URIBE, N'DRANGHETA E MAFIE DI
OGNI SORTA
Pubblicato sul n. 90 di Resumen Latinoamericano,
edizione italiana
Il 2006 è stato l'anno della rielezione di Uribe alla
presidenza della Repubblica della Colombia, conseguita a colpi di brogli ed
intimidazioni di ogni sorta in un paese in cui, per ricoprire la massima carica
dello Stato, è sufficiente avere il "consenso" della maggioranza dei votanti con
un ridicolo quorum del 25%. Il 2007, che i media colombiani di regime avevano
dipinto come l'anno della definitiva consacrazione di questo mini-führer,
incondizionato proconsole di Washington nella regione, è iniziato per Uribe con
una raffica di scandali istituzionali e non, che hanno messo ulteriormente in
evidenza il carattere profondamente corrotto e narco-paramilitare del regime che
capeggia.
Solo pochi mesi fa è esploso, come una bomba che non poteva non
essere a orologeria, lo scandalo della cosiddetta
"para-politica". Decine e decine di
parlamentari colombiani della compagine uribista (ma non solo), tanto del Senato
quanto della Camera dei Rappresentanti, sono stati denunciati per vincoli con i
gruppi paramilitari. Già dopo le elezioni politiche del 2002 i principali capi
paras avevano pubblicamente riconosciuto di controllare almeno il 35% del
Congresso, e cioè del potere legislativo della Colombia. Ma i legami in
questione, oramai conclamati e provati, hanno non solo una portata quantitativa
che va ben oltre la percentuale menzionata, ma anche una ripercussione
qualitativa, e cioè squisitamente politica, che delegittima per l'ennesima volta
il regime di questo paese andino-amazzonico.
Prima ancora, dopo l'estate
2006, si era fatto insopportabile l'olezzo derivante dalla putrefazione
inarrestabile delle Forze Armate ufficiali. Se il primo semestre del 2006 aveva
visto le denunce di madri di soldati semplici contro i loro diretti superiori,
colpevoli di averli torturati -e martoriati attraverso punizioni lesive della
dignità umana- con il pretesto di un duro addestramento anti-guerriglia, il 2006
si è chiuso con lo scandalo degli auto-attentati. In diversi casi, infatti, era
emersa l'inopinabile responsabilità diretta di ufficiali dell'intelligence
militare, del DAS (polizia politica direttamente alle dipendenze della
Presidenza della Repubblica) e di alti dirigenti dell'INPEC (Istituto Nazionale
Penitenziario Colombiano) nel collocamento e nella deflagrazione di diversi
ordigni, alcuni dei quali esplosi in pieno centro a Bogotá con saldi drammatici.
Come confermato dalle denunce provenienti da persone infiltratesi
all'interno di queste reti militari-paramilitari-mafiose, l'obiettivo era duplice: da un lato, accusare le FARC di
terrorismo addossando loro la colpa, ed al contempo servire su un piatto
d'argento ad Uribe il pretesto (spendibile, come effettivamente ha fatto, con
immediatezza e virulenza) di negare ogni possibilità di scambio di prigionieri
di guerra tra lo Stato e le FARC, voluto con forza non solo da queste ultime, ma
anche dalla stragrande maggioranza del popolo colombiano e da diversi paesi del
mondo. E dall'altra, presentare ad Uribe, ai media nazionali ed internazionali
ed al vero comandante in capo delle Forze Armate colombiane, il numero uno del
South Com del Pentagono, i famigerati falsos positivos, e cioè "bilanci
positivi" falsi e costruiti ad arte, nel quadro della guerra contro-insorgente,
al fine di dimostrare successi (in verità solo pirrici e virtuali) contro la
guerriglia rivoluzionaria delle FARC-EP. Ah, quasi dimenticavo: massacrare
contadini inermi, come sono soliti fare i soldati colombiani, per poi vestirli
con uniformi e presentarli come "cattivi guerriglieri" uccisi in combattimento
agli ossequiosi media dell'oligarchia, è una variante della tattica perversa dei
falsos positivos descritta pocanzi. Ma andiamo ancora a ritroso, posto che la
memoria non inganna. Il 9 febbraio del 2004, quando la farsa del "processo di
pace" tra la Casa de Nariño ed i suoi paramilitari era già entrata nel vivo,
un'operazione internazionale anti-droga, condotta dagli apparati di polizia
olandese, italiano e colombiano ed abbondantemente riportata dai media
internazionali, portò all'arresto di 102 persone ed al sequestro di 5 tonnellate
di cocaina.
La riuscita di quest'operazione è stata possibile anche grazie
all'infiltrazione all'interno della famiglia Mancuso a Vibo Valentia, in
Calabria. Come riconosciuto all'epoca dalle stesse autorità italiane, la
famiglia italo-colombiana dei Mancuso riveste un ruolo di prim'ordine
all'interno della N'drangheta calabrese, che solo nel 2003 ha fatturato quasi 60
miliardi di euro (poco meno del 6% del PIL italiano dell'anno medesimo).
Salvatore Mancuso, capo tanto dell'omonimo clan in Colombia quanto dei
gruppi paramilitari ai quali Uribe ha garantito impunità penale ed economica,
nonché corresponsabile di innumerevoli traffici illeciti di portata
transnazionale (come l'operazione antidroga prima citata ha dimostrato), già in
passato aveva avuto rapporti preferenziali con Uribe Vélez, al quale regalò
personalmente diversi macchinari agricoli. Impunità garantita da Uribe, dicevo,
attraverso un suo compare di nome Luis Camilo Osorio, che nel febbraio 2004 era
il Procuratore Generale della Nazione, e la sua segretaria Judith Morantes Gar
cía (nipote del senatore paramilitare Alvaro García), artefici
dell'archiviazione o del congelamento, in Colombia, di inchieste come quella in
questione.
