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Un atto contro la pace

La presenza di Israele alla Fiera del libro di Torino

AVRAHAM B. YEHOSHUA

Alcuni amici italiani mi hanno informato che l'invito a Israele di presenziare in qualità di ospite d'onore della fiera del Libro di Torino ha scatenato un vero e proprio parapiglia. Che alcune associazioni di scrittori arabi di nazionalità giordana e siriana, e naturalmente anche associazioni di scrittori palestinesi, minacciano di boicottare la fiera e che organizzazioni italiane di sinistra aderiscono alla protesta pretendendo che l'invito a Israele venga ritirato.

In veste di scrittore israeliano sostenitore della sinistra e da anni propugnatore della pace, mi sia permesso di intromettermi in questo dibattito per sostenere che il boicottaggio non solo è ingiusto ma anche dannoso al processo di pace nel quale tutti riponiamo speranze.

E’ ingiusto da un punto di vista morale perché Israele è stato fondato sessant'anni fa in seguito a una decisione delle Nazioni Unite supportata sia dagli Stati occidentali sia da quelli del blocco comunista che deliberarono la divisione dell'allora Palestina in due Stati: uno ebraico e uno palestinese.

E se uno Stato palestinese non fu creato nel 1948 la colpa è da imputare ai palestinesi stessi e soprattutto alle nazioni arabe, che respinsero categoricamente la decisione dell'Onu proclamando l'intenzione di distruggere con le armi lo Stato ebraico. La «Nakba» (catastrofe) come i palestinesi definiscono la creazione di Israele nel 1948, fu principalmente il risultato della guerra da loro dichiarata contro lo Stato ebraico, nato nel sangue e a prezzo di ingenti perdite, e del quale si rifiutarono per anni di riconoscere la legittimità. Ancora oggi le posizioni di Hamas, di Hezbollah e dell'Iran, che invocano la distruzione di Israele, riecheggiano direttamente la presa di posizione del mondo arabo nei confronti di Israele agli esordi della sua esistenza.

Ma anche dopo la sconfitta del 1948 la maggior parte del territorio che in base alla decisione delle Nazioni Unite era destinato alla creazione di uno Stato palestinese rimase in mano ai palestinesi. Se questi avessero accettato la presenza di uno Stato ebraico al loro fianco, avrebbero potuto crearne uno loro ancor prima della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967. La Cisgiordania era allora interamente sotto il controllo del regno Hashemita che aveva accolto numerosissimi profughi palestinesi e inserito molti di loro fra i suoi ranghi istituzionali. La Striscia di Gaza era invece stretta nel pugno di ferro dell'Egitto. Se i palestinesi, con l'avallo del mondo arabo, avessero voluto creare un loro Stato già a quell'epoca, la cosa sarebbe dipesa esclusivamente da loro. Ma il sogno di distruggere Israele li tratteneva dall'accontentarsi di una sola parte del territorio palestinese.

Ovviamente gli errori storici degli arabi e dei palestinesi non negano a questi ultimi il diritto di possedere un loro Stato. E oggi ci troviamo in una situazione in cui l'Autorità palestinese, liberamente eletta, riconosce il diritto di Israele di esistere entro i confini anteriori alla guerra del 1967 in cambio, naturalmente, del suo riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente, e sta conducendo con il governo israeliano un dialogo e un serio negoziato di pace.

La Giordania e l'Egitto mantengono rapporti di pace con Israele, la Siria proclama il desiderio di pace in cambio della restituzione delle alture del Golan. Perché allora scrittori e intellettuali contribuiscono a fomentare un clima di estremismo e a tornare ai giorni del boicottaggio e delle ostilità?

Nell'annosa lotta a favore della pace all'interno della società israeliana e di un riconoscimento reciproco tra il popolo palestinese e Israele, noi, scrittori e intellettuali su ambo i fronti, ci siamo avvalsi di incontri per preparare il terreno e i cuori in vista dell'atteso disgelo e di una rappacificazione. Non sempre è stato facile aprire una breccia nel muro di ostilità, di alienazione e di pregiudizio. Eppure già negli Anni Ottanta del secolo scorso un gruppo di poeti e intellettuali appartenenti a entrambi i popoli di cui io facevo parte è riuscito a pubblicare una dichiarazione congiunta a favore del diritto di due Stati per i due popoli. Una dichiarazione che dopo gli accordi di Oslo nel 1993 è divenuta una pietra angolare della politica israeliana e palestinese. Sui giornali e sulle riviste letterarie israeliane vengono sovente pubblicati racconti e poesie di scrittori e poeti palestinesi, o di altri Stati arabi. Antologie di letteratura araba sono tradotte e pubblicate in ebraico. Scopo della cultura e della letteratura non è di creare barriere di separazione tra gli uomini bensì di aprirsi al prossimo, all'altro. Gli esponenti della sinistra italiana sono invitati a fare tutto ciò che è in loro potere per ravvicinare i cuori e non a imbarcarsi in boicottaggi culturali nei confronti di altri popoli e nazioni, soprattutto non di quei popoli che saranno costretti a vivere in eterno gli uni al fianco degli altri.

Mi appello quindi agli scrittori palestinesi e arabi affinché rinuncino al loro boicottaggio proprio nei giorni in cui è in corso un negoziato significativo tra Israele e l'Autorità palestinese.

Quest'anno, in occasione del sessantesimo anniversario della sua fondazione, sarà Israele l'ospite d'onore al Salone del Libro di Torino. L'augurio è che l'anno prossimo lo sia la Palestina, in occasione del primo anniversario della sua nascita. Noi, scrittori e poeti israeliani, parteciperemo a quell'evento con gioia e con convinzione.

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