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SINISTRA CRITICA VINCE LA SCOMMESSA. ORA RICOSTRUIAMO DALL'OPPOSIZIONE SOCIALE

del Gruppo Operativo Nazionale di Sinistra Critica - 15/04/08

Sinistra Critica ottiene lo 0,5% e 170mila voti alla Camera e può dirsi soddisfatta del risultato elettorale. Certamente, non siamo stati sufficienti a frenare il disastro provocato dagli errori accumulati da un gruppo dirigente della sinistra istituzionale cieco che ha rifiutato di vedere, ascoltare, riflettere. Ma esistiamo, era l'obiettivo di queste elezioni. Esistiamo con le nostre idee, difese in campagna elettorale e prima nella battaglia interna a Rifondazione, con alcuni progetti di lavoro e con la convinzione di essere utili a un progetto di ricostruzione della sinistra di classe per il quale pensiamo sia importante che Sinistra Critica esista.

La disfatta di Bertinotti
La situazione è sotto gli occhi di tutti: la sinistra di classe fuori dal parlamento, al di sotto di qualsiasi aspettativa, nel limbo di una crisi, a nostro giudizio irreversibile. Una crisi maturata in una dinamica politica che stancamente e inesorabilmente ha ripetuto cose già viste nella storia del movimento operaio. Non è popolare dire "l'avevamo detto" in politica, ma non sappiamo che altro dire dopo cinque anni passati ad avvertire dell'errore strategico rappresentato dal governo con il socialiberismo; dopo due anni in Parlamento passati ad avvertire dell'impossibilità di governare con Prodi e della necessità di rompere con quell'esecutivo e mettersi in salvo. I nostri documenti, gli articoli sui giornali, le dichiarazioni in Parlamento sono lì a dimostrare che era possibile seguire un’altra strada, fare altre scelte, evitare di infilarsi in una governabilità senza esito alcuno.
I risultati oggi li pagano tutti, la disillusione è generalizzata e non risparmia nessuno. Demoralizzazione, demotivazione sono il lascito del gruppo dirigente della Sinistra Arcobaleno e del suo leader, Fausto Bertinotti, la cui uscita di scena è doverosa. Del resto, l’inconsistenza di quello che è stato costruito in questi anni – ricordate? Sinistra Europea, l’Unione come “nuova formula politica”, un “socialismo del XXI secolo” – è dimostrato dalla “splendida” dichiarazione di uno degli “uomini nuovi” promossi dalla gestione bertinottiana, Pietro Folena: “Su queste macerie è impossibile ricostruire. La sinistra oggi è…il Pd”. Auguri.

La sconfitta di Veltroni
Ma il voto consegna anche la sconfitta di Veltroni. Il leader del Pd ha certamente svuotato la sinistra ma non ha sfondato al centro e non ha carpito alcun voto alle destre. In una campagna solitaria Veltroni si è fatto il vuoto intorno e oggi si trova in un’impasse politica evidente: potrebbe allearsi con Casini ma è più probabile che quest’ultimo cerchi un nuovo accordo con la destra, con cui già governa localmente. In realtà al Pd tocca una nuova traversata nel deserto che potrebbe alimentarne contraddizioni e difficoltà. Vedremo.

Il successo di Berlusconi
La vittoria delle destre non lascia spazio a dubbi: se la Pdl perde voti rispetto al 2006, confrontando i risultati di tutta la destra italiana – che nel 2006 era unita e oggi si è divisa in diversi pezzi – troviamo un milione di voti in più, che sostanzialmente vanno alla Lega Nord. Uno spostamento di voti interno che parla di una radicalizzazione dell’elettorato – lo stesso avviene con il balzo di 700mila voti da parte di Di Pietro – di un maggiore insediamento sociale e di un rapporto più “organico” con settori popolari e del mondo del lavoro. Berlusconi ripropone il suo blocco sociale di riferimento con una rappresentanza politica più snella e semplificata e quindi omogenea. Vedremo come procederà il processo di fusione politica annunciata tra Forza Italia e AN e come si svolgerà il rapporto con la Lega. Per il momento non si intravedono tensioni a dispetto degli allarmi profusi da Veltroni.

L’isolamento sociale della Sinistra
Questa analisi aiuta a comprendere uno dei limiti più importanti della sinistra e che ne spiega la disfatta: l’isolamento sociale. Dopo quindici anni la sinistra “alternativa” – al di là degli errori politici e dello scacco politico subito al governo – è stata sconfitta dall’assenza quasi assoluta di radicamento sociale. Il fatto di non aver saputo prevedere la disfatta, il fatto di aver posto l’asticella da superare sempre più in basso – la sconfitta è stata pronosticata intorno all’8%, poi al 7 e al 6 – è stato il sintomo di una soggettività che non sa cosa ha alle proprie spalle, su cosa è seduta, quali referenti sociali rappresenta. Questa è la radice primaria della sconfitta, alimentata da quindici anni di rendita elettorale rappresentata dal simbolo e dall’eredità del vecchio Pci. Il voto di oggi rappresenta la fine di quell’eredità e di quella storia oltre che la sconfitta inesorabile della cultura togliattiana-berlingueriana che viene spazzata via dalla geografia politica. Ed è un po’ patetico il tentativo di Diliberto di spronare i propri militanti a infusioni di falce e martello e bandiere rosse. Da questi gruppi dirigenti che hanno prodotto la disfatta attuale non può venire nulla e soprattutto non può più venire nulla dalla loro cultura politica e dai loro riferimenti teorici e politici (sempre che si possa parlare di riferimenti teorici). La sinistra è all’Anno Zero, in campagna elettorale lo abbiamo detto e ripetuto più volte, e non ci sono scorciatoie politiciste che reggano. Si tratta di interrogarsi, seriamente senza scorciatoie, con il nodo del blocco sociale, con il radicamento necessario e, soprattutto, con la ricostruzione di un movimento dei lavoratori e lavoratrici che passa innanzitutto per il nodo sindacale che non può più essere aggirato.

