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Home1 » Le mafie » Enzo Ciconte presenta "'Ndrangheta Padana"  

 

Da Enzo Ciconte* una esemplare lezione di antimafia

 “’Ndrangheta Padana”

di Ermanno Bugamelli

Lo scorso 17 febbraio nei locali della libreria “La Fenice” di Carpi, lo scrittore Enzo Ciconte ha presentato il suo ultimo libro “’Ndrangheta Padana”, un approfondito saggio inchiesta sulle attività delle ‘ndrine in terra Lombarda. Immerso in un gradevole clima familiare, il pubblico ha assistito ad una esemplare lezione di antimafia da parte di uno dei massimi studiosi nazionali dei fenomeni di criminalità organizzata. Attraverso una esposizione chiara, fluida e accattivante, arricchita dalla ricostruzione di svariati episodi che hanno infuso nei presenti la reale percezione del contesto, Ciconte ha spaziato sul tema mafia a 360 gradi.

Intervista a Enzo Ciconte

La clonazione Lombarda

Dal suo racconto emerge lo sconcertante grado di penetrazione della ‘Ndrangheta in Lombardia, certificato dalla raffica di arresti operati in regione nel luglio del 2010. L’operazione condusse al fermo di ben cinque consiglieri regionali del PDL e uno della Lega Nord, nonché di decine di consiglieri comunali sparsi per l’intera Lombardia. Nello stesso blitz orchestrato in varie parti d’Italia, venne arrestato anche il direttore della ASL di Pavia, a riprova di quanto permeabile alla mafia si sia rivelato l’intero panorama delle istituzioni pubbliche. Un radicamento avviatosi da oltre quarant’anni, ma che ha subito una sconvolgente accelerazione nell’ultimo ventennio. Impietoso il raffronto che Ciconte propone con un’altra importante operazione dell’antimafia nazionale effettuata in Lombardia nel biennio 1992-94: se l’allora numero dei politici locali coinvolti era praticamente nullo ed il mondo imprenditoriale figurava unicamente nella veste di vittima dell’azione criminale, ben diverso appare il quadro attuale. Oltre alla estesa penetrazione nel sistema istituzionale, la ‘Ndrangheta lombarda include oggi nel suo organico, una rete di imprenditori collusi o quali elementi attivi dell’organizzazione. Ciconte rivela che dalla Calabria alla Lombardia, l’Ndrangheta ha realizzato una clonazione in blocco dell’intero sistema criminale. Un passaggio certamente possibile grazie a figure cosiddette “cerniera”, esponenti fusi nella società civile che fungono da collegamento tra il mondo illegale e quello lecito. L’applicabilità in serie di simili connivenze, è però il frutto di una classe politica e dirigente priva della volontà di affrontare il problema, e che lascia nelle sole mani della magistratura il compito di combattere le mafie. Per ogni figura istituzionale arrestata, ve ne sono altre che ne hanno consentito la scalata nei ruoli chiave pur sapendole macchiate di contatti criminali, e queste molto spesso rimangono al loro posto con il potere di rinnovare altre discutibili nomine. Nel chiudere il capitolo lo studioso annota con amara ironia, come la politica di sponda leghista abbia confinato alla propaganda gran parte del reale impegno nella lotta alle mafie. Un effetto collaterale indotto dalle assidue frequentazioni con chi ha fatto della propaganda, l’asse portante del proprio programma politico.

