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filosofia » Vandana Shiva: la democrazia e i beni comuni  

Riflessioni dopo “Comunità” - Festivalfilosofia 2009 - Modena
Vandana Shiva: la democrazia e i beni comuni
Roberto Urso


Lungo la linea che da Baumann va a Latouche, fino alla mcdonaldizzazione di Ritzer, in quel della Piazza Grande di Modena ritorna un'abitué (mal considerata quando sempre educatamente ignorata dalla secolare giunta PD) della città emiliana, Vandana Shiva.
Innanzitutto chi è: nata nel 1952, Vandana Shiva è una attivista e ambientalista indiana, laureata in fisica negli USA e fondatrice del Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy, un istituto di ricerca internazional-indiano da lei diretto e da molto tempo impegnato nelle lotte ecologiste.
Attivista politico-radicale e ambientalista, la Shiva da anni si batte per cambiare pratiche e paradigmi nell'agricoltura e nell'alimentazione, dall'uso della biotecnologia agli attacchi alla biodiversità, fino al trionfo degli OGM; tutte eredità della tanto decantata rivoluzione verde, da tradursi come stessa resa, ma con più acqua, con semi “brevettati”, con i terreni sempre più poveri e con le micro-economie sempre più minacciate dai bio-terroristi multinazionali.
Femminista e accanita sostenitrice di politiche socio-ambientali destinate a preservare soprattutto le donne – genere sociale maggiormente a contatto con le risorse primarie (comuni!) e dunque all'inquinamento/devastazione – fa piacere che venga a Modena a parlare di beni comuni; soprattutto in momenti come questi, quando l'acqua viene privatizzata per legge  e l'UE comincia ad aprirsi seriamente agli OGM, dopo anni di (illuminata) politica protezionista (vedi l'Algida e la sua proposta per l'Ice Structuring Protein ).
Concetto chiave del suo discorso è – ancora una volta, tanto di sentirne parlare non siamo mai stanchi  - la tematica dei beni comuni, perno strutturale di ogni organizzazione umana democratica e orizzontale (intesa come fatta dalla gente con la gente per la gente). Proprio questa ideale comunità orizzontale e reattiva viene raccontata dalla Shiva nel suo impegno per la difesa dei commons, varietà tematica a cui aggiungere obbligatoriamente l'ambiente e il cibo, nonostante il suo lento assottigliamento, che molti studiosi hanno definito Tragedy of commons: la privatizzazione, la degenerazione dei grandi movimenti di rivendicazione, a cui sono seguite (in India come in tutto il resto del mondo, sia il primo, sia il terzo, sia l'ex-secondo) le insufficienze: di strutture, di pascoli, di infrastrutture, di diritti.
La sua trattazione parte dai primi passi mossi nel campo delle lotte ambientali, quando in India si cominciò a combattere per rispondere al grandissimo impatto ambientale della sempre crescente (e sovvenzionata) attività mineraria, la cui sostenibilità può esistere solo se strettamente connessa (ancora una volta) alla questione di fondo: il rispetto dei beni comuni; quelli degli esseri umani, degli animali e dell'ecosistema Terra.
Proprio con l'avvio di queste grandi campagne di sfruttamento minerario, per gli indiani coinvolti sono cominciati i guai: l'espropriazione e lo sfruttamento/devastazione delle terre, bene comunitario  strappato ai contadini con il trabocchetto delle wastelands, le terre inutilizzabili, requisite dallo stato e consegnate ai padroni di turno; lo sfruttamento delle foreste, altro importantissimo bene comunitario spianato in massa per dare spazio a industrie e pascoli, già a partire dal Forest Act dei colonialisti di primo novecento; quando ancora non c'erano gli eco-socialisti e neanche i diritti umani (languono ancora oggi!), visto che morirono 35 indiani nelle lotte che ne seguirono. Veri e propri proto-ecologisti, che del global warming non avevano idea, eppure...

