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Home1 » Fiera del libro 2008 » A favore della Fiera  
Penosa pagliacciata

 
Sinora mi ero astenuto perché ritengo che si possa e si debba discutere di ciò che magari avversiamo ma consideriamo degno e dunque avente il diritto di esser preso in considerazione, ma non di proposte, proteste, affermazioni o negazioni insensate e inaccettabili, che vanno semplicemente considerate irricevibili e cestinate. Un proverbio viennese dice che certe cose non vanno nemmeno ignorate, perchè ignorarle è già troppo. Discuterne, anche rifiutandole, contribuisce a dar loro consistenza e spessore, come una signora che si fermasse per strada a dimostrare la sua virtù a uno screanzato che l’apostrofasse con termini irripetibili.…

Tale è il caso della penosa pagliacciata contro l’invito di Torino. Non è il caso, in questa circostanza, di chiamare in causa grandi problemi, il diritto di Israele a una piena e riconosciuta esistenza, il diritto dei palestinesi a un loro Stato e a una piena dignità di vita dovunque vivano, anche in Israele, né la grandezza letteraria degli scrittori invitati quest’anno, quali Yehoshua. Non è neppure il caso, in tale circostanza, di criticare o approvare la politica dell’uno o dell’altro governo israeliano o di altro Paese, arabo o no, o dell’autorità palestinese, come non sarebbe il caso di discutere la guerra in Iraq o il carcere di Guantanamo se a Torino fosse il turno degli Stati Uniti, e dunque di Philip Roth o De Lillo, anziché di Oz o di Grossman...

Liberissimo ognuno, ovviamente, di boicottare la Fiera del libro di Torino, ossia di non andarci, perché non è un obbligo di legge. Ma se qualcuno dovesse cercare di impedire con la forza ad altri di andarvi, dovrebbe esserne impedito con quella forza che, nelle democrazie, è monopolio dello Stato e non della piazza, alla quale si appellano –anche di recente in Italia- solo demagoghi di basso rango.

 Claudio Magris

 Corriere della sera, 5 febbraio 2008

 

Ma la letteratura supera le barriere

 
C’è qualcosa di rozzo e brutale nell’appello al boicottaggio della Fiera di Torino. Non solo il tono, nella più parte dei casi propagandistico e quindi prevedibile, ma a volte mascherato invece da argomentazione razionale. Quanto la sostanza, costruita su false equazioni, presentate come ovvie, immediate. Israele uguale al Sud Africa dell’apartheid. La partecipazione alla Fiera uguale a operazione oscura (del Mossad?). Israele uguale a male assoluto, negatività, peggio dei peggi. Fino a un cupo e forsennato delirio: Israele razzista, genocida, nazista.
 
C’è qualcosa di soffocante, manca l'aria quando cadono tutte le distinzioni che articolano la civiltà e tutto si ammassa e si confonde in un bolo indigerito di ira e frustrazione. E allora uno stato diventa la sua politica e questa il governo e il governo il burattinaio degli scrittori e gli scrittori - quelli di sinistra specialmente - gli utili idioti mandati in giro per fiere a ingannare i gonzi. Ci sarebbe qualcosa di triste se, alla fine, i grandi scrittori israeliani, tra le voci più alte che oggi onorano la letteratura e il mondo, a Torino non dovessero esserci. Perché, se così fosse, vorrebbe dire che un tentativo, per quanto limitato, antiquato e rozzo, di mettere a tacere avrebbe avuto successo. E questo noi non dovremmo permetterlo.
 
Di per sé l’editoria libraria non è un’attività particolarmente nobile o elegante. Ha a che vedere, ma non si identifica, con la cultura. Ha a che vedere, ma non si identifica, con il commercio. La sua gloria consiste nel fatto di essersi storicamente rivelata come il mezzo di gran lunga più efficace per diffondere la cultura. Là dove i grandi imperi e le religioni secolari avevano fallito, gli industriosi editori e i solerti librai, attenti ai loro modesti profitti, sono riusciti. Ma, per farlo, hanno avuto bisogno - come dell’aria - della libertà di espressione. Un grande principio, certo, ma per loro una condizione del tutto pratica, la possibilità stessa della loro esistenza. Se la sono conquistata e intendono difenderla. Ancor oggi, soprattutto oggi, lo stato di salute di una cultura si misura dalla libertà con cui si può esprimere, vale a dire, in concreto, dagli ostacoli che vengono frapposti al suo esercizio. E dalla sua capacità di superarli. Può essere un singolo libro che va tolto dalla circolazione, un singolo autore che va messo a tacere. O un gruppo di autori, una scuola, una corrente. O addirittura, come nel nostro caso, un’intera cultura nazionale cui viene negato un diritto di presenza, di parola collettiva. Ma ogni volta non è mai in discussione il singolo, libro o autore o gruppo che sia, bensì l’atmosfera, la respirabilità nel suo insieme. L’inquinamento, anche se l’agente è minuscolo, si estende immediatamente e inaridisce le fonti della creazione, della conoscenza, della fantasia. Dunque bisogna ringraziare i responsabili della Fiera, i finanziatori, privati e pubblici, i responsabili politici per aver assunto una posizione inequivoca. Difendono qualcosa di essenziale per tutti noi.
 