Il ruolo di Sinistra Critica
Il ruolo di SC è tutto dentro questo approccio. Abbiamo proposto prima della tempesta l’avvio di una Costituente della sinistra di classe e anticapitalista. Crediamo che questo approccio possa e debba essere ribadito oggi sapendo che però vive di due coordinate ben precise: la centralità del radicamento sociale e delle pratiche di lotta e di movimento; la nettezza della questione governativa con l’indipendenza assoluta dal Pd e l’indisponibilità a farsi coinvolgere nella governabilità dell’esistente. Si ricomincia da qui e si ricomincia dall’impegno di movimento. Ipotesi riassemblative di stampo identitario – vedi il “partito di tutti i comunisti” – o politicista – il rilancio dell’Arcobaleno - non solo non ci interessano ma non portano da nessuna parte. Sono solo una perdita di tempo. Serve un progetto di movimento e di opposizione sociale con una sua piattaforma coinvolgente (in particolare su precarietà, salario, diritti, sicurezza lavoro, prezzi) ma che sappia incarnare almeno altri tre grandi temi: la lotta alla guerra, la difesa ecologica del territorio e il No alle ingerenze vaticane e per i diritti civili. Un progetto di movimento per resistere allo “tsunami” delle destre e far ripartire una prospettiva nuova.
Accanto a questo serve una discussione strategica che metta al centro la questione della società che vogliamo, della soggettività che vogliamo costruire, il nodo dell’opposizione e del governo come assi strategici di una nuova identità anticapitalista. Tutto questo ha bisogno di tempo, di sedi adeguate, non di soluzioni pasticciate o di trovate elettoralistiche.

Il nostro progetto
Sinistra Critica si dispone a questo percorso e lo farà attrezzandosi.
Il risultato elettorale ci incoraggia in questa direzione. Lo 0,5% ottenuto alla Camera e quei 170mila voti significano questo. Non ci aspettavamo di più, anzi consideriamo il risultato un piccolo successo visto il quadro di riferimento: una dinamica di demoralizzazione unita alla spinta del voto “utile”; uno sfilacciamento a sinistra alimentato da formazioni, come il Pcl, il cui unico scopo è quello di contarsi e di proporsi come unica prospettiva in una logica autoreferenziale che sfiora il settarismo (e che come dimostrano le provinciali, non riesce a recuperare nessun altro voto a sinistra che non sia il proprio); una formazione nata da soli tre mesi (e che essendo una tendenza interna al Prc non possedeva un simbolo proprio); la scommessa su una candidatura femminile e giovane per forza di cosa poco conosciuta e altro ancora. In questo quadro il nostro risultato è importante e viene rafforzato da risultati apprezzabili ottenuti la dove c’è un lavoro organizzato (citiamo fra tutti il grande risultato che si annuncia a Casoria dove il candidato sindaco di Sinistra Critica sta superando il 6,7% ma anche il simbolico risultato di Bussoleno, in Val di Susa, che ci vede al 2,7%).
Possiamo dunque dire che il movimento politico Sinistra Critica nasce con queste elezioni benché non abbia lo scopo di costituire nell’immediato un partito: ma queste elezioni hanno aiutato a completare l’uscita da Rifondazione, a consolidare un collettivo militante, a strutturare una piccola organizzazione, inserita in alcune dinamiche importanti di movimento e desiderosa di guardare al futuro. Siamo convinti, infatti, che questo risultato non sia il residuo di un punteggio elettorale lasciato sul campo dalla vecchia sinistra ma solo l’avvisaglia di qualcosa che deve ancora sbocciare. Anche la quantità dei contatti raggiunti dal nostro sito (siamo a oltre 50mila pagine scaricate al giorno) dice questo. E quindi andiamo avanti. Sinistra Critica si impegna a organizzare la resistenza e l’opposizione sociale alle destre in una dinamica unitaria di movimento. Si impegna a rilanciare il dibattito e il confronto a sinistra per ricostruire dalle macerie con le avvertenze di poc’anzi, senza illusioni ma senza chiusure. E si impegna ad attrezzarsi incontrando nelle prossime settimane tutti quelli che si sono attivati in questa campagna (alcune migliaia) e dando appuntamento a una grande Festa Nazionale da svolgersi a Roma nelle forme che decideranno i compagni e le compagne di questa città. E’ solo l’inizio.

Il Gruppo Operativo Nazionale di Sinistra Critica
Roma, 15 aprile 2008

LA SINISTRA ITALIANA SI RIORGANIZZA:
NASCE “SINISTRA ARCOBALENO”
“SINISTRA CRITICA” LASCIA IL PRC

Conferenza Nazionale di Sinistra Critica 7-8-9 dicembre Roma

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SINISTRA CRITICA: L’ESPERIENZA NEL PRC E’ CONCLUSA.
ORA NECESSARIO LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO SOGGETTO POLITICO

Sinistra Critica si trasforma in Movimento e propone una fase Costituente per una coalizione anticapitalista a sinistra dell'Arcobaleno. Prioritario, l'impegno nel movimento a cominciare da sabato prossimo a Vicenza per proseguire nel Patto contro la precarietà, nel protagonismo femminista, del movimento Lgbtq, per la battaglia ecologista e antirazzista.

