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SAHARAWI ALLA SCOPERTA DI UN POPOLO DIMENTICATO
(Diario di viaggio di Mirca Garuti)

Marzo 2008 – 1° giorno

Partenza da Modena, direzione Roma Fiumicino, meta Tindouf (Algeria), per approfondire la conoscenza del popolo Saharawi (in arabo significa “originario del deserto”) e per verificare l’attuale situazione.

 I miei compagni di viaggio, a parte, Flavio e Andrea, della redazione di Alkemia, sono persone sconosciute: Sandra, presidente Nexus Emilia Romagna; Rita, responsabile dei progetti di Nexus Emilia Romagna in Saharawi; Giovanni, presidente Auser Emilia Romagna; Luigi, segretario Cgil Ravenna e Ada, politiche internazionali Cgil Ravenna.

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Il viaggio è veramente massacrante, non esistono voli diretti, è d’obbligo fare scalo ad Algeri, le soste sono lunghissime. La durata totale del volo è di circa quattro ore, ma occorre un giorno intero tra la partenza e l’arrivo. Tutto questo, però, non ci sconforta, e cogliamo, quindi questa opportunità per conoscerci meglio e parlare di questo popolo.

Un popolo che, pur essendo da secoli una nazione, vive in esilio, senza una terra.
La sua terra è l’ex Sahara occidentale spagnolo, regione del NordAfrica, di circa 280.000Kmq. che si affaccia sull’Atlantico e confina con il Marocco, l’Algeria e la Mauritania. E’ in gran parte desertico, ma ricco di risorse minerarie e lambito da un mare molto pescoso. I suoi confini sono convenzionali, tracciati dalle diplomazie europee, in seguito alle decisioni prese nella Conferenza di Berlino del 1884/85.

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Questa porzione di territorio venne assegnata alla Spagna anche per salvaguardare gli interessi iberici presenti nelle vicine isole Canarie. Per molto tempo, le popolazioni nomadi del territorio ignorarono tali confini, mentre furono oggetto di lunghe trattative tra la Francia e la Spagna e, dall’inizio di questo secolo, divennero importanti ed oggetto di sorveglianza da parte della polizia coloniale. Le frontiere divennero così reali per quelle popolazioni e, ancora oggi, sono materia di contenzioso. Il popolo Saharawi discende dall’incontro e dalla fusione, da secoli, di gruppi nomadi berberi (tribù Sanhaya e tribù Zenata) con genti arabo-yemenite (i Maquil) giunti dal Nord Africa, intorno al XIII secolo. Le tribù organizzate in modo autonomo con una propria lingua, cultura ed organizzazione sociale, erano, prima dell’arrivo degli spagnoli, molto numerose, circa quaranta, secondo la tradizione. Raccolte in una unica confederazione, molto elastica, al cui vertice c’era il Consiglio dei Quaranta, che si riuniva solo di fronte a minacce esterne, o per risolvere controversie interne e per importanti cerimonie collettive. Verso la fine del periodo coloniale, il popolo Saharawi divenne quasi totalmente sedentario ed urbanizzato, rimanendo, però, sempre legato alle proprie tradizioni.