Partendo da questi ragionamenti, diventa quasi ovvio il collegamento di qualunque lotta/rivendicazione ambientale con l'opposizione alle logiche delle multinazionali, le tentacolari corporations favorite dal WTO, l'accordo mondiale sul commercio, frutto anch'esso di anni ed anni di accordi (vedi il GATT, vedi le organizzazioni internazionali) finalizzati alla proliferazione di un sistema iniquo quale è il capitalismo, soprattutto nella sua evoluzione neoliberista.
Proprio queste corporations sono al centro di discusse operazioni, tutte ascrivibili ad una politica aziendale finalizzata a brevettare la vita – sia con l'uso esteso/pubblicizzazione aggressiva e falsa degli OGM, sia con i processi di mappatura/registrazione del genoma umano ed animale  – alla quale la Shiva propone di rispondere con una rivalutazione dei beni comuni, nella cui categoria devono essere obbligatoriamente inseriti anche i semi, in quanto unica via possibile per la difesa della biodiversità.
La lotta per la difesa e per la riconquista comune dei semi non è cosa nuova, anche in India, terra che ha pagato salata la Green revolution, sia in campo economico (un debito spaventoso), sia in campo ambientale (tutti ricordiamo la tragedia di Bhopal, cittadina indiana teatro del più grande disastro chimico della storia, che in cifre significa 3.000 morti subito e 30.000 dopo, con le deformazioni e i problemi di inquinamento dannosi all'uomo e all'ambiente).
Prima lotta segnalata da Vandana Shiva è quella contro il brevetto del nīm, l'albero libero, una delle piante più diffuse e più antiche dell'India (dove è spesso conosciuto con il nome di “farmacia del villaggio”, per le sue proprietà medicamentose), che viene brevettato dall'azienda multinazionale W.S.Grace . Praticamente una multinazionale può rivendicare la proprietà e dunque dire di aver inventato un albero che in India si usa da sempre, compiendo un atto di bio-pirateria aspramente combattuto fino alla vittoria, purtroppo solo una goccia nel mare rispetto alla dimensione globalizzata del furto delle risorse biologiche; ancora una volta beni comuni.
E ancora più scandaloso è l'altro caso: nel 2000, l'azienda texana Ricetec, decide di brevettare il riso Basmati , attirandosi contro le proteste di un movimento internazionale promosso dall'istituto della Shiva e da numerose organizzazioni, alla lunga vittorioso contro il «ministero dei brevetti», lo Us PTO che alla fine ha dovuto cedere.
Ma la bio-pirateria non è solo furto e alterazione della biodiversità : adesso il nuovo fronte è quello del blocco dell'utilizzo dei beni comuni, da intendersi quali elementi di resilienza contro – l'ormai inevitabile – climate change; che, guarda caso, poi altro non è che il risultato di decenni di ingordigia umana, quello degli stati ma soprattutto quello delle grandi corporations, colpevoli e protette da una fittissima rete di rapporti internazionali, oltre che giustificate dalla pubblicità e dai consumatori; e anche da noi che queste cose le sappiamo.
Il quadro tracciato dalla Shiva è fosco: di fronte allo stravolgimento climatico, la soluzione più facile che ci viene prospettata è quella della modificazione della natura, a tutto vantaggio delle multinazionali che, giustificate da questa politica, si sono appropriate di evoluzioni naturali e artificiali, finendo per trasformare il mondo a proprio vantaggio, esercitando pressioni sui governi e sulle politiche (estere, urbanistiche ed energetiche), spingendo infine per la distruzione dei beni comuni, i commons che non sono solo degli umani, ma anche degli animali e di tutto l'ecosistema Terra. È da questi presupposti che nasce il fallimento del protocollo di Kyoto, il trattato ipocrita del 1997 che tenta di risolvere il problema ambientale con i titoli di emissione; come se i soldi potessero ricomprare gli ecosistemi irrimediabilmente distrutti, le specie irrimediabilmente scomparse, i futuri irrimediabilmente compromessi; come se l'atmosfera non fosse più un bene comune ma qualcosa che qualcuno ha il diritto di inquinare a danno di tutti e a profitto suo. E si parla di un giro di affari dell'ordine dei 1000 miliardi di dollari.
