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Medio Oriente » Bombardamento Gaza dic.08 (Speciale2)  
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UN CAPODANNO DA FUOCO
GLI ISRAELIANI ATTACCANO GAZA!


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RAGGIUNTO IL CENTRO DI GAZA

AL-JAZEERA DENUNCIA: “USANO IL FOSFORO BIANCO”


Bombardata la torre di Palestina. Feroci combattimenti tra militanti di Hamas e truppe israeliane che hanno raggiunto la zona universitaria
"L'Idf sta usando bombe al fosforo nel centro di Gaza". E' la denuncia dell'inviato della tv pan-araba al-Jazeera. A confermarlo anche il portavoce dell'Unrwa Chris Gunness che ha riferito a PeaceReporter del bombardamento della sede Unrwa con colpi al fosforo: tre impiegati sono stati feriti. Le ambulanze non riescono a raggiungere le persone disperate che chiedono soccorso a causa dei feroci combattimenti. Due giornalisti della tv al-Arabya sono rimasti gravemente feriti. Anche l'ospedale di Gaza è stato bombardato e adesso appare in fiamme. La torre di Palestina, un importante palazzo del centro cittadino, è stata bombardata e in questo momento, secondo quanto riferito dal giornalista di al-Jazeera, si starebbe combattendo in via Talathini, nel quartiere al-Rimadi. La battaglia è molto intensa e i militanti palestinesi stanno opponendo forte resistenza. Una densa colonna di fumo nero domina il cielo della città che conta più di 500mila abitanti.

BOMBE AL FOSFORO BIANCO ISRAELIANE CONTRO SEDE ONU GAZA

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Bombe al fosforo su sede Onu.
Il portavoce dell'Unrwa, Chris Gunness, raggiunto da PeaceReporter a Gerusalemme, ha confermato che l'edificio della sede Onu a Gaza per i rifugiati (UNRWA) è stato colpito. “Tre bombe al fosforo bianco hanno raggiunto l'edificio - ha detto il portavoce Unrwa - e il deposito è andato in fiamme. Tre persone sono rimaste ferite fra il personale. Ancora una volta il lavoro del personale umanitario è sotto tiro”. “Le fiamme continuano ad alimentarsi perché non si può estinguere il fuoco generato dal fosforo bianco con normali estintori. Ci vuole la sabbia e non ce l'abbiamo” ha proseguito il portavoce, "le autorità israeliane hanno espresso il loro rincrescimento, ma questo non è abbastanza. La situazione è particolarmente grave perché non abbiamo nessun posto dove poterci rifugiare, né possiamo evacuare l'edificio". Secondo quanto riferisce la tv satellitare al Jazeerà, l'agenzia dell'Onu ha novamente annunciato la sospensione delle sue attività nella Striscia, per salvaguardare l'incolumità dei suoi operatori.

Bombe su cliniche e ospedali.
Poco dopo le bombe israeliane son cadute anche contro la sede della Mezzaluna Rossa, nella zona di Tel Hawa e che ospita anche un piccolo ospedale. All'interno della struttura erano presenti circa cinquecento persone, tra personale sanitario e feriti. I suoi locali sono andati in fiamme. Questa mattina Israele ha colpito anche la Torre di Ashruq, l'edifico di Gaza City che ospita gli studi di vari canali televisivi, dove sono rimasti feriti due giornalisti. Un colpo di artiglieria ha centrato il dodicesimo piano dell'edificio, sede della Reuters, e l'edificio è stato evacuato. Un funzionario del ministero della Salute di Hamas, Mouwaya Hasani, ha denunciato all'emittente al Arabiya il sistematico attacco delle strutture sanitarie palestinesi. Oltre all'ospedale della mezzaluna rossa, ha detto "solo oggi sono andati distrutti 15 tra ambulatori e ospedali della Striscia”. E ha aggiunto: “Nella zona di Tel Hawa, le ambulanze sono state attaccate dagli israeliani, e in un palazzo ci sono 23 civili bloccati che non possono essere messi in salvo”.

Fosforo sul sud della striscia.
Bombardamenti israeliani hanno martellato anche il sud della Striscia di Gaza, tra Khan Younis e Rafah, dove fonti locali riferiscono di un avanzamento delle forze di terra, che tuttavia non sono ancora nel centro. “Diverse persone in quella zona hanno confermato la presenza dei soldati israeliani e dicono di essere intrappolati”. Jenny Linnel, attivista dell'International Solidarity Movement, sentita da PeaceReporter, riferisce che l'esercito israeliano ha usato munizioni al fosforo bianco, anche nell'area di Al Houda, tra le città di Rafah e Khan Younis. “La comunità di contadini della zona è stata pesantemente attaccata” racconta. “Ci siamo andati ieri per valutare l'accaduto e abbiamo trovato molte case distrutte dai bulldozer israeliani. I civili ci hanno raccontato di come i soldati abbiamo sparato sulla gente, uccidendo alcune persone. E soprattutto hanno descritto le armi insolite, che dalla descrizione sembrano essere quello che da più parti viene chiamato fosforo bianco. Quello che è certo è che l'esercito israeliano sta usando tipi di armi che non erano mai stati usati nella Striscia di Gaza prima, e che i testimoni non avevano mai visto. Abbiamo resoconti sia dei medici che di civili, che raccontano di munizioni fatte con un materiale che brucia. I residenti di Al Houda ci hanno mostrato anche alcuni grumi di quel materiale, grandi come un pugno, sul terreno accanto a una casa colpita e bruciata. Quei pezzi stavano ancora bruciando dal giorno precedente. Non era un normale fuoco, era come qualcosa che brucia a contatto con l'aria. Le stesse testimoniaze le abbiamo ricavate alche da personale medico: siamo stati all'ospedale di Khan Younis, dove sono stati portati tutti i feriti di Al Houda. Uno dei medici, il dottor Ahmed, un egiziano entrato nella Striscia all'inizio dell'offensiva, ha descritto ferite causate dalle munizioni al fosforo: pazienti che arrivavano coperti da una polvere, una polvere bianca che brucia la pelle in profondità”.

 

IL MINISTRO BARAK DEFINISCE “ERRORE GRAVE” LE BOMBE SULL’UNRWA

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Dopo le scuse del premier israeliano Ehud Olmert per gli oltre mille morti nella Striscia di Gaza, arriva la dichiarazione del suo ministro della Difesa, Ehud Barak, per l'attacco alla sede dell'Unrwa nella città di Gaza. Dopo la richiesta di spiegazioni da parte del Segretario generale Onu Ban ki-moon, il ministro Barak gli avrebbe risposto che il bersagliamento della sede Onu e dell'ospedale di Gaza city - ancora in fiamme - sono state un "fatale errore", dovuto al fatto che l'esercito israeliano stava rispondendo al fuoco dei terroristi. In mattinata è giunta alla Croce Rossa Internazionale la richiesta del ministro degli Esteri Tzipi Livni affinchè si attivasse con Hamas per consentire un contatto diretto con il caporale israeliano Gilad Shalit rapito nel 2006.

15/01/2009 dal sito peacereporter.net




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ISRAELE  RITORNA ALLA GUERRA - MASSACRO A GAZA arrow_animate.gif
di Mirca Garuti

BOMBE SU GAZA arrow_animate.gif
di Cinzia Nachira

"QUELLA ISRAELIANA E’ UNA AGGRESSIONE SENZA RITEGNO”  arrow_animate.gif
di Miguel d'Escoto Brockmann, presidente dell'Assemblea Generale dell'ONU

CONDANNARE LE «DUE PARTI»: PEGGIO DEGLI ASSASSINI! arrow_animate.gif
di Michel Warschawski

UN’AGGRESSIONE PREMEDITATA arrow_animate.gif
di Gilbert Achcar

GAZA, SOLUZIONE FINALE arrow_animate.gif
di Patrizia Viglino

EPIFANIA  DI  SANGUE, A GAZA arrow_animate.gif
di Redazione “Terrasantalibera.org”




MOBILITAZIONE NELLE CITTA’ ITALIANE CONTRO IL BOMBARADAMENTO DI GAZA

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Dopo l’attacco portato da Israele ai territori di Gaza, numerose sono state le mobilitazioni nel nostro paese. Bologna, Firenze, Roma, Palermo, Torino le principali ma, anche piccoli centri o province.
Anche a Modena  il tam-tam informatico e telefonico ha portato a una forte mobilitazione proprio il 31 dicembre, ultimo giorno dell’anno 2008.

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Dalle associazioni di volontariato a partiti politici. Una necessaria risposta indignata nei confronti del governo israeliano che nulla ha a che vedere con l’appoggio indiscriminato al movimento di Hamas. Questa è stata in sintesi il principio che ha accomunato le varie organizzazioni presenti ai presidi.

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“ La mia presenza oggi in questo corteo – dichiara un attivista presente a Modena – è per esprimere solidarietà al popolo palestinese e portare a conoscenza dei cittadini la totale disinformazione rispetto a questo attacco. Hamas viene accusato di aver violato la tregua, quando in realtà Israele non ha mai rispettato l’accordo sottoscritto. Ha sempre impedito, per esempio, l’accesso ai mezzi di soccorso umanitari necessari dopo mesi di totale embargo.”

FOTO MODENA arrow_animate.gif
FOTO REGGIO EMILIA arrow_animate.gif
FOTO ROMA arrow_animate.gif


Altre riflessioni di:

TREGUA: ISRAELE INIZIA IL RITIRO


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Attorno alle due ora locale (l'una in Italia) Hamas e Jihad Islamica hanno ordinato ai propri miliziani il cessate il fuoco immediato per una settimana, chiedendo che entro questo limite di tempo l'esercito israeliano si ritiri dalla Striscia di Gaza e riapra tutti i valichi.
In un discorso trasmesso dalla televisione siriana, il numero due di Hamas, Moussa Abu Marzouk, ha annunciato che il movimento ha dichiarato: "Noi, i movimenti della resistenza palestinese, annunciamo un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza e domandiamo alle forze nemiche di ritirarsi in una settimana ed aprire tutti i valichi per permettere l'ingresso degli aiuti umanitari essenziali".
Israele inizia il ritiro parziale e riposiziona le truppe. In serata (nonostante il lancio di altri razzi sul sud di Israele) le truppe israeliane si sono ritirate dalle posizioni strategiche intorno a Gaza City per riposizionarsi vicino alla barriera di sicurezza al confine con Israele e diverse unità di fanteria e colonne di mezzi blindati l'hanno oltrepassata facendo ritorno in territorio israeliano. Il grosso delle unità impegnate nella operazione Piombo Fuso rimangono comunque nella Striscia di Gaza, in attesa di ulteriori istruzioni.
Successivamente, un portavoce dell'esercito ha confermato l'inizio di un "ritiro progressivo" dalla Striscia.

Scontri e razzi per tutta la mattina. La tregua unilaterale proclamata ieri da Israele, entrata in vigore alle due della scorsa notte, era stata violata da entrambe le parti.
Jihad Islamica questa mattina aveva rivendicato un attacco notturno dei suoi miliziani contro soldati israeliani nei pressi di Jabaliya e il successivo lancio (attorno alle nove ora locale) di almeno otto razzi Grad e Qassam su Sderot, che non hanno causato vittime. Gli elicotteri Apache israeliani erano subito entrati in azione bombardando le postazioni di lancio presso Beit Hanoun.
Sparatorie tra palestinesi e soldati israeliani erano avvenute questa mattina anche nella zona di Khuzaa, presso Khan Yunes, a sud di Gaza: un civile palestinese è morto. Era un contadino di 24 anni, di nome Abd As-Samad Abu Rejlieh.
Ancora in tarda mattinata, dalla Striscia sono stati sparati altri razzi, stavolta su Ashkelon. Non c'erano state vittime.

Trovati altri 95 cadaveri: bilancio sale a 1.300 morti. Il ritrovamento questa mattina di altri 40 cadaveri (compresi diversi bambini) sotto le macerie di alcune case bombardate da Israele a Beit Lahiya e Jabaliya fa salire a oltre 1.300 il bilancio dei morti palestinesi. Più di 5.400 i feriti.
Fino alle due di notte l'aviazione israeliana aveva continuato a bombardare la Striscia, colpendo una cinquantina di obiettivi.

Anche Abu Mazen chiede il ritiro di Israele. Ieri sera Hamas e le altre fazioni palestinesi avevano chiarito che non avrebbero rispettato il cessate il fuoco unilaterale israeliano senza il previo ritiro dell'esercito dalla Striscia e la riapertura dei valichi.
Lo stesso presidente palestinese Abu Mazen questa mattina aveva definito "insufficiente" la tregua unilaterale di Israele "senza un completo ritiro israeliano da Gaza e la riapertura dei valichi per consentire l'arrivo degli aiuti alla popolazione palestinese".
Il premier israeliano Ehud Olmert, aprendo una riunione del suo governo stamane, aveva dichiarato: "Hamas ha provato ancora oggi che la tregua è fragile e deve essere rivalutata di minuto in minuto: le nostre truppe - ha spiegato Olmert - hanno la libertà operativa di rispondere se le organizzazioni terroristiche continuano gli attacchi. Se Hamas metterà completamente fine al lancio di razzi su Israele, considereremo il ritiro dalla Striscia di Gaza, altrimenti l'esercito continuerà ad operare per proteggere i nostri cittadini".

I bulldozer hanno cominciato a rimuovere le macerie dalla strade e l'ufficio palestinese di statistica ha reso noto che i danni ammontano ad almeno 1,9 miliardi di dollari.
Radio Israele ha annunciato che lo Stato ebraico sta ritirando le forze dalle zone urbane sulla costa. Fonti politiche dicono che Israele completerà il ritiro entro domani, prima che Barack Obama giuri da presidente Usa.


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Secondo alcuni, Israele intende, infatti, richiamare tutte le truppe prima dell'ingresso ufficiale di Obama alla Casa Bianca per evitare frizioni col nuovo leader di un paese che è il suo miglior alleato

Intanto, una fonte dell'amministrazione di Hamas nella striscia di Gaza ha riferito che 5.000 case, 16 edifici governativi e 20 moschee sono state distrutte e 20.000 palazzi danneggiati.
Il re dell'Arabia saudita Abdullah ha annunciato che il regno donerà un miliardo di dollari per la ricostruzione, mentre Israele ha riaperto tre confini per garantire un ulteriore trasferimento dei beni di base al territorio che ospita un milione e mezzo di palestinesi.
Israele e Hamas hanno dichiarato separatamente un cessate-il-fuoco ieri, facendo tirare un sospiro di sollievo alle potenze occidentali che, se pubblicamente comprendevano la decisione israeliana, cominciavano ad essere allarmate per il numero delle vittime, soprattutto civili nella povera regione.
Mentre i palestinesi a Gaza contano oltre 1.300 morti e si aggirano tra ciò che resta delle loro case, il premier di Hamas ha parlato di una "vittoria popolare" contro Israele.
"Il nemico non ha raggiunto i suoi obiettivi", ha detto Ismail Haniyeh in un discorso. Secondo il gruppo militante, gli israeliani hanno ucciso 112 suoi combattenti e 180 agenti di polizia. Israele ha contato tre morti tra i civili e 10 tra i militari.
La tregua annunciata da Hamas, condizionata al ritiro di Israele entro una settimana, è stata una decisione "saggia e responsabile", ha aggiunto.
Abu Ubaida, un portavoce del braccio armato di Hamas, ha detto che "tutte le opzioni sono aperte" se Israele non soddisferà il termine per il ritiro
Israele intende comunque esercitare un forte controllo sulla ricostruzione nella Striscia di Gaza, pretendendo garanzie che nessun progetto vada a beneficio di Hamas, come hanno riferito oggi diplomatici occidentali.
In Israele l'offensiva è popolare e sembra sostenere le prospettive dei ministri degli Esteri Tzipi Livni e della Difesa Ehud Barak in vista delle elezioni del 10 febbraio.
I sondaggi di opinione preannunciano ancora una facile vittoria per il leader dell'opposizione di centrodestra Banjamin Netanyahu, che si oppose al ritiro di Israele da Gaza nel 2005 dopo 38 anni di occupazione.
19/01/09 (fonte Reuters)
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PUNIZIONI DI MASSA DEI NEMICI
(Palestinian Information Center)

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Un articolo pubblicato sabato 17 gennaio dal giornale saudita Al-Watan ha rivelato che i rabbini ebrei nell’entità sionista hanno proclamato un editto religioso che permette l’assassinio di donne e bambini palestinesi e assolve ogni Ebreo che commetta questi atti orribili. 
Secondo il giornale, i rabbini ritengono che i massacri israeliani nella Striscia di Gaza siano in linea con gli insegnamenti ebraici che considerano queste uccisioni come “punizioni di massa dei nemici”.
Il giornale aggiunge anche che uno dei rabbini ha espresso l’opinione che non vi sarebbe nessun problema nello sterminare il popolo palestinese, anche se un milione o più di loro venisse ucciso per mano delle truppe di occupazione.
Il giornale segnala che, citando versi dal Libro della Genesi, il rabbino ebreo Mordechai Elyaho – riferimento della corrente religiosa popolare nell’entità sionista – ha inviato al premier uscente Ehud Olmert una lettera settimanale contenente articoli che permettono agli Ebrei di mettere in pratica l’idea della punizione di massa contro i nemici, in accordo con l’etica della guerra nella Torah.
"Questa regola può essere applicata anche al caso di Gaza, in quanto tutti gli abitanti di Gaza sono responsabili, perché non fanno nulla per fermare il fuoco delle Brigate Al Qassam”, ha detto Elyaho nella sua lettera ad Olmert, sollecitandolo a continuare l’aggressione militare contro i Palestinesi perché “nuocere ai Palestinesi innocenti è una cosa legittima”.
E’ stato citato anche Yesrael Rozin, un altro rabbino fanatico, che ha detto che la legge della Torah autorizza l’uccisione di uomini, donne, anziani, neonati e animali (del nemico), aggiunge inoltre il giornale.Per parte sua, il rabbino Shlomo Elyaho ha sottolineato che “Se noi uccidiamo 100 dei loro ma loro rifiutano di smetterla (di lanciare razzi), allora dovremmo ucciderne 1000; e se noi uccidiamo 1000 dei loro e loro non la smettono, allora dovremmo ucciderne 10.000 e dobbiamo continuare ad ucciderli anche se arrivano ad un milione, con tutto il tempo necessario per ucciderli. I Salmi dicono: Io devo continuare a cacciare i miei nemici ed a fermarli, ed io non smetterò fino a che non li avrò completamente  finiti”, ha detto il rabbino secondo il giornale.
18.1.2009
(Traduzione a cura del Forum Palestina)



IL RACCONTO DI FIDA QISHTA
  (insegnante palestinese)

Fida Qishta, 26 anni, è nata a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Fa la giornalista free-lance, l'insegnante, la traduttrice. Da Rafah ha assistito alla devastazione prodotta dalle bombe nella città e nello spirito dei palestinesi.
"Non avevamo mai assistito ad un attacco così indiscriminato da parte di Israele. Numerose donne e bambini sono stati uccisi. Non era mai accaduto prima. Le persone che abbiamo visto in televisione, gli amici che conosciamo, la gente che abbiamo visitato in ospedale erano innocenti. Civili che non avevano alcun contatto con Hamas. E' una tragedia che suscita profonda tristezza".

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Quante persone ci sono nella casa dove ti trovi a Rafah?
Ci sono alcuni amici stranieri di diverse nazionalità, poi la mia famiglia di sette persone. Poi i parenti, che sono scappati dalle bombe. Le presenze qui variano dalle 25 a 30 persone. I miei zii e i miei cugini si trovavano nella zona vicina al confine, e le loro case sono state distrutte. Noi ci siamo trovati nella stessa situazione quattro anni fa, quando l'esercito israeliano ha distrutto la nostra casa. Ora tocca a noi aprire la nostra porta a loro. Altre persone che conosco, amici, sono stati costretti a dormire in strada nelle notti scorse. Non si fidavano neppure delle scuole dell'Onu, perchè anche lì avrebbero potuto essere un bersaglio.

Credi che l'offensiva di Israele genererà nuovo odio nelle generazioni di palestinesi che verranno? O credi che la guerra li avrà stancati a tal punto che di odio e vendetta non vorranno più saperne?
La gente di qui è la più paziente del mondo. Hanno speranza nella vita. Nonostante gli attacchi, il mio popolo è forte e vuole andare avanti. Ciò che gli israeliani hanno fatto è davvero troppo. Nessuno ha mai visto una strage del genere. Un mio amico ha avuto tutta la famiglia distrutta. Come può dimenticare? Come gli si può dire 'la vita è bella', un giorno ci sarà la pace? Queste sofferenze sono durate troppo a lungo. Non parlo delle persone che non sono state toccate dalla guerra, e sono poche, ma di quelle che hanno negli occhi la distruzione delle loro case e delle loro famiglie. Io per quattro anni sono stata costretta a scappare, di quartiere in quartiere, di casa in casa. Gli israeliani hanno distrutto la mia casa, e da allora molte cose sono cambiate anche nella mia mente. Adesso a questa gente non si può chiedere di avere speranza. Le loro ferite hanno bisogno di tempo per rimarginarsi.


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La guerra ha ucciso qualcuno dei tuoi parenti?

Sì, uno dei parenti di chi adesso vive nella mia casa è stato ucciso perchè si è rifiutato di lasciare la casa in cui viveva. Altri sono stati feriti. Ma la guerra ha ucciso soprattutto bambini. E' stata una strage degli innocenti.

Cosa risponderesti, se potessi, al primo ministro israeliano Olmert quando sostiene che la responsabilità dell'attacco militare è da attribuire ad Hamas?
La mia risposta è questa: quando la mia casa è stata distrutta nel 2004, Hamas non governava. I miei cugini sono stati uccisi nel 2002, 2003, 2004, quando Hamas non governava. Questa è la mia risposta. Gli israeliani hanno voluto attaccare. Chi vi sia al potere importa poco per loro. Quando hanno voluto fare qualcosa l'hanno fatto.
18/01/09 (da peacereporter)



LA GUERRA E’ OGNI GIORNO
Intervista con l'avvocato Lea Tzemel dell'Ong israeliana B'tselem
 
 
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Lea Tzemel è un avvocato molto noto in Israele. Non per aver vinto cause da milioni di dollari, ma per aver difeso sempre nella sua vita i palestinesi. Una spina nel fianco del sistema giudiziario israeliano, nel 1989 fonda assieme a noti giuristi, parlamentari, giornalisti ed esponenti della società civile B'Tselem, The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories, un organizzazione di tutela legale e di monitoraggio delle violazioni dei diritti umani dei palestinesi.
 
L'organizzazione B'tselem, sta lavorando a qualche azione legale particolare rispetto a quello che sta accadendo in questi giorni nella Striscia di Gaza?
Il nostro lavoro continua nello stesso modo di sempre, come prima di questo attacco e come continuerà dopo questa operazione. La situazione, terribile, non cambia. Per noi la guerra è ogni giorno. La differenza è solo che ci prepariamo a difendere le migliaia di persone che in questi giorni sono state arrestate. E' normale, ed è anche giusto, che in questi giorni tutti parlano delle vittime e dei feriti, ma nessuno sta parlando degli arresti di massa e delle conseguenti deportazioni da tutta la Striscia di Gaza.
 
C'è un settore specifico sul quale vi concentrate?
Ci muoviamo come sempre. Offrendo supporto legale ai palestinesi sia rispetto alle corti militari che rispetto alle corti civili. Anche se, negli ultimi anni, ci battiamo particolarmente contro un nuovo status introdotto dalla giurisdizione israeliana: quello di ‘combattente illegale'. E' una differenza importante, perché questi prigionieri, rispetto ai prigionieri di guerra, vengono sottratti alla applicazione della Convenzione di Ginevra. Esattamente quello che è accaduto con la base di Guantanamo per gli Stati Uniti. L'applicazione di questa legge permette di detenere un prigioniero per lungo tempo, senza assistenza legale e senza processo. Allo stesso tempo, puntando alla giurisdizione internazionale, lavoriamo sulla possibilità di trascinare il governo d'Israele in giudizio per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Sia a livello di responsabilità individuali che collettive. Non siamo soli in questa battaglia, possiamo contare sull'appoggio di tante organizzazioni che si battono per il rispetto dei diritti umani. E continueremo a lottare sia in Israele che in campo internazionale. Credo che, alla fine, ce la faremo.
 
Crede che, nell'amministrazione della giustizia in Israele, esista un problema di fondo legato alla considerazione dei diritti dei palestinesi? Com'è possibile che uno stato democratico arresti dei ministri di un governo che non è gradito? Ministri che sono espressione di un governo che ha vinto libere elezioni, come ha fatto Hamas?
Il problema é che Israele non si pone in modo democratico verso i palestinesi. Alle violazioni dei loro diritti che tutti conoscono e che vengono denunciate da associazioni come la nostra, si affianca una visione della società palestinese che non é democratica nel suo insieme. Come se Israele, da occupante, si arrogasse il diritto di decidere cosa è meglio per i palestinesi setti. Una sorta di approccio coloniale. Le elezioni vinte da Hamas, piaccia o no, sono state legali e trasparenti, come ammesso dalla stessa comunità internazionale. Israele non ha accettato queste elezioni, come se fosse un suo diritto scegliere chi doveva vincere. Questo è una negazione totale dei diritti di un popolo di esprimersi liberamente sulla sua vita e sulla sua forma di governo.
 
Questo accade, però, anche perché c'è una sostanziale accettazione della società israeliana rispetto a questo atteggiamento del governo verso i palestinesi? Perché questo succede?
Nella società israeliana c'è un diffuso sostegno alle politiche antidemocratiche del governo. Il bersaglio sono i palestinesi, non loro. C'è un sentimento diffuso di amor patrio, distorto e confuso, ma molto generalizzato. Un legame molto forte, anche con le forze armate di questo Paese. Un sentimento diffuso che nasce da un irrazionale paura degli arabi. Questo conflitto è simile a quello tra le truppe coloniali inglesi e gli indiani. I palestinesi non hanno alcuna possibilità materiale di distruggere Israele, ma un forte sentimento di paura è stato diffuso nella popolazione. E la popolazione accetta con entusiasmo questo regime di apartheid imposto agli arabi, perché lo percepisce come l'unico modo per sopravvivere. Non è un caso che le politiche nei confronti dei palestinesi siano il perno delle campagne elettorali in questo Paese. Quindi va bene anche questa mentalità fascista, che permette a una società di sentirsi al sicuro.
 
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Ma chi è il colpevole di questa percezione errata del concetto di sicurezza?
Oh, è difficile rispondere a questa domanda...chi è il colpevole? Tutti! Tutti quelli che sostengono azioni criminali come la costruzione del muro. I media israeliani, la classe politica, ma anche gli Stati Uniti e gli stati europei che non prendono posizione. Alcuni pensano che non è stato sempre così, ma non credo che sia vero. Spesso la società israeliana ha reagito in base ai risultati di un attacco, non in base al fatto che non fosse giusto attaccare qualcuno. E' diverso. Si rimprovera allo stato di aver perso troppi uomini, o di non aver adottato la giusta strategia. Ma sono davvero pochi quelli che contestano la violenza come strumento della politica d'Israele.

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Tutti parlano di guerra adesso, ma spesso si dimentica che Gaza vive da più di un anno sotto assedio.
Sono d'accordo. Il numero di vittime civili crea indignazione, ma tenere per mesi una popolazione di un milione e mezzo di persone in una condizione disumana, senza pane e senza medicine, è un crimine immondo. Ancora una volta, però, viene strumentalmente usata la paura dei razzi come chiave per portare l'opinione pubblica a sostenere operazioni come questa. Intere famiglie sono state spazzate via, adesso con le armi, prima affamandoli. Questo è quello che accade, ma si parla dello choc dei cittadini di Sderot, non delle madri palestinesi che tengono i cadaveri in casa perché non possono uscire. Come fosse la stessa cosa.

Pensa che con il suo lavoro e quello della sua associazione, prima o poi, riuscirà a cambiare qualcosa nel sistema giudiziario israeliano?
Il sistema legale israeliano è parte fondante del sistema, distorto della sicurezza di questo Paese. L'unica soluzione è nel sistema legale internazionale, ma le protezioni delle quali gode Israele rallentano questo processo di democratizzazione del sistema legale israeliano. Un sistema giudiziario è espressione di un sistema culturale, e il problema in Israele per il rispetto dei diritti umani dei palestinesi è in primis culturale. Le confesso che non ho alcuna speranza che questo cambi, se non in un tempo molto lungo. Noi lottiamo all'interno di un sistema, cercando le faglie di una griglia antidemocratica. Ma siamo pochi a lottare in questo senso. Ricordo ancora che nel 1967, mentre il mio Paese occupava le terre di persone innocenti, c'erano festeggiamenti in tutto il Paese. Questa è la realtà, ed in questo sistema bisogna continuare a resistere.
16/01/09 da Peacereporter.net
 
 
 
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'AVVOLTOI E CACCIATORI DI TAGLIE'
Vittorio Arrigoni a Gaza

 

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Dal mare non più i suoi generosi frutti, nulla dell'amore per i suoi flutti che rispecchiano il cielo, solo la morte portata in dote da navi da guerra che arano il suo spettro liquido. Del mare proviamo a fare ancora corridoio salvifico, una breccia su questa terra martoriata, confiscata e imprigionata, stuprata in ogni suo palmo, ridotta ad un cimitero per salme che non trovano riposo. Da qualche giorno anche i funerali sono diventati target di attacchi dell'aereonautica israeliana, come se i palestinesi uccisi meritassero un'ulteriore punizione anche da morti. Se un corridoio umanitario stenta a schiudersi per venire in soccorso ad una popolazione ridotta allo stremo delle forze, ci penserà la "spirit of humanity," una delle nostre barche targata Free Gaza Movement. Salpata oggi da Larnaca, Cipro, cercherà di condurre sino al porto di Gaza oltre a tonnellate di medicinali una quarantina fra dottori, infermieri, giornalisti, parlamentari europei, attivisti per i diritti umani, rappresentanti 17 diverse nazioni. Esseri veramenti umani, come me, come i tanti in Italia che mi testimoniano la loro indignazione, disposti a rischiare la vita piuttosto che continuare a restare seduti e ignavi nel salotto buono di casa, dinnanzi ad un televisore che rimanda solo una minima parte del massacro che ci sta affliggendo.