La Spagna appare sulle coste atlantiche del Sahara già alla fine del 400 e, la sovranità spagnola sul Rio de Oro, fu riconosciuta nel 1885 dalla conferenza di Berlino. I problemi maggiori però, i saharawi li ebbero con i francesi, dal colonialismo più aggressivo, che cercavano di limitarne la pericolosa autonomia e libertà di movimento e che non consideravano i confini stabiliti dagli europei. Infatti, è solo agli inizi del nostro secolo, che gli spagnoli cominciano veramente ad interessarsi a questa zona, sollecitati dall’avanzata francese in Algeria, Mauritania e Marocco. Le forze di Parigi si vedono spesso, quindi, negare dalla Spagna l’autorizzazione all’inseguimento dei nomadi che razziavano ed attaccavano le postazioni francesi, per poi rifugiarsi nel Sahara occidentale. Erano dunque i francesi e non gli spagnoli gli acerrimi nemici delle tribù saharawi! Nel 1934 l’amministrazione spagnola attribuisce alla popolazione uno stato civile e un documento d’identità, con l’introduzione di un “visto” obbligatorio per il passaggio nei territori francesi. Contemporaneamente, inizia anche la formazione di una resistenza Saharawi contro lo sfruttamento coloniale. Va sottolineato, infatti, che per un trentennio i saharawi si opposero attivamente al colonialismo francese, avendo ormai capito che, sia Parigi che Madrid, perseguivano lo stesso disegno imperialistico. Se, la Spagna aveva distrutto gran parte del loro patrimonio culturale, sono stati invece i francesi nel 1913 ad assalire e a devastare Smara, principale centro politico e religioso di quel popolo. Dopo la seconda guerra mondiale, la resistenza Saharawi guarda con speranza verso il Marocco che sta iniziando a rivendicare la sua indipendenza. Speranza, subito sfumata, dalla repressione francese e spagnola che riesce a mettere sotto controllo ogni forma di resistenza. Dal 1934 fino al 1960, le colonie vengono affidate, prima ad un prefetto, poi a dei militari, che lasceranno statica la situazione. Tra gli anni ’50 e ’60, al confine nord del Sahara spagnolo, ci sono disordini e scontri con il Marocco. Nel 1956 infatti, due sono gli avvenimenti che sconvolgono la regione: la guerra d’Algeria e l’Armata di Liberazione, un grande movimento anticoloniale nel Maghreb occidentale. E’ in questo periodo che il partito nazionalista marocchino lancia la tesi del “ Grande Marocco”, mirando al Sahara occidentale, alla Mauritania, alle isole Canarie e a una parte dell’Algeria e del Mali. Nel 1958, con la scoperta di favolosi giacimenti di fosfati di Bou Craa, la Spagna inizia un poderoso processo di colonizzazione, in controtendenza con quello che succedeva invece nel resto del continente. Il Sahara occidentale venne diviso in due province del tutto equiparabili a quelle spagnole, la Saguiat al Hamra a nord e il Rio De Oro a sud. Negli anni ’60 e ’70, la colonizzazione aumenta, quindi intensamente, cercando la collaborazione con la gente locale e facendo riforme, ma l’effetto che produce è quello della formazione di nuove forme di aggregazione intorno ad una coscienza anticoloniale. Il primo nucleo nazionalista, infatti, si manifesta pubblicamente, nel 1970, con il nome di “ Movimento di Liberazione del Sahara” condotto da Mohammed Bassiri, che però, a causa di una durissima repressione con morti e centinaia di arresti, fu subito sciolto. Un piccolo nucleo di nazionalisti Saharawi, più tardi nel maggio del 1973, costituisce il “Fronte Polisario” (Fronte di Liberazione di Saguiat-Al-Hamra e Rio de Oro).

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Il nome “Fronte” vuole infatti esprimere una opposizione, un far fronte al colonialismo, scegliendo le armi come strumento di lotta. Nel 1974 il Polisario indica, come obiettivo, l’indipendenza del Sahara dai colonizzatori, da raggiungere, insieme alla lotta armata, con il lavoro politico tra le masse.

La Spagna entra, nel 1955, a far parte dell’O.N.U. e, l’Assemblea Generale dell’ONU adotta, nel 1965 una prima risoluzione che invita la Spagna, a compiere ogni sforzo possibile per arrivare alla liberazione del territorio. Tante altre risoluzioni simili vengono annualmente approvate, fino al 1973, con una ulteriore richiesta di un referendum di autodeterminazione, da tenersi rigorosamente sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Contemporaneamente la monarchia marocchina non rinuncia alle sue ambizioni di estensione del Regno ed anche la Mauritania rivendica parte del Sahara Occidentale per affermare la propria esistenza. La Spagna, pressata dall’Onu, che chiedeva la decolonizzazione e, da Marocco e Mauritania, che volevano spartirsi il paese, desiderava mantenere il controllo della sua colonia. La lotta del Fronte Polisario accelera i tempi della politica spagnola, così nell’agosto del 1974, la Spagna informa il Segretario Generale dell’Onu, della sua intenzione di tenere il referendum di autodeterminazione dei saharawi. Viene subito portato a termine il censimento della popolazione: 20.000 gli europei e quasi 74.000 i locali residenti nel territorio. Gran parte però dei nomadi non venne censita. Nello stesso tempo, il regime di Franco crea il partito dell’Unione Nazionale Saharawi (PUNS), nel tentativo così di poter pilotare il referendum in favore di una forza politica legata alla Spagna. In realtà il Puns e, ancora di più il Morehob (movimento degli uomini blu) di ispirazione marocchina, si rileveranno solo creazioni artificiali di paesi stranieri. Unica vera forza politica, infatti, in cui si riconoscono la grandissima maggioranza della popolazione, resta il Fronte Polisario.