L’Emilia per ora pare reggere a l’onda d’urto criminale

Inevitabile il parallelo con il contesto emiliano romagnolo, e lo spunto di partenza è fornito da un'altra pubblicazione di Enzo Ciconte, “Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta in Emilia Romagna”. Il lavoro datato 1998 e commissionato allo scrittore dalla stessa Regione senza alcuna imposizione di reticenza sul esito, costituisce un dettagliato studio storico scientifico aggiornato all’epoca, sul radicamento mafioso nel nostro territorio. A 13 anni di distanza, Ciconte afferma che il tessuto politico sociale emiliano ha nella sostanza retto a l’onda d’urto criminale. Ciconte ribadisce che ad ora, egli non è a conoscenza di episodi che abbiano visto politici locali dell’Emilia Romagna legati ad esponenti mafiosi, ed è questa la marcata differenza che separa la nostra regione da altre realtà come la Lombardia o la Calabria. Le mafie non sono riuscite a penetrare diffusamente nella rete civica, non hanno in sostanza replicato quel fenomeno clonante riuscitogli altrove. Ad arginare l’infiltrazione, il profondo radicamento nella cultura popolare di un diffuso senso per la legalità, unito ad una politica dalle sane tradizioni frutto dell’impegno costante di persone perbene. Sentimento condiviso da una schiera di amministratori locali che hanno contrastato le espansioni criminali, a cominciare dalla ferma opposizione con cui impedirono in svariate circostanze l’applicazione del soggiorno obbligato, vietando il trasferimento di pezzi da novanta delle mafie nei nostri comuni.Tuttavia questa consapevolezza, non deve secondo lo scrittore generare l’illusione di sentirsi immuni all’attacco mafioso, tutt’altro. L’Emilia Romagna costituisce una preda ambita per l’enorme ricchezza della sua economia. Dal turismo all’edilizia, dal commercio ai trasporti, nelle fiorenti attività della regione la mafia si è insinuata con sempre maggiore insistenza. Aziende controllate dalla mafia hanno intaccato le economie infiltrandosi nelle gare di appalto con lo strumento dell’eccesso di ribasso; oppure singoli emissari mossisi dalle cosche del Sud, scegliendo le vittime tra i conterranei emigrati al Nord, hanno applicato estorsione e pratiche violente tra le attività commerciali. Ad oggi si può parlare di episodi che non costituiscono la prova del radicamento di un sistema, ma il pericolo è comunque gravissimo. Pur condividendo in linea di massima la chiave di lettura di un autorevole voce come quella di Enzo Ciconte, la nostra percezione è che anche tra le fila della politica locale, non sempre abbia prevalso la massima fermezza e l’unità d’intenti. Uno sguardo maggiormente consapevole e competente, crediamo avrebbe smascherato le realtà criminali con maggiore efficacia e tempestività. La presunzione di vivere per troppo a lungo in una “isola felice”, ha minato quel sano realismo che si è rivelato assente in più di una delibera dei consigli emiliano romagnoli. Una preoccupazione crescente in prospettiva, dove la sempre minore disponibilità economica degli enti locali, potrebbe indurre ad assegnare appalti e commesse ad imprese che si offrono a prezzi allettanti, senza una adeguata riflessione dell’amministrazione sulla natura di condizioni così vantaggiose.