 Il 27 dicembre i miei amici ci provarono con la "Dignity", furono attaccati dalla marina israeliana che tentò di affondarli, lanciato l' SOS dovettero rifugiare in Libano coi motori in avaria e una falla nello scafo. Per puro caso non ci furono feriti gravi in quell'occasione, ci auguriamo che domani siano rispettate le loro vite e i diritti umani. Ci sono terribili catastrofi naturali a questo mondo, come terremoti e uragani, inevitabili. A Gaza è in corso una catastrofe umanitaria innaturale perpetrata da Israele ai danni di un popolo che vorrebbe ridotto alla più completa miseria, sottomissione. Una popolazione disperata che non trova più il pane e il latte per nutrire i suoi figli. Che non piange neanche più i suoi lutti perchè anche agli occhi è stata imposta una ferrea dieta. Il mondo intero non può ignorare questa tragedia, e se lo fa, non includeteci in questo mondo.  Ogni giorno invochiamo forze che governano sopra di noi affinchè fermino questo genocidio in corso, per domani mattina chiediamo solo che la nostra piccola imbarcazione approdi a Gaza con il suo carico di compassione, pace, amore, empatia, che a tutti i palestinesi siano concessi gli stessi diritti di cui godono gli israeliani, e qualsiasi altro popolo del pianeta. Il mare come ancora di speranza, il mare come meta di distruzione. Secondo l'agenzia di stampa Ma'an, e la Reuters conferma, gli Stati Uniti stanno per rifornire di 300 tonnellate di armi Israele, tramite due navi cargo in partenza dalla Grecia. Armi e una grande quantità di esplosivo e detonatori, tutto il necessario per spianare la Striscia da migliaia delle sue abitazioni. Sono già 120 mila gli sfollati da Gaza a Jabalia, ma i più, compresi diversi miei amici non si sono mossi, non sanno dove rifugiarsi. Giornalisti, dottori e becchini. Sono le professioni che lavorano di più qui a Gaza, senza sosta ormai da 16 giorni. Gli avvoltoi, oltre i caccia bombardieri preoccupano e fomentano disprezzo, specie quelli che fino a ieri sedevano sulla stessa sedia del compianto Arafat, e ora anelano a venire a riprendersi il trono sulle ceneri di quel che di Gaza sarà. Siamo giunti a 923 vittime, 4150 i feriti, 255 i bambini palestinesi orribilmente trucidati. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Gira voce che Olmert avrebbe fatto sapere ai suoi che il raggiungimento di 1000 vittime civili è il termine ultimo per arrestare questa brutale offensiva infanticida. Un pò come succede alla Vucciria di Palermo, dove i quarti di manzo goccialano sangue all'aperto, e si contratta la carne un tanto al chilo. Le apparizioni di Ismail Haniyeh sullo schermo sono seguitissime dai palestinesi della Striscia. Non si può parlare di tregua senza contemporaneamente prefissare una fine dell'assedio. Continuare ad assediare una Gaza ridotta in macerie, non permettere il confluire di viveri e medicinali, impedire la fuoriuscita di malati e di feriti, significa condannarla ad una più lunga agonia. Questo il sunto delle parole del leader di Hamas, pronunciate stasera da un bunker chissà dove sottoterra, che fanno breccia nell'opinione pubblica gazawi. Il discorso di un leader che avrebbe potuto fuggire a ripararsi altrove, e invece è rimasto qui a prendersi le bombe in testa come chiunque altro. Queste mie prose odierne sono state troncate sul nascere, dalla solita telefonata intimidatoria che ordina l'evacuazione prima di un bombardamento. Mi trovo nel palazzo dove risiedono i principali media internazionali, fra gli altri, Al Jazeera, Ramattan e Reuters. Abbiamo dovuto staccate i pc dalle pareti, precipitarci giù per le scale e riversarci in strada, dove con gli occhi incollati al cielo cerchiamo di scorgere da dove giungerà il fulmine distruttivo. Questa notte non ci saranno telecamere e reporters a documentare il massacro di civili, aleggia il fondato sospetto che le vittime innocenti saranno più del solito. Ancora per strada fisso Alberto e gli strizzo un occhio, si avvicina e gli sussurrò in un orecchio se ritiene plausibile che le telefonata intimidatoria sia stato un segnale per noi due soli, dopo la scoperta di un sito statunitense di estrema destra che ci ha messo una taglia sulla testa: "ALLERTARE I MILITARI DELL'IDF PER COLPIRE L'ISM Numero da chiamare se localizzate i covi di Hamas con i membri dell'ISM. Dall'America chiamate 011-972-2-5839749. Da altri paesi non digitare lo 011. Aiutateci a neutralizzare l'ISM, che è ormai parte integrante di Hamas sin dall'inizio della guerra. BERSAGLIO ISM #1 PER LE FORZE AEREE ISRAELIANE E TRUPPE DI TERRA DELL'IDF: INVITO ALL'OMICIDIO DI VITTORIO ARRIGONI (FOTO SOTTO) CHE ATTUALMENTE ASSISTE HAMAS A GAZA.". Dal sito "stoptheism.com". Non prendetevi la briga di visitarlo nè tanto meno di linkarlo ai vostri siti. E una testimonianza sociologica da tramandare ai posteri. Analizzando questi tempi, il futuro pronuncerà la sua sentenza inappellabile, di come l'odio fosse il sentimento più puro, e il livore verso il diverso muovesse eserciti e fosse il collante di intere masse di uomini,. Non è necessario che i miei detrattori e chi mi vorrebbe martire compongano quel numero, l'esercito israeliano sa benissimo dove trovarmi anche stanotte, sto sopra le ambulanze dell'ospedale Al Quds in Gaza city. Restiamo umani.
14/01/09 da Infopal

N.B. La Spirit of Humanity è stata circondata, a 100 miglia al largo delle coste di Gaza, da cinque navi da guerra israeliane, minacciando l'equipaggio. Le navi sono state costrette a  comunicare via radio a Spirit chiedendo di fare dietrofront, altrimenti avrebbero "aperto il fuoco e sparato".
La Spirit sta facendo ritorno verso Cipro.
Le minacce israeliane contro una nave con a bordo civili disarmati costituiscono una violazione del diritto marittimo internazionale e della Convenzione Onu sul diritto marittimo, che afferma che "le acque internazionali devono essere destinate a scopi pacifici".
15/01/09



DUE ORE ALL'INFERNO
Luisa Morgantini *

Poco più di due ore ma sono bastate per vedere la distruzione e la desolazione della gente di Gaza. Con 8 parlamentari europei e un senatore del Pd, siamo stati gli unici rappresentanti politici ad essere entrati nella Striscia da quando è iniziato l'attacco israeliano.

Siamo entrati attraverso il valico di Rafah grazie alla indispensabile collaborazione dell'Unrwa e delle autorità egiziane e forzando la volontà di quelle israeliane che hanno respinto la nostra richiesta. Colpi di cannone e bombe sono cadute vicino la sede dell'Onu in cui ci trovavamo, malgrado ci fosse una tregua di tre ore. Non rispettata. Così come la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, respinto da Israele e da Hamas.
«Tutti e due si dichiareranno vincitori ma siamo noi a morire»: è un uomo accasciato nel centro di raccolta degli sfollati dell'Onu, che ci parla. Responsabilità di Hamas, ma l'asimmetria, è innegabile. Israele continua da più di 40 anni ad occupare e colonizzare terra e popolo palestinese, con la forza militare e la violazione del diritto umanitario e internazionale: a Rafah ho visto esseri umani logorati dal terrore sfiniti dall'insonnia per due settimane di duri bombardamenti, di ricerche disperate di cadaveri tra le macerie e una fame antica quanto l'embargo che anche prima dell'operazione «Piombo fuso» soffocava e costringeva in una punizione collettiva i civili di Gaza. Sono attaccati dal cielo, dalla terra, dal mare, nessuno e niente può dirsi al sicuro.
Ed è la prima volta che persone bombardate non hanno dove fuggire, le frontiere sono chiuse, aspettano di morire. È ciò che mi ha detto Raed: «Ogni volta prima di cercare di dormire, bacio mia moglie sperando di ritrovarla il giorno dopo e di non morire sotto le bombe». Orrore e impunità: la scuola dell'Unrwa di Jabalia è stata centrata in pieno da un missile da dove non sparavano i miliziani di Hamas e lì sono morti 45 civili. Gli obitori sono stracolmi di cadaveri come le corsie di feriti con ustioni gravi provocate dal fosforo bianco e dalle armi Dime (sperimentali), usate in Libano - l'ammissione è di parte israeliana. Un medico ci dice che i malati cronici non vengono più curati: non ci sono medicine. A Gaza le madri assiepate a decine con i loro bambini in una piccola stanza ci guardavano disperate, con gli occhi persi nel vuoto, ci mostravano i figli ancora feriti e ci chiedevano «Perché?». L'Unrwa denuncia la mancanza di beni base necessari.
Israele non permette il flusso necessario di aiuti. Ma nulla e nessuno è al riparo dalla scelta di Israele di continuare nell'illegalità. Mentre si bombarda Gaza aumentano i coloni illegali in Cisgiordania e cresce il Muro che confisca terre e divide palestinesi da palestinesi. Continuare a tenere viva la speranza per il diritto ad uno Stato, sui confini del '67 con Gerusalemme capitale condivisa, è sempre più difficile. Come far assumere alla Comunità Internazionale le proprie responsabilità? Come far cessar il fuoco subito? Come convincere Israele che non può continuare a violare la legalità internazionale ma che deve iniziare ad ascoltare al suo interno le voci che chiedono pace, diritti e dignità per il popolo palestinese, unica via per la propria sicurezza? L'Unione Europea deve avere il coraggio e la coerenza di fermare il potenziamento delle relazioni e cooperazione con Israele, sopratutto quella militare.
Noi parlamentari europei lo chiederemo ancora una volta, insieme al cessate il fuoco da tutte e due le parti e a forze internazionali per proteggere i civili non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. E mi auguro che in Italia i movimenti sappiano capire che essere uniti è importante e che non si è per Israele o per la Palestina, ma per il diritto e la giustizia. Io continuo a stare con quei palestinesi ed israeliani che dicono «ci rifiutiamo di essere nemici - fermate il massacro - basta con l'occupazione».
*Vice Presidente del Parlamento Europeo
 14/01/09
Luisa Morgantini 0039 348 39 21 465; Office 0039 06 69 95 02 17;
luisa.morgantini@europarl.europa.eu;
 


LETTERA APERTA AL MONDO DEL PACIFISMO ITALIANO
Di Elvio Arancio (*)

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Sabato prossimo, 17 gennaio, ad Assisi  uomini e donne del pacifismo italiano in corteo chiederanno che cessi immediatamentee il conflitto nella Striscia di Gaza, motivazione che ritengo fondamentale. Lo spirito che muove questa importante iniziativa vuole lo sventolio di bandiere della pace e della nonviolenza a fianco di quelle della Palestina e d’Israele. Pur rispettando e apprezzandone la volontà, suppongo possa essere un errore. Proverò a spiegarne le ragioni.
Nel contesto di quanto sta accadendo alla popolazione di Gaza, ritengo e auspico che non si perda mai di vista, tanto meno da chi desidera la pace e suppongo il rispetto del diritto e della giustizia, quale è il progetto dello stato sionista: l'annientamento del popolo palestinese. Lo dicono i fatti, la storia, le dichiarazioni dei suoi politici, il furto costante di terra, il ruolo americano e quello delle lobby, il 50% dei bambini palestinesi morti in questi anni colpiti alla testa, l'uso di armi vietate, insomma tutte le sue variegate forme feroci di violenza sionista. Quindi sostenere, come alcuni ambienti del pacifismo fanno, che Hamas è violento per cui non ha diritto alla solidarietà, è inaccettabile: Hamas, al di là della propaganda mediatica al servizio dei fautori dello scontro di civiltà, rappresenta i palestinesi, almeno quelli di Gaza.
Stare dalla parte delle vittime, pur non condividendone i sistemi di lotta, significa far sentire la propria vicinanza, solidarietà e aiutarli ad adottare la nonviolenza attiva contro l’arrogante strapotere dello Stato ebraico. Incoraggiarli ad adottare questa forma di lotta, più etica ed efficace, perché conferirebbe maggior forza alla loro causa e ne dimostrerebbe la verità, alimentando il consenso e l’appoggio della comunità internazionale. La tesi che attribuisce a questo movimento la rottura della tregua è falsa. Come ha dichiarato anche la CNN, è Israele che ha mancato di rispettarla protraendo l'embargo illegale e gli attacchi contro i palestinesi, nonostante gli accordi di giugno ne prevedessero la fine in cambio della cessazione del lancio di razzi. Chi conosce la realtà palestinese sa che il presidente Abu Mazen ha già dimostrato la sua inadeguatezza nel difenderne la causa e non gode della fiducia della popolazione. La scelta dei palestinesi per il proprio governo è stata espressa con elezioni democratiche nel gennaio 2006. Credo vada riconosciuto il loro diritto all’autodeterminazione e rifiutato il fatto che Israele ed i suoi alleati occidentali (quindi, incluso il mondo del pacifismo) possano influenzarlo con alcuna forma di colonialismo. L’aggressione militare israeliana dimostra, semmai, che Hamas è l’ostacolo al progetto sionista di annientare il popolo palestinese. Da anni il furto della terra, la povertà indotta, l’impedimento ad accedere alle cure mediche, il controllo delle risorse idriche, le mistificanti campagne mediatiche, l’edificazione del Muro, le continue umiliazioni, gli omicidi mirati, le stragi indiscriminate sono stati condotti sistematicamente con l’obiettivo della deportazione oltre i confini auspicati da Israele.
Attraverso la resistenza del popolo palestinese e mediante la solidarietà internazionale è possibile fermare questa strategia. Invito tutti coloro che hanno a cuore la pacificazione del pianeta, di considerare come la persecuzione dei palestinesi non avrebbe luogo al di fuori del piano di egemonia politica, economica, culturale e militare degli Stati Uniti.  
Semmai chiediamoci quali responsabilità ha l'opinione pubblica occidentale, quindi anche noi dell'universo nonviolento, a lasciare che un'intera popolazione venga assediata per due, 2, anni, nel disinteresse generale? Giustamente siamo sostenitori da sempre che ognuno ottiene per sé la sicurezza e i diritti che dà al proprio vicino, allora se un popolo e non banalmente, genericamente Hamas (sempre più sostenuto dalla sua gente), si è ridotto, a lanciare petardi pericolosi (non armi sofisticate e distruttive) confidando che facciano danni, per essere ricordato, vi chiedo di nuovo: quali responsabilità abbiamo tutti noi pacifisti in questo schifosissimo pianeta?
Attenti alla propaganda mediatica. Se il mondo della nonviolenza non sa stare con chi è umiliato e massacrato quotidianamente e al primo razzo qassam, punta il dito giudicante e "imparziale", che lo si capisca o no, sostiene il gioco dei carnefici.
Aiutare i contendenti significa  rendere eguali, mettere sullo stesso piano i diritti e la giustizia di entrambi? La priorità è preoccuparsi di mantenersi vicino/distante dalle parti, perché genericamente  ambedue  violente? Il desiderio di una prassi nonviolenta è promuovere la verità come Gandhi insegna e non credo implichi, necessariamente, l'ipocrisia e la prudenza sterile quanto insopportabile. Il nostro impegno dovrebbe essere quello di affermare che c'è un'ingiustizia perpetrata da 60 anni e che non si può più sopportare. Dovremmo essere accanto, supportare la causa delle vittime e suggerire loro nuove forme di lotta nonviolenta, questo credo sia una prassi politica corretta, coraggiosa, nonviolenta, che non pone distanze inique.Quando per sostenere la propria contrarietà alla guerra si assumono queste "igieniche" posizioni, si escludono l'onesta testimonianza, la dignità del diritto e il valore della  giustizia. Era così attento, prudente, equidistante Gandhi, che amava tutti, nel sostenere il suo grande messaggio? Credo si debba essere più coraggiosi e sinceri nella critica dello Stato ebraico senza che si subisca l'atroce ricatto dell'antisemitismo. Auspico una maggior libertà di giudizio, scevro da ogni senso di colpa più o meno inconscio. Oppure dobbiamo aspettare secoli di psicoterapia su larga scala per rinsavire?
I pacifisti nonviolenti possono esercitare un ruolo essenziale in un conflitto, in quanto possono aiutare i contendenti ad avere occhi supplementari rispetto ai propri, spesso accecati nello scontro: siamo sicuri che lo si debba fare riconoscendo a Israele il diritto sempre più anacronistico e privilegiato di esistere come Stato ebraico che pratica l'Apartheid? Perché deve suonare come una bestemmia affermare che la soluzione 2 stati per 2 popoli non risponde ai diritti dei palestinesi e che, anche volendo, oggi non esistono più le condizioni per l'esistenza di due stati? (Israele ne ha eliminato ogni condizione fisica, territoriale, economica, logistica). Perché non è possibile sperare in uno Stato laico, dove ebrei, cristiani, musulmani, bahai, atei, chiunque ne abbia diritto, possano vivere insieme? Senza cacciare nessuno in mare o su Marte. Questo è il problema dei problemi, la ragione di tutto il male e aggiungo, anche la possibile causa di una nuova Shoah. Nessuno lo vuole, neppure Hamas che ha più volte ribadito negli anni che il problema non sono gli ebrei, ma l'occupazione, l'oppressione, la pulizia etnica del popolo di Palestina.
Hamas ha proposto più volte una tregua decennale e anche più lunga, in cambio dei territori del '67, ma Israele non l'ha mai considerata. Possiamo aiutare ebrei e palestinesi con il coraggio della verità, del diritto, non con l'equidistanza/vicinanza pilatesca. Nel Vangelo il protagonista è Gesù non Ponzio Pilato. Quale limpida analisi dovrebbe essere quella per cui, essendoci state nei secoli le persecuzioni antiebraiche e la Shoah, a pagarne le conseguenze, dopo 60 anni, debbano essere ancora i palestinesi? Perché accettare come un dogma eterno l'esistenza di uno Stato che è stato fondato sull'inganno e la violenza genocida? Perché non si può pensare diversamente? A me non sembra  possibile una solidarietà effettiva col popolo  palestinese che sia anche solidarietà effettiva con Israele. Noi, al caldo e sazi, chiediamo ai palestinesi, di essere degni della nostra solidarietà, che siano nonviolenti e sventolino le bandiere di chi li massacra,  sinceramente mi sembra molto ingiusto...
(*) Elvio Arancio, artista e musulmano sufi, è direttore del Centro studi europei Ibn Sina, e nostro redattore per il tema "Resistenza nonviolenta".
14/01/09 da Infopal



LA FURIA SACRIFICALE DI ISRAELE E LE SUE VITTIME A GAZA 
di Ilan Pappe * 

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La mia visita di ritorno a casa in Galilea è coincisa con l’attacco genocida israeliano contro Gaza. Lo stato, attraverso i suoi media e con l’aiuto del mondo accademico, ha diffuso una voce unanime - persino più forte di quella udita durante l’attacco criminale contro il Libano nell’estate del 2006. Israele è ancora una volta divorata da una furia sacrificale che traduce in politiche distruttive nella Striscia di Gaza.
Questa autogiustificazione spaventosa per l’inumanità e l’impunità non è soltanto sconcertante, ma è un argomento sul quale soffermarsi se si vuole comprendere l’immunità internazionale per il massacro che infuria a Gaza. E’ anzitutto fondata su bugie pure e semplici trasmesse con una neolingua che ricorda i giorni più bui dell’Europa del 1930. Ogni mezz’ora un bollettino d’informazioni su radio e televisione descrive le vittime di Gaza come terroristi e le uccisioni di centinaia di persone come un atto di autodifesa. Israele presenta sé stessa al suo popolo come la vittima sacrificale che si difende contro un grande demonio.
Il mondo accademico è reclutato per spiegare quanto demoniaca e mostruosa è la lotta palestinese, se è condotta da Hamas. Questi sono gli stessi studiosi che demonizzarono l’ultimo leader palestinese Yasser Arafat nel primo periodo e delegittimarono il suo movimento Fatah durante la seconda intifada palestinese. Ma le bugie e le rappresentazioni distorte non sono la parte peggiore di tutto questo.
Quello che indigna di più è l’attacco diretto alle ultime tracce di umanità e dignità del popolo palestinese. I palestinesi di Israele hanno mostrato la loro solidarietà con il popolo di Gaza e ora sono bollati come una quinta colonna nello stato ebraico; il loro diritto a restare nella loro patria viene rimesso in dubbio data la loro mancanza di sostegno all’aggressione israeliana.
Coloro che hanno accettato - sbagliando, secondo la mia opinione, di apparire nei media locali sono interrogati e non intervistati, come se fossero detenuti nelle prigioni dello Shin Bet. La loro apparizione è preceduta e seguita da umilianti rilievi razzisti e sono sottoposti all’accusa di essere una quinta colonna, un popolo fanatico e irrazionale. E ancora questa non è la pratica più vile. Ci sono alcuni bambini palestinesi dei Territori Occupati curati per cancro negli ospedali israeliani. Dio sa quale prezzo devono pagare le loro famiglie per poterli ricoverare. La radio israeliana va ogni giorno negli ospedali per chiedere ai poveri genitori di dire agli ascoltatori israeliani quanto è nel suo diritto Israele nel suo attacco e quanto demoniaco sia Hamas nella sua difesa.
Non ci sono confini all’ipocrisia che una furia sacrificale produce. I discorsi dei generali e dei politici si muovono in modo erratico tra gli autocompiacimenti da un lato sull’umanità che l’esercito mostra nelle sue operazioni “chirurgiche” e dall’altro sulla necessità di distruggere Gaza una volta per tutte, naturalmente in un modo umano. Questa furia sacrificale è un fenomeno costante nella espropriazione israeliana, e prima ancora sionista, della Palestina. Ogni azione, sia essa la pulizia etnica, l’occupazione, il massacro o la distruzione è stata sempre rappresentata come moralmente giusta e come semplice atto di autodifesa commesso da Israele suo malgrado nella guerra contro la peggior specie di esseri umani. Nel suo eccellente volume “I risultati del sionismo: miti, politiche e cultura in Israele”, Gabi Piterberg esamina le origini ideologiche e la progressione storica di questa furia. sacrificale.

Oggi in Israele, dalla destra alla sinistra, dal Likud a Kadima, dall’accademia ai media, si può ascoltare questa furia sacrificale di uno stato che è molto più indaffarato di qualsiasi altro stato al mondo nel distruggere e nell’espropriare una popolazione nativa. E’ molto importante esaminare le origini ideologiche di questo modo di comportarsi e derivare, dalla sua larga diffusione, le conclusioni politiche necessarie. Questa furia sacrificale costituisce uno scudo per la società e per i politici in Israele da ogni biasimo o critica esterna. Ma ancora peggio, si traduce sempre in politiche di distruzione contro i palestinesi. Senza nessun meccanismo interno di critica e senza nessuna pressione esterna, ogni palestinese diventa un obiettivo potenziale di questa furia. Data la potenza di fuoco dello stato ebraico può soltanto finire in più massicce uccisioni, massacri e pulizia etnica.


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L’assenza di una qualsiasi moralità è un potente atto di auto-negazione e di giustificazione. Ciò spiega perché la società israeliana non può essere modificata da parole di saggezza, di persuasione logica o di dialogo diplomatico.

E se non si vuole usare la violenza come mezzo di opposizione, c’è soltanto un modo per andare avanti: sfidare frontalmente questa assenza di moralità come una ideologia diabolica tesa a nascondere atrocità umane. Un altro nome per questa ideologia è Sionismo e l’unico modo di contrastare questa assenza di moralità è il biasimo a livello internazionale del sionismo, non solo di particolari politiche israeliane.
Dobbiamo cercare di spiegare non solo al mondo, ma anche agli stessi israeliani che il sionismo è un’ideologia che comporta la pulizia etnica, l’occupazione e ora massicci massacri.
Ciò che occorre ora non è tanto una condanna del presente massacro. ma anche la delegittimazione dell’ideologia che ha prodotto tale politica e la giustifica moralmente e politicamente. Speriamo che importanti voci nel mondo possano dire allo stato ebraico che questa ideologia e il comportamento complessivo dello stato sono intollerabili e inaccettabili e che, sino a quando persisteranno, Israele sarà boicottato e soggetto a sanzioni. Ma non sono ingenuo. So che anche il massacro di centinaia di innocenti palestinesi non sarà sufficiente per produrre questa modificazione nella pubblica opinione occidentale; è anche più improbabile che i crimini commessi a Gaza muovano i governo europei a mutare la loro politica nei confronti della Palestina.
Ma noi non possiamo permettere che il 2009 sia un altro anno, meno significativo del 2008, l’anno di commemorazione della Nakba, che non sia riuscito a realizzare le grandi speranze che noi tutti avevamo, per la sua potenzialità, di trasformare il comportamento del mondo occidentale verso la Palestina e i palestinesi. Pare che persino il più orrendo dei crimini, come il genocidio a Gaza, sia trattato come un evento separato, non connesso con nulla di ciò che è già avvenuto nel passato e non associato ad una ideologia o a un sistema.

In questo nuovo anno, noi dobbiamo tentare di riposizionare l’opinione pubblica nei confronti della storia della Palestina e dei mali dell’ideologia sionista come i mezzi migliori sia per spiegare le operazioni genocide come quella in corso a Gaza sia per prevenire cose peggiori nel futuro.
Questo è già stato fatto, a livello accademico. La nostra sfida maggiore è quella di trovare un modo efficace di spiegare le connessioni tra l’ideologia sionista e le politiche di distruzione del passato con la crisi presente. Può essere più facile farlo mentre, in queste terribili circostanze, l’attenzione mondiale è diretta ancora una volta verso la Palestina.
Potrebbe essere ancora più difficile quando la situazione sembra essere “più calma” e meno drammatica.
Nei momenti “di quiete”, l’attenzione di breve durata dei media occidentali metterebbe ai margini ancora una volta la tragedia palestinese e la dimenticherebbe sia per gli orribili genocidi in Africa o per la crisi economica e per gli scenari ecologici apocalittici nel resto del mondo.
Mentre i media occidentali non sembrano molto interessati alla dimensione storica, soltanto attraverso una valutazione storica si può mostrare la dimensione dei crimini commessi contro i palestinesi nei sessanta anni trascorsi. Perciò il ruolo degli studiosi attivisti e dei media alternativi sta proprio nell’insistere su questi contesti storici. Questi attori non dovrebbero smettere di educare l’opinione pubblica e, si spera, di influenzare qualche politico più onesto a guardare ai fatti in una prospettiva storica più ampia.
Allo stesso modo, noi possiamo essere in grado di trovare un modo più adeguato alla gente comune, distinto dal livello accademico degli intellettuali, per spiegare chiaramente che la politica di Israele - nei sessanta anni trascorsi - deriva da un’ideologia egemonica razzista chiamata sionismo, difesa da infiniti strati di furia sacrificale.
Nonostante l’accusa scontata di antisemitismo e cose del genere, è tempo di mettere in relazione nell’opinione pubblica l’ideologia sionista con il punto di riferimento storico e ormai familiare della terra: la pulizia etnica del 1948, l’oppressione dei palestinesi in Israele durante i giorni del governo militare, la brutale occupazione della Cisgiordania e ora il massacro di Gaza. Come l’ideologia dell’apartheid ha spiegato benissimo le politiche di oppressione del governo del Sud-Africa, questa ideologia – nella sua variante più semplicistica e riflessa, ha permesso a tutti i governi israeliani, nel passato e nel presente, di disumanizzare i palestinesi ovunque essi fossero e di combattere per distruggerli.

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I mezzi sono mutati da un periodo all’altro, da un luogo all’altro, come ha fatto la narrazione che ha nascosto queste atrocità. Ma c’è un disegno chiaro che non può essere solo fatto oggetto di discussione nelle torri d’avorio accademiche, ma deve diventare parte del discorso politico nella realtà contemporanea della Palestina di oggi. Alcuni di noi, in particolare quelli che si dedicano alla giustizia e alla pace in Palestina, inconsciamente evitano questo dibattito, concentrandosi, e questo è comprensibile, sui Territori Palestinesi Occupati (OPT) - la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Lottare contro le politiche criminali è una missione urgente.

Ma questo non dovrebbe trasmettere il messaggio che le potenze occidentali hanno adottato volentieri su suggerimento israeliano, che la Palestina è soltanto la cisgiordania e la Striscia di Gaza e che i palestinesi sono solo la popolazione che vive in quei territori. Dovremmo estendere la rappresentazione della Palestina geograficamente e demograficamente raccontando la narrazione storica dei fatti dal 1948 in poi e richiedere diritti civili e umani eguali per tutte le persone che vivono, o che erano abituati a vivere, in quella che oggi è Israele e i Territori Occupati.
Ponendo in relazione l’ideologia sionista e le politiche del passato con le atrocità del presente, noi saremo in grado di dare una spiegazione chiara e logica per la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Sfidare con mezzi non violenti uno stato ideologico che si autogiustifica moralmente, che si permette, con l’aiuto di un mondo silenzioso, di espropriare e distruggere la popolazione nativa di Palestina, è una causa giusta e morale.
E’ anche un modo efficace di stimolare l’opinione pubblica non soltanto contro le attuali politiche genocidarie a Gaza, ma, si spera, anche a prevenire future atrocità. Ancora più importante di ogni altra cosa ciò dovrebbe far sfiatare la furia sacrificale che soffoca i palestinesi ogni volta che si gonfia. Ciò aiuterà a porre fine alla immunità dell’occidente a fronte dell’impunità di Israele. Senza questa immunità, si spera che sempre più la gente in Israele cominci a vedere la natura reale dei crimini commessi in loro nome e la loro furia potrebbe essere diretta contro coloro che hanno intrappolato loro e i palestinesi in questo ciclo non necessario di massacri e violenza.