La Mauritania, intanto preferisce spartire il territorio con il Marocco, forse nel timore di sue reazioni violente, e quindi rifiuta la proposta del Polisario di creare una confederazione. L’iniziativa spagnola del referendum agitò il Marocco che ricorse, con la Mauritania, alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, per stabilire se, al momento della colonizzazione, il Sahara Occidentale fosse “ terra di nessuno” o sottoposto all’autorità del sultano del Marocco e degli Emiri Mauritani. La Corte, nel 1975, dichiarò che, pur esistendo in passato saltuari legami di alleanza tra alcune tribù ed il sultano marocchino gli Emiri mauritani, questo non comportava nessun diritto di sovranità del Marocco e della Mauritania sul Sahara Occidentale.

 La reazione del re del Marocco Hassan II fu molto violenta, in quanto questo rischiava di vanificare i suoi disegni di espansione. Il re, per bloccare le iniziative di indipendenza del popolo Saharawi, annuncia una marcia popolare di occupazione pacifica di 350.000 persone. I marciatori, reclutati in tutto il paese, ricevono una copia del Corano e bandierine verdi, il colore dell’Islam, e nasce da qui, il nome dell’operazione “ Marcia Verde”.

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In realtà si tratta di una vera e propria invasione nel territorio Saharawi con forze militari e di polizia. A questo punto, la Spagna tenta di reagire, ma le vicende interne congiurano contro la libertà dei saharawi. Franco è morente ed il paese iberico deve affrontare il difficile passaggio alla democrazia e non ha più tempo per affrontare altri diversi problemi. La decisione, quindi, di abbandonare il popolo saharawi è presto presa e, il 14 novembre 1975, in cambio di una sostanziosa buona uscita, cede i territori a Marocco e Mauritania. Via libera dunque all’occupazione e gli eserciti invasori prendono immediatamente l’iniziativa.

 La preoccupazione principale, a questo punto, del Polisario, diventa la difesa della popolazione civile dagli attacchi dell’esercito marocchino. Migliaia di persone, quasi 400mila, sono costrette dai bombardamenti, nei quali è stato utilizzato anche il napalm, alla fuga, attraverso il deserto, ed a rifugiarsi in territorio algerino, nella regione desertica di Tindouf, dove viene allestita una prima tendopoli di accoglienza. Inizia, così, la loro lunga attesa di poter tornare a casa, attesa che ancora continua…
 

Migliaia i civili uccisi e sono 850 i saharawi arrestati dalle forze di occupazione, scomparsi nel nulla.

 Il Fronte Polisario, nel 1976, proclama l’indipendenza e la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD). Sarà riconosciuta, però solo da una settantina di paesi dell’Africa e dell’America Latina (nessun riconoscimento da parte dell’Europa!). Nel 1982 la RASD viene ammessa come cinquantunesimo stato nell’OUA (organizzazione per l’Unità Africana) con la conseguente uscita del Marocco, per protesta.
 

Lo scopo è quello di colmare il vuoto istituzionale lasciato dagli spagnoli e dimostrare al mondo di essere pronti ad amministrare il proprio destino. Il Fronte Polisario, oltre ad occuparsi dei profughi, inizia l’attività di guerriglia contro gli eserciti nemici. La conoscenza del territorio e la forte motivazione degli occupati, aiuta i saharawi a difendersi ed a mettere in difficoltà il nemico che pensava invece di metterli in ginocchio in una settimana. La Mauritania crollò pochi anni dopo. Nel 1979 sigla la pace con il Fronte Polisario ed esce dal conflitto.