Ebbi la fortuna di assistere all’ultimo discorso pubblico di Susan Sontag, quando ricevette a Francoforte il Friedenpreis. Era molto malata e lo sapeva; sarebbe morta di lì a pochi mesi. Ma era ancora pugnace e combattiva, una liberal americana non chic e non certo da salotto. Dura e intelligente. Fu feroce con Bush, che maltrattò per tutto il discorso. Ma alla fine raccontò un episodio e si capì che era il suo commiato, quello vero. Da piccola - disse - viveva in Arizona, a poca distanza da un campo di prigionia per tedeschi, di cui lei, ragazzina ebrea, aveva una terribile paura e che temeva venissero di notte ad assalirla. Nel frattempo un suo bizzarro professore, che aveva combattuto contro Pancho Villa e che si era stranamente innamorato della letteratura tedesca, le fece leggere i grandi classici, Goethe e Schiller e Heine, le trasmise il suo amore. Molti anni dopo, quando il suo primo libro fu tradotto in tedesco, conobbe in Germania il suo redattore. Il quale, molto rispettoso, la informò preventivamente che durante la guerra non aveva fatto nulla di male, avendola per la più parte trascorsa in un campo di concentramento americano. In Arizona. In quel campo. Dove, essendo bene alimentato e non avendo nulla da fare, si era dedicato a leggere i grandi classici americani, Melville e Poe e James. E se ne era innamorato. Questo, concluse Susan Sontag, è il senso della letteratura: superare le barriere di cultura, di tempo e di spazio. Superare le diffidenze, le paure e i pregiudizi. Potersi incontrare. La letteratura - disse - è libertà.  

Gian Arturo Ferrari direttore generale divisione libri Mondadori

 La Stampa, 8 febbraio 2008

 

I libri d'Israele e l'intelligenza del cuore

  
Il boicottaggio, la messa all'indice, il rogo dei libri: forse perchè sono un lettore che si è salvato in tempo con le pagine, forse perchè invecchio, mi ferisce chi calpesta un libro, lo brucia, lo toglie di mano. Mi pesa ogni offesa ai libri. Boicottarli è togliere diritto di parola. So dalle storie già accadute che questo è il primo passo verso la perdita di altri diritti civili. Boicottare i libri di Israele: agli ebrei sotto la dittatura nazifascista veniva tolto il diritto di pubblico mestiere e di parola. Queste privazioni ne preparavano altre, fino ai treni piombati. Ammutolire serviva a stendere intorno a loro il filo spinato.
La dittatura ha bisogno di imporre il silenzio. In ogni dittatura la  parola è sospetta e nessuna innocua, perchè  per natura è fatta di aria e di alfabeto, non la si può rinchiudere. Viaggia oltre le sbarre, le censure, negli assedi e nelle stive della terza classe. Nessun incendio di biblioteche l'ha estinta, nessuna messa all'indice l'ha ridotta, nessun boicottaggio di libri, nessun embargo l'ha impedita.

Per me i libri di Israele sono i benvenuti. L'ultimo letto, Il ragazzo e la colomba ,è appena uscito,presso l'editore Frassinelli. E' di Meir Shalev, per me il migliore scrittore israeliano contemporaneo. Lo consiglio a chi vuole gustare una storia con l'intelligenza del cuore. Lo voglio segnalare non solo per desiderio di oppormi al boicottaggio dei libri di Israele, ma per certezza di fare un regalo a chi lo prenderà con se. Non sono un segnalatore abituale, non  più di tre in un anno sono i libri che mi commuovono le ossa. E' una storia di guerra, di amore e di volo di ali. Ma perchè me la prendo tanto? A che cosa serviranno mai questi libri?
 A Salomone ancora ragazzo, in sogno la divinità chiede che dote desidera ricevere. E Salomone risponde : "Un cuore che ascolta". E' questo il magnifico gioco dei libri, formare l'udito di un cuore che ascolta. Mentre si legge si allargano i respiri, le coronarie, gli occhi per intendere il mondo. Chi ha voluto nel tempo proibire, distruggere i libri è stato sconfitto. Cerchino altri prodotti e altre manifestazioni di protesta civile i boicottatori dei libri di Israele. Non si confondano con gli esempi di una storia triste di altri persecutori di pagine. Chi vuole imporre il loro silenzio, sappia che sta facendo il mestiere del silenziatore, strumento fatto per avvitarsi su un'arma da fuoco.
Sappiano, per inciso e per sorriso, che la Bibbia è un insieme di storie ebraiche, scritte e parlate da ebrei in ebraico e aramaico. Boicottare anche quel libro di Israele non è impresa alla loro portata.

Erri De Luca 

 

A cosa servono gli scrittori 

 
La cosa che più mi stupisce nella polemica sull’invito a Israele per la prossima Fiera del Libro di Torino è il modo in cui veniamo considerati noi. Intendo noi intellettuali, scrittori, cineasti, artisti. Sembra che la nostra presenza non corrisponda ad altro che a una specie di arruolamento da parte del potere, che non siamo altro che pedine manovrate da un qualche funzionario di governo. Che non sia importante quello che diciamo o pensiamo, ma semplicemente quello che rappresentiamo da un punto di vista anagrafico.
E’ come se, negli anni del governo Berlusconi (e in quelli a venire, ahimè), ogni volta che andavamo a un festival o a una manifestazione internazionale, io e i miei colleghi non rappresentassimo (spesso in modo critico) gli italiani e la società a cui apparteniamo, ma solo il governo in carica. Pensare al ruolo degli intellettuali in modo così riduttivo genera una tristezza infinita, perchè rivela un vecchio meccanismo inconscio nella storia della sinistra: considerare buoni solo gli intellettuali che sono “utili alla causa”.
Io sono assolutamente convinto che nel conflitto medio-orientale non si possa fare a meno di stare con i palestinesi. Ma proprio per la sua natura di incontro tra scrittori e pubblico, la Fiera è l’occasione per parlare e dire cose non scontate sulla questione. Rispondere col muro del silenzio e del boicottaggio è cadere nella stessa logica di chi i muri veri li costruisce per dividere i popoli e gli individui.

Davide Ferrario, regista e scrittore

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