*Ilan Pappe (http://ilanpappe.com http://electronicintifada.net) insegna nel Dipartimento di storia dell’Università di Exeter, Inghilterra

"Righteous fury" è stato tradotto in furia sacrificale al posto della traduzione letterale furia giusta o furia santa o furia giustificabile - ndt). ISM-Italia - info@ism-italia.it Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo - www.ism-italia.it
12/01/09

 


LA VERA STORIA DEL "COLPO DI STATO" DI HAMAS 
Gareth Porter*


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Fino alla metà del 2007 vi furono seri ostacoli politici ad una guerra convenzionale su vasta scala da parte di Israele contro Hamas a Gaza: il fatto che Hamas avesse vinto delle elezioni libere ed imparziali per la definizione del nuovo parlamento palestinese, e che fosse ancora il partito dominante all’interno di un governo pienamente legittimo, rappresentava l’ostacolo principale.
L’amministrazione di George W. Bush aiutò Israele ad eliminare questo ostacolo, provocando intenzionalmente Hamas affinché si impadronisse del potere. Il piano originario aveva l’obiettivo di spingere il presidente palestinese Mahmoud Abbas a sciogliere il governo Hamas democraticamente eletto – una cosa che Bush cercò di fare per molti mesi senza successo.
Hamas aveva ottenuto il 56% dei seggi del parlamento palestinese alle elezioni del gennaio 2006, ed il mese successivo il Consiglio Legislativo palestinese (il parlamento) aveva votato per la creazione di un nuovo governo sotto la guida del primo ministro Ismail Haniyeh. L’amministrazione Bush cominciò subito ad impiegare la propria influenza sul Quartetto (gli USA, l’UE, le Nazioni Unite e la Russia), per cercare di capovolgere i risultati delle elezioni.
Il Quartetto rispose alla vittoria di Hamas chiedendo che il movimento palestinese rinunciasse ad ogni resistenza armata contro Israele, e che deponesse le armi prima di giungere ad una soluzione politica. Si trattava in effetti di una richiesta che avrebbe permesso ad Israele di utilizzare il proprio controllo militare ed economico sulla Cisgiordania e su Gaza per imporre la propria soluzione unilaterale ai palestinesi.

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Nel frattempo, l’amministrazione Bush e gli europei tagliarono tutti i finanziamenti diretti al governo palestinese, mentre Israele si rifiutò di consegnare alle autorità palestinesi le imposte e i dazi doganali che lo stato ebraico incassa per conto dei palestinesi in base al Protocollo di Parigi firmato insieme all’OLP nel quadro degli Accordi di Oslo.

Siccome Abbas continuava a resistere alle richieste americane di porre fine al governo eletto, sia il segretario di stato Condoleezza Rice che il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni dissero al presidente palestinese, presso la sede delle Nazioni Unite nel settembre del 2006, che non avrebbero accettato un governo palestinese con la partecipazione di Hamas.
La Rice fu poi inviata a Ramallah agli inizi dell’ottobre 2006 per forzare ulteriormente la mano al presidente palestinese. La Rice chiese ad Abbas di impegnarsi a sciogliere il governo Haniyeh entro due settimane, e poi accettò la promessa di quest’ultimo di farlo entro quattro settimane, secondo quanto afferma un memorandum del Dipartimento di Stato americano che è stato pubblicato dalla rivista Vanity Fair (il reportage di Vanity Fair, intitolato "The Gaza Bombshell", ebbe il merito di confermare con documenti di prima mano notizie e voci che circolavano da tempo sulla stampa araba ed internazionale, pur essendo passate più che altro inosservate in Occidente; dell’esistenza di un piano per rovesciare Hamas la stampa araba aveva parlato anche prima che tale piano venisse applicato; si veda ad esempio l’articolo intitolato "Quando le iniziative di pace incoraggiano lo scontro armato palestinese", apparso il 07/01/2007 sul quotidiano saudita al-Sharq al-Awsat, a firma del giornalista palestinese Bilal al-Hassan (N.d.T.) )

Vi era tuttavia un ostacolo alla richiesta americana: in base all’articolo 45 della "Legge Fondamentale" dell’Autorità Palestinese, Abbas poteva destituire il primo ministro, ma non poteva nominarne al suo posto uno che non rappresentasse il partito di maggioranza all’interno del Consiglio Legislativo palestinese.
Abbas non riuscì a mantenere la promessa di sciogliere il governo, di conseguenza l’amministrazione Bush gli fece avere una "nota" che chiedeva che a Hamas venisse data "una chiara possibilità di scelta, entro una data precisa" per accettare o rifiutare "un nuovo governo che soddisfi le condizioni poste dal Quartetto". La nota, pubblicata in parte da Vanity Fair lo scorso gennaio, diceva al presidente palestinese che se Hamas avesse rifiutato la richiesta, "lei dovrebbe rendere chiara la sua intenzione di dichiarare uno stato di emergenza e di formare un governo di emergenza che si impegnerà esplicitamente a rispettare questa piattaforma".

La nota chiedeva inoltre che Abbas "rafforzasse la sua squadra" includendo "figure credibili e caratterizzate da una forte reputazione all’interno della comunità internazionale". Era un riferimento al responsabile delle forze paramilitari di Fatah, Muhammad Dahlan, che da lungo tempo era considerato il candidato dell’amministrazione Bush e dei suoi alleati. Nell’aprile del 2003, Yasser Arafat aveva ricevuto pressioni da parte del primo ministro britannico Tony Blair e del presidente egiziano Hosni Mubarak affinché nominasse Dahlan a capo della sicurezza palestinese.

Verso la fine del 2006, la Rice spinse l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ad accettare di fornire segretamente denaro e addestramento militare allo scopo di pianificare un salto di qualità della milizia di Dahlan.
Ma c’era un altro elemento nel piano dell’amministrazione Bush. Esso incoraggiava Dahlan a compiere attacchi contro le infrastrutture politiche e di sicurezza di Hamas a Gaza, che erano ben note per essere molto più forti di quelle della fazione di Fatah guidata da Abbas. In una successiva intervista rilasciata a Vanity Fair, Dahlan ammise di aver condotto una "guerra molto abile" contro Hamas a Gaza per molti mesi.

Altre fonti affermano che la milizia di Dahlan ha compiuto torture e sequestri ai danni del personale di sicurezza di Hamas.

Alvaro de Soto, allora coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, scrisse nel suo "rapporto confidenziale di fine missione" che gli Stati Uniti "spingevano chiaramente per uno scontro tra Fatah e Hamas…". Egli ricordò che "l’inviato americano" ad un incontro del Quartetto, il 2 febbraio 2007 a Washington, aveva dichiarato due volte: "Quanto mi piace questa violenza", perché "ciò significa che altri palestinesi si stanno opponendo a Hamas".

L’inviato americano era Condoleezza Rice.

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L’amministrazione americana diede l’impressione di volere che Hamas venisse a conoscenza del suo piano di aiutare Fatah ad impiegare la forza contro il movimento islamico palestinese a Gaza. Un articolo della Reuters da Gerusalemme, datato 5 gennaio 2007, rivelò un documento interno del governo americano che mostrava che gli Stati Uniti avevano promesso 86 milioni di dollari per "rafforzare e riformare elementi del settore della sicurezza palestinese controllato dalla presidenza dell’ANP", e per "smantellare le infrastrutture del terrorismo ed imporre la legge e l’ordine in Cisgiordania e a Gaza".

Quando Abbas negoziò un nuovo accordo con Hamas, alla Mecca nel febbraio del 2007, per la costituzione di un governo di unità nazionale, l’amministrazione Bush rispose stendendo in segreto un "piano d’azione per la presidenza palestinese". Il piano minacciava che "la comunità internazionale" non avrebbe più "trattato esclusivamente con la presidenza", se quest’ultima avesse continuato a non accogliere le richieste americane, e che "molti paesi all’interno dell’UE e del G8" avrebbero cominciato a "cercare interlocutori più credibili in ambito palestinese, che siano in grado di mantenere gli impegni su questioni chiave in materia di sicurezza e di governo".

Il piano, datato 2 marzo 2007, invitava Abbas a "cominciare a prendere le misure necessarie contro i gruppi che compromettono il cessate il fuoco, con l’obiettivo di garantire gradualmente l’ingresso di tutti i [restanti] gruppi armati all’interno delle istituzioni di sicurezza della Palestina [tra il 2007 ed il 2008]…". Esso prometteva di aiutare Abbas ad "imporre il necessario ordine nelle strade palestinesi" attraverso la "superiorità" delle forze di Fatah nei confronti di Hamas, dopodichè vi sarebbero state nuove elezioni nell’autunno del 2007.

Ancora una volta il piano americano fu tenuto segreto, ma trapelò nell’aprile del 2007 sulle pagine del quotidiano giordano al-Majd. Se ciò poté accadere, probabilmente fu perché i servizi di intelligence giordani, che collaboravano molto strettamente con gli Stati Uniti, presero la decisione di far giungere la cosa alla stampa.

Poi, il 7 giugno 2007, il quotidiano israeliano Haaretz rivelò che era stato chiesto ad Israele di autorizzare la spedizione di decine di autoblindo egiziane, di centinaia di razzi e di migliaia di bombe a mano per le forze di sicurezza di Fatah.

I piani trapelati relativi al rafforzamento militare di Fatah erano un chiaro invito rivolto a Hamas affinché mettesse in atto un’azione preventiva. Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo di Haaretz, Hamas diede inizio ad una campagna che eliminò la presenza delle forze di sicurezza di Fatah da Gaza in cinque giorni.

Il giorno dopo la completa sconfitta delle forze di Dahlan a Gaza, Abbas sciolse il governo di unità nazionale guidato da Haniyeh e nominò un suo primo ministro, violando lo statuto palestinese.

La disfatta delle forze di Dahlan fu una conseguenza prevedibile delle politiche dell’amministrazione Bush. Come disse a Vanity Fair il comandante delle brigate dei Martiri di al-Aqsa (la milizia di Fatah), Khalid Jaberi, "possiamo solo concludere che avere Hamas al potere sia utile alla strategia complessiva [dell’amministrazione Bush], perché altrimenti la loro politica sarebbe del tutto folle".

Ma l’amministrazione Bush non aveva soltanto raggiunto il suo obiettivo di eliminare un governo dominato da Hamas; essa aveva anche creato una nuova argomentazione che avrebbe potuto utilizzare in un secondo momento per giustificare un’offensiva israeliana su vasta scala a Gaza. L’argomentazione era che Hamas aveva messo in atto un "colpo di stato illegale" a Gaza. E’ questa l’espressione che la Rice ha utilizzato il 2 gennaio scorso, per giustificare le operazioni militari israeliane a Gaza.

*Gareth Porter è uno storico ed analista politico americano; è specializzato in questioni legate alla politica estera e militare degli Stati Uniti; è autore di una storia sulle ragioni della guerra in Vietnam: "Perils of Dominance: Imbalance of Power and the Road to War in Vietnam"; l’articolo qui proposto è apparso sul quotidiano Asia Times il 07/01/2009
12 gennaio 2009
Titolo originale:
Bush plan beat obstacle to Gaza assault

Link originale :
www.arabnews.it/2009/01/13/la-vera-storia-del-%E2%80%9Ccolpo-di-stato%E2%80%9D-di-hamas/
Altro link :
www.uruknet.info?p=s9070
Link a questa pagina :
http://www.terrasantalibera.org/StoriaColpoStatoHamas.htm

 



IL TRADIMENTO DEGLI INTELLETTUALI
Paolo Barnard
 
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Marco Travaglio ha appena scritto un commento su Gaza, diramato dalla sua casa editrice Chiarelettere, che inizia così: “Israele non sta attaccando i civili palestinesi. Israele sta combattendo un’organizzazione terroristica come Hamas che, essa sì, attacca civili israeliani”.

Bene.
Il compianto Edward Said, palestinese e docente di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York, scrisse anni fa un saggio intitolato “The Treason of the Intellectuals” (il tradimento degli intellettuali). Si riferiva alla vergognosa ritirata delle migliori menti progressiste d’America di fronte al tabù Israele.
Ovvero come costoro si tramutassero nelle proverbiali tre scimmiette - che non vedono, non sentono, non parlano - al cospetto dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra che il Sionismo e Israele Stato avevano commesso e ancora commettono in Palestina, contro un popolo fra i più straziati dell’era contemporanea.
E di tradimento si tratta, senza ombra di dubbio, e cioè tradimento della propria coscienza, delle proprie facoltà intellettive, e del proprio mestiere. Gli intellettuali infatti hanno a disposizione, al contrario delle persone comuni, ogni mezzo per sapere, per approfondire. Ma nel caso dei 60 anni di conflitto israelo-palestinese, con la mole schiacciate e autorevole di documenti, di prove e di testimonianze che inchiodano lo Stato ebraico, non sapere e non pronunciarsi può essere solo disonestà e vigliaccheria.
Poiché in quella tragedia la sproporzione fra i rispettivi torti è così colossale che non riconoscere nel Sionismo e in Israele un “torto marcio”, una colpa grottescamente e atrocemente superiore a qualsiasi cosa la parte araba abbia mai fatto o stia oggi facendo, è ignobile. E’ un tradimento della più elementare pietas, del cuore stesso dei Diritti dell’Uomo e della legalità moderna. E’ complicità, sì, com-pli-ci-tà nei crimini ebraici in Palestina. Leggete più sotto.
I traditori nostrani abbondano, particolarmente nelle fila dell’ala ‘progressista’. Marco Travaglio guida oggi il drappello, che vede Furio Colombo, Gad Lerner, Umberto Eco, Adriano Sofri, Gustavo Zagrebelsky, Walter Veltroni, Davide Bidussa et al., affiancati dell’instancabile lavoro di falsificazione della cronaca di tutti i corrispondenti a Tel Aviv delle maggiori testate italiane. E ci si chiede: perché lo fanno? Personalmente non mi interessa la risposta, e non voglio neppure addentrarmi in ipotesi contorte del tipo ‘il potere della lobby ebraica’, la carriera, o simili.
Ciò che conta è il danno che costoro causano, che è, si badi bene, superiore a quello delle armi, delle torture, delle pulizie etniche, del terrorismo. Molto superiore.
Perché una cosa sia chiara a tutti: l’unica speranza di porre fine alla barbarie in Palestina sta nella presa di posizione decisa dell’opinione pubblica occidentale, nella sua ribellione alla narrativa mendace che da 60 anni permette a Israele di torturare un intero popolo innocente e prigioniero nell’indifferenza del mondo che conta, quando non con la sua attiva partecipazione.
Ma se gli intellettuali non fanno il loro dovere di denuncia della verità, se cioè non sono disposti a riconoscere ciò che l’evidenza della Storia gli sbatte in faccia da decenni, e se non hanno il coraggio di chiamarla pubblicamente col suo nome, che è: Pulizia Etnica dei palestinesi, mai si arriverà alla pace laggiù. E l’orrore continua.
Essi, di quegli orrori, hanno una piena e primaria corresponsabilità.
L’evidenza della Storia di cui parlo è in primo luogo: che il progetto sionista di una ‘casa nazionale’ ebraica in Palestina nacque alla fine del XIX secolo con la precisa intenzione di cancellare dalla ‘Grande Israele’ biblica la presenza araba, attraverso l’uso di qualsiasi mezzo, dall’inganno alla strage, dalla spoliazione violenta alla guerra diretta, fino al terrorismo senza freni. I palestinesi erano condannati a priori nel progetto sionista, e lo furono 40 anni prima dell’Olocausto.
Quel progetto è oggi il medesimo, i metodi sono ancor più sadici e rivoltanti, e Israele tenterà di non fermarsi di fronte a nulla e a nessuno nella sua opera di Pulizia Etnica della Palestina. Questo accadde, sta accadendo e accadrà. Questo va detto, illustrato con la sua mole schiacciante di prove autorevoli, va gridato con urgenza, affinché il pubblico apra finalmente gli occhi e possa agire per fermare la barbarie.
In secondo luogo: che la violenza araba-palestinese, per quanto assassina e ingiustificabile (ma non incomprensibile), è una reazione, REAZIONE, disperata e convulsa, a oltre un secolo di progetto sionista come sopra descritto, in particolare a 60 anni di orrori inflitti dallo Stato d’Israele ai civili palestinesi, atrocità talmente scioccanti dall’aver costretto la Commissione dell’ONU per i Diritti Umani a chiamare per ben tre volte le condotte di Israele “un insulto all’Umanità” (1977, 1985, 2000). La differenza è cruciale: REAGIRE con violenza a violenze immensamente superiori e durate decenni, non è AGIRE violenza. E’ immorale oltre ogni immaginazione invertire i ruoli di vittima e carnefice nel conflitto israelo-palestinese, ed è quello che sempre accade. E’ immorale condannare il “terrorismo alla spicciolata” di Hamas e ignorare del tutto il Grande terrorismo israeliano.

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Le prove. Non posso ricopiare qui migliaia di documenti, citazioni, libri, atti ufficiali e governativi, rapporti di intelligence americana e inglese, dell’ONU, delle maggiori organizzazioni per i Diritti Umani del mondo, di intellettuali e politici e testimoni ebrei, e tanto altro, che dimostrano oltre ogni dubbio quanto da me scritto. Quelle prove sono però facilmente consultabili poiché raccolte per voi e rigorosamente referenziate in libri come “La Pulizia Etnica della Palestina”, di Ilan Pappe, Fazi ed., o “Pity The Nation”, di Robert Fisk, Oxford University Press, e “Perché ci Odiano”, Paolo Barnard, Rizzoli BUR, fra i tantissimi. O consultabili nei siti http://www.btselem.org/index.asp, http://www.jewishvoiceforpeace.org, http://zope.gush-shalom.org/index_en.html,http://www.kibush.co.il,http://rhr.israel.net, http://otherisrael.home.igc.org. O ancora leggendo gli archivi di Amnesty International o Human Rights Watch, o ne “La Questione Palestinese” della libreria delle Nazioni Unite a New York.
E torno al “tradimento degli intellettuali” nostrani. Vi sono aspetti di quel fenomeno che sono fin disperanti. Il primo è l’ignoranza in materia di conflitto israelo-palestinese di alcuni di quei personaggi, Marco Travaglio per primo; un’ignoranza non scusabile, per le ragioni dette sopra, ma anche ‘sospetta’ in diversi casi.
Un secondo aspetto è l’ipocrisia: l’evidenza di cui sopra è soverchiante nel descrivere Israele come uno Stato innanzi tutto razzista, poi criminale di guerra, poi terrorista, poi Canaglia, poi persino neonazista nelle sue condotte come potere occupante.
Ricordo il 17 novembre 1948, quando Aharon Cizling, allora ministro dell’agricoltura della neonata Israele, sorta sui massacri dei palestinesi innocenti, disse: “Adesso anche gli ebrei si sono comportati come nazisti, e tutta la mia anima ne è scossa”.
Ricordo Albert Einstein, che sul New York Times del dicembre 1948 definì l’emergere delle forze di Menachem Begin (futuro premier d’Israele) in Palestina come “un partito fascista per il quale il terrorismo e la menzogna sono gli strumenti”.
Ricordo Ephrahim Katzir, futuro presidente di Israele, che nel 1948 mise a punto un veleno chimico per accecare i palestinesi, e ne raccomandò l’uso nel giugno di quell’anno.
Ricordo Ariel Sharon, che sarà premier, e che nel 1953 fu condannato per terrorismo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la risoluzione 101, dopo che ebbe rinchiuso intere famiglie palestinesi nelle loro abitazioni facendole esplodere.
Ricordo l’ambasciatore israeliano all’ONU, Abba Eban, che nel 1981 disse a Menachem Begin: “Il quadro che emerge è di un Israele che selvaggiamente infligge ogni possibile orrore di morte e di angoscia alle popolazioni civili, in una atmosfera che ci ricorda regimi che né io né il signor Begin oseremmo citare per nome”.
Ricordo la risoluzione ONU A/RES/37/123, che nel dicembre del 1982 definì il massacro dei palestinesi a Sabra e Chatila sotto la “personale responsabilità di Ariel Sharon” un “atto di genocidio”.
Ricordo le parole dello Special Rapporteur dell’ONU per i Diritti Umani, il sudafricano John Dugard, che nel febbraio del 2007 scrisse che l’occupazione israeliana era Apartheid razzista sui palestinesi, e che Israele doveva essere processata dalla Corte di Giustizia dell’Aja. Ricordo le parole dell'intellettuale ebreo Norman G. Finkelstein, i cui genitori furono vittime dell’Olocausto: “Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti.”
Ricordo che esistono prove soverchianti che Israele usa bambini come scudi umani; che lascia morire gli ammalati ai posti di blocco; che manda i soldati a distruggere i macchinari medici nei derelitti ospedali palestinesi; che viola dal 1967 tutte le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga; che ammazza i sospettati senza processo e con loro centinai di innocenti; che punisce collettivamente un milione e mezzo di civili esattamente come Saddam Hussein fece con le sue minoranze shiite; che massacra 19.000 o 1.000 civili a piacimento in Libano (1982, 2006) e poi reclama lo status di vittima del ‘terrorismo’.
Ricordo che il Piano di Spartizione della Palestina del 1947 fu rigettato da Ben Gurion prima ancora che l'ONU lo adottasse, e che esso privava i palestinesi di ogni risorsa importante (dai Diari di Ben Gurion).
Ricordo che la guerra arabo-israeliana del 1948 fu una farsa dove mai l’esercito ebraico fu in pericolo di sconfitta, tanto è vero che Ben Gurion diresse in quei mesi i suoi soldati migliori alla pulizia etnica dei palestinesi (sempre dai Diari di Ben Gurion); che la guerra dei Sei Giorni nel 1967 fu un’altra menzogna, dove ancora Israele sapeva in aticipo di vincere facilmente “in 7 giorni”, come disse il capo del Mossad Meir Amit a McNamara a Washington prima delle ostilità, e mentre l’egiziano Nasser tentava disperatamente di mediare una pace (dagli archivi desecretati della Johnson Library, USA); che gli incontri di Camp David nel 2000 furono un inganno per distruggere Arafat, come ho dimostrato in “Perché ci Odiano” intervistando i mediatori di Clinton; che i governi di Israele hanno redatto 4 piani in sei anni per la distruzione dell'Autorità Palestinese sancita dagli accordi di Oslo mentre fingevano di volere la pace (nomi: Fields of Thorns, Dagan, The Destruction of the PA, ed Eitam); che la tregua con Hamas che ha preceduto l’aggressione a Gaza fu rotta da Israele per prima il 4 novembre del 2008 (The Guardian, 5/11/08 – Ha’aretz, 30/12/08), con l’assassino di 6 palestinesi.
E queste sono solo briciole della mole di menzogne che ci hanno raccontato da sempre sulla 'epopea' sionista.
Ricordo infine Ben Gurion, il padre di Israele, che lasciò scritto: “Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre, per ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba”. E ancora: “C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti”. Quell'uomo pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’OLP, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del prima razzo Qassam su Sderot in Israele.
Ricordo ai nostri ‘intellettuali’ di andarle a leggere queste cose, che sono in libreria accessibili a tutti, prima di emettere sentenze.
E l’ipocrisia sta nel fatto che questi negazionisti di tali orrori storici possono scrivere le enormità che scrivono sulla tragedia di Gaza, sulla Pulizia Etnica dei palestinesi, e possono dichiararsi filo-israeliani “appassionati” (Travaglio) senza essere ricoperti di vergogna dal mondo della cultura, dai giornalisti e dai politici come lo sarebbe chiunque negasse in pubblico l’orrore patito per decenni dalle vittime dell’Apartheid sudafricana, o i massacri di pulizia etnica di Srebrenica e in tutta la ex Jugoslavia.
Il mio appello a questi colti mistificatori è: continuare a seppellire sotto un oceano di menzogne, di ipocrisia, sotto l’indifferenza allo strazio infinito di un popolo, sotto la vostra paura o la vostra convenienza, la grottesca sproporzione fra il torto di Israele e quello palestinese, causa e causerà ancora morti, agonie, inferno in terra per esseri umani come noi, palestinesi e israeliani. Sono più di cento anni che il nostro mondo li sta umiliando, tradendo, derubando, straziando, con Israele come suo sicario. Sono 60 anni che chiamiamo quelle vittime “terroristi” e i terroristi “vittime”. Questo è orribile, contorce le coscienze. Non ci meravigliamo poi se i palestinesi e i loro sostenitori nel mondo islamico finiscono per odiarci. Dio sa quanta ragione hanno, cari 'intellettuali'.
11 Gennaio 2009



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IL RITORNO DEI REFUSENIK

Contro la guerra a Gaza, scendono in campo anche i soldati israeliani di Courage to Refuse
"Non possiamo restare in disparte mentre centinaia di civili vengono macellati dall'Idf (l'esercito israeliano). In questo momento la cosa più pericolosa è la falsa speranza che questo tipo di violenza possa portare sicurezza a Israele. Invitiamo i dunque soldati a rifiutarsi di participare alla campagna di Gaza". Queste parole segnano il ritorno dei refusenik, i soldati israeliani di Courage to Refuse, che si oppongono alla politica di oppressione militare del loro governo ai danni della popolazione palestinese.

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Fondata nel 2002, l'organizzazione era rimasta inattiva per almeno tre anni, ma i recenti eventi nella Striscia hanno spinto i suoi animatori a riprendere le iniziative pubbliche, manifestando questa settimana insieme ai pacifisti israeliani. Lo scorso 8 gennaio gli attivisti di Courage to Refuse si sono radunati davanti al ministero della Difesa, insieme a quelli di Gush Shalom, Peace Now, Taayush e altri gruppi dei cosiddetti pacifisti radicali israeliani. Ex soldati e pacifisti oggi manifestano assieme, per chiedere la fine della politica fatta con le armi e per dare un segnale alla società israeliana, che pare oggi compatta a favore del massacro di Gaza. "Dobbiamo contenere la nostra rabbia" dicono gli obiettori israeliani, che spiegano come, per rivolgersi ai militari chiedendo loro di non obbedire agli ordini, sia necessario usare un vocabolario diverso da quello del campo pacifista in senso stretto. "Evitiamo di definire 'assassino' il ministro della Difesa e 'organizzazione terrorista' l'Idf (anche se in questo momento sembrano definizioni corrette)". Gli slogan degli ex soldati, invece, puntano altrove: "Vendetta non è sicurezza", "No all'uccisione di civili a Gaza e Sderot", "La distruzione di Gaza produce terrore" era scritto sui loro striscioni. Oggi però queste differenze non contano, l'importante, spiegano, è "contrastare l'atmosfera guerrafondaia che prevale nei media e nel sistema politico israeliani".


"Quest'ultima è stata una delle peggiori settimane nella storia del conflitto israelo-palestinese" dice a peaceReporter Arik Diamant, uno dei fondatori del moviento dei refusenik. "Centiniaia di civili uccisi, così tante vittime tra i bambini ... questo è troppo anche per una terra sanguinosa come questa. Non ci aspettavamo un simile sviluppo della crisi, e ne siamo rimasti sconvolti. Così, dopo tre anni di inattività abbiamo deciso di riprendere le attività per dire 'smettete!'. Ci siamo resi conto che nel discorso pubblico sugli eventi di Gaza mancava una voce. Ci sono state diverse proteste contro la guerra, ma la nostra è particolare perchè viene dall'interno dell'esercito".

Con l'inizio delle operazioni militari, molti soldati della riserva sono stati richiamati in servizio, tra loro anche alcuni attivisti di Courage to Refuse, che hanno subito rifiutato la chiamata. Normalmente un simile rifiuto comporta l'arresto, un processo e la carcerazione, ma in questo caso pare che gli ordini di arresto non siano ancora partiti. "Al momento - spiega ancora Diamant - sappiano di sette soldati che una settimana fa hanno rifiutato la chiamata, e da allora attendono di essere processati. Solo che non è successo nulla. Credo che lo scopo dell'Idf sia lasciare correre, per evitare che i media possano dare risalto alla storia. Forse li processeranno a guerra finita, ma non credo".

Come coordinate le vostre azioni e il tono della vostra protesta con gli altri movimenti pacifisti israeliani?

"Abbiamo già fatto due manifestazioni con loro e abbiamo anche organizzato degli incontri pubblici assieme. Credo che non ci sia differenza tra noi e loro. Tutto ciò che ci distingue dai cosiddetti pacifisti radicali è il fatto che noi siamo stati soldati e pensavamo che fosse una cosa buona. Usiamo un linguaggio pù soft perché conosciamo bene le dinamiche delle forze aramate e la situazione in cui si trovano i soldati prima di rifiutarsi di obbedire".

La maggioranza della popolazione israeliana non accetta di dialogare non i pacifisti, è più semplice per voi?
"Questa è l'unica ragione per cui esistiamo e abbiamo deciso di riprendere le attività. Non perché non crediamo nei metodi dei pacifisti, ma perché ci rendiamo contro che sono inefficaci se ci si rivolge al grande pubblico. Il pubblico israeliano ha bisogno di ascoltare qualcuno che non sia totalmente contrario alla guerra, qualcuno che sia stato un soldato e sappia cosa significa fare il proprio dovere in difesa del proprio paese... anche se quelle stesse persone pensano che l'attuale offensiva sia un'azione criminale. Il nostro ruolo è strategico e consiste nel prendere il discorso dei pacifisti e tradurlo in modo che il grande pubblico lo possa consumare".

Come giudichi la copertura dei media israeliani sulla guerra e sulle proteste contro la guerra?
"Molto male. L'atteggiamenti dei media rispetto alle manifestazioni contro la guerra è molto ostile, le proteste vengono presentate come esternazioni marginali organizzate da traditori. In generale si può certamente dire che i media presentano la linea dell'esercito e hanno un pregiudizio nei confronti dei refusenik e degli attivisti contro la guerra. Questa situazione, però, sta lentamente cambiando. Ad esempio, durante la prima settimana a protestare erano pacifisti, comunisti e anarchici, dunque le notizie su di loro sono state accantonate. Ma una settimana dopo alle proteste hanno partecipato anche ex soldati, allora anche la stampa ha iniziato a dare più spazio al movimento. É difficile, ma poco alla volta le ragioni di chi si oppone a questa guerra stanno guadagnando spazio e attenzione".
11/01/09 Peacereporter.net

N.B.
Si è rifiutato di andare a combattere a Gaza, perchè contrario alla guerra:

Un riservista delle forze di sicurezza israeliane è stato condannato a 14 giorni di detenzione in un carcere militare israeliano, dopo un breve processo, per essersi rifiutato di andare a combattere nella Striscia di Gaza. 12/01/09 Peacereporter.net


Lettera aperta ai soldati israeliani

Gli Ebrei invitano i soldati israeliani a fermare i crimini di guerra.