Oltre 200 delegati da tutta Italia si sono ritrovati a Roma all'auditorium di via Rieti, per la prima conferenza nazionale di Sinistra Critica. Oltre 100 assemblee svolte in tutta Italia per discutere di lotte sociali, della fine dell'esperienza di rifondazione comunista, dell'opposizione al governo Prodi e della costituente della sinistra anticapitalista. Un percorso partecipato, fecondo e appassionato, ricco di interlocuzioni. Sinistra Critica, a una settimana dalla manifestazione di Vicenza, è pronta a lanciare la sua sfida. in movimento per la sinistra alternativa.

Per comprendere il cammino che dal voto contrario del Senatore Turigliatto e del deputato Salvatore Cannavò ha condotto questa parte importante della sinistra anticapitalista ad incontrarsi per decidere l’uscita dal PRC, presentiamo:

  • mp34.gif La relazione di Franco Turigliatto svoltasi precedentemente a Belluria il 22 settembre 2007.

  • la relazione introduttiva di Salvatore Cannavò a Roma

  • la relazione conclusiva.



Relazione introduttiva di Salvatore Cannavò

Confesso di provare una certa emozione a introdurre questa assemblea che, di fatto, rappresenta il primo congresso nazionale di Sinistra Critica. Da quando abbiamo realizzato la mozione congressuale nel Prc abbiamo fatto molta strada. Abbiamo costruito un collettivo diffuso, una fiducia reciproca, un sentire comune. E abbiamo prodotto dei fatti politici, penso innanzitutto al 9 giugno contro Bush. Abbiamo costruito una pratica collettiva fatta di democrazia e di reciproco ascolto.

Sono passati dieci mesi da quando Franco Turigliatto è stato espulso dal Prc: un avvenimento fondativo di gran parte del nostro stare insieme. E in questi mesi abbiamo discusso al massimo di come mantenere il nostro progetto, di come raccordare i tempi di tutti, di come trasformare la rabbia, o la delusione, in una proposta che convincesse tutti e tutte. E siamo qui. Abbiamo deciso di convocare una conferenza, per delegati e delegate, e non un meeting. Ci sarà tempo anche per quello. Ma in questa tre giorni privilegiamo la riflessione e il lavoro politico.
Anche perché fondiamo un progetto in un contesto assai difficile. Non ci tiriamo indietro e raccogliamo la sfida ma non ci raccontiamo frottole e non nascondiamo la difficoltà dell’impresa.

La fine di un ciclo


La fase attuale va sotto il segno della chiusura di un ciclo politico. Un ciclo politico breve, quello del governo Prodi, ma soprattutto un ciclo politico lungo scaturito dalla precedente crisi italiana quella del ’91-’92. Sta finendo il ciclo del bipolarismo all’italiana visto che ha assolto al suo compito prioritario: garantire una governabilità di fondo che gestisse il conflitto sociale e permettesse all’Italia di reggere la competizione globale nel cuore di una crisi di consenso che metteva a rischio il sistema complessivo. Altro che le lamentele di Montezemolo, secondo cui il paese non è governato da almeno 12 anni; in questo tempo l’Italia è stata governata in una linea discendente di liberismo, somministrato a dosi alterne, quali che fossero i governi. La curva dei salari, quella dei diritti sociali, della salute, del welfare, la situazione della precarietà sono tutte orientate verso il basso come un grafico di Borsa in perdita; e tutte sono state sospinte al ribasso da un mix di liberismo e autoritarismo che ha caratterizzato il primo e il secondo governo Berlusconi ma anche il primo e il secondo governo Prodi.
Di cosa parlano, altrimenti i morti sul lavoro come quelli di Torino?
Di cosa parlano i milioni di precari?
E i lavoratori rumeni che si mettono in fila sulle strade fino a mezzogiorno per poter lavorare qualche ora? Se non di un degrado della condizione del lavoro a fronte di profitti crescenti?

In questi quindici anni l’Italia ha cercato di tenere il passo con la concorrenza internazionale, sempre più esplicita e spietata, a base di guerre commerciali e guerre guerreggiate. Ha cercato di non perdere quote di potere e di dotarsi di un suo specifico “posto al sole”. Ad esempio piazzando un po’ di soldati – ormai stabilmente 10.000 – nei vari teatri di crisi per poter contare nel gioco diplomatico. Per questo ha ritirato i suoi soldati dall’Iraq per spostarli, più utilmente sul piano del peso politico in Libano e non intende spostarli in nessun modo dall’Afghanistan come la Sinistra sapeva bene quando ha firmato l’accordi!