Uribe Vélez, il cui curriculum vitae di paramilitare e
narcotrafficante è noto a tutti, non solo non ha castigato Mancuso e Osorio (e
nipote): al primo ha garantito status politico (sic!), impunità e un "castello
d'avorio" a Santa Fe del Ralito (già sede dei presunti "dialoghi"
governo-paramilitari), mentre il secondo è
stato omaggiato con un viaggio, per il momento di sola andata e con tanto
d'immunità diplomatica, a Roma. Destinazione Città del Vaticano, dove Osorio è
stato ambasciatore della Colombia (attualmente scalda la stessa poltrona, ma a
Città del Messico, N.d.A.).
E se a distanza di quasi tre anni la Procura di
Roma ha chiesto l'estradizione di Salvatore Mancuso, Uribe glie l'ha evitata
così come ha evitato l'estradizione negli USA di diversi capi paramilitari che
avevano finanziato e sostenuto la sua campagna presidenziale rielezionista. Ma
se qualcuno avesse ancora dubbi sui rapporti visceralmente intimi tra il
Presidente colombiano e le mafie italiane, dovrebbe spiegare come mai a dar
manforte ad Osorio era stato mandato un altro uomo di fiducia dei Mancuso, Jorge
Noguera Cote, a ricoprire il ruolo di console della Colombia a Milano.
Lo
stesso Noguera che Uribe aveva messo nel 2002 a capo del Dipartimento
Amministrativo di Sicurezza (DAS), come ricompensa per avergli procacciato oltre
300.000 voti alle presidenziali di quell'anno, e che poi ha orchestrato il
fallito assassinio di Hugo Chávez per mano di paramilitari fatti penetrare in
Venezuela per conto della CIA. Questo viscido personaggio, certamente in
possesso di informazioni altamente compromettenti per Uribe, fu arrestato il 22
febbraio ma rimesso in libertà poco tempo dopo: il Presidente fascista non
poteva permettersi di “abbandonarlo” alla sua sorte giudiziaria, hai visto mai
che si mettesse a parlare…
Negli ultimi mesi il mondo intero ha potuto
cogliere nella sua reale dimensione l’assoluta compenetrazione esistente in
Colombia tra mafia ed Uribe, tra narcotraffico e forze repressive, tra
paramilitarismo e Stato (condannato di recente dalla Corte Interamericana per i
Diritti Umani, questa volta per responsabilità diretta nel massacro di La
Rochela, avvenuto il 18 gennaio 1989). In seguito alle dichiarazioni di diversi
ex-capi paramilitari, suffragate da una lista di politici, alti funzionari ed
imprenditori legati alle AUC trovata nel computer del capo Jorge 40, decine di
parlamentari ed alti ufficiali delle Forze Armate sono finiti dietro le sbarre
ed altri sono latitanti, e l’ex ministra degli esteri Maria Consuelo Araujo si è
dovuta dimettere (suo fratello, ex senatore, e suo padre sono coinvolti
anch’essi).
Sul banco degli imputati stanno finendo, una ad una, diverse
multinazionali che saccheggiano da troppo tempo le risorse del popolo
colombiano: la bananiera Chiquita e la carbonifera Drummond, senza ovviamente
dimenticare la Coca Cola, hanno finanziato il paramilitarismo di Stato per
eliminare sindacalisti e lavoratori in lotta, e sfollare popolazioni “di troppo”
in territori macro-economicamente
appetibili.
Lo scandalo della para-politica sta arrivando ai massimi
vertici: secondo l’ex capo paramilitare Mancuso, il vice-presidente Francisco
Santos gli avrebbe chiesto in passato di creare un blocco paramilitare nell’area
di Bogotá, mentre suo cugino Juan Manuel Santos, attuale ministro della Difesa,
gli avrebbe proposto di buttare giù l’allora governo Samper (1994-1998). Grazie
al permanente agire politico-militare guerrigliero ed alle straordinarie
mobilitazioni di massa di studenti, lavoratori e contadini, che esigono le
dimissioni del narco-presidente, ed alla luce di quanto spiegato
precedentemente, il cerchio intorno ad un sempre più traballante Uribe si sta
stringendo. Mentre scrivo quest’articolo, si è saputo che Uribe è stato chiamato
a dichiarare sotto giuramento dalla Corte Suprema, e che gli avvocati di una
confederazione sindacale statunitense hanno chiesto al Dipartimento di Stato USA
di aprire un’inchiesta sul ruolo del paramilitarismo nell’elezione di Uribe alla
presidenza. Sono pronto a scommettere che difficilmente Uribe arriverà indenne
al termine del secondo mandato.
Il governo e diverse istituzioni regionali e
provinciali italiani, che hanno ricevuto amichevolmente alti funzionari
colombiani (tra cui il vice-presidente Santos, maggio 2007) e che si riempiono
la bocca di “lotta alla mafia” nelle sue varie declinazioni, dovrebbero
interrogarsi sull’opportunità di allargare e rafforzare i rapporti diplomatici,
politici ed economici con una mega-cosca come quella del boss Alvaro Uribe
Vélez.
Max Lioce
Associazione nazionale Nuova
Colombia