 Il Marocco, rimasto solo, aumenta lo sforzo bellico per occupare tutto il territorio dell’ex Sahara spagnolo, senza però riuscire a sconfiggere la resistenza saharawi. Nel 1980 infatti il Fronte Polisario controlla gran parte del Sahara Occidentale e, per questo motivo, il re Hassan II cambia strategia, rinunciando alla vittoria definitiva, ed inizia la “ strategia dei Muri di sabbia”, per cercare di proteggere le zone utili del Sahara e per poter diminuire lo spazio di manovra della resistenza.
 

Sono sei i muri che dividono, costruiti in tempi successivi dal 1982 al 1987, che si snodano per un percorso di quasi 2.800Km, dal sud del Marocco fino alla costa atlantica, al confine della Mauritania e che racchiudono circa 200.000Kmq di territorio. Il primo muro fu edificato nel giugno 1982 e circoscrisse l’area a nord ovest chiamata del “triangolo utile”. Dal punto di vista economico e demografico è la zona più importante e contiene le città di El Aaiun. Smara. Bojador e Bou Craa. Il secondo muro, gennaio 1984, ampliò di una piccola porzione a sud, il territorio controllato dal Marocco. Questo segmento ha così la caratteristica di tagliare praticamente in due il territorio controllato dal Fronte Polisario e di seguire, per un breve tratto, il muro definitivo. Il terzo muro, maggio 1984, inglobò ad est una piccola parte del territorio confinante con il Marocco, con la città di Hauza. Strategicamente occupa la maggior parte della strada, attualmente non utilizzata, che va da El Aaiun a Tindouf, verso le vecchie piste carovaniere del Sahara. Il quarto, gennaio 1985, ampliò ad est inglobando un territorio simile a quello del terzo muro, con le città di Al Farcia e Mahbas. Il muro rasenta il confine algerino e fu prolungato in territorio marocchino per impedire il suo aggiramento. Il quinto, settembre 1985, inglobò una parte del Rio de Oro con i centri abitati di Chalwa, Guelfa Zemmur, Oum Dreyga, Imlili e Dakhla. Il sesto ed ultimo muro, aprile 1987, portò le truppe marocchine vicino ai confini mauritani. Una stretta striscia di sabbia collega i territori non occupati sotto il controllo della RASD alla penisola con il centro abitato di La Guera. Dopo il 1987 il Marocco non riuscì ad inglobare altro territorio.

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Lungo il muro, ogni quattro o cinque chilometri, è stanziata una compagnia militare ed ogni 15 è installato un radar per fornire dati alle più vicine batterie di artiglieria. Oltre la linea militare vi è il vero e proprio muro, composto da ostacoli di muri di sabbia e pietre di dimensione, di solito, inferiori al metro. Il muro fisico è infine circondato da campi minati (molte sono mine italiane!). Si stima che, intorno al muro, ci siano da uno a due milioni di mine, caratterizzando così la zona fra le prime dieci al mondo per la loro concentrazione.

 I marocchini, dunque, hanno colonizzato il Sahara occidentale molto meglio di quanto avevano fatto gli spagnoli.
 

Oltre però allo scopo difensivo, il muro serve anche per lo sfruttamento economico.

 La parte interna al muro, infatti, racchiude le ricchezze del Sahara occidentale: le miniere di fosfati, il controllo della costa, considerata una delle più pescose al mondo e, per ultimo, in ordine di scoperta, i giacimenti petroliferi costieri. I fosfati giocano, per il momento, un ruolo principale, in quanto il Marocco, principale esportatore mondiale, impadronendosi delle riserve del Sahara Occidentale, potrebbe ottenerne il quasi monopolio.