Ma il bipolarismo maggioritario, che è servito a compiere questo inserimento, oggi non basta più. E non basta perché nonostante i suoi “successi” economico-militari ha fallito o non ha risolto nulla in termini di consenso. Il conflitto sociale è aumentato negli anni in cui ha governato Berlusconi e si è dileguato, lasciando però il posto alla disillusione, negli anni di centrosinistra.
La società italiana, il moderno proletariato è sempre più diviso e frammentato, atomizzato e demoralizzato. La precarietà è il senso di questa condizione, ed è visibile ormai ai più.
E la stessa borghesia sebbene abbia accresciuto profitti e forza politica non sta meglio: vive una fase di incertezza, vede alcuni suoi settori impoverirsi, è impaurita nello scenario globale e quindi più cattiva.
Serve un sistema più stabile e allo stesso tempo meno rigido, più malleabile.
L’ideale sarebbe una Grande Coalizione, come in Germania. Probabilmente sarà una strada obbligata ma la Grande coalizione, che costituisce una risposta in periodi di difficoltà acute, è già in crisi in Germania, con una Spd pressata a sinistra e una Cdu che vuole riguadagnare per intero il centro della scena politica. Anche lì, la formula non funziona in termini di consenso sociale perché la società è molto più insofferente e aliena dal quadro politico di quanto si immagini.
Il liberismo vuole ampliare gli strumenti con cui può far passare le sue scelte. Non a caso ha salutato con grande entusiasmo la nascita del Pd, nuovo partito della borghesia italiana a vocazione europeista. Ampliare l’offerta perché comunque le sue ricette non funzionano e quindi non convincono. Hanno una crisi di consenso

Che non convincono lo abbiamo visto negli ultimi anni in una grande mobilitazione internazionale che ha posto il tema della contestazione del liberismo, in molti casi con una “latenza anticapitalista” – prometto che è l’unica citazione positiva di Bertinotti – che ha posto le basi di una contestazione di sistema. Oggi molte dinamiche sembrano rientrate – anche se viste nella loro dimensione internazionale le cose sono molto più mosse – ma a noi sembra che quella critica abbia aperto una faglia da cui scaturisce ancora energia positiva.

Chi si occupa dell’antipolitica?


E una parte di questa critica si è riversata anche nella cosiddetta antipolitica che è un elemento corposo della realtà italiana, non più solo un segnale inquietante ma un vero e proprio fenomeno sociale che nessuno vuole indagare seriamente e a cui nessuno vuol davvero fare riferimento nella speranza, o illusione, che la riforma elettorale cancelli le anomalie e riporti tutto alla normalità. E invece occorre un’indagine profonda e un’attitudine non banale.

Non proponiamo di sposare le tesi di Grillo, che anzi in alcuni casi sono un capolavoro di qualunquismo e di spirito reazionario, ma se per antipolitica si intende contro la politica degli apparati, dei ceti separati, del nuovo notabilato che propina sempre la stessa minestra liberista, beh allora siamo contro questa politica e un po’ di antipolitica la facciamo nostra. Un po’, sia chiaro, quel po’ che si concilia con una critica della politica, con una critica di classe della democrazia delegata e con una contestazione radicale dei meccanismi di privatizzazione dell’economia e della politica che vanno di pari passo.

La ricostruzione di una forza anticapitalista, appunto “anti”, passerà necessariamente anche per il recupero di queste istanze, anche attraverso forme ribellistiche e di scompaginamento del “politically correct”: davvero una forza fuori dai due poli, fuori dalle compatibilità, fuori dai meccanismi e dai rituali della politica di palazzo!

Il nuovo movimento


Per questo occorre scommettere sul movimento, sui movimenti e i conflitti.
E’ chiaro che il movimento non è più quello di Genova che resta il momento originario. Esistono diverse lotte e conflitti ma oggi sono molto localizzati per quanto sempre più diffusi, enormemente diffusi. E dicono di una carica radicale e di un potenziale di partecipazione altissimi. Basti guardare Vicenza e la Val di Susa. Lì c’è stata una risposta attiva alla crisi della politica.
Ed è fondamentale non lasciare isolate queste realtà, come è importante che loro stesse non ripiegano su se stesse.
Un obiettivo sempre attuale è quello di ricucire legami e relazioni stabili, almeno al livello della comunicazione – problema Stampa - rafforzare i “Patti”, riempirli di soggettività vere, non solo di gruppi politici, che pure non vanno demonizzati se aiutano a svolgere questo compito (diverso è quando puntano alla propria autorappresentazione o all’istituzionalizzazione del movimento).
Il movimento dovrebbe preservare la sua autonomia come una reliquia e, ovviamente, la sua capacità di congiugare la radicalità e l’unità dal basso, sapendo che oggi la prima è la condizione della seconda e non il contrario. Il contrario è un’imposizione dall’alto, dalla politica istituzionale e dalla Sinistra che punta a costruire il ponte impossibile tra la “lotta” e il “governo”.

Centralità ai movimenti, dunque.


L’agenda è già segnata:
Vicenza e la guerra; TUTTI A VICENZA IL 15 DICEMBRE, ma poi anche il 26 gennaio giornata di mobilitazione con il Patto contro la Guerra;
la precarietà; il 20 ottobre è stata una sonora presa in giro anche se ha mostrato una disponibilità a mobilitarsi. Il milione di No al Referendum è stato affossato in parlamento ma non va disperso: non commettiamo l’errore dell’articolo 18. Sostegno al referendum per l’abolizione della legge 30, rafforzamento del Patto, individuazione di nuove scadenze;
il nuovo femminismo e i diritti civili, partendo dal bel successo del 24 novembre e dall’invidia per le donne che hanno dimostrato una forte radicalità e una determinazione di altri tempi
i beni comuni e la battaglia per la difesa ecologista dei territori;
le lotte dei migranti e l’antirazzismo. Quello che è accaduto sulla sicurezza rappresenta uno spartiacque uno dei punti più bassi della Sinistra. Perché il silenzio di quella sera, quando è avvento l’omicidio di Tor di Quinto e il governo ha convocato un Consiglio dei ministri straordinari, ha pesato più del voto in parlamento, l’assenza di un punto di vista contrario, alternativo, che è il compito principale di una forza di sinistra.
Queste sono oggi le nostre priorità
L’agenda di movimento è l’agenda di Sinistra Critica!