Ma come l'aria, c'è anche un altro importantissimo bene comune oggi posto sotto attacco: l'acqua, ennesima pedina di un sistema di risorse strettamente interconnesse, bene millenario e globale per eccellenza, il cui ciclo partecipa a redistribuire in tutte le parti del globo. L'acqua è anch'essa un bene indivisibile e inalienabile, un bene comune necessario alla vita e da sottoporre ad una gestione comune e comunitaria, che negli oscuri tempi di oggi si deve obbligatoriamente tradurre nella vigilanza attiva contro le multinazionali, che ci hanno provato, ci provano e ci proveranno sempre: come nel caso della Coca Cola, il cui stabilimento di Placimada (India), ha provocato un abbassamento repentino della falda acquifera, perchè utilizzava quasi 1.500.000 litri d'acqua al giorno . Risultato? Distruzione delle economie e delle attività del luogo; maggiore impatto sulle donne, da sempre genere più a contatto con le risorse e dunque più esposto alle devastazioni naturali; azione legale da parte degli ecologisti vandanashiviani e delle popolazioni legali, conclusasi vittoriosamente grazie alla Corte Indiana, che ha riconosciuto la comunità dell'acqua e disposto per la chiusura dello stabilimento. Ma la corte indiana non c'è dappertutto.
Con la crisi, la situazione – se possibile – si è aggravata: le bio-piraterie aumentano perchè aumenta l'allarme ambientale (che spesso funge da demagogica giustificazione), e ad esse si aggiungono le eco-truffe e le bio-furbate. Il capitalismo arranca e cerca di riorganizzarsi nascondendosi dietro false lacrime, e la sua crisi diventa momento per ripensare ai beni comuni e alla comunità come ponte per il futuro, libero dalla ipocrita libertà del neoliberismo. E nel tracciare il quadro del futuro non ci si può esimere dall'auspicarne una dimensione democratica e pluralista basata sulla gente e (ancora una volta) sulla comunità, vero termine di paragone contro la pirateria delle multinazionali e contro l'isolamento drammatico delle voci critiche nei marosi del becero individualismo.
Ed è proprio parlando di futuro che la Shiva affronta le sue tematiche migliori, calde e sentite anche in quel di Modena. Il vegetarianismo viene chiamato in causa quale modello di alimentazione da adottare per opporsi agli allevamenti intensivi, i cui danni – risaputi – sono globali: significano meno cibo per gli uomini (famoso il rapporto delle proteine, che finisce 10 a 1 per le granaglie, alla faccia dei 5 miliardi di individui che soffrono la fame), significano violenza serializzata sugli animali, significano fonte di nuove patologie (dalla Sars all'influenza H5N1) e laboratori per la fusione di nuovi ceppi virali (alias possibili pandemie).
Ma il vegetarianesimo non è che parte di una attenzione etica ed ecologica che passa, ancora una volta, per la dimensione comunitaria della gestione ambientale, la quale deve concentrarsi sulla tutela delle risorse comuni (idriche, biologiche, umane, animali, ambientali) e su strategie gestionali basate sulla raccolta differenziata ma improntate alla riduzione degli imballaggi e a strategie di riduzione dei rifiuti (la famosa strategia rifiuti-zero ).
Da qui, il passo per parlare di decrescita è breve, complice la domanda del pubblico. La Decrescita? Certo la «crescita è una falsità, perchè non è correlata ai dati umani ma a quelli economici», e la decrescita può essere la scelta giusta contro questa società dei derivati, delle crisi di sovrapproduzione, di sovra-speculazione, di dumping e di bolle; assieme alla revisione di tutte i sistemi economici a favore di modelli di misurazione diversi dal PIL, e magari incentrati su indicatori di felicità nazionale. Che, sentendo i canti di sirena giunti dalla Francia di Sarkozy, ci auguriamo essere adottati quali veri strumenti, e non come mera pratica demagogica.
E le donne? Le donne «devono fare ciò che gli uomini non fanno più»: devono combattere per reintrodurre la gestione comunitaria dei beni comuni, in cui si annoverano allo stesso livello i figli e il pianeta, devono muoversi fianco a fianco ai compagni uomini per richiamarsi alla vera democrazia dei commons, schierata contro la ricerca criminale, contro lo sviluppo economico delle corporations, contro le iniquità del PIL e del capitalismo, facendo propri i metodi che «Gandhi ha lasciato alla democrazia indiana»: la disobbedienza civile e l'autogovernance. Da rinverdire e rinvigorire prima che finiscano definitivamente nel dimenticatoio, sorpassati dai miti del progresso e dal luccichio delle suite al Taj-Mahal.

1 - http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2009/mese/09/articolo/1418/

 

2 - http://stampa.ismea.it/PDF/2007/2007-04-21/200704216692115.pdf

 

3 - Un buon film sull'argomento è Corporations di Achbar, Abbott, Bakan

 

4 - http://www.ilmanifesto.it/archivi/terra-terra/nocache/1/pezzo/3b289456cd140/

 

5 - http://www.ilmanifesto.it/archivi/terra-terra/nocache/1/pezzo/3b84f6291639e/

 

6 - http://www.mail-archive.com/ecologia@peacelink.it/msg00990.html

 

7 - www.oppapers.com/subjects/coke-in-india-page1.html

 

8http://www.nuovoecosistema.it/strategia-rifiuti-zero-2.php www.ecoblog.it/post/7179/paul-connett-e-la-strategia-rifiuti-zero

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