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Visti per Voi » Il cacciatore di aquiloni  
Amicizia, onore, senso di colpa e riscatto, all’ombra della tragedia del popolo afghano

Il cacciatore di aquiloni – voto : 6

Amir ( Zekeria Ebrahimi ), è uno dei tanti ragazzini di una Kabul di fine anni ’70, una città che non aveva ancora conosciuto gli orrori dell’invasione sovietica. Egli è più fortunato di molti suoi coetanei perché il padre Baba ( Homayoun Ershadi ), è un ricco commerciante di etnia Pashtun. Tra i privilegi familiari, vi è quello di concedersi una servitù ed è tra di loro che vive Hassan ( Ahmad Khan Mahmidzada ), un bambino di etnia Hazara.

Hassan e Amir sono legati da una profonda amicizia, che per Hassan assume i contorni di una vera devozione. Le differenze di estrazione sociale, etnica e culturale ( Amir ama leggere e scrivere mentre Hassan, seppur in possesso di una mente fulgida è analfabeta ), si annullano dinanzi alla capacità dei bambini di sentire oltre le barriere indotte dagli adulti. Far librare gli aquiloni in cielo è una delle passioni che li unisce, e quando in città giunge il momento della tradizionale e attesa gara annuale, i due ragazzi decidono di parteciparvi insieme. In quel vibrante tutti contro tutti in aria, Amir e Hassan si rivelano invincibili, ma la gioia della vittoria verrà funestata da un evento che condizionerà per sempre le loro vite. Hassan è vittima di uno stupro da parte di un trio di ragazzi più grandi ricchi e violenti, che da tempo prendevano di mira il bimbo Hazara per motivi razziali. Amir paralizzato dalla paura, assisterà immobile e silente al cospetto della violenza.

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Da quel giorno tutto cambia, e la loro amicizia s’infrange dinanzi al senso di colpa dell’uno, e alla vergogna dell’altro. Le ombre di quanto successo, troppo ingombranti e oscure da comprendere per Amir, offuscheranno un passato denso di giorni felici trascorsi insieme, e le loro strade si separeranno perché a volte il troppo amore, genera quella crudeltà asciutta e tagliente tipica dei bambini.

Occorreranno molti anni perché quel bambino diventato uomo in un paese lontano, ritrovi il coraggio di riaffrontare i fantasmi mai sopiti di quel giorno, per tornare nel suo Afghanistan travolto dall’ultima di una lunga serie di catastrofi.

Per vincere il senso di colpa che lo ha lacerato per oltre venti anni, Amir dovrà scrollarsi “ Un passato rimasto con gli artigli aggrappato al presente…”, e cercare un riscatto per se e per l’intero suo popolo.

Il romanzo “ Il cacciatore di aquiloni “ di Khaled Hosseini ha rappresentato uno dei più clamorosi successi letterali degli ultimi anni. Un testo dalla travolgente forza emotiva, un racconto di rara bellezza, un talento narrativo che ha conquistato il mondo in buona parte grazie al passaparola dei lettori. Il film omonimo era quindi atteso con curiosità da parte di molti lettori di Hosseini e non solo.

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Scrittura e cinema sono due strumenti comunicativi inconfrontabili, e ogni parallelo diventa impossibile, ingiusto e sbagliato.

Forse occorrerebbe una recensione per chi ha letto il libro e una per chi non l’ha fatto, ma noi che apparteniamo al primo e probabilmente più nutrito gruppo di spettatori, pur sforzandoci siamo consapevoli di non riuscire a rimanere immuni dall’influenza della lettura.

Marc Forster 39enne nativo di Ulm ( Germania ) è il regista di questo lavoro. Egli ha alle spalle ottimi lavori come “ Monster’s Ball “ del 2002 ( dramma della disperazione di una vedova di un condannato a morte con Oscar all’attrice protagonista a Halle Berry), e “ Neverland “ del 2004 ( storia biografica dell’autore della fiaba “ Peter Pan ”, con Johnny Depp e Kate Winslet ).

Forster sceglie di rimanere fedele al racconto letterario, cercando di ripercorrerne le tracce per esaltarne il contenuto emotivo. Il tentativo non riesce, e il film finisce per restituire allo spettatore solo un pallido condensato del sentire umano che il romanzo trasmette con penetrante efficacia. Rimane ottima e credibile la ricostruzione della Kabul di quegli anni ( scene girate in una regione della Cina al confine con l’Afghanistan ), dove i costumi e le tradizioni di un antico popolo, non erano ancora sepolti dalle invasioni straniere e dalle dittature integraliste Talebane.

Le interpretazioni subiscono un giudizio altalenante: positive per gli attori bambini, nel complesso piatte e inefficaci ( eccezion fatta per “Baba” Ershadi ) quelle degli adulti. Lo stesso Amir uomo ( Khaled Abdalla, uno dei terroristi di “ United 93 “ film sulla ricostruzione della tragedia che coinvolse il 4° aereo dell’11 settembre 2001 ), risulta uno degli interpreti espressivamente meno intensi, contribuendo ad alimentare quel deficit emotivo che la pellicola paga al romanzo.

Crediamo che la regia abbia mancato di quella dose di coraggio che gli avrebbe consentito di non affrontare un parallelo diretto con il racconto, magari cercando una chiave di lettura personale e più originale. Lo struggente groviglio di sentimenti che scuote Amir nella seconda parte del racconto, non raggiunge per intero lo spettatore che fu lettore, anche per i tempi tecnici marcatamente ristretti e insufficienti ad un riassunto del contenuto letterario.

Nonostante una non breve serie di appunti, il film rimane dignitoso soprattutto agli occhi di quella fetta di pubblico non lettrice dello scritto di Hosseini, la porzione forse più obbiettiva.

Non ci sentiamo di bocciare totalmente il lavoro di Forster quindi, perché integro si conserva il tema portante del progetto, quale omaggio al popolo afghano e alla sua tragica storia moderna. Tra le macerie di quella che era una nazione, sopravvive oltre ogni orrore il valore dell’amicizia, dell’onore e dell’amore.

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