La sinistra e il movimento


Ora vediamo che la sinistra di governo cerca di recuperare. Finalmente si occupa di Vicenza, dopo più di un anno di silenzio. Fa appelli, vuole ricostruire legami, interloquisce, scrive lettere.
Noi ovviamente pensiamo che se il movimento è in difficoltà, non è dovuto semplicemente alle scelte governiste della sinistra politica e istituzionale. C’è dell’altro – i limiti dell’organizzazione, il peso delle sconfitte, la scarsa interazione con il mondo del lavoro, e altro ancora. Ma inviterei a riflettere su una analogia internazionale molto indicativa.
Nei tre paesi centrali del movimento internazionale – Brasile, Italia e Francia – quelli che hanno guidato la dinamica di Porto Alegre, la sinistra ha imposto la scelta governista – o vincendo come in Brasile e Italia o candidandosi a governare con il socialiberismo, come in Francia – e il movimento si è diviso e si è inceppato. A noi sembra una spiegazione importante di quello che è accaduto in Italia: andando al governo la sinistra ha smontato il movimento e lo ha illuso nella prospettiva “di lotta e di governo”. Illusioni ben rientrate e che dicono di quante macerie siano state prodotte sotto i nostri piedi. E non sarà facile riprendere il cammino.

Il bilancio del Governo

Anche perché il governo pesa ancora non poco. Non ce la si cava denunciando il fallimento di Prodi!

Perché il fallimento di Prodi è il fallimento della Sinistra a cominciare da Rifondazione!

Qui parliamo di un governo che ha aumentato le spese militari in modo esponenziale, ha irriso alle richieste dei movimenti, ha regalato miliardi su miliardi alle imprese; ha lavorato attivamente a una riorganizzazione capitalistico-finanziaria – da Intesa San Paolo a Telecom, dalle manovre su Alitalia a quelle che riguardano la collocazione europea, cioè nel novero dei paesi forti dell’Unione europea. Un governo che può andare a braccetto con Zapatero e Sarkozy allo stesso tempo, anche perché Zapatero e Sarkozy sulle politiche sociali non dicono cose molto distanti.
E che ha regalato mance e carità ai soggetti deboli: come il bonus agli incapienti, gli aumenti irrisori alle pensioni più basse.
Un governo che si è sorretto, fin dall’inizio, su una base concertativa tra sindacati e imprese senza la quale non avrebbe resistito un giorno. Un governo di classe, ma della classe avversa.
E soprattutto un governo che è riuscito a integrare la legge 30 peggiorando, con il decreto sicurezza, la stessa Bossi-Fini!

Per questo siamo all’opposizione: ci siamo andati sulla guerra e poi sul Dpef, sulle leggi più inaccettabili.
Oggi l’opposizione di Sinistra Critica è ben visibile con il voto contrario dato alla fiducia su Welfare alla Camera e sul Decreto sicurezza al Senato.
Noi la verifica l’abbiamo già fatta, all’opposizione ci siamo già!

E’ bene ricordare che la Sinistra, Rifondazione, tutto questo l’ha coperto: la guerra, il Welfare, la sicurezza, le spese militari, il G8 (ZANOTELLI), il cuneo fiscale, l’affossamento dei Pacs

In realtà, l’attacco a Prodi, cerca di far dimenticare tutto questo.
E serve a coprire l’ultima insidia, la più grande e l’intreccio perverso, oserei dire l’abbraccio mortale. Per favorire la nuova riaggregazione e, quindi, la nascita della Sinistra Arcobaleno, Rifondazione si erge a puntello dell’asse Veltroni e Berlusconi. Nel bipartitismo a vocazione maggioritaria che propone un’ulteriore restrizione democratica, un’ulteriore limitazione del pluralismo, un ulteriore tentativo di ottenere il consenso barando sui risultati elettorali, con soglie di sbarramento putiniane e abolizione, d’ufficio, di partiti e culture politiche, spunta il soccorso rosso.

Anche la tradizionale difesa del pluralismo e della democrazia di base rischia di essere sacrificata sull’altare delle proprie convenienze di apparato o addirittura personali. E’ bene essere chiari su questo: ci hanno tenuto inchiodati alla paura del “mostro” Berlusconi e oggi lo si erge a geniale riorganizzatore della politica italiana e si contempla l’ipotesi di un asse con lui e con il suo Walter Ego.
Il paradosso è che, se vogliamo guardare i contenuti di democrazia, l’attuale legge elettorale è la migliore in tutto questo bailamme. Se il nostro voto dovesse essere decisivo, proporrei di affossare qualsiasi peggioramento del Porcellum

La fine di Rifondazione


Anche questo dice della chiusura del ciclo di Rifondazione comunista.
Lo sosteniamo da mesi. Da domani, sarà visibile con l’inaugurazione di un nuovo logo e il simbolo del Prc non sarà più presente sulle schede elettorali e, di fatto, proporrà la scomparsa della soggettività politica che abbiamo costruito anche noi e che va sotto il nome di Rifondazione. E lo farà senza che i militanti di questo partito possano dire la loro!