Noi ebrei della comunità internazionale invitiamo i soldati israeliani a issare la  Bandiera Nera dell’illegalità sulle operazioni contro la popolazione di Gaza.


Ci rifiutiamo di rimanere in silenzio mentre i leader israeliani costringono i soldati israeliani a commettere crimini di guerra: crimini contro l'umanità per i quali saranno un giorno chiamati a rispondere.  I soldati israeliani di coscienza possono e devono fermare questa guerra pericolosa, illegale e immorale.

Questa attività criminale non migliora la salute e il benessere degli ebrei. Piuttosto, da Sderot a Sidney, da Ashkelon a Amsterdam, staremo tutti meglio quando ci sarà giustizia per i palestinesi.
Pertanto, vi chiediamo di utilizzare tutte le misure possibili per fermare queste atrocità contro il popolo palestinese. Non si deve semplicemente disobbedire a ordini palesemente illegali, ma bisogna opporsi ad essi attivamente ed efficacemente.
Noi membri della comunità ebraica internazionale, ci appelliamo a voi, soldati israeliani di coscienza, per bloccare la macchina bellica israeliana; solo voi potete e dovete farlo.


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IL TEMPO DEI VIRTUOSI

di Gideon Levy    


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Questa guerra, forse più delle precedenti, mette a nudo i veri profondi stati d'animo della società israeliana. Razzismo e odio alzano la testa, così come l'impulso per la vendetta e la sete di sangue. L'inclinazione di coloro che comandano nelle Forze di Difesa Israeliane ora è “uccidere il più possibile”, come raccontano i corrispondenti militari alla televisione. E anche se il riferimento è ai combattenti di Hamas, questa propensione resta agghiacciante.
L'aggressione e la brutalità sfrenate si giustificano come “prestare attenzione”: lo spaventoso bilancio di sangue – circa 100 palestinesi morti per ogni israeliano ucciso non solleva alcuna obiezione, come se avessimo deciso che il loro sangue vale 100 volte meno del nostro, riconoscendo così il nostro innato razzismo.

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Destroidi, nazionalisti, sciovinisti e militaristi sono i soli legittimi bon ton sulla piazza. Non infastiditeci con umanità e compassione. Solo ai margini del campo si può udire una voce di protesta – illegittima, ostracizzata e ignorata dai media – di un piccolo ma coraggioso gruppo di ebrei e di arabi. Accanto a tutto questo echeggia un altra voce, forse la peggiore di tutte: è quella dei virtuosi e degli ipocriti. Ari Shavit, mio collega, sembra esserne l'eloquente portavoce. Questa settimana, Shavit ha scritto su questo giornale (“Israele deve duplicare, triplicare, quadruplicare il suo aiuto medica a Gaza”, Haaretz, 7 Gennaio): “L'offensiva israeliana in Gaza è giustificata . . . . Solo un'iniziativa umanitaria immediata e generosa dimostrerà che anche durante la guerra brutale che ci è stata imposta ci siamo ricordati che dall'altra parte ci sono esseri umani.”
Per Shavit, che ha difeso la giustezza di questa guerra, insistendo che non dovesse essere perduta, il prezzo è irrilevante, come lo è il fatto che non ci sono vittorie in guerre così ingiuste. E osa, allo stesso tempo, predicare “mitezza”.
Desidera forse che uccidiamo senza tregua, e in seguito impiantiamo ospedali da campo e spediamo medicine per curare i feriti? Sa che una guerra contro una popolazione inerme, forse la più inerme al mondo, che non ha dove fuggire, può solo essere crudele e spregevole. Ma costoro vogliono sempre uscirne bene. Sganceremo bombe sulle abitazioni, e poi cureremo i feriti a Ichilov; bombarderemo miseri locali di rifugio nelle scuole dell'ONU, e poi riabiliteremo i disabili a Beit Lewinstein. Spareremo per poi piangere, uccideremo per poi deplorare, abbatteremo donne e bambini come macchine assassine automatiche, mantenendo pure la nostra dignità.


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Il problema è che in questo modo proprio non funziona. Queste sono un'ipocrisia e un autocompiacimento sfacciati. Quelli che invocano in modo incendiario una violenza sempre maggiore, senza considerarne le conseguenze, dovrebbero almeno essere più onesti a questo riguardo.

È come volere la botte piena e la moglie ubriaca. La sola “purità” in questa guerra è la “purificazione dai terroristi”, che nella realtà significa causare spaventose tragedie. Ciò che accade a Gaza non è una calamità naturale, un terremoto o un'alluvione, in cui sarebbe nostro dovere e diritto tendere una mano per soccorrere i colpiti, mandare squadre di soccorso, come tanto amiamo fare. Fra tutte la peggiori sfortune, tutti i disastri che accadono adesso a Gaza sono causati dall'uomo: da noi. Non si può offrire aiuto con mani macchiate di sangue. Dalla brutalità non può nascere compassione.
Eppure ci sono ancora alcuni che vogliono l'uno e l'altro. Uccidere e distruggere indiscriminatamente e pure uscirne apparendo buoni, con la coscienza pulita. Andare avanti con i crimini di guerra senza percepire affatto il grave senso di colpa che dovrebbe accompagnarli. Ci vogliono nervi saldi. Chiunque giustifichi questa guerra giustifica anche tutti i suoi crimini. Chiunque la sostenga, credendo che i massacri compiuti siano giusti, non ha alcun diritto di parlare di moralità e mitezza. Non è possibile uccidere e nutrire nello stesso momento. Questa posizione rappresenta in modo fedele come pensano di base in modo doppio gli israeliani, da sempre. Commettere ogni ingiustizia, ma ritenersi puri. Uccidere, demolire, affamare, imprigionare e umiliare ed essere nel giusto; per non parlare dei virtuosi. I guerrafondai colmi di virtù non potranno permettersi questi lussi.
Chiunque giustifichi questa guerra ne giustifica anche ogni crimine. Chiunque la veda come una guerra difensiva deve essere moralmente responsabile delle sue conseguenze. Chiunque adesso incoraggi i politici e l'esercito a continuare sappia che dopo la guerra avrà il marchio di Caino sulla fronte. Tutti quelli che appoggiano la guerra ne sostengono pure l'orrore.

(testo inglese: http://www.haaretz.com/hasen/spages/1054158.html
09/01/09
(traduzione di Andrea Piccinini e Paola Canarutto)
  


L'INVASIONE DI GAZA
di Michel Chossudovsky*


La "Operazione Piombo Fuso" è parte di un più vasto programma militare e d’intelligence israeliano

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I bombardamenti aerei e l’invasione terrestre di Gaza ora in corso da parte delle forze di terra israeliane devono essere analizzati all’interno di un contesto storico. L’operazione “Piombo Fuso è un’impresa attentamente pianificata, a sua volta parte di un più vasto programma militare e d’intelligence israeliano formulato per la prima volta dal governo del primo ministro Ariel Sharon nel 2001:
«Fonti negli ambienti della Difesa hanno riferito che il Ministro Ehud Barak ha istruito le Forze di Difesa di Israele (IDF) affinché si preparassero per l’operazione oltre sei mesi fa, già al momento in cui Israele stava iniziando a negoziare un accordo di cessate il fuoco con Hamas.» (Barak Ravid, Operation "Cast Lead": Israeli Air Force strike followed months of planning, «Haaretz», 27 dicembre 2008)

È stata Israele a violare la tregua il giorno delle elezioni presidenziali USA, il 4 novembre:
«Israele ha usato questa distrazione per interrompere il cessate il fuoco con Hamas attraverso un bombardamento della Striscia di Gaza. Israele ha asserito che questa violazione del cessate il fuoco mirava a impedire ad Hamas di scavare dei tunnel all’interno del territorio israeliano.
Proprio il giorno dopo, Israele ha lanciato un terrificante assedio di Gaza, tagliando cibo, carburante, forniture sanitarie e altri beni di necessità nel tentativo di “soggiogare” i palestinesi nel mentre che si impegnava in incursioni armate.
Come risposta, Hamas e altri a Gaza iniziarono di nuovo a sparare verso Israele dei razzi rudimentali, artigianali e fondamentalmente imprecisi. Nel corso degli ultimi sette anni, questi razzi hanno causato la morte di 17 israeliani. Nello stesso lasso di tempo, gli assalti israeliani in stile blitzkrieg hanno ucciso migliaia di palestinesi, sollevando proteste in tutto il mondo ma cadendo davanti alle orecchie sorde dell’ONU.» (Shamus Cooke, The Massacre in Palestine and the Threat of a Wider War, «Global Research», dicembre 2008)

Un disastro umanitario pianificato
L’8 dicembre, il numero due del Dipartimento di Stato USA, John Negroponte, era a Tel Aviv per discussioni con le controparti israeliane, compreso il direttore del Mossad, Meir Dagan.
La “Operazione Piombo Fuso” è stata iniziata due giorni dopo Natale. È stata abbinata a una campagna internazionale di Public Relations minuziosamente pianificata sotto gli auspici della ministra degli esteri israeliana.
I bersagli militari di Hamas non sono il principale obiettivo. L’Operazione “Piombo Fuso è intesa, in modo abbastanza deliberato, a causare vittime civili.
Ciò con cui abbiamo a che fare è un “disastro umanitario pianificato” a Gaza in un’area urbana densamente popolata

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L’obiettivo di lungo periodo di questo piano, così come formulato dai decisori politici israeliani, è l’espulsione dei palestinesi dalle terre palestinesi.

«Terrorizzare la popolazione civile, assicurando la massima distruzione della proprietà e delle risorse culturali… La vita quotidiana dei palestinesi deve essere resa insostenibile. Devono essere segregati in città e borghi, impediti dall’esercitare una vita economica normale, tagliati fuori da luoghi di lavoro, scuole e ospedali. Ciò incoraggerà l’emigrazione e indebolirà la resistenza nei confronti di future espulsioni.» (Ur Shlonsky, citato da Ghali Hassan, Gaza: The World’s Largest Prison, Global Research, 2005)

"Operazione Vendetta Giustificata"
È stato raggiunto un punto di svolta. L’operazione “Piombo Fuso” è parte di una più vasta operazione militare e d’intelligence iniziata agli esordi del governo di Ariel Sharon nel 2001. Fu sotto la “Operazione Vendetta Giustificata” di Sharon che i caccia F-16 furono inizialmente usati per bombardare le città palestinesi.
La “Operazione Vendetta Giustificata” fu presentata nel luglio 2001 al governo israeliano di Ariel Sharon dal capo di stato maggiore dell’IDF Shaul Mofaz, con il titolo “La distruzione dell’Autorità Palestinese e il disarmo di tutte le forze armate”.
«Un piano d’emergenza, dal nome in codice ‘Operazione Vendetta Giustificata’, è stato redatto lo scorso giugno (2001) per rioccupare tutta la Cisgiordania e possibilmente la Striscia di Gaza al costo probabile di “centinaia” di vittime israeliane.» («Washington Times», 19 marzo 2002).
Stando a quanto ha riferito «Jane’s Foreign Report» (12 luglio 2001) l’esercito israeliano sotto Sharon aveva aggiornato i suoi piani per un «assalto su vasta scala volto ad abbattere l’autorità palestinese, esiliare il leader Yasser Arafat e uccidere o imprigionare il suo esercito».

"Giustificazione per lo spargimento di sangue"

La "Giustificazione per lo spargimento di sangue" era una componente essenziale del programma militare e d’intelligence. L’uccisione di civili palestinesi veniva giustificata su “basi umanitarie.” Le operazioni militari israeliane erano accuratamente sincronizzate in modo da coincidere con gli attentati suicidi:

«L’assalto sarebbe stato lanciato, a discrezione del governo, dopo un grosso attacco suicida con bombe che avesse causato un gran numero di morti e feriti, citando lo spargimento di sangue come giustificazione.» (Tanya Reinhart, Evil Unleashed, Israel's move to destroy the Palestinian Authority is a calculated plan, long in the making, Global Research, dicembre 2001, grassetto aggiunto, ndr)

Il piano Dagan
La “Operazione Vendetta Giustificata” ha avuto anche il nome di “Piano Dagan”, in riferimento al generale (ora in congedo) Meir Dagan, che attualmente guida il Mossad, l’agenzia d’intelligence di Israele.
Il Generale della Riserva Meir Dagan era il consigliere di sicurezza nazionale di Sharon durante la campagna elettorale del 2000. Il piano appariva essere stato redatto prima dell’elezione di Sharon alla carica di Primo Ministro nel febbraio 2001. «A quanto riferisce Alex Fishman su “Yediot Aharonot”, il Piano Dagan consisteva nel distruggere l’autorità palestinese e nel mettere Yasser Arafat ‘fuori gioco’.» (Ellis Shulman, "Operation Justified Vengeance": a Secret Plan to Destroy the Palestinian Authority, marzo 2001):
«In base a quanto è esposto dal “Foreign Report [Jane]” e rivelato a livello locale dal “Maariv”, il piano d’invasione di Israele – che si riferisce sia stato denominato Vendetta Giustificata – verrebbe lanciato immediatamente a ridosso del prossimo attentato suicida con molte vittime, durerebbe almeno un mese e si prevede che causerebbe la morte di centinaia di israeliani e migliaia di palestinesi.» (ibid., grassetto aggiunto, ndr)
Il ‘Piano Dagan’ prevedeva la cosiddetta “cantonalizzazione” dei territori palestinesi attraverso la quale Cisgiordania e Gaza sarebbero stati totalmente separati l’una dall’altra, con “governi” separati in ciascun territorio. In base a questo scenario, già previsto nel 2001, Israele avrebbe:
«“negoziato separatamente con le forze palestinesi che sono dominanti in ciascun territorio: forze palestinesi responsabili per la sicurezza, l’intelligence, e anche per il Tanzim (al-Fatah).” Il piano somiglia perciò all’idea di “cantonalizzazione” dei territori palestinesi, scaturita da vari ministeri.»
Sylvain Cypel, The infamous 'Dagan Plan' Sharon's plan for getting rid of Arafat, «Le Monde», 17 dicembre 2001).
Il Piano Dagan ha stabilito una continuità nei programmi d’azione militare e d’intelligence. In attesa delle elezioni del 2000, a Meir Dagan fu assegnato un ruolo chiave. «Diventò l’intermediario di Sharon per i temi della sicurezza con gli inviati speciali del presidente Bush, Zinni e Mitchell.» Successivamente fu nominato direttore del Mossad dal Primo Ministro Ariel Sharon nell’agosto 2002. Nel periodo post-Sharon è rimasto capo del Mossad. È stato riconfermato nella sua posizione di direttore dell’intelligence dal Primo Ministro Ehud Olmert nel giugno 2008.
A Meir Dagan, in armonia con le controparti USA, hanno fato capo varie operazioni militari e d’intelligence. Senza menzionare il fatto che Meir Dagan, da giovane colonnello aveva lavorato a stretto contatto con l’allora ministro della difesa Ariel Sharon nelle incursioni a danno degli insediamenti palestinesi a Beirut nel 1982. L’invasione di terra di Gaza nel 2009, sotto molti punti di vista, ricalca da vicino l’operazione militare del 1982 condotta da Sharon e Dagan.
 
Continuità: da Sharon a Olmert
È importante concentrare l’attenzione su vari eventi chiave che hanno portato fino agli eccidi di Gaza sotto la “Operazione Piombo Fuso”:

1. L’assassinio nel novembre 2004 di Yasser Arafat. Questo assassinio è stato nel tavolo dei progetti dal 1996 nell’ambito della “Operazione Campi di Spine”. Secondo un documento dell’ottobre 2000 «preparato dai servizi di sicurezza, su richiesta dell’allora Primo Ministro Ehud Barak, si sosteneva che “Arafat, la persona, è una grave minaccia alla sicurezza dello Stato [di Israele] e il danno che risulterà dalla sua scomparsa è minore del danno causato dalla sua esistenza.» (Tanya Reinhart, Evil Unleashed, Israel's move to destroy the Palestinian Authority is a calculated plan, long in the making, Global Research, dicembre 2001. Dettagli del documento furono pubblicati su Ma'ariv, 6 luglio 2001.).
L’assassinio di Arafat fu ordinato nel 2003 dal gabinetto di governo israeliano. Venne approvato dagli USA che posero il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che condannava la decisione del 2003 del governo israeliano. In reazione agli aumentati attacchi palestinesi, nel 2003 il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz dichiarò una “guerra totale” ai militanti cui giurò che erano “marchiati a morte”
«A metà settembre il governo israeliano approvò un provvedimento per sbarazzarsi di Arafat. Il consiglio di gabinetto per gli affari di sicurezza politica la definì “una decisione volta rimuovere Arafat in quanto ostacolo alla pace.” Mofaz minacciò: “sceglieremo il modo e il tempo giusti per uccidere Arafat.” Il ministro palestinese Saeb Erekat disse alla CNN che riteneva che Arafat sarebbe stato il prossimo obiettivo. La CNN chiese al portavoce di Sharon, Ra’anan Gissan se il voto significasse l’espulsione di Arafat. Gissan chiarì: “Non significa questo. Il consiglio di gabinetto ha deciso oggi di rimuovere questo ostacolo. Il tempo, il metodo, i modi con cui ciò avrà luogo saranno decisi in separata sede, e i servizi di sicurezza sorveglieranno la situazione e faranno le raccomandazioni sull’azione più appropriata.» (Si veda Trish Shuh, “Road Map for a Decease Plan”, www.mehrnews.com, 9 novembre 2005.
L’assassinio di Arafat era parte del Piano Dagan del 2001. Con ogni probabilità, fu portato avanti dall’intelligence israeliana. Era intesa a distruggere l’Autorità Palestinese, fomentare divisioni all’interno di al-Fatah così come tra al-Fatah e Hamas. Mahmud Abbas è un quisling palestinese. Venne installato come leader di al-Fatah, con l’approvazione di Israele e degli Stati Uniti, che finanziano le forze paramilitari e di sicurezza dell’Autorità Palestinese.


2. La rimozione, in base agli ordini del Primo Ministro Ariel Sharon nel 2005, di tutte le colonie ebraiche a Gaza. Una popolazione ebraica di 7mila persone venne ridislocata.
«“È mia intenzione [Sharon] portare avanti un’evacuazione – scusate, una ridislocazione – degli insediamenti che ci causano problemi e dei luoghi non in grado di durare fino a diventare un insediamento finale, come gli insediamenti di Gaza… sto lavorando nel presupposto che in futuro non ci saranno ebrei a Gaza” ha detto Sharon »(CBC, March 2004)
La questione delle colonie di Gaza fu presentata come parte della “road map verso la pace” sponsorizzata da Washington. Celebrata dai palestinesi come una “vittoria”, questa misura non era diretta contro i coloni ebrei. Era piuttosto il contrario: faceva parte  della operazione coperta complessiva, che consisteva nel trasformare Gaza in un campo di concentramento. Finché i coloni ebrei vivevano dentro Gaza, l’obiettivo di sostenere un vasto territorio-prigione sigillato non poteva essere conseguito. La realizzazione concreta della “Operazione Piombo Fuso” imponeva “niente ebrei a Gaza”.

3. La costruzione del famigerato Muro dell’Apartheid fu decisa all’inizio del governo Sharon.


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4. La fase successiva fu la vittoria elettorale di Hamas nel gennaio 2006. Senza Arafat, gli architetti dell’intelligence militare israeliana sapevano che al-Fatah sotto Mahmud Abbas avrebbe perso le elezioni. Questo faceva parte dello scenario, già previsto e analizzato ben prima.
Essendo in capo ad Hamas la responsabilità dell’autorità palestinese, e nell’usare il pretesto che Hamas è un’organizzazione terroristica, Israele avrebbe intrapreso il processo di “cantonalizzazione” come formulato nel Piano Dagan. Al-Fatah sotto la guida di Mahmud Abbas sarebbe rimasta formalmente responsabile della Cisgiordania. Il governo regolarmente eletto di Hamas sarebbe stato confinato nella Striscia di Gaza.

L’attacco di terra
Il 3 gennaio, i carri armati e la fanteria sono entrati a Gaza in un’offensiva totale sul terreno:
«L’operazione di terra è stata preceduta da varie ore di fuoco pesante di artiglieria dopo il buio, che ha mandato i bersagli in fiamme sviluppatesi nel cielo notturno. Il fuoco delle mitragliatrici ha crepitato quando i traccianti hanno illuminato l’oscurità e lo scoppio di centinaia di proiettili di artiglieria ha lanciato scie di fuoco» (AP, 3 gennaio 2009).
Fonti israeliane hanno sottolineato un lungo decorso per l’operazione militare. Essa «non sarà facile e non sarà breve», ha affermato il ministro della Difesa Ehud Barak in un discorso alla TV.
Israele non sta mirando a obbligare Hamas a “cooperare”. Ciò cui assistiamo è la messa in pratica del “Piano Dagan” così come formulato inizialmente nel 2001, giacché si appellava a:
«un’invasione del territorio a controllo palestinese da parte di circa 30mila soldati israeliani, con la ben definita missione di distruggere l’infrastruttura della leadership palestinese e di requisire gli armamenti attualmente posseduti dalle varie forze palestinesi, ed espellendo o uccidendo la sua leadership militare.» (Ellis Shulman, op. cit., grassetto aggiunto, ndr)
La questione più generale è se Israele d’intesa con Washington abbia l’intenzione di scatenare una guerra più ampia
L’espulsione di massa potrebbe avvenire in qualche fase finale dell’invasione di terra, se fossero gli israeliani ad aprire i confini di Gaza per consentire un esodo della popolazione. Fu da parte di Sharon il riferimento all’espulsione come «una soluzione in stile 1948». Per Sharon «è solo necessario trovare un altro Stato per i palestinesi: “la Giordania è Palestina”, era una frase che fu Sharon a coniare» (Tanya Reinhart, op. cit.)
09/01/09

*docente di economia all'Università di Ottawa - Canada -
( tradotto da Pino Cabras – Megachip)

Link all’originale: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=11606.
Traduzione di
Link originale tradotto da Pino Cabras – Megachip:
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8493
 Link a questa pagina :
http://www.terrasantalibera.org/InvasioneGazaVastoProgramma.htm
 

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Appello Ebreo/Palestinese

Impegnamoci a ricostruire
di Moni Ovadia* e Ali Rashid ** 

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Le immagini che giungono da Gaza ci parlano di una tragedia di dimensioni immani e le parole non bastano per esprimere la nostra indignazione. Col passare dei giorni cresce la barbarie che insieme alla vita, alle abitazioni, agli affetti, ai luoghi della cultura e della memoria, distrugge in tutti noi l'umanità e con essa il sogno e la speranza. E deforma in noi il buon senso, mortifica la cultura del diritto, forgiata dalle tragedie del secolo passato per prevenirne la ripetizione. Così diventano carta straccia le convenzioni internazionali e le norme basilari del diritto internazionale nonché le sue istituzioni, paralizzate dai veti e svuotate di autorevolezza oltre che di strumenti per l'agire. Così crescono l'odio e il rancore, si radicalizzano le posizioni e le distanze diventano incomunicabilità. Le stesse responsabilità si confondono, tanto che la vita in una prigione a cielo aperto diviene la normalità, l'invasione di uno degli eserciti più potenti del mondo è alla stessa stregua di un atto pur esecrabile di terrorismo. Ma così non si aiuta la pace, che è fatta in primo luogo di ascolto, dialogo e compromesso. Certo, anche di diritto, ma abbiamo visto che per questa sola via sessant'anni non sono bastati e dopo ogni crisi ci si è ritrovati con un po' di rancore in più e di certezza del diritto in meno.


Noi sappiamo che l'occupazione genera resistenza, la guerra rafforza il terrorismo, la violenza cambia le persone e i fondamentalismi si alimentano reciprocamente. Ma abbiamo anche imparato in tutti questi anni che gli obiettivi di pace, sicurezza e prosperità non passano attraverso l'uso della forza delle armi, ma attraverso l'adozione di scelte accettabili per entrambe le parti in causa e l'avvio di un processo di riconoscimento reciproco, del dolore dell'altro in primo luogo, che è il primo passo verso la riconciliazione.

Al contrario, ogni volta che ci si è avvicinati ad un compromesso accettabile, il ricorso scellerato alla violenza, all'assassinio premeditato, all'annichilimento dell'altro, è servito a demolire ciò che si era pazientemente costruito, quel po' di fiducia reciproca in primo luogo.

Il tutto viene poi complicato dal peso della storia che in questo passaggio fra l'Europa e la Palestina agisce come un macigno non elaborato, generando falsa coscienza, ipocrisia, irresponsabilità.


L'esito è stato l'incancrenirsi di una questione, quella palestinese, che ha avuto ed ha effetti destabilizzanti in tutta la regione ed anche oltre, diventando - come ebbe a definirla Nelson Mandela - "la questione morale del nostro tempo".


Di questo vulnus si sono nutriti in questi anni il terrorismo e il fondamentalismo, regimi autoritari e cultori dello scontro di civiltà. A pagare sono state le popolazioni della regione, sono i bambini e i ragazzi cresciuti in un contesto di odio, di violenza e di paura, ma anche la democrazia e la cultura laica che pure traevano vigore dalle tradizioni ebraiche e arabo-palestinesi.

Così anche da questa guerra, assassina e stupida come ogni guerra, a trarne vantaggio saranno solo i fondamentalismi e chi pensa che la soluzione possa venire dall'annichilimento dell'avversario.

Come hanno scritto nei giorni scorsi Vaclav Havel, Desmond Tutu ed altri uomini di cultura «...quello che è in gioco a Gaza è l' etica fondamentale del genere umano. Le sofferenze, l' arbitrio con cui si distruggono vite umane, la disperazione, la privazione della dignità umana in questa regione durano ormai da troppo tempo. I palestinesi di Gaza, e tutti coloro che in questa regione vivono nel degrado e privi di ogni speranza non possono aspettare l' entrata in azione di nuove amministrazioni o istituzioni internazionali. Se vogliamo evitare che la Fertile Crescent, la "Mezzaluna fertile" del Mediterraneo del Sud divenga sterile, dobbiamo svegliarci e trovare il coraggio morale e la visione politica per un salto qualitativo in Palestina».

Per questo facciamo appello alle persone che amano la pace e che vedono nella tragedia di queste ore la loro stessa tragedia, di fare tutto ciò che è nelle loro possibilità affinché vi sia:

•    l'immediato cessate il fuoco e non la beffa delle tre ore;

•    la fine dell'assedio sulla Striscia di Gaza e il rispetto delle istituzioni palestinesi democraticamente elette;

•    l'intervento di una forza di pace internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza lungo i confini del '67;

•    l'avvio di un negoziato per arrivare ad una soluzione politica basata sul rispetto dei diritti dei popoli, delle minoranze e della persona, nell'ambito di un processo che possa garantire nell'immediato confini sicuri per lo Stato di Israele e per lo Stato di Palestina;

•    la creazione di un comitato per la pace in Palestina, che liberi la sua causa dalle strumentalizzazioni per fini propri che hanno caratterizzato la condotta di alcuni gruppi negli ultimi anni;

•    l'adesione delle persone e delle associazioni che hanno a cuore la pace in Medio Oriente per impedire che il conflitto si trasformi in guerre di religione e tra civiltà, con la promozione di iniziative su tutto il territorio italiano e la convocazione di una manifestazione nazionale al più presto.

Non di meno, in un contesto dove l'interdipendenza è il tratto del nostro tempo e come persone che hanno comuni radici mediterranee, non smettiamo di pensarci come cittadini di una comune regione post-nazionale euromediterranea, parte di una cultura che - attraverso la storia di conflitti tra città e campagna, o nella concorrenza tra fede e sapere, o nella lotta tra i detentori del dominio politico e le classi antagoniste - si è lacerata più di tutte le altre culture e non ha potuto fare a meno di apprendere nel dolore come le differenze possano comunicare.


In questo spirito ci impegniamo a ricostruire quel che la guerra sta abbattendo, i ponti fra le persone, le culture, i luoghi della pace in e fra entrambe le società, per creare nuovi terreni di relazione e collaborazione fra l'Italia e la Palestina, intensificando altresì gli atti di solidarietà verso tutte le vittime, in modo particolare la popolazione della Striscia di Gaza.

 
Per aderire scrivere a paceinpalestina@gmail.com


* attore, autore e scrittore ebreo

** primo segretario della delegazione palestinese in Italia
09/01/2009



UN’ INUTILE RISOLUZIONE ONU


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Il testo della risoluzione Onu su Gaza  
1. Il Consiglio di Sicurezza riconosce l'urgenza e fa appello per un cessate il fuoco immediato, duraturo e pienamente rispettato, che porti al completo ritiro delle forze di Israele da Gaza.
2. Il Consiglio di Sicurezza fa appello affinché la fornitura di assistenza umanitaria a Gaza, incluso cibo, carburante e cure mediche, avvenga senza impedimenti.
3. Il Consiglio di Sicurezza accoglie con favore le iniziative volte a creare e ad aprire corridoi umanitari e altri meccanismi che favoriscano una consistente distribuzione di aiuti umanitari.
4. Il Consiglio di Sicurezza fa appello agli Stati membri perché sostengano gli sforzi internazionali per alleviare la situazione umanitaria ed economica a Gaza, inclusi gli urgenti contributi addizionali all'Unrwa e attraverso il Comitato di Collegamento Ad Hoc.
5. Il Consiglio di Sicurezza condanna tutte le violenze e le ostilità dirette contro i civili e tutti gli atti di terrorismo.
6. Il Consiglio di Sicurezza fa appello agli Stati membri perché intensifichino gli sforzi per creare soluzioni e garanzie che favoriscano un cessate il fuoco duraturo, inclusa la prevenzione del traffico illecito di armi e munizioni e la riapertura del valichi come previsto dall'Accordo del 2005. A tale riguardo il Consiglio di Sicurezza accoglie con favore l'iniziativa egiziana e altri sforzi regionali e internazionali che sono in corso.
7. Il Consiglio di Sicurezza incoraggia passi concreti verso la riconciliazione intra-palestinese e a sostegno degli sforzi di mediazione dell'Egitto e della Lega Araba come espressi dalla risoluzione del 26 novembre 2008 e in linea con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1850 (2008) e altre rilevanti risoluzioni.
8. Il Consiglio di Sicurezza fa appello a nuovi e urgenti sforzi delle parti in causa e della comunità internazionale per raggiungere una pace completa basata sulla visione di una regione dove due Stati democratici, Israele e Palestina, vivano fianco a fianco in pace con confini sicuri e riconosciuti, come contemplato dalla risoluzione 1850 (2008). Il Consiglio di Sicurezza ricorda anche l'importanza dell'Iniziativa di Pace Araba.
9. Il Consiglio di Sicurezza accoglie con favore la proposta del Quartetto, in consultazione con le parti in causa, di una conferenza internazionale a Mosca nel 2009.