“La famiglia”, asse portante delle ‘ndrine

Nell’ultima porzione della serata, il dibattito apertosi con il pubblico ha consentito a Ciconte di allargare il fronte della discussione.Estremamente interessante l’analisi delle peculiarità culturali delle ’ndrine. Ne emerge una struttura portante affidata alla famiglia di sangue. Attorno al “capo bastone” familiare, l’organizzazione crea quella maglia impenetrabile e silenziosa che rende la ‘Ndrangheta una industria criminale in grado di elevarsi a potenza mondiale del narco traffico, e capace di trapiantarsi in ogni continente. I legami di sangue e parentali, accorpano gli affiliati in un unico organismo. Garantiscono all’organizzazione la fedeltà sino alla morte dei loro membri, assicurando una segretezza impenetrabile dall’esterno. L’Ndrangheta è la mafia che annovera il minor numero di collaboratori di giustizia, e solo negli ultimi anni le forze dell’ordine possono avvalersi del contributo di pentiti che sembrano in lenta crescita numerica. Il peso della famiglia di sangue, è inoltre certificato da un’altra tipicità delle ‘ndrine: il nome del ceppo famigliare, viene anteposto al territorio da lui dominato costituendone una sorta di marchio di garanzia. Se ad esempio in ambito di mafia siciliana o camorra napoletana, nel linguaggio di uso comune s’intende il territorio intorno a Corleone sotto l’egida dei “Corleonesi”, oppure Casal di Principe controllato dai “Casalesi”, nella mappatura delle cosche calabresi compare prima il nome della famiglia dei Piromalli quale reggente a Gioia Tauro, oppure dei Nirta-Strangio a San Luca, o dei Condello a Reggio Calabria. Quella che ad uno sguardo meno esperto può apparire come una sfumatura secondaria, rivela una matrice culturale di antica memoria. Le regole che ancora oggi si applicano nell’affiliazione dei nuovi membri e che determinano la struttura delle ‘ndrine, risalgono ai secoli scorsi e rappresentano l’espressione di radicate tradizioni popolari dalla matrice liturgica, fuse in rituali di arcaica connotazione massonica. Sfumature che sembrano provenire da una realtà tribale primitiva, a cui si è indotti associare un generale concetto di arretratezza e povertà.Ciconte in conclusione della sua disamina, definisce questo approccio come un grave ed imperdonabile errore. Un abbaglio a volte orchestrato da chi ne aveva un interesse strumentale, ma che ha comunque generato in tanti e per molti anni, una sottovalutazione della pericolosità della ‘Ndrangheta. Concordiamo a pieno con lo scrittore, ritenendo che tutte queste manifestazioni appartengano sì ad un autentico sub mondo del crimine, espressione di una differente e raccapricciante dimensione umana, ma perfettamente amalgamato all’universo legale a tal punto da riuscire a dominarne la scena.

Il ruolo della politica la vera chiave di svolta

Stimolato da una domanda Enzo Ciconte ha infine toccato il tema della “trattativa Stato-mafia”. Per Ciconte la trattativa è certamente esistita, ma i contorni a noi conosciuti sono troppo confusi per consentire una limpida decifrazione degli eventi. Egli ritiene che la verità sarà difficile da raggiungere in tempi brevi. L’implicazione presunta di massoneria e servizi deviati non fa che complicare ogni tentativo di far luce. La così accelerata uccisione di Borsellino, lascia supporre che egli fosse venuto a conoscenza di un tentativo mosso in questo senso da figure istituzionali, e che queste, consapevoli d’incontrare la sua ferma opposizione, avrebbero provveduto a toglierlo di mezzo. Una ipotesi che fusa alla ricostruzione di altre porzioni di verità emerse, conduce al cuore vero del problema: la reale consistenza dell’impegno politico nel far luce su quei fatti. La storia della mafia, dal questore romagnolo Ermanno Sangiorgi di fine ‘800, a Falcone e Borsellino un secolo più tardi, è densa di episodi dove straordinari servitori dello Stato e della legalità, hanno gioco forza segnato il passo al cospetto di una politica schierata a protezione delle cosche. Enzo Ciconte ribadisce come la chiave di svolta in ogni ambito della lotta alla mafia, necessiti di una politica totalmente sconnessa al potere mafioso e da qualsiasi zona grigia attigua.

Una condizione che tutti noi sentiamo ancora lontana a realizzarsi.

 

* L'autore - Enzo Ciconte (Soriano Calabro, 1947) è docente di Storia della criminalità organizzata all'Università di Roma Tre. Scrittore e politico italiano, è considerato fra i massimi esperti in Italia delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose. Deputato nella X legislatura (1987-1992), membro della Commissione giustizia e consulente della Commissione parlamentare antimafia, ha realizzato numerosi studi relativi al meccanismo di penetrazione delle mafie al nord, ai rapporti tra criminalità mafiosa e locale e alle attività mafiose nei nuovi territori. I volumi che ha pubblicato costituiscono i primi esempi in Italia di indagini scientifiche del fenomeno malavitoso nelle aree non tradizionali.

Alkemia, 23 febbraio 2011.



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