Quel logo, da qualche giorno, è del resto noto e dice molto: dice di una soggettività che si dilegua nell’Arcobaleno si scolorisce del tutto e perde i suoi riferimenti storici. Come dice Franco Piperno in un’intervista a Liberazione: il nuovo simbolo serve a tradurre il bisogno di indeterminatezza”. Provate a chiedere a ognuno dei quattro segretari fondatori del nuovo soggetto chi sono, cosa vogliono: non solo avrete quattro risposte diverse ma le risposte brilleranno per indeterminatezza, per genericità. Nemmeno l’opzione riformista “forte” – che so, le nazionalizzazioni – sono proposte con vigore.
Ovviamente tutto questo può attrarre forze, non lo sottovalutiamo, attirare consensi. Nella fase di stagnazione e demoralizzazione il richiamo dell’unità esercità un fascino indiscusso.
Ma dentro quel processo si perde il progetto di ricomporre una sinistra di classe e si punta solo a occupare elettoralmente lo spazio lasciato libero dai Ds senza perdere di vista la necessità di rimanere agganciati al Pd in una prospettiva di governo. Questa è l’identità vera.
E, vedete, noi non consideriamo i simboli come un feticcio. I simboli rappresentano dei contenuti e indicano un progetto politico. Perché ogni volta che si fa una virata moderata si buttano via la falce e il martello?

Non siamo nostalgici né ci ubriachiamo con le bandiere rosse.
Però, a vederli buttati nel secchio, quei simboli, a noi viene voglia di tenerli. E infatti li terremo, perché rappresentano anche uno dei nostri simboli, quel legame alla storia migliore del movimento operaio che non intendiamo buttare via.

Di fronte al proprio fallimento, dunque, il Prc cambia il terreno di gioco.
Il fallimento è misurabile matematicamente:
Rifondazione ha lavorato attivamente e convintamente – ve lo ricordate il clima congressuale? – per il governo con l’obiettivo di battere le destre, permeare il governo alle istanze dei movimenti, cambiare il paese e cambiarlo in una Grande Riforma permessa da una “borghesia buona” che, nelle visioni di Bertinotti, sarebbe presente in questo paese.
Ora, le destre non sono state così forti nel paese reale, i movimenti sono tutti contro il governo che non ha esitato ha mettersi contro di loro; il cambiamento evidentemente è fallito e la borghesia è così buona da mettere con Marchionne, una bomba a orologeria sotto il contratto dei metalmeccanici e da costruire, con Padoa Schioppa, una politica di risanamento liberista di cui a usufruire sono soltanto le imprese.
Fanno a gara a dichiarare il fallimento di Prodi per nascondere il proprio.
Se la Sinistra è all’Anno Zero di chi è la responsabilità?
Forse se abbiamo perso dieci anni di rifondazione comunista lo dobbiamo alle disinvolture di chi si è alleato due volte con Prodi, con zig zag improvvisi e spericolati!
Se oggi noi decidiamo di spezzare un percorso politico in parte lo facciamo anche per metterci in salvo da queste disinvolture e da queste giravolte stucchevoli!

L’occasione perduta


Tutto ciò dà in effetti il senso dell’occasione persa. Perché se Rifondazione si è perduta – e Rifondazione si è perduta! - non è perché improvvisamente è diventata governista ma solo perché ha deciso, a un certo punto, di valorizzare della propria storia complessa e contraddittoria l’anima riformista e compatibilista che proviene dalle radici del Pci, quel partito di lotta e di governo che in realtà mette da parte le lotte e cerca, senza riuscirci in questo caso, a praticare la strada del governo. L’approdo al governo è in realtà l’esito di una sconfitta in cui non è stato realizzato ciò per cui Rifondazione è nata: un tentativo di ricostruire una dimensione e una soggettività di classe che si contrapponesse alla stabilizzazione capitalistica in corso. Questa vocazione è stata tenuta in piedi per circa dieci-dodici anni, periodo nel quale il Prc è rimasto, di fatto, fuori dai poli e fuori dalla normalizzazione. L’ascesa al governo del sistema – ben evidenziata dalla scelta di ritagliarsi il ruolo di presidente della Camera – ha chiuso l’anomalia-Rifondazione e ha chiuso qualsiasi tentativo di insediare un corpo politico-sociale che ricostruisse l’identità anticapitalista. Questa è la “rifondazione mancata” quella che nessuna controsvolta ci potrà più dare.

Per questo parliamo di un ciclo chiuso e di un’esperienza consumata: anche un eventuale ritorno all’opposizione non potrà più rimettere in moto la macchina che abbiamo conosciuto, tra l’altro per breve tempo e con prestazioni non del tutto soddisfacenti. Insomma, la politica non è come la pellicola di un film che a un certo punto puoi arrestare, far ritornare indietro e far ripartire. Non si ritorna alle origini.

La Cosa socialdemocratica


La Sinistra Arcobaleno è il naturale approdo di questo nocciolo salvato dalla traversata degli ultimi quindi anni: un riformismo temperato, di matrice socialdemocratica, a vocazione governativa.
Solo che questo riformismo si presenta nel momento in cui i margini di mediazione riformista sono minimi se non esauriti.
Si guardi al Welfare: grandi proclami, ginnastica militante e poi niente. Niente, non gli hanno dato niente ed stato un disastro, come dimostra la delusione del 20 ottobre.