Come si può chiaramente leggere nella risoluzione approvata con l’unanimità dei delegati occidentali, eurasiatici, arabi e la sola astensione degli USA, non si è fissata la data per il ritiro d'Israele e nella bozza non si parla neanche della rimozione dello stato d'assedio.

La delegazione francese aveva chiesto altre 24 ore per lavorare sulla risoluzione. Ma la risposta della delegazione saudita è stata furiosa: "non si può aspettare a lungo, mentre i civili muoiono minuto per minuto".

Anche la Croce Rossa ha dichiarato che a Gaza si spara alle ambulanze e i cadaveri sono abbandonati nelle strade. È una  catastrofe umanitaria.

Un delegato arabo ha dichiarato: "Israele ha violato lo Shabbath per attaccare Gaza, ma ora pare che trovi scuse e non voglia violarlo, per ritirare le truppe ed interrompere le operazioni di guerra."
 
Chiarificatrice è stata anche la dichiarazione in merito del premier Olmert: "Israele non ha mai permesso a nessuno d'intervenire nelle politiche in difesa dei suoi cittadini".

Sia durante la riunione del Consiglio, che dopo l'approvazione della bozza, Israele non ha smesso un istante di bombardare Gaza, mietendo altre vittime tra la popolazione palestinese, tra cui un bambino.
 
 
      
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L'emergenza umanitaria cresce di ora in ora
l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha deciso di sospendere le sue operazioni perché considera troppo rischioso continuare la propria attività: la decisione è stata annunciata dopo che sono rimasti uccisi due autisti di convogli che portavano aiuti.
Alcuni organi d’informazione nazionale ed internazionale legati alla propaganda sionista, hanno dichiarato che tra le vettovaglie vi erano delle divise destinate ad Hamas (?!?). In realtà si trattava di uniformi per la polizia municipale di Gaza, che erano state bloccate alla frontiera molto tempo prima che Israele sferrasse l'attacco. Uniformi che erano destinate a quei 150 cadetti che sono stati i primi a morire nell'attacco a sorpresa di Santo Stefano.
L'agenzia Onu, la più importante nella zona, distribuisce aiuti umanitari a 750.000 persone in territorio palestinese.

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Anche un ufficiale israeliano è rimasto ucciso e altri tre soldati feriti, a seguito del lancio di un razzo anticarro contro il loro mezzo.
Il dipartimento Dip. Stato di Stato americano, denunciando una situazione umanitaria "terribile", ha fatto appello affinchè Israele prolunghi gli orari in cui gli aiuti umanitari di emergenza possono essere portati all'interno della striscia di Gaza.

Benedetto XVI: si cambi la leadership israeliana e palestinese

La situazione è così grave da aver indotto papa Benedetto XVI non soltanto a sollecitare una tregua umanitaria a Gaza, ma addirittura a caldeggiare un ricambio di leadership tanto in Israele quanto tra i palestinesi affinchè i due popoli siano guidati "verso la difficile ma indispensabile riconciliazione". Il Pontefice ha sottolineato la necessità di un "approccio globale" e di un "sostegno convinto" al dialogo tra Israele e la Siria nonchè, in Libano, "al consolidamento delle istituzioni".

Libano, nuovo fronte bellico?
Dopo che stamane sono caduti su Israele razzi lanciati dal Libano, il timore è che il conflitto in Medio Oriente possa ampliarsi. L'esercito israeliano infatti, ha risposto agli attacchi con razzi Katyusha contro il nord di Israele, aprendo il fuoco in direzione del Libano.

Cinque razzi da 120 millimetri sparati dal Libano hanno colpito il nord di Israele, sono stati lanciati dalla citta' di Dhayra. Lo riferisce l'emittente tv di hezbollah al Manara. Smentito, invece, il lancio di altri razzi a metà mattinata, dal Libano verso il nord di Israele.
L'attacco ha provocato solo cinque feriti lievi, ma fa temere l'apertura di un nuovo fronte bellico regionale, nella stessa area teatro nell'agosto 2006 della guerra-lampo tra le truppe israeliane e le milizie sciite libanesi di Hezbollah, e dove sono schierati anche i soldati italiani dell'Unifil II, la Forza Interinale delle Nazioni Unite.

Si tratta del primo attacco del genere dall'estate 2006, quando si combatté la guerra di 34 giorni tra le forze israeliane e le milizie sciite libanesi di Hezbollah. Il movimento sciita libanese, peraltro, nega ogni responsabilità nel lancio di razzi di oggi. Sembrerebbero dunque essersi avverati i timori dell'apertura nello Stato ebraico di un fronte settentrionale, mentre per il tredicesimo giorno consecutivo al sud è in corso l'offensiva nella Striscia di Gaza.
La Finul, Forza delle Nazioni Unite in Libano, è stata posta in "stato di allerta rafforzato", secondo fonti militari francesi.

Nel sud di Israele, razzi sparati da Gaza sono caduti stamane nelle città di Ashqelon e Ashdod e nelle aree limitrofe. Non si ha notizia di vittime mentre un ufficiale dell'esercito israeliano è morto oggi nel corso di violenti scontri con i miliziani di Hamas nel nord della Striscia di Gaza. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. Feriti anche altri soldati. Il militare ucciso si trovava a bordo di un carro armato nell'area dell'ex insediamento di Netzarim, colpito da missili anti-carro. Si tratta della settimo soldato israeliano ucciso dall'inizio dell'operazione di terra nella Striscia, lo scorso sabato.

Scoperti 35 cadaveri tra le macerie di Gaza
Trentacinque cadaveri sono stati scoperti tra le macerie di una zona di combattimento nella Striscia di Gaza. Lo ha indicato un responsabile del ministero della Sanità della Striscia di Gaza.
Il dottor Mowaiya Hassanain, capo dei servizi del pronto soccorso palestinese ha riferito che i cadaveri sono stati scoperti nel corso della tregua di tre ore dei combattimenti. Israele l'ha accettata per consentire che gli aiuti arrivino a Gaza. Hassanain ha aggiunto che i cadaveri sono stati scoperti nel quartiere Zeitoun di Gaza City. In queste zone ci sono stati i combattimenti più pesanti nei giorni recenti tra soldati dello Stato ebraico e miliziani di Hamas. Il responsabile d non ha saputo dire il numero esatto dei miliziani uccisi perché i resti erano in avanzato stato di decomposizione; ma ha confermato che tra le vittime c'erano donne e bambini. Hassanain ha aggiunto che quasi 750 palestinesi sono uccisi nell'offensiva di Israele, iniziata tredici giorni fa.

Dai siti: peacereporter.net, rainews24.rai.it,terrasantalibera.org - 09/01/09



Israele di fronte a Gaza e al Libano: a chi giova il crimine?
Marie Nassif-Debs

Mentre il governo israeliano si trova con le spalle al muro, per i crimini commessi dai suoi soldati a Gaza e mentre l’Onu smentiva la presenza di armi nella scuola in cui si erano rifugiati alcune centinaia di civili, di cui 43 sono stati falciati dai tiri dell’aviazione e dei carri armati che innalzano un muro di fuoco intorno alla regione di Gaza, ecco che dei razzi partono dal Libano per esplodere dall’altro lato della frontiera…

A partire da ora, sebbene Israele abbia negato la responsabilità di Hezbollah in questi tiri, la situazione inizia a tendere verso nuovi punti. I crimini contro l’umanità a Gaza vengono dimenticati da alcuni dirigenti internazionali che hanno deciso di voltare gli occhi verso un’altra direzione ben indicata: la resistenza patriottica libanese, di cui alcuni non hanno cessato di chiedere la liquidazione, soprattutto dopo la sconfitta ch’essa ha inflitto, nel 2006, alle truppe d’élite di Tel Aviv. D’altronde, fin dai primi giorni dell’aggressione militare contro Gaza, i responsabili israeliani avevano evocato la possibilità di una nuova aggressione contro il Libano e la sua resistenza. Pensavano, senza dubbio che la vittoria a Gaza sarebbe stata rapida e che l’esercito, aureolato da questa vittoria, potesse realizzare ciò che non ha potuto fare nel 2006…Cosa che permetterebbe ai «falchi» israeliani (Livni, Olmert & C.) di migliorare la loro condizione nella corsa al posto di primo ministro…


A partire da questa analisi, ci si aspetta, nei Paesi arabi, un nuovo bagno di sangue di cui il timing sarà legato alla fine del mandato di George W. Bush; ma ciò che non ci si aspettava, era questo silenzio e questa complicità da parte dell’Unione europea e, ben inteso, dal regime ufficiale arabo, questa Lega che si accontenta di condannare quella che il suo segretario generale chiama «l’aggressione israeliana», mentre l’Egitto chiude (come fa Israele) i punti di passaggio con la regione di Gaza e l’Arabia Saudita e altri rappresentanti della «moderazione statunitense» nella regione non ritengono necessario prendere delle misure capaci di fermare l’aggressione. E ci si chiede: perché Hugo Chavez può prendere la decisione di porre fine alle relazioni diplomatiche con un governo criminale, che pratica senza vergogna e impunemente, il terrorismo di Stato, mentre l’Egitto, la Giordania, il Qatar e il Marocco preservano gelosamente le delegazioni israeliane nei loro Paesi? Perché gli arabi continuano ad approvvigionare Israele di petrolio e di gas, mentre i palestinesi a Gaza ne sono sprovvisti e molti feriti muoiono, non solo a causa dell’assenza di medicinali, ma anche per la mancanza di energia.

La situazione in Medio Oriente diventa sempre più chiara. Ciò che gli Stati Uniti e gli israeliani vogliono, è dare nuovo slancio al progetto di «Nuovo Medio Oriente», nel quale non ci sarà posto per le Resistenze armate o per i governi che non sanno dire si,né, soprattutto, per la rinascita di uno Stato palestinese.

John Bolton ha confermato, due giorni fa, ciò che avevamo detto riguardo all’epurazione della parte di Palestina occupata nel 1948 degli arabi che vi sono. Gli arresti di centinaia di palestinesi di sinistra in queste regioni è molto esplicito a questo riguardo.

D’altronde, i responsabili statunitensi hanno anche posto l’accento sul Libano. E siccome è necessario un solido alibi per Israele per attaccare questo Paese, anche se la presenza dell’UNIFIL nel sud del Libano non è un grande ostacolo al loro progetto, visto che questa non ha reagito come necessario alle violazioni del territorio libanese, dei razzi lanciati dal territorio libanese cadrebbero a fagiolo per giustificare un’ulteriore aggressione che potrebbe non essere necessariamente un attacco terrestre, ma che potrebbe tradursi sotto forma di raid contro le città libanesi e i punti strategici di questo Paese. Ecco perché crediamo che i razzi lanciati contro la Galilea non possono che essere lanciati da amici di Israele in Libano. Bisogna sempre partire da questa domanda: a chi giova il crimine?

Contemporaneamente, pensiamo anche che il governo di Tel Aviv debba riflettere bene prima di commettere questa aggressione.

Beirut,8 gennaio 2009



RACCOGLIAMO I FRUTTI DELL’EGOISMO.
L’UNICA SPERANZA E’ IL DIALOGO  
Card. Martino*

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Mentre il conflitto tra Israele e Hamas va avanti con rinnovata ostilità, il Papa è tornato ad invocare il dialogo come unica strada possibile per costruire la pace in Terra Santa. Secondo il Cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, la soluzione più ragionevole rimane quella del dialogo tra israeliani e palestinesi. Essi sono fratelli, figli della stessa terra. Purtroppo «nessuno vede l’interesse dell’altro. Ma le conseguenze dell’egoismo sono l’odio per l’altro, la povertà e l’ingiustizia. E a pagare sono sempre le popolazioni inermi. Impariamo dall’Iraq».
 
Eminenza, nella sua omelia del 1° gennaio Benedetto XVI ha affermato che la vera pace è “opera della giustizia” e che «anche la violenza, l’odio e la sfiducia sono forme di povertà – forse le più tremende – da combattere». Perché il dialogo è l’unica condizione della pace?

 
L’alternativa al dialogo è solamente il ricorso alla forza e alla violenza. Ma la violenza non risolve i problemi e la storia è piena di conferme. L’ultimo esempio è quello della guerra in Iraq. Cosa ha risolto? Ha complicato le cose. La diplomazia della Santa Sede sapeva bene che Saddam era pronto ad accettare le richieste delle Nazioni Unite. Ma non si è voluto aspettare. In Terra Santa vediamo un eccidio continuo dove la stragrande maggioranza non c’entra nulla ma paga l’odio di pochi con la vita. Abbiamo appena celebrato i trent’anni della mediazione tra Cile e Argentina, di cui la Santa sede a suo tempo fu grande promotrice. Quello è stato un frutto del dialogo.

 
Che cosa manca nello scenario mediorientale per intraprendere la strada del dialogo?

 
Un senso più acuto della dignità dell’uomo. Nessuno vede l’interesse dell’altro, ma solamente il proprio. Ma le conseguenze dell’egoismo sono l’odio per l’altro, la povertà e l’ingiustizia. A pagare sono sempre le popolazioni inermi. Guardiamo le condizioni di Gaza: assomiglia sempre più ad un grande campo di concentramento.

 
Eminenza, durante l’Assemblea plenaria del Consiglio Giustizia e Pace, commentando la Populorum progressio, Lei affermò «non c’è sviluppo senza un disegno su di noi e senza noi come disegno»; e che per questo lo sviluppo non è «qualcosa di facoltativo, ma un dovere da assumere». Alla luce degli ultimi avvenimenti che compiti impone questa considerazione?

 
Abbiamo appena celebrato i quarant’anni della stupenda enciclica di Paolo VI Populorum progressio, dove Paolo VI ha detto che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Benedetto XVI non ha mancato di richiamarlo nel suo Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace. Se si vuole costruire la pace occorre favorire lo sviluppo, non solo lo sviluppo dei paesi ma quello personale, di ogni uomo. La stessa assistenza alle nazioni in via di sviluppo non può essere un’elemosina, ma dev’essere un partenariato, un aiuto a far divenire tutti protagonisti del proprio sviluppo. Solo così l’aiuto a tutti può diventare aiuto allo sviluppo di ciascuno. Questo vale naturalmente anche e soprattutto per il Medio Oriente.

 
Come interroga la coscienza di un cristiano quello che accade in Terra Santa? Come mai questa terra, molto più di altre, appare lontana dalla pace e ogni tentativo di raggiungerla sembra frustrato in partenza?


Non siamo solamente noi cristiani a chiamarla Terra Santa, ma anche ebrei e i musulmani. E sembra una disdetta che proprio questa terra debba essere il teatro di tanto sangue. Ma occorre una volontà da tutte e due le parti, perché tutte e due sono colpevoli. Israeliani e palestinesi sono figli della stessa terra e bisogna separarli, come si farebbe con due fratelli. Ma questa è una categoria che il “mondo”, purtroppo, non comprende. Se non riescono a mettersi d’accordo, allora qualcun altro deve sentire il dovere di farlo. Il mondo non può stare a guardare senza far nulla.

 
Nonostante le continue esortazioni delle diplomazie, prevale una sensazione generalizzata di impotenza.

 
Si mandano missioni di pace in tutto il mondo, lì si sono fatte tante proposte ma i veti hanno sempre prevalso. Ora ho sentito che anche il presidente Bush ha cominciato a pensare che forse una missione di pace sarebbe auspicabile. Per cominciare sarebbe una misura efficace. Se venisse la pace tra palestinesi e israeliani, sarebbe un beneficio inestimabile per tutto il Medio oriente.

 
Quale compito spetta ai cristiani in quella terra martoriata?

 
Testimoniare la loro unità. In tutto il Medio Oriente i cristiani stanno perdendo la speranza e hanno cominciato ad andarsene, soprattutto dall’Iraq. Quando ero a New York, alle Nazioni Unite, ho incontrato moltissimi rifugiati negli Usa che mi dicevano: che futuro potevo io assicurare ai miei figli? È un grido di dolore al quale è difficile dare una risposta. Lo può fare solo la speranza che viene dalla fede. Ma al mondo questo non importa e sta a guardare.

 
I cristiani, ai quali quella terra appartiene al pari di ebrei e musulmani, pagano un prezzo alto ma silenzioso. Perché?

 
Ogni anno sono troppi i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i missionari, i laici che perdono la vita nell’esercizio della missione più cristiana di tutte, quella di aiutare i sofferenti e i bisognosi. Perché i cristiani alla fine soffrono più degli altri? Per l’apertura del cristianesimo a considerare tutti come fratelli, mentre l’estremismo islamico non ammette né conversioni né altra religione che la propria. E questo è fonte di inimicizie e violenza.


Il sussidiario.net - 7 gennaio 2009




ISRAELE E’ L’OCCUPANTE. IL RESTO E’ MENZOGNA
Christian Elia*
Intervista a Michel Warschawski

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Michel Warschawski, 60 anni, giornalista, scrittore, è una delle ‘voci contro' della società israeliana. Nel 1982, quando l'esercito israeliano in Libano permise il massacro dei palestinesi dei campi profughi di Sabra e Chatila da parte delle milizie cristiano-maronite, Warschawski fu tra i fondatori del movimento Yesh Gvul, che portò in piazza l'indignazione di 400mila israeliani nei confronti del loro governo. Poco dopo, nel 1984, fondò l'Alternative Information Center (Aic), per combattere dall'interno la disinformazione della società civile israeliana nei confronti dei palestinesi.

Subito dopo l'attacco di terra del 3 gennaio scorso, parlando dell'operazione Piombo Fuso, Andrè Glucksmann ha scritto che non c'è proporzione possibile nella lotta tra palestinesi e israeliani, condannando quanti avevano definito sproporzionata la reazione israeliana al lancio dei razzi dalla Striscia. Secondo Glucksmann, la sproporzione esiste solo perché i palestinesi hanno armi primitive. Si tratta, per l'intellettuale francese, comunque di legittima difesa. Ma qual è, nella società israeliana attuale, il concetto di legittima difesa?


Larga parte dell'opinione pubblica israeliana ed europea ritiene questa operazione una legittima difesa. Per me questo è un vero non-sense. Un grave errore, prima di tutto, ma in fondo un non-sense. Israele occupa Gaza e la Cisgiordania da 42 anni. Questo è un fatto. Ogni azione contro questa occupazione è un'iniziativa di autodifesa, non il contrario. Il resto è una voluta manipolazione, che riesce bene, però, al punto che a volte sembra di parlare di un problema di sei mesi, un anno o due anni fa. Non si può invece prescindere dalla continuità di questa occupazione. Quello che accade da un anno a questa parte è l'assedio totale e disumano di Gaza. Un territorio e un popolo allo stremo, che sopravvive solo grazie ai famosi tunnel dall'Egitto e agli aiuti umanitari della comunità internazionale. Di quale dannata autodifesa parla Israele? L'esercito israeliano affama, aggredisce e riduce allo stremo una popolazione di un milione e mezzo di persone. Solo piccoli settori della società israeliana reagiscono a tutto questo, chiamando le cose con il loro nome: Israele è l'aggressore e Israele è l'occupante. Il resto è menzogna e il signor Glucksmann è un vero esperto in mistificazioni strumentali, capace di chiamare notte il giorno e viceversa. Mistificazioni delle quali sono vittime anche gli stessi cittadini di Sderot e delle altre città israeliane sotto il tiro dei razzi dalla Striscia. Vengono usati, in modo davvero cinico, dal governo israeliano. Le vittime che ci sono state in questi giorni non possono essere comparate con quello che accade a Gaza. Non per il numero, perché ogni vita ha valore. Ma perché il governo d'Israele si sta assumendo una responsabilità enorme nel rendersi colpevole di questo attacco indiscriminato contro i civili a Gaza. L'atto scellerato di chi lancia i razzi non può essere paragonato alla pianificata aggressione di massa verso la popolazione palestinese nella Striscia.


I cittadini di Sderot come i coloni, utili solo quando servono politicamente?


Assolutamente sì. Quelle città, per il governo, sono niente di più di una ‘periferia'. Questo rapporto tra centro e periferia è un elemento centrale nella storia di questo Paese, ma è un elemento spesso misconosciuto. La classe media discendente degli ebrei dell'Europa centrale, che è la vera classe dirigente del Paese, vive a Tel Aviv, ad Haifa o altrove. Nel nord, nel sud e nei Territori Occupati si è dato vita, all'epoca della nascita d'Israele e anche dopo, a una vera a propria colonizzazione. I coloni e gli immigrati non di ceto elevato sono stati utilizzati come scudi umani, da frapporre tra la vita degli israeliani agiati e i palestinesi. I cittadini israeliani della ‘periferia' pagano il prezzo della politica del centro, diventando bersagli della rabbia degli arabi. Ma entrambi sono vittime degli interessi di Tel Aviv.


Quanto hanno pesato sul governo, nella scelta di iniziare questo attacco, le prossime elezioni in Israele in febbraio?


Nella decisione di commettere questo crimine le elezioni hanno avuto una parte determinante. Dopo il fallimento della campagna del Libano del 2006, la competizione tra i principali leader politici israeliani per le prossime elezioni è tutta basata sulla retorica della violenza nei confronti dei palestinesi. Tzipi Livni, Barak, Olmert e Netanyahu si combattono sul campo della capacità di aggressione verso i palestinesi. Tutti sono concentrati sulla possibilità di dimostrare di poter essere più brutali del loro avversario. L'attacco a Gaza è una parte fondamentale della campagna elettorale. L'aspetto più inquietante, però, è che questo atteggiamento viene premiato dall'opinione pubblica israeliana. Barak, ministro della Difesa e architetto di questo attacco, si vanta di aver recuperato cinque punti percentuali dall'inizio dell'operazione Piombo Fuso. Questo significa, ed è orribile, accettare una proporzionalità tra il numero delle vittime palestinesi e il successo elettorale.


Dov'è finita la sinistra in Israele? Il partito Meretz, nelle prime ore dell'attacco, ha chiesto la fine dei bombardamenti, ma ha tenuto a precisare che ritiene questa comunque un'operazione di legittima difesa.

La sinistra israeliana si muove ormai in un vecchio scenario. Ogni volta che c'è stata una grande operazione militare, nella storia di Israele, è stata pronta a sostenere le decisioni del governo. In modo automatico, come il cane di Pavlov. Sempre. E' accaduto durante la prima e la seconda campagna in Libano, è accaduto durante le operazioni a Gaza e in Cisgiordania. La sinistra istituzionale in Israele ha sempre accettato il pensiero unico dell'autodifesa del Paese. Salvo poi essere pronta a condannare i massacri, ma sempre a cose fatte, quando era ormai troppo tardi. Non sono affatto stupito della posizione di Meretz, perché è sempre la stessa. Patetica e prevedibile. Quando, anche questa volta, siamo scesi in piazza per manifestare contro questa aggressione, i militanti e alcuni dirigenti del Meretz erano al nostro fianco, ma sempre a titolo personale. Che contraddizione è mai questa? Un comportamento che ha messo in crisi tutta la sinistra, non a caso Meretz è in crisi profonda, come lo stesso movimento pacifista Peace Now, ormai un fantasma. La mancanza di fermezza e di chiarezza nei confronti delle decisioni dei governi israeliani hanno finito per precipitare la sinistra israeliana in una crisi profonda. Adesso la sinistra in questo Paese è una minoranza insignificante per le decisioni che contano.

Cosa pensa delle manifestazioni dei giorni scorsi della minoranza degli arabi-israeliani? All'inizio della Seconda Intifada, nel 2000, uno degli elementi nuovi rispetto al passato fu proprio il coinvolgimento della minoranza araba della società israeliana nella lotta dei palestinesi. Una tensione forte all'interno della società israeliana. Crede che si ripeterà quella mobilitazione, anche se tra gli arabi-israeliani Hamas non gode certo di estimatori?


Il problema non è, in questo momento, nei rapporti tra Hamas e gli arabi-israeliani. I civili sentono l'aggressione a Gaza contro altri civili come un'offesa all'umanità. Questa non è una guerra tra Israele e Hamas, ma un'aggressione dell'esercito israeliano alla popolazione civile di Gaza. Quando bombardi il centro di una delle città con la più alta densità abitativa al mondo commetti un crimine, non combatti una guerra. E questo è quello che sentono gli arabi-israeliani. Sono rimasto colpito dal numero delle loro manifestazioni in questi giorni, dall'intensità delle loro proteste. Il livello delle mobilitazioni contro questa aggressione è molto alto, almeno se paragonato a quello di altre occasioni. Ho la sensazione che questa operazione lascerà profonde ferite nella società israeliana, e non solo, con conseguenze gravi e imprevedibili al momento. Anche altrove, per esempio in Europa, la gente è indignata. Rispetto al passato non sembrano reggere le scuse ‘strategiche'. Non c'è un obiettivo da raggiungere, non c'è una battaglia da vincere. Questo è solo un brutale e inutile massacro... L'ennesimo atto di una sciagurata tragedia.


Il conflitto israelo-palestinese, rispetto ad altri, si è sempre caratterizzato per il contributo dato al dibattito da intellettuali come lei. Due grandi figure, in questo senso, come il poeta Mahmoud Darwish e Edward Said, sono scomparse. Vede, tra i palestinesi e gli israeliani, delle nuove voci che possano contribuire all'abbandono della violenza?


No, non ne vedo. La crisi dell'impegno tra gli intellettuali non riguarda certo solo Israele e Palestina. E' un fenomeno mondiale, molto grave. Eccezion fatta per i tre scrittori israeliani Yehoshua, Oz e Grossman (che voi italiani amate molto), diventati a loro volta ripetitori del pensiero unico, non ci sono personaggi di alto profilo nella cultura, voci contro che possano contribuire a rendere la violenza uno strumento superato. In questo periodo storico mancano le grandi voci della coscienza, le voci della morale. Non ci sono in giro Jean-Paul Sartre e Bertrand Russel. Non ci sono veri intellettuali, ma abbondano i vestali ‘culturali' dell'interesse nazionale. Sia in Israele che in Palestina ci sono giovani intellettuali molto in gamba, ma non hanno lo spessore e la profondità di certe voci del passato. Come dicevo, però, questo non accade solo in Israele o nel mondo arabo. Accade ovunque, anche in Occidente. C'è una crisi di coscienza generale nelle società, e la cultura è espressione di quelle stesse società. C'è un gran silenzio attorno a tutti noi.


* “Peacereporter.net” - 07/01/09




TERRORISMO ISRAELIANO:
BOMBARDATE DUE SCUOLE DELL’UNRWA
INTERE FAMIGLIE STERMINATE


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Gaza. 40 cittadini palestinesi sono stati uccisi a seguito di un bombardamento israeliano contro due scuole appartenenti all’agenzia Onu per i Rifugiati, l'“UNRWA”, a Gaza. Si tratta in prevalenza di bambini e donne.

Il portavoce dell’esercito israeliano, rispondendo alla domanda del giornalista del canale satellitare al-Jazeera sul motivo per cui avessero colpito due scuole dell’UNRWA, ha risposto con l'arroganza dei criminali che sanno di godere di totale impunità: "Noi non abbiamo bisogno di dare giustificazioni”.


L'esercito di occupazione continua il suo massacro contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza: nel bombardamento di una casa, nel quartiere az-Zaitun, a est di Gaza, è stata sterminata un'altra intera famiglia. 13 morti, in prevalenza bambini.

Il numero delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza ha superato i 600 morti e i 3000 feriti. Solo nella giornata di oggi sono diverse decine.

Infopal - 06/01/2009




TIMES: “ISRAELE STA USANDO PROIETTILI AL FOSFORO BIANCO”


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LONDRA - Grave denuncia del quotidiano britannico “Times” contro Israele.
Nell’offensiva di terra nella Striscia di Gaza l’esercito starebbe usando i controversi proiettili al fosforo bianco. Si tratta di armi che creano spesse cortine fumogene ma che possono anche causare terribili ustioni. Le stesse munizioni usate dagli Usa in Iraq nel novembre del 2004 a Falluja. Il Trattato di Ginevra del 1980 stabilisce che il fosforo bianco “non puo’ essere usato come arma da guerra nelle aree popolate da civili”. (Agr)
05/01/09



I NUMERI DI GAZA
Christian Elia*

In questa situazione parlare di numeri sarebbe riduttivo, dice il Palestinian Medical Relief

''I numeri, in questo momento, lasciano il tempo che trovano. La situazione è così grave che parlare di numeri sarebbe, comunque, riduttivo''. Aid, responsabile del Palestinian Medical Relief a Gaza, la principale organizzazione sanitria della Striscia, risponde al telefono tra un'emergenza e un'altra.


