DAI TETTI DELLE UNIVERSITA' DI MADRID ALLE MACERIE DI QUELLI ITALIANI
di Alessandro Verona
Grazie a una borsa di studio finanziata dall'Unione Europea, sto passando il mio quinto anno di medicina a Madrid.
Intanto vedendo gli investimenti europei riversarsi nell'istruzione e le nostre borse di studio calare del 90%, capisco che se dipendesse solo dal ministero dell'istruzione italiano, sarei qui solo se i miei genitori potessero permettermelo.
Mentre in Italia divampava la protesta studentesca, testimonianza di una generazione che sa vivere con responsabilità la società e preoccuparsi per il suo futuro, anche a Madrid il nostro gruppo di studenti italiani ha fatto la sua parte. Manifestando nelle vie del centro, all'istituto italiano di cultura, al festival del cinema italiano, fino ad arrivare al museo del Prado, con la solidarietà degli studenti spagnoli.
Sono un rappresentante degli studenti, e i primi di Dicembre mi sono preso una pausa per tornare, perché anche la mia associazione si è presentata alle elezioni studentesche dell'Università di Perugia.
Sono ritornato per raccogliere l'angoscia e solidarizzare con le lotte degli studenti che sono rimasti ancora in Italia.
Sono ritornato perché la rappresentanza studentesca è fondamentale nella democrazia universitaria, malgrado questa riforma che la decima e umilia.
Sono ritornato perché credo che con noi, tutti uniti, ci sia ancora speranza.
Nel frattempo il Senato ha votato la legge in un clima di mesta dittatura dell'ignoranza.
La legge è poi stata promulgata da Napolitano, ma la nostra lotta per un'Università pubblica, libera, democratica, per una ricerca valorizzata, per un'Italia migliore, non deve placarsi.
Servono ancora diversi decreti perché la riforma prenda il via, e tanto in Italia quanto in Europa, abbiamo il dovere di non fermarci, di opporci alla legge dentro gli atenei, appellandoci alla responsabilità e lungimiranza degli accademici, finchè il governo rinuncerà a svendere l'Università.
"La disobbedienza civile diviene un dovere sacro quando lo Stato diviene dispotico o, il che è la stessa cosa, corrotto. E un cittadino che scende a patti con un simile Stato è partecipe della sua corruzione e del suo dispotismo", e in un governo dalla fiducia basata sulla compravendita, questo concetto gandhiano è quanto mai da abbracciare.
Perché non vogliamo dover pensare ai figli che avremo con la responsabilità di sapere che avremmo potuto fare di più per offrirgli un Università migliore, e accessibile a tutti.
Perché noi studenti all'estero non vogliamo avere paura di tornare, ne vogliamo l'entusiasmo.
Perché non possiamo restare a guardare mentre per malcelati appetiti di profitto si smantella il pilastro di ogni civiltà, la cultura.
Perché l'Italia della politica deve imparare che per crescere non deve ascoltare un passato asservito a denaro e potere, ma il futuro, noi.
La storia ci ha insegnato la lotta civile e non violenta, questo è lo strumento che useremo fino alla fine, così come è stato contro la vergognosa pioggia di manganellate di Novembre e Dicembre, di cui lo Stato avrebbe dovuto scusarsi pubblicamente.
Manganellate riversate su studenti veri. Perchè in piazza non ci sono ultimi della classe, ma anche studenti di successo disposti a dedicare il loro tempo non a cercare ragazze come il presidente del consiglio sosteneva dovremmo fare (o ragazzi, ma chiaramente il presidente non sa cosa sia la parità sessuale), ma a difendere ciò che riteniamo più importante per noi e per l'Italia.
Studenti, ricercatori e cittadini: non arrendiamoci, perchè solo il Paese unito può cambiare le cose.
Nella mia Università di Perugia il primo Consiglio degli Studenti per l'insediamento del nuovo mandato, il piccolo parlamento di ogni Ateneo, è stato fatto saltare questa settimana dalla componente di maggioranza in forma di protesta contro l'Università che ci stanno proponendo e per attirare l'attenzione dei media.
Invito tutti gli Atenei a seguire l'esempio e dare voce al dissenso in ogni forma che ci è concessa.
Tutto questo liberi da ogni strumentalizzazione.
Perchè dietro di noi, e questo provi a capirlo il ministro Gelmini, non ci sono i baroni che osteggiamo, e nemmeno i centri sociali, che il governo deve smetere di stigmatizzare agli occhi di chi non li conosce, in quanto importanti elementi culturali e di aggregazione in tutta Europa.
Dietro di noi c'è solo un pensiero trasversalmente condiviso:
la cultura è un diritto, non una merce.
E non dobbiamo permettere che lo diventi.
17/01/2011