Ovviamente, la riduzione dei margini non è solo un fattore oggettivo ma è il prodotto anche di un fattore soggettivo, il comportamento del socialiberismo e del sindacato istituzionale che è parte attiva dei processi di demoralizzazione e scomposizione. La Cgil ha giocato in questa fase un contributo attivo ed è un contributo criminale: ha portato coscientemente milioni di persone ad accettare una mediazione che peggiora le condizioni di vita e si è opposto perfino a miglioramenti parlamentari. Un’indecenza mai vista.

Un’identità alternativa


Noi vogliamo ripartire da qui da un anticapitalismo sul piano del programma e delle idee anche a breve termine.
Noi restiamo ancorati a una Sinistra che voglia rompere con il capitalismo, rovesciarlo e costruire un “ordine nuovo”. Restiamo ancorati a un’ipotesi rivoluzionaria che passa per una grande partecipazione e autorganizzazione di massa, per un’ipotesi di proprietà pubblica e sociale, di produzione collettiva, di autogoverno democratico come forma avanzata di relazioni sociali. Utopie? Bene, l’utopia è una grande forza che smuove colossi e all’utopia restiamo molto affezionati.

Per questo “l’elogio dell’opposizione”


Nel senso che rivendichiamo l’indisponibilità a governare il capitalismo. Per questo abbiamo avanzato l’elogio dell’opposizione: perché la sinistra di classe deve accumulare forze, far esprimere forme di autogoverno sociale, modificare drasticamente sistemi istituzionali concepiti per fare da cane da guardia al sistema e acquisire peso e potere nella società e nella struttura socio-economica. Solo a quel punto può porsi la questione del governo.

La proposta dell’oggi


Noi la verifica con il governo l’abbiamo già fatta e infatti siamo già all’opposizione.
Rifondazione vuole fare una verifica della verifica per mascherare la centralità della legge elettorale. Noi non parteciperemo a un gioco che serve a prendere tempo, a far nascere la Cosa Arcobaleno e a mascherare il vero confronto che è sulla legge elettorale.
Il rinvio del Congresso è l’epilogo di questa esigenza di prendere tempo e si presenta come un vero e proprio sequestro di democrazia. Non c’è dubbio: si deciderà tutto prima e il congresso sarà chiamato a ratificare. Un triste epilogo.

Per questo dichiariamo conclusa la nostra esperienza nel Prc e costruiamo un nuovo progetto. Non la chiamiamo scissione perché è l’amara presa d’atto di percorsi che divergono: c’è una maggioranza che punta a riassemblare la sinistra riformista e ci siamo noi, ma non solo noi, che invece pensiamo se debba continuare a costruire una sinistra di classe, anticapitalista, indisponibile al governo.
La nascita della Sinistra-Arcobaleno, un anno e mezzo di governo fallimentare – che ha mostrato il volto vero di questa Sinistra – e infine la decisione di rinviare il congresso fin quando tutto si sarà compiuto ci fa dire, come ebbe a dire qualcun altro, che “noi ci fermiamo qui”. Non vi seguiamo, in qualche modo ci auto-tuteliamo e, speriamo, offriamo un’ipotesi politica a quanti vogliono continuare quella strada intrapresa nel 1991 e rinverdita nel 2001.
Sinistra Critica si trasforma in Movimento politico e persegue un suo progetto autonomo;
Nei prossimi giorni ci dimetteremo dal Prc e quei pochi istituzionali che fanno a noi riferimento costituiranno gruppi di Sinistra Critica a partire dalla Camera dei deputati. Una storia si chiude, e ci duole molto, perché sappiamo riconoscere le sconfitte. E il fallimento di Rifondazione è una sconfitta, non ci sono dubbi.
Ma un’altra storia si apre, e di questo siamo lieti.
Annunceremo questa scelta al Cpn di domenica prossima con una lettera aperta e lo stesso faremo a livello locale. Organizzeremo incontri provinciali per spiegare agli iscritti e iscritte del Prc cosa pensiamo e cosa intendiamo fare.
Da subito costruiremo i circoli territoriali e tematici di Sinistra Critica dando vita anche a una campana di iscrizioni e di autofinanziamento.

Una Costituente Anticapitalista


Non ci trasformiamo né ci autoproclamiamo in un partitino.
Costruiamo da oggi Sinistra Critica come Movimento, Movimento per la Sinistra Anticapitalista. Quello che ci interessa è innescare una dinamica, di movimento e politica complessiva. Una dinamica per far esprimere una ribellione che in assenza di strumenti adeguati proverà a prendere strade impervie e, in alcuni casi, pericolose.
Per questo vogliamo aprire, e quindi proporre a tanti, una fase Costituente della Sinistra Anticapitalista.
Se si creeranno le condizioni, se altri si muoveranno o si renderanno disponibili a impegnarsi sul livello del progetto politico, pensiamo si possa costituire una Coalizione della Sinistra di classe che possa giocare in ruolo nella società e nel contesto politico italiano.
Le coordinate in cui far nascere e muovere questa proposta sono tre:

1) Il vincolo con il movimento. Noi non proponiamo che il movimento o settori di movimento si trasformino in un partito politico o in un soggetto politico. Pensiamo esistano ambiti diversi, vocazioni differenti ruoli differenti. Ma il vincolo con il movimento di cui noi ci sentiamo parte attiva è importante. Ed è importante non scimmiottare gli errori e i disastri prodotti da Rifondazione sia nella confusione dei ruoli, sia nella pretesa di rappresentare nelle istituzioni il movimento. Insomma, un rapporto alla pari ma nella chiarezza dei ruoli e delle responsabilità.