''Le vittime sono più di 500, ma non so dire quante'', spiega Aid. ''tenete conto che hanno continuato a bombardare per tutta la notte e ancora al mattino. Dall'aria e dal mare. Mentre continuano le sparatorie in strada. Ci sono mucchi immensi di macerie e le ambulanze fanno fatica a girare - continua il responsabile del medical Relief - Non abbiamo idea di quanta gente possa essere sepolta sotto i detriti degli edifici pubblici colpiti che collassano trascinando con loro tutto quello che c'è attorno. I feriti almeno tremila. Negli ospedali manca tutto, compresa l'elettricità per quasi tutto il giorno, ma il problema di base sono gli stessi letti. La capacita; di ricezione ospedaliera nlla Striscia, in condizioni di normalità, è di circa 500 letti. Fate voi stessi la comparazione con il numero dei feriti e tirate le conseguenze''. La comunicazione s'interrompe brutalmente, torna il torpore che avvolge Gerusalemme in questa calda mattina di gennaio. Da qui la Guerra sembra lontana mille miglia. Nei vicoli della città vecchia la vita scorre come ogni giorno, solo qualche negozio chiuso perché i proprietari hanno avuto qualche problma a passare i check-point dell'esercito israeliano in Cisgiordania. Per il resto, però, tutto procede come nulla fosse. Un gruppo di pellegrini porta una croce per le stazioni della via Dolorosa, i commercianti salutano in spagnolo, inglese e italiano sperando in un cliente, poliziotti e militari israeliani si aggirano numerosi ma non c'è una tensione particolare.

L'unico segno di una qualche indignazione palestinese è alla Porta di Damasco, dove uno sparuto gruppo di donne manifesta gridando slogan contro Israele e portando in braccio un bambolotto avvolto in un sudario, simbolo di tutte le vittime innocenti di Gaza. Tutt'attorno a loro la gelida indifferenza di passanti frettolosi, sotto lo sgurdo indiffernte delle forze dell'ordine israeliane. ''Questo caffé ve lo offre il signore di quell tavolo nell'angolo'', annuncia sorridendo il padrone di una cafeteria in Città Vecchia. ''Vuole festeggiare la cattura di due soldati israeliani a Gaza''. Questa è l'unica notizia che sembra scuotere davvero i presenti, ma le vittime dell'operazione Piombo Fuso non sanno che farsene di una notizia non confermata da nessuno. Ma davvero i palestinesi in Cisgiordania, pur dichiarandosi solidali con la popolazione civile di Gaza, non muovono un dito? Davvero, per tutti, qusta è una Guerra tra l'esercito israeliano e Hamas, dalla quale Fatah si è tirata fuori?

''Non è vero affatto, questo è l'ennesimo attacco a tutti i palestinesi'', commenta Wajdi, un ragazzo di 26 anni che sa quell che dice. Wajdi, a Ramallah, la capitale dell'Autorità palestinese, sa quello che dice. In città è una specie di celebrità, nonostante la giovane età, dopo gli otto anni passati in carcere e per essere stato uno dei pretoriani di Arfat, assediato con il suo capo nella Muqata (il quarter generale del rais) A Ramallah nel 2002. Ma Arafat non c'è più, Fatah adesso è guidata da Abu Mazen, considerato poco più che un collaborazionista. ''Queste sono le stronzate che scrivete in Occidente. Fatah ha tanti problemi. Uno di questi è sicuramente la corruzione interna, un'altro è una leadership poco carismatica - racconta Wajdi, che ha la faccia da ragazzo che canta nel coro della domenca più che da guerrigliero - il vero grande leader, Marwan Barghouti, è chiuso in carcere. Ma Fatah non ha perso l'appoggio popolare. Abbiamo perso le elezioni, è vero, ma perché l'elettorato era deluso, smarrito. Il partito si sta rinnovando, con grande impegno, vedrete che le cose cambieranno''.

Forse cambieranno in futuro, ma per adesso la sensazione è che Hamas si accrediterà come l'unica forza che combatte l'esercito israeliano, sacrificando I suoi 'martiri' in prima linea. Che prezzo pagherà Fatah per la moderazione di queste ore? ''I palestinesi hanno memoria e non potrebbero mai accusarci di non aver lottato'', risponde Wajdi. ''Per noi, per la nostra storia, parla il numero dei nostri martiri. Per anni ci siamo battuti con forza, ma non è servito a nulla. E' Hamas che non ha imparato nulla dalla sua storia. Adesso gioca con la pelle dei civili a Gaza, ma non si rende conto che l'Iran e la Siria, prima o poi, abbandoneranno Hamas al loro destino. Questo, sia chiaro, non autorizza quello che sta accadendo. Il massacro di civili innocenti da parte dei militari israeliani è inaccettabile, ma da voi nessuno ha mai dato la stessa importanza ai morti plestinesi e ai morti israeliani. Fatah sta cercando di porre fine al massacro. Mazen ha invitato la popolazione a stare unita, a manifestare portando solo bandiere palestinesi e non di partito. Nei giorni scorsi c'è stata una manifestazione della popolazione davanti al Parlamento dell'Autorità Palestinese e i membri di Fatah e quelli di Hamas sono usciti assieme, tenednosi sottobraccio, per dimostrare al popolo che siamo uniti. Ma i problemi ci sono, inutile negarlo. Domani c'è una riunione importante, si sta trattando per l'unità. Per capirci, però, a Gaza Hamas ha rifiutato l'aiuto offerto dai nostril militanti. Sono loro che ci tagliano fuori, supportati da al-Jazeera e dai media che li appoggiano. Fatah non ha qusti mezzi e sembra che sia sparita dalla scena. Ma non è così, Fatah non saprirà mai''.

Quante possibilità ci sono che raccogliate l'invito alla Terza Intifada lancviato dal leader di Hamas in esilio, Meshaal? ''Per noi conta solo la parola di Mazen'', risponde Wajdi. ''Se il presidente ci dice di lottare lotteremo. Ma chiedo io a Meshaal dove si trova? A Damasco, al sicuro con la sua famiglia. E' facile così. L'unità si fa in due e Hamas deve smetterla di lottare per interessi che non siano solo quelli di palestinesi. Io, a causa del pestaggio subito durante l'ultimo arresto, ho quasi perso il braccio destro. Ho solo ventisei anni, ma sono stanco di tutto questo. Pagherei per avere una vita normale. Ma se continua questo massacro e Mazen ce lo chiede riprenderemo le armi, perché Fatah ha sempre fatto il suo dovere. E non ci tireremo indietro neanche questa volta''.

* sito www.peacereporter.net - 05/01/2009



 
70 MEMBRI DI UNA FAMIGLIA CHIUSI IN UNA CASA E BOMBARDATI
DALL’ESERCITO DI ISRAELE.

Una famiglia intera massacrata, fatta a pezzi: 70 persone uccise a sangue freddo dall’esercito di occupazione israeliano nel quartiere di az-Zaitun. E’ successo, ieri, domenica, ma l’eccidio è stato scoperto solo oggi, lunedì.

Naeb as-Sammuni di 25 anni, sopravvissuto, ha raccontato: “Le forze di occupazione israeliane, penetrate a est del quartiere az-Zaitun, hanno radunato decine di membri della mia famiglia in una sola casa di 180 metri quadrati, poi l’hanno bombardata per dieci minuti”.
Il cittadino, che ha visto sterminare tutta la famiglia, ha aggiunto:  
”Dopo averli bersagliati di bombe, la casa si è trasformata in un lago di sangue. C’è chi è morto subito, chi è rimasto ferito ed è morto dissanguato”.

As-Sammuni ha spiegato che le forze di occupazione sioniste hanno impedito l’arrivo delle ambulanze per soccorrere i membri della famiglia massacrata, nonostante gli appelli della Croce Rossa: molti sono rimasti a sanguinare per 24 ore e solamente questa mattina sono sopraggiunti i soccorsi.

Nell’eccidio, ha raccontato Naeb, sono morte sua moglie Hanan, sua figlia Huda, sua madre Rizqa, e la maggior parte dei suoi fratelli e dei suoi cugini.

Il dott. Haitham Dababesh, che era tra i soccorritori dell’ospedale ash-Shifa di Gaza, ha dichiarato che da ieri sera, cioè dal momento del bombardamento della famiglia as-Sammuni, “abbiamo coordinato i soccorsi con la Croce Rossa, ma non siamo risusciti a raggiungerli fino a questa mattina”.

I soccorritori, al loro arrivo, hanno trovato una situazione
terribile: un vero massacro, molte vittime. Il dott. Dababeh ha aggiunto che la sala di attesa dell’ospedale ash-Shifa, il più grande di Gaza, non riusciva a contenerle tutte.
Nel quartiere az-Zaitun si temono altri massacri: quell’area è nel mirino del fuoco israeliano sia da terra sia dal cielo. Gli abitanti temono per la loro vita e non riescono ad abbandonare le loro case minacciate di uccisione di massa.

 www.infopal.it - (5 gennaio 2009)



COME SIAMO ARRIVATI A QUESTO PUNTO?
Uri Avnery,*

Poco dopo la mezzanotte, il canale arabo di al-Jazeera stava riferendo gli eventi da Gaza. Improvvisante la telecamera puntò in alto, verso il cielo buio. Lo schermo era un campo nero. Non si poteva vedere nulla, ma si poteva sentire l'audio: il rumore dei caccia, uno spaventoso, terrificante ronzio di droni.

Era impossibile non pensare alle decine di migliaia di bambini di Gaza che ascoltavano quel rumore in quel momento, rannicchiati, paralizzati dalla paura, aspettando che le bombe cadessero. "Israele deve difendersi dai razzi che terrorizzano le nostre città meridionali", hanno spiegato i portavoce israeliani. "I palestinesi devono rispondere all'uccisione dei loro combattenti nella Striscia di Gaza", hanno dichiarato i portavoce di Hamas. Per la verità, il cessate il fuoco non è stato interrotto, poiché non vi è stato nessun vero cessate il fuoco. Il principale requisito di qualsiasi cessate il fuoco nella Striscia di Gaza deve essere l'apertura dei valichi di confine. Non può esserci vita a Gaza senza un flusso costante di rifornimenti. Ma i valichi non sono mai stati aperti, eccetto che per poche ore di quando in quando.

L'embargo aereo, marittimo e terrestre imposto a un milione e mezzo di esseri umani è un atto di guerra, così come qualsiasi bombardamento o lancio di razzi. Paralizza la vita nella Striscia di Gaza: eliminando le principali fonti di impiego, spingendo centinaia di migliaia di persone sull'orlo della fame, impedendo alla maggior parte degli ospedali di funzionare, interrompendo la fornitura di elettricità e di acqua. Coloro che hanno deciso di chiudere i valichi - con qualsiasi pretesto - sapevano che non ci poteva essere un reale cessate il fuoco in quelle condizioni.

Questo è il punto principale. Poi sono giunte le piccole provocazioni volte a spingere Hamas a reagire. Dopo diversi mesi, durante i quali non era stato lanciato quasi nessun razzo Qassam, un'unità militare israeliana è stata inviata nella Striscia "al fine di distruggere un tunnel giunto in prossimità della recinzione di confine". Da un punto di vista puramente militare, sarebbe stato più sensato tendere un'imboscata dal nostro lato del confine. Ma l'obiettivo era trovare un pretesto per porre fine al cessate il fuoco, in una maniera che rendesse plausibile dare la colpa ai palestinesi. E infatti, dopo molte di queste piccole azioni, in cui sono stati uccisi combattenti di Hamas, il gurppo islamico ha risposto con un massiccio lancio di razzi, e - guardate un po' - il cessate il fuoco è terminato. Tutti hanno accusato Hamas.


Ma qual era l'obiettivo? Tzipi Livni lo ha annunciato apertamente: liquidare il governo Hamas a Gaza. I razzi Qassam servivano solo come pretesto. Liquidare il governo Hamas? Sembra un capitolo tratto da "La marcia della follia". Dopotutto, non è un segreto che fu proprio il governo israeliano che contribuì alla nascita ed al rafforzamento di Hamas all'inizio. Quando una volta chiesi a un ex capo dello Shin-Bet, Yaakov Peri, a questo riguardo, mi rispose enigmaticamente: "Non lo abbiamo creato, ma non abbiamo ostacolato la sua creazione". Per anni le autorità israeliane hanno favorito il movimento islamico nei territori occupati. Tutte le altre attività politiche furono rigorosamente soppresse, ma le attività del movimento nelle moschee erano permesse. Il calcolo era semplice e ingenuo: a quell'epoca, l'Olp era considerato il principale nemico, e Yasser Arafat era il Satana del momento. Il movimento islamico predicava contro l'Olp e contro Arafat, e perciò era visto come un alleato. Con lo scoppio della prima Intifada nel 1987, il movimento islamico si attribuì ufficialmente il nome di Hamas (le iniziali arabe di "Movimento di Resistenza Islamica") e prese parte alla battaglia. Ma anche allora, lo Shin-Bet non prese alcun provvedimento contro di loro per quasi un anno, mentre molti membri di Fatah venivano uccisi o imprigionati. Solo un anno dopo, lo Sheikh Ahmed Yassin e i suoi compagni furono arrestati.  


Da allora è girato il vento. Hamas è ora diventato l'attuale Satana, mentere l'Olp viene considerato da molti in Israele come una succursale dell'organizzazione sionista. La logica conclusione, per un governo israeliano che avesse cercato la pace, sarebbe dovuta essere quella di fare ampie concessioni alla leadership di Fatah: porre fine all'occupazione, firmare un trattato di pace, permettere la fondazione di uno stato palestinese, ritirarsi entro i confini del 1967, dare una soluzione ragionevole al problema dei profughi, rilasciare tutti i prigionieri palestinesi. Tutto questo avrebbe sicuramente arrestato l'ascesa di Hamas. Ma la logica ha poca influenza in politica. Nulla del genere è accaduto. Al contrario, dopo la morte di Arafat, Ariel Sharon dichiarò che Mahmoud Abbas, che aveva preso il suo posto, era un "pollo spennato". Ad Abbas non è stato concesso il più minimo guadagno politico. I negoziati, sotto gli auspici americani, sono diventati una burla. Il più autentico leader di Fatah, Marwan Barghouti, fu messo in carcere a vita. Invece di un rilascio di prigionieri su vasta scala, vi furono "gesti" insignificanti e offensivi. Abbas fu sistematicamente umiliato, Fatah apparve come un guscio vuoto, e Hamas ottenne una clamorosa vittoria alle elezioni palestinesi - le elezioni più democratiche mai tenutesi nel mondo arabo. Israele boicottò il governo eletto. Nella lotta intestina che ne seguì, Hamas assunse il controllo diretto della Striscia di Gaza. E ora, dopo tutto questo, il governo di Israele ha deciso di "liquidare il governo Hamas a Gaza" - con spargimenti di sangue, fuoco e colonne di fumo.


Il nome ufficiale della guerra è "piombo fuso", due parole tratte da una canzone per bambini riguardo a un gioco della festa di Hanukkah.


Ma sarebbe più corretto chiamarla "Guerra Elettorale". Anche in passato alcune operazioni militari furono compiute nel corso di campagne elettorali. Menachem Begin bombardò il reattore nucleare iracheno durante la campagna elettorale del 1981. Quando Shimon Peres sostenne che si trattava di un espediente elettorale, Begin gridò al suo successivo raduno: "Ebrei, credete che io manderei i nostri coraggiosi ragazzi a morire, o - peggio - a essere fatti prigionieri da animali umani, allo scopo di vincere delle elezioni?". Begin vinse. Peres non è Begin. Quando, durante la campagna elettorale del 1996, ordinò l'invasione del Libano (l'operazione "Grappoli di Collera"), tutti erano convinti che lo avesse fatto per scopi elettorali. La guerra fu un fallimento, Peres perse le elezioni e Benjamin Netanyahu giunse al potere.


Ehud Barak e Tzipi Livni stanno ora ricorrendo allo stesso vecchio trucco. Secondo i sondaggi, Barak avrebbe guadagnato cinque seggi alla Knesset in appena 48 ore. Circa 80 morti palestinesi per ogni seggio. Ma è difficile camminare su un cumulo di cadaveri. Il successo potrebbe svanire in un minuto, se l'opinione pubblica israeliana iniziasse a considerae la guerra come un fallimento. Ad esempio, se i razzi continueranno a colpire Beersheva, o se l'attacco di terra determinerà pesanti perdite da parte israeliana. Il momento per colpire è stato scelto meticolosamente anche da un'altra angolazione. É iniziato due giorni dopo Natale, quando i leader americani ed europei sono in vacanza fino a dopo capodanno. Il calcolo: anche se qualcuno volesse cercare di fermare la guerra, nessuno rinuncerebbe alle sue vacanze. Ciò ha garantito diversi giorni liberi da pressioni esterne. Un'altra ragione per questa scelta di tempo: questi sono gli ultimi giorni di George Bush alla Casa Bianca. Ci si poteva tranquillamente aspettare che questo villano sanguinario avrebbe appoggiato conentusiasmo la guerra, come in effetti ha fatto. Barack Obama non si è ancora insediato, ed aveva un pretesto bell'e pronto per mantenere il silenzio: "C'è solo un presidente per volta". Il silenzio non lascia ben sperare per il mandato del presidente Obama. La parola d'ordine era: non ripetere gli errori della seconda guerra del Libano. Un ritornello che è stato ripetuto all'infinito in tutti i programmi di informazione e nei talk show.


Ma questo non cambia le cose: la guerra di Gaza è una copia quasi esatta della seconda guerra del Libano. La concezione strategica è la stessa: terrorizzare la popolazione civile con incessanti attacchi dal cielo, seminando morte e distruzione. Ciò non mette in pericolo i piloti, dato che i palestinesi non hanno armi antiaeree. Il calcolo: se l'intera infrastruttura di supporto alla vita nella Striscia venisse completamente distrutta e ne risultasse totale anarchia, la popolazione si solleverà e rovescerà il regime di Hamas. A quel punto Mahmoud Abbas tornerebbe a Gaza sulla scia dei carri armati israeliani. In Libano questi calcoli non hanno funzionato. La popolazione bombardata, compresi i cristiani, si è schierata con Hezbollah, e Hassan Nasrallah è diventato l'eroe del mondo arabo. Qualcosa di simile probabilmente accadrà anche adesso. I generali sono esperti nell'uso delle armi e nel muovere le truppe, ma non nella psicologia delle masse. Qualche tempo addietro, scrissi che il blocco di Gaza era un esperimento scientifico inteso a scoprire quanto si possa affamare una popolazione e trasformare la sua vita in un inferno prima che essa crolli. Questo esperimento fu condotto con il generoso aiuto dell'Europa e degli Stati Uniti. Finora, esso non ha avuto successo. Hamas si è rinforzato e la gittata dei razzi Qassam è aumentata. La guerra attuale è una continuazione dell'esperimento con altri mezzi.


É possibile che l'esercito "non avesse alternativa" a quella di riconquistare la Striscia di Gaza, perché non ci sarebbe altro modo per fermare i razzi Qassam - eccetto quello di trovare un accordo con Hamas, cosa che è contraria alla politica del governo. Quando l'invasione di terra partirà, tutto dipenderà dalla motivazione e dalle capacità dei combattenti di Hamas di fronte ai soldati israeliani. Nessuno può sapere cosa accadrà. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, il canale arabo di al-Jazeera trasmette immagini atroci: mucchi di corpi mutilati, parenti in lacrime che cercano i loro cari fra le decine di cadaveri sparsi al suolo, una donna che tira fuori la sua giovane figlia da sotto le macerie, medici privi di farmaci che cercano di salvare le vite dei feriti. (Il canale in lingua inglese di al-Jazeera, a differenza del canale in arabo, ha compiuto uno stupefacente voltafaccia, trasmettendo solo immagini asettiche e distribuendo senza riserve la propaganda israeliana di governo. Sarebbe interessante sapere cosa si nasconde dietro questo cambiamento). Milioni di persone stanno vedendo queste immagini terribili, una dopo l'altra, giorno dopo giorno. Queste immagini resteranno impresse per sempre nelle loro menti: orribile Israele, abominevole Israele, disumano Israele. Un'intera generazione nutrita di odio. Questo è un prezzo terribile, che saremo costretti a pagare molto tempo dopo che i risultati stessi della guerra saranno stati dimenticati in Israele. Ma c'è un'altra cosa che rimarrà impressa nelle menti di questi milioni di persone: l'immagine dei miserabili, corrotti e passivi regimi arabi. Alla vista degli arabi, una cosa spicca su tutte le altre: il muro della vergogna. Per il milione e mezzo di arabi di Gaza, che stanno soffrendo così terribilmente, l'unica apertura verso il mondo che non è dominata da Israele è il confine con l'Egitto. Solo da lì può arrivare il cibo a sostenere la vita e i medicinali a salvare i feriti. Questo confine rimane chiuso al culmine dell'orrore. L'esercito egiziano ha bloccato l'unica via attraverso la quale il cibo ed i medicinali possono entrare, mentre i chirurghi operano i feriti senza anestesia. In tutto il mondo arabo, da un capo all'altro, sono echeggiate le parole di Hassan Nasrallah: i leader dell'Egitto sono complici di questo crimine, stanno collaborando con il "nemico sionista" nel cercare di spezzare il popolo palestinese. Si può ritenere che egli non si riferisse solo a Mubarak, ma anche a tutti gli altri leader arabi, dal re dell'Arabia Saudita al presidente palestinese. Vedendo le manifestazioni in tutto il mondo arabo ed ascoltando gli slogan, si ha l'impressione che a molti arabi i loro leader appaiano patetici nel migliore dei casi, e miserabili collaboratori nel peggiore.


Tutto questo avrà conseguenze di portata storica. Un'intera generazione di leader arabi, una generazione imbevuta dell'ideologia del nazionalismo arabo laico, i successori di Gamal Abdel Nasser, Hafez al-Assad e Yasser Arafat, potrebbe essere spazzata via dalla scena. Nella regione araba, l'unica possibile alternativa che si profila è l'ideologia del fondamentalismo islamico. Questa guerra è un segnale d'allarme: Israele sta perdendo la storica possibilità di fare la pace con il nazionalismo arabo laico. Domani, lo stato ebraico potrebbe trovarsi di fronte ad un mondo arabo uniformemente fondamentalista - Hamas moltiplicato per mille. L'altro giorno il mio tassista a Tel Aviv stava riflettendo ad alta voce: perché non chiamare alle armi i figli dei ministri e dei membri della Knesset, includerli in un'unità da combattimento e mandarli a guidare il prossimo attacco di terra a Gaza? Tradotto da Maan News


*giornalista israeliano e fondatore di Gush Shalom - “Peacereporter.net”  - 05/01/2009




APPLICHIAMO IL BOICOTTAGGIO DI ISRAELE
 Cominciamo con qualcosa di piccolo... ma, in questo mondo governato dal capitale, efficace: quando andate al supermercato, nei negozi, nei mercati controllate la provenienza dei prodotti che acquistate.
Se il codice a barre riporta il numero 729 non comprateli.

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Cominciamo a togliere qualche arma a chi ne sgancia a tonnellate sulla popolazione palestinese.
 

Distruggere Gaza, cancellare la Palestina

Bashir Abu-Manneh*

Assistiamo con orrore Israele lanciare ancora un'altra offensiva contro i diseredati e i deboli. I morti si contano a centinaia (per la maggior parte forze di polizia e civili e non soldati addestrati), migliaia sono i feriti e un milione e mezzo di persone vengono terrorizzate, punite per aver osato sfidare il volere dei loro assedianti e perché continuano a non sottomettersi ad essi. Di nuovo i media colludono e vendono un'aggressione barbarica perpetuata contro una popolazione priva di difese e di ogni assistenza come fosse una guerra fra due fazioni, mistificando l'assoluta disuguaglianza delle rispettive capacità offensive attraverso parole quali "reazione sproporzionata" e "cessate il fuoco". Ancora una volta vengono distribuiti "shock e timore", come se essi fossero la valuta dell'esercito e come se il primo round di questo conflitto fosse stato combattuto in Iraq e il secondo in Libano nel 2006. Ancora una volta sentiamo un supponente comandante dell'esercito dire che l'area colpita verrà mandata di varie decadi indietro nel tempo, come se Israele avesse ottenuto il controllo sul tempo.

Così si è espresso il GOC del commando meridionale Yoav Galant: «Nell'attacco al regime di Hamas nella striscia di Gaza, le forze di difesa israeliane cercheranno di riportare Gaza indietro di varie decadi in termini di potenziale militare e, allo stesso tempo, di provocare il maggior numero di vittime sul fronte nemico e mantenere al minimo le vittime delle forze di difesa israeliane».

Israele ha provato più volte ad abituare il mondo che uccidere gli arabi è un fatto normale, un evento quotidiano e del tutto non eccezionale nell'epoca della “lotta al terrore”, e che c'è sempre una valida giustificazione per farlo. Perché? Perché gli arabi sembrano essere sempre manchevoli di qualcosa: benevolenza nei confronti dei loro oppressori, intenzioni pacifiche, oppure - semplicemente - ragionevolezza, moderazione e umanità. L'élite americana è sicuramente convinta di ciò. A testimonianza di tale convinzione c'è il loro comportamento in Iraq ma anche in Afghanistan e in Somalia: il consenso bipartisan che per lungo tempo ha diretto o fiancheggiato il coinvolgimento americano (leggi "imperialismo") non è in odor di dubbio. La sovranità nazionale e l'autodeterminazione sono concesse solo all'Occidente.

L'élite israeliana trae la propria motivazione di vita da tale assunto razzista: i palestinesi hanno bisogno di imparare un'altra lezione dai loro colonizzatori.

Come fa notare Tom Segev: «Israele sta colpendo i palestinesi per “dare loro una lezione”. Questo è l'assunto di base che ha accompagnato l'impresa sionista fin dal suo inizio: noi siamo i rappresentanti del progresso e della diffusione della cultura, della razionalità e della moralità, mentre gli arabi sono primitivi, una massa violenta, dei bambini ignoranti che devono essere educati e instradati alla saggezza, per mezzo - ovviamente - del metodo del “bastone e della carota” esattamente come il mandriano fa con il suo asino».


Perché, dopo 60 anni di Nakba, Israele trova ancora impossibile comprendere che i palestinesi non rinunceranno alla loro lotta per la libertà e l'indipendenza? Centrerà l’obiettivo questo nuovo brutale colpo al nemico diseredato quando tutti gli altri sono già falliti?
Da una parte, sembra un fatto irrazionale per Israele quello di continuare i suoi atti di violenza contro i palestinesi autoctoni che rifiutano di sottomettersi. L'uso della forza non fa altro che inasprire la resistenza e incrementare la violenza della risposta armata. D'altra parte però tale atteggiamento ha un preciso disegno colonialistico. Il nocciolo della politica di Israele è di ritardare continuamente le aspirazioni nazionali dei palestinesi. Da quando è stato storicamente dimostrato che per i palestinesi è impossibile pensarsi diversamente da un popolo con una causa nazionale, Israele ha sempre usato la
forza per distruggere ogni organizzazione nazionale palestinese non appena essa ha preso forma. Inoltre, non lontano dallo sbarazzarsi di tutti i palestinesi in una sola volta (attraverso le espulsioni di massa o un olocausto), Israele indebolisce persistentemente e sistematicamente le loro capacità, le loro possibilità e i loro sforzi di realizzare i loro diritti umani e a costituire un proprio stato, nonché di riprendere le loro terre espropriate.

Bombardando e distruggendo, Israele prova ad affrontare la contraddizione che è al cuore della sua impresa coloniale: la sua fame per la terra palestinese e il soddisfacimento del (superfluo) popolo palestinese. In accordo alla sua logica, ci sono sempre troppi palestinesi e troppa poca terra per soddisfare l'ansia per il “Lebensraum” (“spazio vitale” n.d.t.) israeliano. Benny Morris ha recentemente versato molte lacrime per come si sente la belligerante Israele e sul fatto che si aspetta cose simili a ciò che stanno avvenendo a Gaza in questo momento, sottolineando che l'aumento demografico palestinese è uno dei fattori che più minacciano Israele: «Se il trend attuale persiste, gli arabi potrebbero costituire la maggioranza dei cittadini israeliani nel 2040 o nel 2050. Già in 5 o 10 anni i palestinesi (gli arabi israeliani uniti a coloro che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza) costituiranno la maggioranza della popolazione palestinese (la terra situata fra il fiume Giordano e il Mediterraneo)». E conclude dicendo: «La sensazione data loro da Israele di voler serrare i ranghi ha condotto in questa settimana passata ad una reazione violenta. Presi in considerazione i dati sopra esposti, non sarà una sorpresa se da questo seguiranno ancora esplosioni più potenti».


La pulizia etnica di un altro popolo sembra essere, per Morris, la via migliore per risolvere la contraddizione del colonialismo. Il New York Times, naturalmente, obbliga attraverso la concessione di spazi e dando voce agli avvocati di crimini futuri. Il concetto di “attacco preventivo” ha appena assunto un nuovo significato: giustificare a livello ideologico crimini ancora da verificarsi.


Ce la farà Israele a riuscire in questa sua campagna?
Se lo scopo è quello di distruggere Hamas, chiaramente no. Hamas è addirittura più popolare rispetto a prima. Il presidente dell'autorità palestinese Mahmoud Abbas ha abbracciato la via americana delle negoziazioni senza fine, dell'aumento dei check point, della crescita delle colonie israeliane, e i coloni sono diventati ancora più violenti nei confronti dei palestinesi, sebbene su di loro si getti sempre più discredito.

Come il Financial Times ha riportato questa settimana, Abbas «potrebbe risultare la più importante causa politica del conflitto», specialmente da quando la propaganda ha incolpato Hamas per l'attuale escalation, attirandosi le ire persino dei suoi stessi sostenitori di Fatah: «perfino prima degli attacchi a Gaza, Mr Abbas e l'autorità palestinese è stata vista da molti palestinesi come debole, incapace e lontana, mentre si avvicina sempre più ad Israele». Anche peggio, l'autorità palestinese ha ostacolato alcune proteste popolari in Cisgiordania, battendo le strade assieme all'esercito israeliano in molti luoghi, perfino mentre prosegue il massacro a Gaza. Questo, unito alla coordinazione con Israele - che conduce ad innumerevoli arresti e ad omicidi dei rappresentanti di Hamas nonché del Jihad Islamico operativi in Cisgiordania - e alle centinaia di prigionieri politici detenuti dall'autorità palestinese, sono dei gravissimi passi falsi per la riconciliazione tra i palestinesi.