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Controllare i fosfati significa controllare parte del mercato alimentare mondiale; un Sahara indipendente vorrebbe dire che i fosfati sfuggirebbero di mano ai paesi imperialisti e diventerebbero uno strumento di lotta per i paesi del Terzo Mondo, contro lo sfruttamento che essi subiscono. Ma oltre ai fosfati, questa regione riveste anche un interesse strategico estremamente importante. Essa consente, innanzitutto, di controllare la strada delle grandi petroliere che devono fare il giro dell'Africa e quindi passare al largo delle coste saharawi per raggiungere l'Europa. Questa area è anche sede di installazioni di basi militari americane in prossimità dell'Africa.

Le isole Canarie stanno diventando uno dei centri nevralgici del dispositivo militare americano. Nell'isola di Tenerife è stato installato un aereoporto le cui piste sono le più lunghe del mondo. A Las Palmas vi sono due basi navali per la sorveglianza dei sottomarini e per le comunicazioni con i satelliti spia. Queste insieme di basi è in stretto rapporto con le basi americane in Marocco, in particolare Sidaial e Bucknadel e con la base di Rota in Spagna.

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Dopo la perdita delle isole di Capo Verde che ospitavano una delle basi più importanti della Nato, le isole Canarie costituiscono insieme al Marocco, al Senegal, al Sudafrica e all'isola di Maiot l'ultima rete di basi imperialiste in terra africana. La lunga fascia costiera saharawi gioca dunque un ruolo strategico di primaria importanza per la difesa di quelle basi e per la scoperta dei giacimenti petroliferi. La risoluzione 1514 delle Nazioni Unite vieta esplicitamente qualunque sfruttamento delle risorse naturali del Sahara, in attesa del referendum di autodeterminazione, considerando il territorio in questione non autonomo.

 

In verità, però, la RASD nel maggio 2004 ha lanciato un appello per far interrompere le trivellazioni esplorative, da parte di una compagnia petrolifera inglese(Wessex Exploration), della piattaforma continentale di l’Aaiun nel Sahara occidentale.

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Nel 1988 la risoluzione ONU 621/88 istituisce la Minurso (missione delle nazioni unite per il referendum del sahara occidentale) ed un piano di pace.

 Nel 1991 il Marocco ed il Fronte Polisario accettano una tregua e stabiliscono il referendum per decidere l’indipendenza ( Risoluzione n.690 dell’Onu). Il referendum è previsto per il 1992. La reale volontà del Marocco, però è quella di utilizzare il referendum per allentare la pressione e per arrivare ad una “cipriotizzazione” del Sahara occidentale con le forze dell’Onu. I tempi si allungano, i rappresentanti dell’Onu si rivelano ininfluenti, incapaci e spesso allineati sulle posizioni marocchine, creando sfiducia e diffidenza tra le parti in causa. Il piano di pace si può considerare fallito ed il Fronte Polisario inizia a parlare di guerra. Ma un fatto nuovo dell’evoluzione della questione saharawi, porta nuova speranza. Il nuovo Segretario Generale Kofi Annan pone tra gli argomenti principali della sua agenda, proprio la questione saharawi. Nomina come incaricato per rilanciare la via diplomatica, James Baker, la cui forte personalità, il suo prestigio e la storia, sono fattori determinanti che hanno portato il Marocco ad accettare un dialogo con il Fronte Polisario. Dialogo finora sempre rifiutato. La Minurso ( Missione delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale) riprende slancio e si ricomincia il lavoro delle Commissioni di Identificazione che hanno il compito di stilare le liste degli aventi diritto al voto. Le autorità marocchine continuano la repressione dei saharawi delle zone occupate e tentano di nuovo di iscrivere nelle liste marocchini travestiti da saharawi. Le varie commissioni dell’Onu hanno però finora respinto questi tentativi di manipolazione ed il Marocco sta minacciando, con attività diplomatica, di non accettare più il referendum ed accusa il Fronte Polisario e l’Onu di collusione.
 

Nel 2004 la durata della missione Onu nel paese è stata prorogata per consentire l’esame di una nuova proposta di pace, che prevede un referendum entro 5 anni.

 I tempi dunque continuano a dilatarsi, senza fine, troppi sono gli interessi in gioco: l’Europa è il primo partner commerciale del Marocco e la Francia, in particolare, è uno degli sponsor più forti del Governo di Rabat.

 Il vento di guerra continua a soffiare…….

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