2) L’anticapitalismo come una scelta di fondo, e quindi l’adesione a una coerente visione di classe che escluda alleanze di governo e commistione con il social-liberismo e quindi la vocazione non governista.

3) La condivisione di una non centralità delle istituzioni nel lavoro politico futuro. C’è bisogno di rivoluzionare questo aspetto della politica. Basta con le prerogative esclusive con la corruzione morale e materiale, con i privilegi, con l’ossessione istituzionale. Servono proposte per ridurre drasticamente le indennità – vedi vitalizio parlamentare – serve la rotazione degli incarichi, il rapporto diretto con la società, insomma un’altra idea della politica.

Ovviamente, non proponiamo di escludere la via elettorale. Anzi, discuteremo di esperimenti già da subito e intendiamo cimentarci con questo terreno ovviamente utilizzando la falce e il martello.
Ma non si tratterà di prove decisive o fondative di un vecchio modo di agire che vogliamo gettare, letteralmente gettare via dalla porta evitando che rientri dalla finestra.

8. L’organizzazione politica necessaria
La decisione di non proclamarci partito, di aprire una fase costituente, di tenere la porta aperta ad altri settori che potranno mobilitarsi non significa che propendiamo per una concezione minimalista dell’organizzazione.
Sinistra Critica vuole costruirsi e organizzarsi. E a questo destineremo le nostre energie già da subito. Nella costruzione di coordinamenti provinciali in tutte le province, nei seminari regionali che dovremo costruire nel prossimo anno, nella organizzazione di una campagna politica ampia che proponiamo alla discussione.
Una campagna sugli elementi sociali e politici del nostro programma – innanzitutto sulle questioni sociali, sulla fatica di arrivare a fine mese, sui diritti sociali negati - per arrivare in primavera a un nuovo grande appuntamento, stavolta di massa, organizzato direttamente da Sinistra Critica !

Ovviamente non rinunciamo a dire la nostra, anche sul terreno dell’identità a cui teniamo anche se non intendiamo chiamarci ne essere chiamati trotzkysti, per la semplice ragione che Siamo molto di più.
Perché noi ci riconosciamo nella Comune di Parigi e il ’17 in Russia, nella rivoluzione spagnola del ’36 e in quella ungherese del ’56, nel Maggio ’68, negli anni 70 e nel protagonismo operaio, nell’immaginazione al potere, nella lotta di classe e nei consigli operai, nel femminismo radicale, nelle occupazioni studentesche e nella critica dell’economia politica;
Vogliamo essere il movimento che abolisce lo stato di cose, Che Guevara e Rosa Luxemburg, Lenin e Trotzky, Malcom X e il marxismo indigeno sudamericano: Un filo rosso di ricerca e pratica politica che riconduce sempre lì, all’impellenza di una rivoluzione sociale e politica per trasformare la realtà.
E quindi, se dobbiamo sintetizzare la nostra identità non abbiamo categoria più precisa che quella di Rivoluzione. Sì, rivoluzione.
Pensiamo alla rivoluzione perché altrimenti nemmeno le riforme sono possibili. A una rivoluzione che permetta l’irruzione della soggettività repressa – spesso repressa dalle alchimie della politica dei ceti e degli apparati – e che permetta di realizzare una democrazia radicale, assoluta, un salto di paradigma rispetto alla farsa di democrazia in cui viviamo oggi. Una rivoluzione come possibilità-
Ma anche una rivoluzione come unica soluzione alla barbarie e alla catastrofe che si spalanca dinnanzi a noi, una rivoluzione come necessità.
Nel manifesto programmatico ci dilunghiamo molto sugli scenari di guerra e sul disastro ambientale che incombe, la catastrofe è lì e non vede l’ora di compiersi. La rivoluzione è quindi uno degli strumenti per arginare la catastrofe, per arrestarla. E’ una bella immagine che scaturisce da uno dei pensatori marxisti ancora inesplorato, come Walter Benjamin:
“Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno di emergenza da arte del genere umano” per impedire l’eterno ritorno della catastrofe.

Tutto questo sembra essere fuori dal mercato della politica e spesso ci fa sentire soli.
In questo passaggio politico, del resto, noi scegliamo il “Controtempo”, ci muoviamo in direzione “ostinata e contraria” per citare De André, ma in realtà, credetemi, forse possiamo anche essere soli, ma non siamo isolati: perché nelle lotte, nelle emergenze sociali, nel divenire concreto del movimento ci sentiamo a nostro agio.

La miscela Sinistra Critica


Ma l’identità non è solo un recupero simbolico o un programma astratto è anche l’identità materiale, la carne e le ossa di tutti e tutte noi.
Sinistra Critica è stata il voto di Franco, unica opposizione istituzionale a sinistra, mantenuta in condizioni difficilissime e che fa onore a lui e a noi.
E’ la generosità di compagni e compagne istituzionali che ci regalano la loro piccola « carriera » politica per un progetto comune volte senza alcun paracadute.



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