Per quanto tempo ancora Abbas consentirà agli americani e agli israeliani di imporre dei veti che influenzino il comportamento politico dei palestinesi? Hamas, quindi, si rafforzerà sicuramente e lo stesso avverrà per i gruppi ancor più radicali come Hizb al-Tahrir e  Jaish al-Islam (un'organizzazione simile ad al-Qaida).

Nel primo giorno degli attacchi, il leader esiliato di Hamas Khaled Mishal, ha detto ripetutamente in un'intervista rilasciata ad Al-Jazeera che questo è un «momento storico» nella storia palestinese, enfatizzando il fatto che il nemico è abbastanza potente da decidere l'inizio dell'invasione ma non può determinarne la fine o l'esito (così come fu in Libano nel 2006). Sumud (determinazione) insieme alla resistenza e alla ferrea determinazione e alla disciplina caratterizzano la risposta di Hamas all'azione di Israele. Mishal si è anche richiamato alla terza Intifada, ma questa volta con una strategia su due fronti: violenti contro Israele, pacifici internamente (contro l'autorità palestinese). L'avvertimento è chiaro.


L'autorità palestinese diventa facilmente un bersaglio, e non più un veicolo, delle aspirazioni politiche di Hamas. Finché Abbas (il cui mandato finirà la prossima settimana) rifiuterà di adattarsi ad Hamas, sarà molto probabile che la terza Intifada verrà organizzata da quest'ultimo e sarà finalizzata a raggiungere l'egemonia politica in Cisgiordania e non solo a Gaza. Israele proverà ad annientarlo, naturalmente, ma riuscirà solo ad eliminare i suoi sub-contraenti palestinesi. Come in Somalia e in Afghanistan, più i fondamentalisti vengono attaccati, più essi sembrano crescere in numero e radicalizzazione. Questa è l'altra faccia dell’anarchia indotta da Israele. Se è Sderot a non avere pace oggi, Tel Aviv non l'avrà domani. Lo stato di terrore indotto da Israele getterà solamente benzina sul fuoco sulle vittime dell'antiterrorismo. Se Hamas sa che non potrà mai sconfiggere


Israele, sa anche che può cercare di far forza su ciò che una volta Sheikh Ahmad Yassin ha chiamato “simmetria della paura”: i tuoi civili vivranno nella paura e nell'insicurezza, e moriranno, esattamente come accade ai nostri. Se le democratiche vittorie elettorali conducono al boicottaggio e all'assedio, nonché alla fame e ai massacri, all'alto tasso di disoccupazione, a livelli di povertà ancor più alti e alla dipendenza degli aiuti umanitari, alle illegali punizioni collettive, allora cosa potranno compiere i disperati e disumanizzati cittadini di Gaza? La promessa di una “vita di morte” potrà prendere il posto di una “morte in vita”.


L'aspetto più incoraggiante di questa orribile settimana è il fatto che centinaia di migliaia di arabi in tutto il mondo arabo, dal Marocco allo Yemen (inclusi i palestinesi che vivono in Israele, che sono stati arrestati e rinchiusi a centinaia), hanno protestato contro gli attacchi israeliani, chiedendo che i regimi arabi tagliassero i loro vincoli con Israele e che l'Egitto aprisse i propri confini con Gaza. La protesta è stata rivolta contro l'Egitto anche a causa delle relazioni che riportano che i diplomatici egiziani hanno ingannato i funzionari di Hamas facendogli credere che l'attacco di Israele non fosse imminente. Ancora una volta nella storia araba, i legami fra i palestinesi, gli interessi degli arabi e la mobilitazione di massa contro i regimi appoggiati dall'Occidente sono ben visibili.

I palestinesi potranno ancora diventare una causa araba, poiché i palestinesi sembrano essere senza aiuto e divisi nel fronteggiare le macchine da guerra israeliana. Dire, come ha fatto Mubarak dall'Egitto, che aprire Rafah condurrebbe solamente ad un'ulteriore polarizzazione e frammentazione tra la Cisgiordania e Gaza vuol dire credere che i palestinesi appartengono, in qualche modo, ad Israele e non dovrebbero mai beneficiare dei loro legami e affiliazioni in quanto arabi.

Perché l'Egitto non dovrebbe aiutare Gaza provvedendo al suo fabbisogno energetico, infrastrutturale e civile? Come possono vivere dignitosamente i palestinesi minacciati nella loro unità istituzionale e politica?

Il sentimento popolare arabo chiede che la cooperazione, l'aiuto reciproco contro i nemici comuni e un'organizzazione su vasta scala diventi la norma e non l'eccezione.

Le mobilitazioni di massa palestinesi ed arabe e l'organizzazione è l'unica prospettiva che gli si presenta. Un'attiva partecipazione politica può garantire che ciò che i palestinesi stanno combattendo oggi è ciò che otterranno domani, senza essere ingannati da un gruppo elitario o da un altro (come è accaduto per Oslo).
E' vero che da quando Israele è la quarta potenza militare del mondo ed è pieno di testate nucleari, nessuna guerra armata condotta da palestinesi potrà mai sconfiggere Israele sul piano militare. Ma la lotta delle masse popolari come è successo nel primo anno della prima Intifada possono certamente sconfiggerlo politicamente. Ciò può creare anche migliori condizioni per i palestinesi affinché possano raggiungere la tanto agognata indipendenza, libertà nazionale e sovranità.

Gaza dovrebbe diventare ancora un'altra lezione per Israele riguardo la volontà di libertà della Palestina.
Facciamo che ciò avvenga.

From The Bullet, A Socialist Project e-bulletin, No. 174, January 4, 2009.

* Bashir Abu-Manneh è un palestinese israeliano, che insegna letteratura inglese a Barnard College, New York.

Traduzione di M.L.- 4 Gennaio 2009



APPELLO
 UNA GIORNATA DI SCIOPERO DELLA FAME PER CHIEDERE LA FINE DELL’AGGRESSIONE AL POPOLO DI GAZA

Taysir Hasan*

Siamo donne e uomini di diverse sensibilità religiose, idee filosofiche, convinzioni politiche.

Siamo, però, accomunati da una profonda vocazione di pace e di giustizia.


Ieri, è iniziata la fase finale dell’attacco al popolo di Gaza da parte dell’esercito israeliano. Un attacco criminale che fino ad oggi ha già provocato l’uccisione di più di 500 vite umane di uomini, donne e, soprattutto, bambini di Gaza.


Questo non può non gonfiare il cuore di dolore, di rabbia e d’indignazione in tutti gli uomini e in tutte le donne di pace e di giustizia.


A quei sentimenti, già di loro angoscianti, in questi orrendi momenti non può non aggiungersi altresì, in queste persone, in noi tutti una frustrante sensazione di impotenza.


In queste ore, quei sentimenti, ma soprattutto la necessità vitale per molti di “provare a fare qualcosa”, stanno facendo sorgere in tutto il mondo comitati spontanei di solidarietà col popolo di Gaza, ma, prima di tutto, di denuncia dell’aggressione e di richiesta ad Israele di cessare il fuoco.


Anche in Puglia si sono costituiti alcuni di questi comitati che hanno già organizzato manifestazioni pubbliche, fiaccolate nelle piazze, gesti di solidarietà concreta.

Ieri, si è svolta a Bari un’importante e partecipata manifestazione regionale.

Temiamo, però, che tutte queste pure significative e rincuoranti iniziative dal basso possano rimanere testimonianze nobili ma isolate e, soprattutto, ignote alla maggior parte delle persone. In quanto tali, sostanzialmente sterili ed inutili alla causa della pace e del popolo di Gaza.


Riteniamo, pertanto, necessario un momento unitario, mediaticamente visibile e, dunque, “politicamente”, nel senso più alto, rilevante di questo impegno diffuso.


Vogliamo, però, essere franchi con tutti i destinatari di questo appello e con tutti coloro cui dovesse esser sottoposto, perché crediamo la lotta per la pace inscindibile da quella per la giustizia e per la verità. Reputiamo, in tal senso, che la pace vera e duratura sia solo quella che si costruisce nella verità e nella giustizia.


Noi riteniamo che le responsabilità di questa immane carneficina di uomini, donne e, soprattutto, bambini innocenti siano del governo e dell’esercito israeliano.


Noi denunciamo che la guerra di sterminio che Israele sta conducendo in questi giorni contro un popolo inerme, quello di Gaza, è solo la prosecuzione con altri mezzi della guerra che quello stato, incommensurabilmente più ricco, potente ed armato di quel popolo senza stato, ha condotto con cinica determinazione negli ultimi due anni contro quello stesso popolo con l’embargo sull’energia elettrica, sul carburante, sui medicinali.


I firmatari di questo appello hanno idee diverse sul conto di Hamas e dei suoi metodi di resistenza a quella che è ancora a tutti gli effetti un’occupazione militare israeliana anche della striscia di Gaza.


Comunque la si pensi su Hamas, però, non è Hamas la causa di questa carneficina, né, men che meno, ne è l’obiettivo reale. Al massimo, ne è il criminale pretesto.


L’obiettivo reale, l’enorme, indifeso bersaglio umano di questo attacco, contrario ai più elementari principi del diritto internazionale e, prima ancora, del senso di umanità, è la popolazione civile di Gaza: gli uomini, le donne, i bambini soprattutto.


Su queste basi, invitiamo tutti gli uomini e le donne di buona e pacifica volontà ad indire e praticare per venerdì 9 gennaio una giornata di sciopero della fame per chiedere:


1)    al parlamento, al governo italiano ed alle regioni ogni utile iniziativa e pressione sul governo israeliano per far cessare immediatamente i bombardamenti e l’attacco di terra al popolo di Gaza, anche minacciando, in caso contrario, l’immediata interruzione di ogni rapporto di collaborazione economica e commerciale con Israele;


2)    agli enti locali di approvare mozioni ed ordini del giorno di condanna dell’aggressione israeliana e di solidarietà concreta al popolo palestinese e di Gaza in particolare (gemellaggi, adozioni a distanza, invio di strumentazioni mediche e di medicinali ecc....);


3)    alla società civile, alle associazioni, ai singoli cittadini e cittadine di avviare ogni iniziativa, individuale ed associata, di pressione sul governo israeliano per far cessare l’aggressione (invio di e-mail di condanna all’ambasciata israeliana, sit-in, manifestazioni pubbliche fino al boicottaggio dei prodotti israeliani e delle imprese che trafficano con quel paese).


* Responsabile comunità palestinese Puglia - Fasano - Brindisi, 4\1\2009
Per adesioni: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it
 

 

ATTIVISTA ITALIANO PER I DIRITTI UMANI DENUNCIA:
ISRAELE ATTACCA INTENZIONALMENTE PERSONALE MEDICO

 
Attivisti dell’International Solidarity Movement hanno passato la notte scortando le ambulanze di Gaza. Lavoravano con il personale medico durante l’invasione di terra delle forze di occupazione israeliane nel nord della Striscia di Gaza.

”Oltre ai due medici uccisi dall’esercito israeliano il 31 dicembre, oggi altri cinque sono morti per fuoco israeliano. Uno è stato colpito da proiettili a Jabaliya, un altro a Al Sheikh Ejleen. Tre sono stati uccisi quando un missile ha centrato la loro ambulanza nei dintorni di Tal Hawye a Gaza City. I medici sono constantemente in contatto con la Croce Rossa per negoziare i loro movimenti con gli Israeliani, ma questi rifiutano sempre l’autorizzazione.”

 
SHARON LOCK (AUSTRALIA) - INTERNATIONAL SOLIDARITY MOVEMENT
”_Gli Israeliani hanno lanciato una bomba di fronte alla nostra ambulanza per impedirci di avvicinarci ai feriti: una madre, un padre e tre fratelli adolescenti. Uno dei fratelli tentava di coprirne un altro con un lenzuolo. Erano entrambi feriti orribilmente; potevo vedere i polmoni di uno di loro. Mentre aiutavo i dottori a spostarlo dalla barella mi sono ritrovato con la mano nel suo corpo.”
 
ALBERTO ARCE (SPAGNA) - INTERNATIONAL SOLIDARITY MOVEMENT
”_Mi hanno chiamata 30 minuti fa, su una linea telefonica disturbata, dicendo che Arafat è morto - ucciso mentre lavorava - sotto fuoco israeliano. Era uno dei medici di emergenza che ho incontrato due notti fa, pieno di compassione, emotivamente forte, e con un incrollabile senso dell’umorismo. Sono più rattristata per la sua morte di quanto possa esprimere”
 
EVA BARTLETT (CANADA) - INTERNATIONAL SOLIDARITY MOVEMENT
”_Israele pretende che non ci sia una crisi umanitaria solo perchè non ci considera umani."
 
NATALIE ABU SHAKRA (LIBANO) - INTERNATIONAL SOLIDARITY MOVEMENT
”_Israele continua a violare le convenzioni internazionali attaccando personale medico. Stanno massacrando la gente di Gaza. Con un crescente numero di vittime civili, Israele deve assicurare che l’assistenza medica sia disponibile. Invece, stanno colpendo intenzionalmente le squadre di medici protette dalle Convenzioni di Ginevra. La comunità internazionale deve pronunciarsi sul disprezzo di Israele per il diritto internazionale.”
 
VITTORIO ARRIGONI (ITALIA) - INTERNATIONAL SOLIDARITY MOVEMENT
”_L’invasione di terra della scorsa notte ha portato alla chiusura di Beit Lahiya e Beit Hanoun. Siamo riusciti a entrare a Beit Hanoun per raccogliere i corpi di alcune vittime. Ora ci dirigiamo a Jabaliya per continuare a lavorare all’accompagnamento delle ambulanze. Non c’è alcun posto dove la gente di Gaza possa scappare, i civili non possono uscire e mettersi in sicurezza a causa dell’assedio. Questi prolungati attacchi a Gaza sono terrificanti e l’invasione di terra della scorsa notte da parte delle forze di occupazione israeliane ha portato a un numero altissimo di vittime civili”
(4 gennaio 2009)



LETTERA DELLA RETE “EBREI CONTRO L’OCCUPAZIONE”
Caro Riccardo Pacifici

Leggiamo il tuo comunicato stampa dove dici che condividi la scelta della leadership israeliana di aver pazientato otto anni di lanci di missili palestinesi prima di rispondere con gli attuali bombardamenti.

Ci sembra che in questi otto anni anche la pazienza degli abitanti della Striscia di Gaza sia stata messa a dura prova: hanno vissuto in una prigione a cielo aperto, i cui confini sono sigillati, le merci non entrano e non escono, l'economia è soffocata. Nemmeno i malati possono uscire. Agli ospedali di Gaza mancano persino i disinfettanti e gli anestetici. La centrale elettrica riceve carburante per funzionare solo poche ore al giorno, così le fognature traboccano e l'acqua potabile arriva meno di una volta alla settimana.

Gli aiuti alimentari - quando arrivano – sono insufficienti. Su tutto questo sono arrivati i bombardamenti che hanno causato un'ecatombe di donne, uomini e bambini. Questa è l’opera della leadership israeliana che tu tanto apprezzi. Chi, come noi, appartiene a un popolo con la storia che ha, dovrebbe avere almeno un minimo di pietà umana. Vergognati, vergognati, vergognati!


Stefano Sarfati Nahmad, Paola Canarutto, Giorgio Forti della
(4 gennaio 2008)



AI POLITICI  ITALIANI
Luisa Morgantini*
 
Non una parola, non un pensiero, non un segno di dolore per le centinaia di persone uccise, donne, bambini, anziani e militanti di Hamas, anche loro persone. Case sventrate, palazzi interi, ministeri, scuole, farmacie, posti di polizia. Ma dove è finita la nostra umanità. Dove sono i Veltroni, con i loro “I care”, come si può tacere o difendere la politica di aggressione israeliana.

La popolazione di Gaza e della Cisgiordania, i palestinesi tutti,  pagano il prezzo dell’incapacità della Comunità Internazionale di far rispettare ad Israele la legalità internazionale e di cessare la sua politica coloniale.


Certo Hamas con il lancio dei razzi impaurisce ed è una  minaccia contro la popolazione civile israeliana, azioni illegali, da condannare. Bisogna fermarli.

Ma  basta con l’ impunità  di Israele e dei ricatti dei loro gruppi dirigenti.

Dal 1967 Israele occupa militarmente i territori palestinesi, una occupazione brutale e coloniale.  Furto di  terra, demolizione di case, check point dove i palestinesi vengono trattati con disprezzo, picchiati, umiliati,  colonie che  crescono a dismisura portando via terra, acqua, distruggendo coltivazioni. Migliaia di prigionieri politici, ai quali sono impedite anche le visite dei familiari.

Ma voi dirigenti politici, avete mai visto la disperazione di un contadino palestinese che si abbraccia al suo albero di olivo mentre un buldozzer glielo porta via e dei soldati che  lo pestano con il fucile per farglielo lasciare, o una donna che partorisce dietro un masso e il marito taglia il cordone ombelicale con un sasso perché soldati israeliani al check point non gli permettono di passare per andare all’ ospedale, o Um Kamel, cacciata dalla sua casa, acquistata con  sacrifici perché fanatici ebrei non sopravissuti all’olocausto ma arrivati da Brooklin, pensando che quella terra e quindi quella casa sia  loro per diritto divino, sono entrati di forza e l’hanno occupata perché vogliono costruire in quel quartiere arabo di Gerusalemme un'altra colonia ebraica. Avete mai visto i bambini dei villaggi circostanti Tuwani a sud di Hebron che per andare a scuola devono camminare più di un ora e mezza perché nella strada diretta dal loro villaggio alla scuola si trova un insediamento e i coloni picchiano ed aggrediscono i bambini, oppure i pastori di Tuwani che trovano le loro tanche d’acqua o le loro pecore avvelenate da fanatici coloni, o la città di Hebron ridotta a fantasma perché nel centro storico difesi da più di mille soldati 400 coloni hanno cacciato migliaia di palestinesi, costringendo a chiudere più di 870 negozi. Avete visto il muro che taglia strade e quartieri che toglie terre ai villaggi che divide palestinesi da Palestinesi, che annette territorio fertile e acqua ad Israele, un muro considerato illegale dalla Corte Internazionale di giustizia. Avete visto al valico di Eretz i malati di cancro rimandati indietro per questioni di sicureza, negli ultimi 19 mesi sono 283 le persone morte per mancanze di cure, avrebbero dovuto essere ricoverate negli ospedali all’estero, ma non sono stati fatti passare malgrado medici israeliani del gruppo Phisician for Human rights garantissero per loro. Avete sentito il freddo che penetra nelle ossa nelle notte gelide di Gaza perché non c’è riscaldamento, non c’è luce, o i bambini nati prematuri nell’ospedale di Shifa con i loro corpicini che vogliono vivere e bastano trenta minuti  senza elettricità perché muoiano.

Avete visto la paura e il terrore negli occhi dei bambini, i loro corpi spezzati. Certo anche quelli dei bambini di Sderot, la loro paura non è diversa, e anche i razzi uccidono ma almeno loro hanno dei rifugi dove andare e per fortuna non hanno mai visto palazzi sventrati o decine di cadaveri intorno a loro o aerei che li bombardano a tappeto. Basta un morto per dire no, ma anche le proporzioni contano dal 2002 ad oggi per lanci di razzi di estremisti palestinesi sono state uccise 20 persone. Troppe, ma a Gaza nello stesso tempo sono stati distrutte migliaia e migliaia di case ed uccise più di tre mila persone tra  loro centinaia di bambini che non tiravano razzi.


Dopo le manifestazioni di Milano dove sono state bruciate bandiere israeliane, voi dirigenti politici avete  tutti manifestato indignazione, avete urlato la vostra condanna. Ne avete tutto il diritto. Io non brucio bandiere né israeliane né di altri paesi e penso che Israele abbia il diritto di esistere come uno Stato normale, uno stato per i suoi cittadini, con le frontiere del 1967, molto più ampie di quelle della partizione della Palestina decisa dalla Nazioni Unite del 1947.


Avrei però voluto sentire la vostra indignazione e la vostra umanità e sentirvi urlare il  dolore per tante morti e tanta distruzione, per tanta arroganza, per tanta disumanità, per tanta violazione del diritto internazionale e umanitario.  Avrei voluto sentirvi dire ai governanti israeliani:  Cessate il fuoco, cessate l’assedio a Gaza, fermate la costruzione delle colonie in Cisgiordania, finitela con l’ occupazione militare, rispettate e applicate le risoluzioni delle Nazioni Unite, questo è il modo per togliere ogni spazio ai fondamentalismi e alle minacce contro Israele.

Ieri lo dicevano migliaia di israeliani a Tel Aviv, ci rifiutiamo di essere nemici, basta con l’occupazione.
Dio mio in che mondo terribile viviamo

* Vice Presidente del Parlamento Europeo - Roma,  3 Gennaio 2009




PIOMBO FUSO
Domenico Savino

Un lettore mi scrive chiedendomi se non ho nulla da dire sui fatti di Gaza e perché non scrivo come feci ai tempi della guerra a in Libano. E che debbo dire di un’operazione militare che si chiama «Piombo fuso»? Il nome non basta? Per la guerra che distrusse il Libano i comandi militari delle milizie del «popolo vittima», scelsero il leggiadro nome di «pioggia d’estate»:… l’odore di morte aleggia ancora sul «Giardino dei cedri». «Piombo fuso» non vi basta? Che devo aggiungere?

Che volete che vi dica, se i media di mezzo mondo veicolano la storia che Israele è stato aggredito e che i razzi islamici violano la tranquillità delle cittadine ebraiche del deserto del Neghev? Posso reagire allo squittire di Fiamma Nirenstein o alle apodittiche dichiarazioni del nostro presidente della Knesset, pardòn della Camera? Posso?

No, e allora muto. Non dico nulla, perché finirei in galera io e ci finirebbe pure il direttore e l’editore del sito. Quindi preferisco tacere. Sono stanco di dover ribattere in privato ad obiezioni cretine sull’antisemitismo, di dover dare conto dei miei sentimenti verso i «fratelli maggiori» e di essere vagliato circa la mia fedeltà ai valori dell’Occidente.

L’unico antisemitismo che nutro è quello verso i governi dei popoli semiti che circondano Israele e che - con qualche lodevole eccezione - usano i palestinesi per i propri loschi interessi, abbandonandoli alla ferocia di Giuda. A partire dalla monarchia ashemita, a quella wahabita e ai vari emirati e colonnelli del petrolio con il loro codazzo di mogli, cortigiane e mignotte di lusso, per tutti auspico senza eccezione, a partire da Rania di Giordania, una rivoluzione popolare che li restituisca ai bucolici piaceri della zappa e del badile.

Circa i Giudei mi rimetto - senza «se» e senza «ma» - alle parole dell’ebreo Saulo di Tarso, con buona pace del cardinale gerosolimitano che lo vorrebbe censurato: «Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti; bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai reciso.

Quanto a loro, se non persevereranno nell’infedeltà, saranno anch’essi innestati; Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo! […] Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto: Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà le empietà da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati. Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia per la loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti in vista della misericordia usata verso di voi, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!».


Circa la mia fedeltà ai valori dell’Occidente, scordatevela. L’Occidente quale!? Io sono fedele ai valori di una Europa che fu cattolica, erede di un impero di civiltà, inclusiva e tollerante davvero e non mi sento affatto prossimo ai valori di una «astrazione geografica» che vorrebbe rendermi sodale di un progetto rivoluzionario che ha squassato il mondo, le identità dei popoli, le coscienze degli individui, che ha annichilito le civiltà preesistenti con una determinazione pari al suo furore giacobino.


Considero l’Atlantico un tratto di mare ben più vasto che il Danubio o il Don e reputo l’animo slavo meno feroce di quello puritano. Sono renitente alla leva, specie a quella per esportare le democrazie, non considero gli arabi bestie, constato che la fede islamica trova difensori ben più zelanti di quella cristiana, ammiro il coraggio di Hezbollah, la tenacia di Hamas, la pazienza delle donne palestinesi e la loro ostinazione a lasciar generare nel loro grembo figli, laddove l’Occidente opulento e omicida ne massacra a milioni.

Vedo in tutto ciò il persistere di uno spirito indomito, che da noi si trova solo tragicamente e paradossalmente in qualche capomafia, che considera «cosa propria» la terra in cui vive. Così siamo messi. Per il resto siamo servi dei servi.

Posso aggiungere altro? No. Se fossimo in uno Stato libero potrei paragonare Tshal alla Werhmacht, con l’eccezione che allora si rispondeva ad un attentato e ai morti con la rappresaglia di dieci (o dieci virgola qualcosa) a uno: questi i numeri delle fosse Ardeatine.

Oggi 111 a uno: ovvero se un soldato tedesco valeva dieci civili, un civile israeliano ne vale 110.

Potrei, ho detto, ma non lo faccio. La contabilità dei morti la lascio volentieri all’industria indicata dall’ebreo Finkelstein.

Mi limito, invece, a constatare che oggi non solo la guerra, ma anche la rappresaglia è preventiva. Le vittime palestinesi sono al momento 435 (in crescita costante) e 2.285 i feriti; tra coloro che hanno perso la vita, in particolare, 75 erano bambini e 21 donne. E sta per partire l’«operazione di terra»…

Ci hanno detto che ci sono state cinque vittime israeliane a seguito dei lanci dei missili di Hamas dalla Striscia (sia chiaro tanto deprecabili e omicidi, quanto grotteschi nel loro intento di ferire il Leone di Giuda). Oggi le vittime pare siano scese a quattro (forse uno è risorto?) di cui tre civili e un soldato.

Peccato per esempio che il manovale originario del Negev, morto nell’esplosione di un missile Grad nella città costiera israeliana di Ashkelon, fosse un beduino, quindi un israelo-palestinese arabo, non ebreo. Quando sento che un razzo caduto su Nahal Oz ha gravemente ferito una persona, so che molto probabilmente è un altro arabo e lo stesso dicasi per quell’uomo ucciso da un razzo che ha centrato una casa nella cittadina di Netivot.
I terribili razzi palestinesi talvolta sono così maldestri da colpire solo i propri.
In realtà dei palestinesi a nessuno importa niente e comunque per radio, TV e giornali la colpa è loro. Cosa dobbiamo scrivere: rispetto a Tshal le SS erano dei dilettanti? Non lo scriviamo, perché oltretutto offriremmo un pretesto sciocco per danneggiare il sito e quindi ufficialmente non lo pensiamo neppure e voi fate lo stesso.

Bisognerebbe invece che qualcuno si ricordasse di raccontare la storia, quella vera e di dirci che Gaza per Israele va ripresa, anzitutto per ciò che simbolicamente rappresenta: Gaza era definita Filistia (il nome biblico è Pleshet) la terra dei Filistei, meglio nota per la storia della sconfitta di Golia da parte di Davide. Potrà Israele rinunciare a quella terra, sottratta al faraone (cioè all’Egitto) nella «Guerra dei sei giorni»!?


Senza la mitologia biblica è impossibile spiegare il sionismo e la nascita stessa di Israele. Una lettura solo politica di ciò che vi accade è ontologicamente impossibile, oltrechè fuorviante…

Non mi si obietti che Sharon ordinò lo sgombero di Gaza. L’abbandono di Gaza da parte dei coloni è stata un’operazione di facciata per preparare un nuovo più massiccio insediamento, per fare quello che altrimenti, con degli ebrei a portata di mano della rabbia palestinese, sarebbe stato impossibile: il genocidio dei filistei.

Cinta d’assedio, con la popolazione stremata, bombardata periodicamente, massacrata sistematicamente, stuprata nella psiche, coi bambini cresciuti nel terrore delle bombe e nutriti di psicofarmaci, chiedo agli illuminati e razionali politici e commentatori di casa nostra come si comporterebbero.

Vorrebbe qualcuno mostrare per Gaza gli stessi sentimenti che sente per i tibetani? Dov’è Emma Bonino? Forse la vita dei bambini palestinesi vale quella di un mamser, bastardo in ebraico?
Li si è ridotti così, a sparar razzi a casaccio per poterli ammazzare meglio, si è fatto leva sull’istinto  di sopravvivenza per poterli schiacciare e gettare a mare, ben sapendo che l’orgogliosa follia islamica impedisce loro di fare l’unica cosa possibile: una collettiva protesta di tipo ghandiano, scegliendo di morire, combattendo senza armi.

Questa sarebbe l’unica cosa da fare e queste le uniche verità da dire, oltre a ricordare che, quando Sharon si accinse ad ordinare lo sgombero degli insediamenti sionisti a Gaza, con l’avallo di Bush, l’autorevole voce dell’ex rabbino capo sefardita Ovadia Yossef, leader del partito ortodosso Shas, durante una lezione alla sua sinagoga, parlando dell’uragano Katrina, che aveva distrutto New Orleans, ammoniva: «Qui abbiamo avuto l’espulsione di 15 mila persone dalle loro case; là sono stati espulsi in 150 mila. Il Signore ha voluto punire Bush perché questi ha incoraggiato Sharon ad espellere i coloni di Gush Katif».

E sarebbe il fondamentalismo islamico da temere?

Che posso farci io se Claudio Pagliara, corrispondente RAI da Gerusalemme, che trasmette dal confine di Gaza (perché le televisioni internazionali non sono ammesse nella striscia a documentare la ferocia dei missili di Giuda) ci ripete, circondato dai fantascientifici carri corazzati Merkavà di ultima generazione, che la minaccia per l’esistenza stessa di Israele sono i missili-petardo di Hamas lanciati dagli uliveti?


Già e poi a me quando sento certi nomi fa male… Merkavà è il Carro di fuoco descritto nella visione biblica avuta dal profeta Ezechiele, ovvero il «Cocchio Celeste» della parte più interiore della Qaballà: è lo stato del rapimento mistico nelle sfere superne, fino alle dimore degli angeli più elevati, fino allo stesso Trono di Dio, il luogo della sua dimora: «Non si tratta di un viaggio facile, e spesso si devono confrontare forze terribili quanto mirabili. Solo guardandole dall’alto, molto dall’alto, le faccende delle collettività umane possono venire comprese. E’ solo dall’alto della Merkavà che si vedono le vie di Dio, e come il  male sia in realtà il ‘trono del bene’» (1).


