulsione dei palestinesi dalle loro terre è stata «dimenticata» dalla società israeliana. Si tratta di un contributo importantissimo e di assoluta attualità, perché qual tanto di buono che può avvenire in Medio Oriente passa necessariamente attraverso la ricostruzione della memoria e l'assunzione di responsabilità, da parte della società israeliana, per l'espulsione in massa dei palestinesi e per le violenze e le atrocità che l'hanno accompagnata. Il giorno in cui ciò si verificasse, vi sarebbe, allora sì, qualcosa da celebrare. Nel frattempo il dialogo e la persuasione restano le nostre uniche risorse. Ma di questo, ne sono sicuro, i fautori del boicottaggio sono convinti tanto quanto i loro critici.

Fernando Vinello

Boicottare non significa censurare

In questi giorni in molti ci stiamo domandando sull'opportunità e sull'efficacia del boicottaggio. Molto spesso si leggono parole come censura, chiusura, divieto, ma senza che ci si renda conto di quanto fuori luogo siano in questo contesto. Secondo me, boicottare significa rinunciare a partecipare e invitare altri alla non partecipazione. Non c'entra nulla con la censura. Sono favorevole al boicottaggio, benché abbia diversi dubbi sulla sua efficacia. L'iniziativa presa dalla Fiera del Libro è piena di magagne e di ipocrisia. Come si può parlare di apertura alla cultura ebraica quando si celebra il 60° anniversario della nascita di Israele? Come si può ignorare l'azione diplomatica di Tel Aviv, volta a rimuovere l'Egitto quale ospite iniziale della Fiera? Con che coraggio si parla di intellettuali, quando questi sono stati «proposti» dai ministeri degli esteri e della cultura israeliani?(...) Naturalmente questa libera manifestazione della cultura di un popolo esclude personaggi scomodi come Pappe e Warschanski. Il problema non sta nella decisione di invitare o no intellettuali palestinesi, ma nel fatto che l'eventuale controparte si troverebbe di fronte a meri militanti politici e nient'altro. La decisione degli organizzatori della Fiera è sbagliata sul piano simbolico, formale e sostanziale. Ma quello che fa male è accorgersi che Valentino Parlato e Mariuccia Ciotta (con i quali pensavamo di condividere un percorso comune, fatto di analisi critica e mai superficiale della realtà) si adagino su affermazioni aprioristiche, inzuppate di pressappochismo e di gravi lacune di cultura storico-politica. Nel suo articolo, Mariuccia Ciotta in buona sostanza riconosce all'Israele del 1948 «l'indiscutibile diritto» di prendersi quello che gli spettava. Gentile direttrice, senza scomodare un palestinese come Eward Said, o un israeliano antisionista come come Ilan Pappe, la ben più moderata Tanya Reinhart, nel fondamentale «Distruggere la Palestina», pur sottolineando l'impossibilità di «buttare a mare» gli israeliani (per l'ovvia ragione che oggi come oggi si tratterebbe di una nuova e drammatica pulizia etnica), riconosceva senza troppi giri di parole il peccato originale di cui si erano macchiati i sionisti. Perché anche chi come me non ama confini e pratriottismi non può pretendere di dare di diritto una terra agli oppressi, creandone brutalmente di nuovi. Perché «l'indiscutibile diritto» suona molto affine a quel «ad ogni costo» che ha caratterizzato sessant'anni di sopraffazioni.

Giulio Gori


Articolo limpido

Sono un collega di Lettera 22 e volevo dire che sottoscrivo parola per parola quanto ha scritto Mariuccia Ciotta sul boicottaggio della Fiera del libro. Era un pezzo che non leggevo un articolo così limpido su un dilemma che ci rende spesso così torbidi. Grazie.
Attilio Scarpellini

DotNetNuke® is copyright 2002-2025 by DotNetNuke Corporation