E’ l’idea fondamentale del sabbatianesimo, che trovò proprio a Gaza in Nathan Benjamin Levi, detto appunto Nathan di Gaza, il suo profeta.


I princìpi del sabbatianismo erano fondati su un messianismo estremo, che affermava che il Messia, per realizzare la redenzione, doveva scendere nell’abisso del male, anche per redimere i peccati d’Israele.


Potrà Israele rinunciare a quella terra? No, dovesse renderla un deserto di morte.

Il male come trono del bene: ecco quello che sta accadendo; è il destino di Israele che non si converte.

Che altro posso dire? Niente, quindi taccio. E prego. Prendo «atto che è in atto» l’operazione «piombo fuso».

Però un'’altra cosa, sì… la posso dire, la debbo dire. E’ che quando sento certi nomi, comincio a pensare… Piombo fuso… Che vuol dire, per chi deve capire?

L’ho pensato l’altra sera quando ho visto un soldato di Tshal, con il suo scialle sulla testa, leggere devotamente la Torah, mentre alle spalle la bocca di fuoco di un carro corazzato Merkavà sembrava guardare nell’obiettivo. Allora mi sono alzato da tavola all’improvviso e mi sono messo a cercare affannosamente. Mi è venuto in mente che c’è un termine in ebraico con cui si indica il sudario,  (סןךׇר = sudar, se è scritto correttamente) e che in ebraico moderno significa sciarpa, scialle. E’ un termine che è indicato ben undici volte nella Mishnà, la codificazione della Torah orale, che raccoglie le principali opinioni degli scribi e dei rabbini sui problemi della legge.


Vi si descrive così l’esecuzione capitale per combustione: si mette un sudar duro in uno morbido e si avvolge il collo del condannato. Due boia tirano i due lembi di questa sciarpa in senso contrario, finchè il condannato apre la bocca per poter versare nei suoi visceri piombo fuso… (2).


Il destino di Gaza è scritto.


1) http://www.cabala.org/programmi/web_merkava.pdf
2) «Il titolo della croce di Gesù», Maria-Luisa Rigato, E.P.U.G., 2005, pagina 211



VIOLENZA E DISPREZZO
Giorgio Forti *

Israele ha attaccato Gaza con 100 aerei da combattimento, missili ed elicotteri Apache, uccidendo, all'ora in cui scriviamo, circa 350 persone tra cui un numero elevato di donne e bambini. Prima di questo, da oltre due anni ha strangolato gli abitanti (1 milione e mezzo circa) imponendo il blocco dei rifornimenti di cibo, carburante, energia elettrica. Ha bloccato l'entrata ed uscita degli abitanti compresi i malati gravi, ridotti alla fame e privi di possibilità di curarsi e lavorare. L'economia della Striscia è stata distrutta dal blocco completo di esportazioni ed importazioni: mancano i materiali (cemento, ecc) per costruire, per l'industria e l'agricoltura. I prodotti tradizionali del luogo, ortaggi e frutta, marciscono nei magazzini a causa del blocco israeliano. Anche i soccorsi delle Nazioni Unite e di alcuni Paesi europei sono stati gravemente ostacolati, ed impedita l'attività di associazioni di cooperazione. Gaza ha tutto l'aspetto di una prigione a cielo aperto. La precaria tregua stabilita nel 2008 è stata rotta da Israele con un attacco che ha ucciso, nel novembre scorso, 7 persone.
Alcuni palestinesi (in realtà non si sa chi siano, ma sembra giusto metterli in conto ad una parte almeno di Hamas, poiché Hamas non li ha sconfessati) hanno reagito lanciando razzi Qassam contro le abitazioni israeliane al confine con la Striscia, principalmente nella cittadina di Sderot e dintorni. Questi razzi, assolutamente inefficaci dal punto di vista militare, possono essere diretti solo con grossolana approssimazione, e sono la manifestazione di una volontà di resistenza che si esprime in modo velleitario ed assurdo, e criminale perché rivolto contro civili: essi servono soprattutto ad Israele, come pretesto per continuare il mai interrotto blocco, ed ora la strage. Abbiamo visto i ministri israeliani parlare della necessità di difendere i loro cittadini dai razzi sparati dal territorio di Gaza, con una cinica ed inverosimile ripetizione della favola del lupo e l'agnello. La ministra degli esteri è comparsa in tv per dire che ora basta: nonostante il dolore per i bambini colpiti, «è ora di far cessare la minaccia contro Israele». Questa volta, neppure la stampa dell'Europa occidentale sembra disposta a credere a queste menzogne, salvo una parte consistente di quella italiana, assuefatta alla autoprivazione della libertà di espressione per opportunismo conformista.
La politica di Israele, con la coraggiosa eccezione di una piccola minoranza a cui va reso merito, la miriade di piccoli gruppi organizzati che esercitano una attivissima opposizione in nome degli ideali di giustizia e libertà, uguaglianza e pace ( vogliamo qui ricordarli tutti con simpatia e solidarietà: ci si permetta anche di additare i giovani e giovanissimi che rifiutano il servizio militare come occupanti ed oppressori nei territori palestinesi), è tuttora dominata dall'ideale nazionalista del sionismo che vuole, dopo stabilito lo Stato Ebraico, farlo più grande e forte, invincibile rifugio degli Ebrei dispersi nel mondo. E per questo, invece di cercare amicizia e cooperazione con il popolo palestinese che hanno cacciato dalla sua terra con la violenza ed il disprezzo, in modo continuato dal 1948 ad oggi, si affida alla forza delle armi.
L'estrema violenza ed ingiustizia di tutta la politica israeliana, dalla cacciata dei palestinesi ad oggi, è ora culminata nell'eccidio di Gaza, che ricorda altri eccidi che non vogliamo qui citare uno per uno, ma che gli israeliani e gli ebrei della diaspora dovrebbero aver ben presenti, ed insegnare alle nuove generazioni perché rifiutino la violenza nazionalista e razzista.
Ricordando l'introduzione di Primo Levi al suo esemplare libro «Se questo è un uomo», affermiamo che quando il disprezzo per lo straniero, il diverso, diventa il fondamento di una società, si arriva al lager. La strage di Gaza, insieme all'oppressione dei palestinesi nella Cisgiordania, alla loro discriminazione in Israele, è già ben inoltrata su questa strada.

* Giorgio Forti, Giorgio Canarutto, Paola Canarutto, Marina Del Monte, Miryam Marino, Carla Ortona, Renata Sarfati, Stefano Sarfati Nahmad, Susanna Sinigaglia, Ornella Terracini di Rete-ECO (Rete degli Ebrei contro l'Occupazione)

Ebrei contro l'occupazione  -Venerdì 02 Gennaio 2009



INTERVISTA A VITTORIO ARRIGONI

Oggi Israele ha aperto i valichi per lasciar uscire i cittadini stranieri presenti nella Striscia di Gaza. Donne russe, ucraine, polacche e rumene, mogli di palestinesi della Striscia, lasceranno Gaza. Vittorio Arrigoni, tra gli 8 attivisti internazionali che vivono a Gaza, rifiuta di andarsene. Gli abbiamo parlato al telefono.

Vittorio, descrivici la situazione a Gaza


"Devastante. Ci stanno massacrando. Oggi hanno colpito un'altra ambulanza. Una volta, le forze internazionali erano un deterrente contro gli attacchi, ora non più: Israele bombarda lo stesso. La minaccia di invasione incombe, ma non si sa quando succederà. Io e gli altri attivisti dell'ISM non ce ne andiamo di qui. Pensa, hanno aperto i valichi per mandare via gli stranieri, anziché per fare entrare aiuti e personale medico. Che vergogna! Comunque, i palestinesi sono incredibili: stanno tenendo in piedi ospedali interi con gli scarsi mezzi a disposizione, facendo di tutto per salvare le vite dei feriti".

I giornali israeliani scrivono che i leader di Hamas hanno lasciato la popolazione al proprio destino...

"Nient'affatto. Questi quotidiani massacri israeliani stanno rafforzando Hamas, al contrario di quanto si prefigge Israele. La gente, anche chi prima li criticava, ora li segue. Il discorso, commosso, partecipato, del premier Ismail Haniyah, il 31 dicembre, è stato seguitissimo. Ha mostrato che nella Striscia di Gaza ci sono un leader e un governo che sostengono il loro popolo, mentre a Ramallah è sempre più evidente che Abbas e il suo governo collaborano con l'occupazione israeliana, rivelandosi sempre più vergognosi. Hamas (io sono stato sempre critico nei suoi confronti) si sta comportando molto bene: sa mantenere l'ordine e la sicurezza, nonostante i bombardamenti israeliani abbiano decimato le forze di polizia. Anche i sostenitori di Fatah, qui a Gaza, ammettono che il governo Haniyah è affidabile, a differenza di quello di Ramallah".

Gaza - Infopal.




DAHLAN IL “QUISLING” A ISRAELE. DISTRUGGETE HAMAS

Ramallah - Un giornalista egiziano ha rivelato che nelle settimane precedenti all’attuale aggressione militare israeliana contro la Striscia di Gaza si è svolto un incontro tra la corrente di Fatah capeggiata da Mohamed Dahlan, una delegazione degli ex capi della sicurezza, e un gruppo israeliano che segue l’applicazione del piano di Dayton. L'argomento della discussione è stata l’aggressione contro la Striscia di Gaza e le sue conseguenze.

Il giornalista Ibrahim ad-Darawi, specializzato in questioni palestinesi, in una dichiarazione all’agenzia stampa “Quds Press”, ha detto di essere in possesso di informazioni attendibili secondo cui all’incontro, svoltosi nella città di Ramallah, in Cisgiordania, alla presenza di Dahlan, e di noti capi della sicurezza, tra cui Tawfiq at-Tirawi, sono state date informazioni precise sulle sedi della sicurezza utilizzate da Hamas nella Striscia di Gaza. Si tratta di quelle prese di mira dai bombardamenti aerei durante le aggressioni iniziate sabato scorso.

Ad-Darawi ha affermato che Dahlan ha chiesto agli americani e ai sionisti di infliggere a Hamas “un duro colpo" che non permetta al movimento di "rialzarsi di nuovo, perché se il colpo è passeggero Hamas tornerà più forte di prima".

Il giornalista ha aggiunto: "Le mie informazioni vengono da fonte sicura. Mohamed Dahlan, durante l’incontro, ha espresso la disponibilità a "tornare a Gaza e ad assumere la guida delle forze di sicurezza, non appena verrà distrutto il braccio armato di Hamas”.

Diversi mezzi d’informazione avevano parlato di un’apparizione improvvisa di Dahlan, sabato pomeriggio, a Ramallah, dopo una lunga assenza.

Mohamed Dahlan, che ha guidato la corrente golpista nel movimento di Fatah nella Striscia di Gaza, ha assunto una posizione di scontro con Hamas, sostiene l’entità sionista da quando il movimento islamico ha vinto le ultime elezioni legislative, e, dopo la "presa di controllo" di Gaza, si è trasferito tra Ramallah e il Cairo.

Dahlan è considerato dalla maggior parte dei palestinesi un quisling, un collaborazionista di Israele.

Infopal. – 30/12/2008



LETTERA SU GAZA
di  Mustafa Barghouthi

Leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? I bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?Chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria muore di guerra o di pace? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo
marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele?

Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della
democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.
Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia.
E se Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione?
Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l'indifferenza.
Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e
smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui,
delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita.

Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati?
Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni.
Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

trad. Francesca Borri - Ramallah, 27 dicembre 2008.



“IL GOVERNO ISRAELIANO E' UN PERICOLO PER LA PACE NEL MONDO”
di Giulietto Chiesa*
Solidarietà al popolo palestinese

L'assalto sanguinoso, e vile, di Israele contro la popolazione della striscia di Gaza è una vergogna per la comunità internazionale che ha permesso che avvenisse e che non ha fatto nulla per impedirlo e per fermarlo.
La stampa occidentale descrive gli eventi con la stessa, intollerabile faziosità con cui raccontò l'aggressione georgiana contro l'Ossetia del Sud, lo scorso agosto.

Vorrei che si ricordasse che la Russia fu condannata dal Parlamento Europeo per reazione "sproporzionata". Cosa firmeranno adesso i parlamentari europei che allora firmarono quella condanna? Se ne rimarranno in silenzio?

La mia solidarietà piena va al popolo palestinese, Popolo martire.

Il governo israeliano, con questo ennesimo massacro, dimostra di essere un pericolo per la pace del mondo. E, come accade sovente agli stupidi, finisce per essere un pericolo per se stesso, come tutti coloro che ignorano non solo la legge internazionale, ma anche la storia dei popoli.

* parlamentare europeo



UN ESEMPIO DI COERENZA

Theodoros Pangalos, membro del parlamento greco, socialista, ha restituito i regali offertigli dall'ambasciatore di Israele: tre bottiglie di vino offerte in regalo per le feste.
Theodoros Pangalos ha restituito il regalo all'ambasciatore con questa lettera:

Caro signor Ambasciatore,
Grazie per le tre bottiglie di vino che mi ha inviato come auguri delle festività. Auguro a lei, alla sua famiglia e ai membri dell'ambasciata un felice nuovo anno. Buona salute e progresso a voi tutti. Ho notato con rammarico che il vino che mi avete donato è stato prodotto nelle Alture del Golan. Ho sempre saputo, sin da quando ero molto giovane, che non si deve rubare e non si devono accettare i prodotti di un furto. Così ora non posso accettare questo regalo e devo restituirvelo.
Com'è noto, il vostro paese occupa illegalmente le Alture del Golan che appartengono alla Siria, secondo il diritto internazionale e le numerose decisioni della Comunità internazionale.

Colgo l'opportunità di esprimere la mia speranza che Israele otterrà sicurezza all'interno di frontiere riconosciute e che le attività terroristiche contro il suo territorio, da parte di Hamas o di chiunque altro, saranno contenute e rese impossibili; inoltre, spero che il vostro governo cessi di praticare la politica della punizione collettiva applicata su scala totale da Hitler e dai suoi eserciti.

Le azioni come quelle che attualmente esercitano i militari di Israele a Gaza, ricordano gli olocausti dei greci a Kalavrita, Doxato, Distomo e certamente nel ghetto di Varsavia.

Con questi pensieri, permetta che esprimo a voi e ai cittadini israeliani i miei auguri, e a tutta la gente della regione.



FERMATEVI SUBITO, FERMIAMOCI TUTTI!
P. Manauel Musallam*

“Quello in corso a Gaza è un massacro, non un bombardamento, è un crimine di guerra e ancora una volta nessuno lo dice".

Un inferno di orrore, morte e distruzione, di lutti, dolore e odio si sta abbattendo in queste ore sulla Striscia di Gaza e sul territorio israeliano adiacente.


A voi, capi politici e militari israeliani, chiediamo di considerare che insieme ai ‘miliziani’ di Hamas state colpendo, uccidendo e ferendo centinaia di civili palestinesi. Non potete non averlo calcolato. Non potete non sapere che a Gaza non esistono obiettivi da mirare chirurgicamente. Non potete non aver messo in conto che da troppo tempo è la popolazione di Gaza a vivere sotto embargo, senza corrente elettrica, senza cibo, senza medicine, senza possibilità di fuga. Le vostre crudeli operazioni di guerra compiono opera di morte su donne, bambini e uomini che non possono scappare né curarsi e sopravvivere, essendo strapieni gli ospedali e vuoti i forni del pane. Ascoltate i vostri stessi concittadini che operano nelle organizzazioni israeliane per la pace: “Siamo responsabili della disperazione di un popolo sotto assedio. Hamas da settimane aveva dichiarato che sarebbe stato possibile ripristinare la tregua a condizione che Israele riaprisse le frontiere e permettesse agli aiuti umanitari di entrare. Il governo d'Israele ha scelto consapevolmente di ignorare le dichiarazioni di Hamas e ha cinicamente scelto, per fini elettorali, la strada della guerra”.


FERMATEVI SUBITO!


A voi, capi di Hamas, chiediamo di considerare che i vostri razzi artigianali lanciati verso le cittadine israeliane poste sul confine, sono strumenti ulteriori di distruzione e, per fortuna raramente, di morte, e creano inutilmente paura e tensione tra i civili. Sono una assurda e folle reazione all'oppressione subita, che si presta come alibi per un’aggressione illegale. Se foste più potenti, capi di Hamas, vorreste forse raggiungere i livelli di distruzione dei vostri nemici? E non essendolo, a che scopo creare panico, odio e desiderio di vendetta nei civili israeliani che vivono a fianco alla vostra terra? Quali strategie di desolazione, disumane e inefficaci, state perseguendo?


FERMATEVI SUBITO!


E noi donne e uomini che apparteniamo alla ‘società civile’, sostiamo almeno un minuto accanto a tutti i civili che soffrono. Alle centinaia di ammazzati palestinesi, che per noi non avranno mai nome e volto, come alla vittima israeliana. Alle centinaia di feriti palestinesi e ai fortunatamente pochi feriti israeliani. A chi ha perso la casa. A chi non può curarsi. E poi, tutti insieme, alziamo la voce: non è questa la strada che porterà Israele a vivere in pace e sicurezza. Non è questa la strada che porterà i palestinesi a vivere con dignità in uno Stato senza più occupazione militare, libero e sovrano.


I media italiani in questi giorni hanno purtroppo mascherato una folle e premeditata aggressione -e soprattutto l'insopportabile contesto di un assedio da parte di Israele che per mesi ha ridotto alla fame un milione e mezzo di persone- scegliendo accuratamente alcuni termini ed evitandone altri.


La maggior parte dei quotidiani e telegiornali hanno affermato che “è stato Hamas a rompere la tregua”. Invece il 19 dicembre è semplicemente scaduta una tregua della durata concordata di sei mesi. L'accordo comprendeva: Il cessate-il-fuoco, la sua estensione nel giro di qualche mese alla Cisgiordania e la fine del blocco di Gaza. Questi impegni non sono stati rispettati da Israele (25 palestinesi uccisi solo dalla firma dell'accordo) e quindi Hamas non l'ha rinnovato. Ancor più precisamente, già ai primi di novembre, Israele aveva rotto la tregua con una serie di attacchi a Gaza uccidendo altri 6 palestinesi.


Aiutiamoci allora a valutare criticamente le analisi spesso falsate dei media per dare maggior forza ad altre voci diventate grida: Solo poche ore fa, proprio a Gaza, il Patriarca di Gerusalemme celebrava la Messa di Natale riprendendo il suo Messaggio natalizio:“Siamo stanchi. La pace è un diritto per tutti. Siamo in apprensione per l'ingiusta chiusura imposta a Gaza e a centinaia di migliaia di innocenti. Siamo riconoscenti a tutti gli uomini di buona volontà che non risparmiano sforzi per spezzare questo blocco.”


La strada intrapresa invece, lastricata di sangue e macerie, condurrà la gente qualsiasi al macello. E i suoi capi alla sconfitta. In primo luogo alla sconfitta umana.


FERMIAMOCI TUTTI!


*parroco a Gaza, 27 dicembre 2008



APPELLO PER GAZA: OSSERVATORIO ITALIANO SULLA SALUTE GLOBALE

E di nuovo ci risiamo, la stessa periodica guerra "già vista”, lo stesso spargimento di sangue che per diverse decine di anni ha continuato a condurre l’intera regione nell’inferno. E’ un’unica lunga guerra, un unico grande mattatoio. La Guerra dell’Occupante contro l’occupato, la Guerra dell’Occupato contro l’occupante.  
Da sabato 27 dicembre, gli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza hanno provocato almeno 340 morti e oltre 1.000 feriti, tra i quali molti civili inermi intrappolati a Gaza. Sono gli abitanti della striscia a patire le conseguenze più gravi dell’operazione militare  in corso. E’ inevitabile colpire degli innocenti quando si bombardano edifici abitati, sedi istituzionali, università,  come sta succedendo in questi giorni e riteniamo questo un crimine di guerra.
La grave situazione umanitaria già presente  prima dei bombardamenti si è terribilmente deteriorata, i bisogni della popolazione sono aumentati in maniera esponenziale, popolazione che da sempre vive in quella terra, dove prima c’era la paura, adesso c’è il panico. Negli ospedali manca di tutto, persino le garze e le suture e i feriti continuano ad arrivare….  

Come medici al servizio della salute e della sua preservazione questo ci lascia sgomenti e indignati e non lo riteniamo moralmente accettabile.

Siamo fortemente  preoccupati per chi rischia di morire in questo conflitto, per chi è ferito ed ha bisogno di essere curato e per nostri colleghi medici ed operatori sanitari che non riescono più a far fronte alla gravissima emergenza sanitaria che si è creata in condizioni del resto già drammaticamente precarie a causa blocco imposto per 18 mesi da Israele,  che vedevano già scarseggiare carburante, medicine e apparecchiature necessarie.

Chiediamo un cessate il fuoco immediato per impedire altre morti e ci appelliamo a  quei trattati internazionali  che impongono ai contendenti di qualsiasi conflitto la salvaguardia e il rispetto della vita della popolazione civile.

In particolare ci associamo alle richieste dei PHR (Physicians for Human Rights - Israel) ed altre  associazioni per i diritti umani  nel chiedere che Israele  permetta l'accesso dei feriti agli ospedali israeliani e non ostacoli il trasferimento di aiuti, farmaci ed attrezzature sanitarie, poiché avendo dichiarato Gaza zona di operazioni militari e portando avanti un attacco massiccio ha la responsabilità dei feriti e l’obbligo di rendere possibile l’accesso a strutture sanitarie in grado di assisterli adeguatamente, secondo quanto previsto da accordi internazionali.
 
Aderiamo altresì all’appello di Physicians for Human Rights – Israel (e lo rilanciamo) per la raccolta di fondi finalizzata a rifornire gli ospedali di Gaza del materiale necessario per far fronte alle paurosa crescita delle emergenze.

Il recapito di PHR-Israel è
Gila Norich, Director of Development
9 Dror St.
Jaffa Tel Aviv 68135 ISRAEL.
Questi sono i dati necessari per fare il bonifico bancario
Account Holder: Physicians for Human Rights-Israel
Bank: Hapoalim #12     Branch: Hashalom #662
Address: 106 Levinski Street, Tel Aviv, Israel
Account Number: 25938
SWIFT: POALILIT
IBAN: IL-70-0126-6200-0000-0025-938

Dopo aver fatto il bonifico si prega inviarne comunicazione a PHR via e-mail: gila@phr.org.il. Per ulteriori informazioni si PHR vai al sito www.phr.org.il  

www.saluteglobale.it



APPELLO AL BOICOTTAGGIO DI ISRAELE
Gaza come Guernica

 
Troppo è troppo

Il governo israeliano sta inviando ondate di caccia F16 a bombardare la popolazione palestinese di Gaza, gran parte di essa già indebolita e malata a causa di due anni di assedio e blocco da parte di Israele. I bambini, dice un portavoce di Israele, sono obiettivi legittimi perché vivono in case che si suppone siano usate per costruire razzi artigianali da tirare su Israele., sono essi stessi 'terroristi'. Sabato 27 dicembre Israele ha affermato di aver sganciato 100 tonnellate di bombe su Gaza.

Noi diciamo 'Troppo è troppo'. Fintanto che lo stato di Israele continua a sfidare l'umanità e la legge internazionale, noi, cittadini e cittadine del mondo,  ci dedicheremo a boicottare Israele.
Quando gli aerei nazisti bombardavano la città basca di Guernica nel 1937, per  far vincere la rivolta del generale Franco contro il governo repubblicano eletto democraticamente, Gran Bretagna, Francia e altri poteri europei continuarono a rifiutare il sostegno militare e politico alla repubblica spagnola e Franco e i suoi alleati nazisti prevalsero.
Poiché i nostri governi rifiutano di intraprendere azioni contro il governo di Israele, noi come cittadine e cittadini, dobbiamo agire.
Dichiariamo che, in solidarietà con la popolazione di Palestina bombardata, resa invalida, torturata e  cacciata come gruppo etnico diverso, noi, sia a livello individuale sia collettivamente:
 
• rifiutiamo di comprare qualsiasi tipo di frutto, verdura, fiori, cosmetici, indumento intimo, costumi da bagno o prodotto tecnologico  manufatto o prodotto in Israele o negli insediamenti illegali della Cisgiordania e informeremo i negozi che noi ci opponiamo al rifornimento dei prodotti israeliani.
• Noi non andremo in vacanza in Israele
• Faremo ricerche su quali settori dei componenti di computer hanno design israeliano  o vengono prodotti in Israele e faremo informazione pubblica e faremo pressioni su tutte le fabbriche di computer e sui gruppi di ricerca partner di fabbriche in  Israele.
• Faremo boicottaggio di film israeliani, compagnie di teatro, gruppi di danza e orchestre e faremo conoscere le nostre motivazioni alle direzioni di teatri e cinema.
• Faremo campagne attive  rispetto ai nostri governi per non permettere ai cittadini dei nostri paesi di prestare servizio militare nell'esercito, marina, forze aere e servizi di sicurezza di Israele.
• Organizzeremo gruppi di pressione nelle nostre organizzazioni professionali e sindacati per boicottare le istituzioni israeliane a meno che esse non facciano dichiarazione pubblica di opporsi alle azioni del loro governo, non cooperino con lo stato ( per esempio facendo corsi per i servizi di sicurezza, come sono solite fare tutte le Università israeliane.
 
Firmato:
Professore Jonathan Rosenhead
Professor Haim Bresheeth, London
Abe Hayeem, London
Mike Cushman, London
Professor Keith Hammond, Glasgow
Professor Ghada Karmi, Exeter
Jenny Morgan, London
Dr. Sue Blackwell, Birmingham
Comitato britannico per le Università di Palestina (BRICUP) - 28 dicembre 2008


 
 
APPELLO PER GAZA: Artists Against War sulla Palestina


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Da 60 anni stiamo assistendo al lento olocausto della popolazione araba di Palestina.

La Terra Santa ha appena vissuto il giorno più sanguinoso della storia del conflitto israelo - palestinese. Certo, la violazione di Hamas al cessate il fuoco è censurabile, ma tutti noi sappiamo che la popolazione di Gaza vive allo stremo delle proprie risorse e possibilità sociali e politiche.

Senza acqua, senza viveri, senza medicinali, senza luce o energia elettrica, senza poter pescare, senza poter cuocere il pane.

Non è più possibile provare il cordoglio ipocrita per la statalizzazione della shoa degli ebrei, perché ogni giorno siamo costretti ad assistere alla pulizia etnica della Popolazione araba in Terra Santa per mano israeliana.

La Rete degli Artisti italiani contro la guerra invita tutti gli Artisti ad attivarsi,  ognuno nella propria nazione, con il promuovere e con la partecipazione agli eventi di
protesta contro il massacro del Popolo Palestinese.

Affinché vengano accolte dai nostri Governi le richieste dei pacifisti israeliani, primi martiri di tale conflitto e più volte incarcerati o picchiati dallo IDF, come la pacifista Neta Golan dell'International Solidarity Movement, candidata al Premio Nobel per la Pace, arrestata pochi giorni fa. O come la piccola ebrea americana Rachel Correy, uccisa da un bulldozer israeliano mentre difendeva con il proprio corpo una casa palestinese.

Le richieste dei pacifisti israeliani:

Lo Stato di Israele deve essere sospeso dalle Istituzioni Internazionali, fintanto che sarà Gaza sotto assedio israeliano e l'aereonautica e l'artiglieria militari continueranno a massacrare la popolazione civile!

L'istituzione di un Tribunale internazionale, che giudichi l'attuale leadership politica e militare israeliana per tutti i crimini di guerra.

No impunità per i criminali di guerra israeliani!  


 

 Passanti tra parole fugaci
 
 
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci
portate i vostri nomi,
ed andatevene.
Ritirate i vostri istanti dal nostro tempo,
ed andatevene.
 
Rubate ciò che volete dall'azzurrità del mare
e dalla sabbia della memoria.
 
Prendete ciò che volete d'immagini,
 per capire  che mai saprete
come una pietra dalla nostra terra
erige il soffitto del nostro cielo.
 
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci
da voi  la spada … e da noi il  sangue
da voi l'acciaio, il fuoco … e da noi la  carne
da voi un altro carro armato … e da noi un sasso
da voi una bomba lacrimogena … e da noi la pioggia.
 
E' nostro ciò che avete di cielo ed aria.
Allora, prendete la vostra parte del nostro sangue,
ed andatevene.
Entrate ad una festa di cena e  ballo,
 ed andatevene.
Noi dobbiamo custodire i fiori dei martiri.
Noi dobbiamo vivere, come  desideriamo.
 
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
Come la polvere amara, marciate dove volete
ma non  fatelo  tra di noi, come insetti volanti.
 
L'aceto è nella nostra terra finché lavoriamo,
mietiamo il nostro grano, lo annaffiamo
con le rugiade dei nostri corpi.
 
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
un sasso … o una soggezione.
 
Prendete il passato, se volete, e portatelo
al mercato degli oggetti artistici.
Rinnovate lo scheletro all' upupa, se volete,
su un vassoio di terracotta.
 
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
abbiamo il futuro….e abbiamo
nella nostra terra, ciò che fare.
 
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
Ammassate le vostre fantasie in una
fossa abbandonata,  ed andatevene.
 
E riportate le lancette del tempo
alla legittimità del vitello sacro
o al momento della musica di una pistola !
 
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta
abbiamo ciò che non c'è  in voi:
una patria sanguinante
un popolo sanguinante,  una patria
adatta all'oblio  o alla memoria ….
 
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
E' giunto il momento che ve ne andiate
  e dimoriate dove volete, ma non tra noi.
E' giunto il momento che vi ne andiate
e moriate dove volete, ma non tra noi.
 
Abbiamo nella nostra terra, ciò che fare
il passato qui è nostro.
E'  nostra la prima voce della vita,
nostro il presente … il presente e il futuro
nostra, qui, la vita …e nostra l'eternità.
 
Fuori dalla nostra patria  …  
dalla nostra terra … dal nostro mare
dal nostro grano … dal nostro sale
dalla nostra ferita …da ogni cosa.
 
Uscite dai ricordi della memoria
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci !….
 
Mahmoud Darwish
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