PROFESSIONE: STAGISTA!
di
Erica Zanin
Lavoro
in una grande impresa. Anzi, il mio lavoro consiste in una grande
impresa: nell’impresa di trovare lavoro! Per il momento, però
ho deciso di prendermi una pausa e mi sono dedicata allo stage. Anzi,
agli stage. Il plurale è d’obbligo visto che la mia vita
lavorativa è sempre in continuo cambiamento: dopo sei mesi di
stage nella redazione di un giornale locale, sono passata ad uno
stage di 3 mesi al Telefono Azzurro, per poi volare a Melbourne per
dirigere per sei mesi un programma radiofonico per gli italiani
emigrati che vivono lì (ovviamente si trattava di stage), e
dall’Australia partire alla volta di Bruxelles e trascorrervi sei
mesi in una società di consulenza in materia di finanziamenti
europei, per poi ritornare in Italia e tentare il tutto e per tutto
con uno stage di altri tre mesi in un ufficio stampa della pubblica
amministrazione e, ancora una volta delusa, finire con un ennesimo
stage in una società di produzione multimediale.
Insomma
la mia vita è veramente sorperendente, ho solo 27 anni ma una
carriera degna di nota alle spalle: sono stata giornalista,
telfonista-assistente sociale, dj, consulente in materia di
finanziamenti europei, addetta all’ufficio comunicazione ed infine
ricercatrice. Non male, bisogna ammetterlo.
Della
mia esperienza se n’è anche accorto il mio ultimo datore di
lavoro, o meglio “datore di stage”, che dopo solo 50 giorni nella
sua società mi ha lasciato completa autonomia nella ricerca e
nella gestione di progetti che gli fanno fruttare un sacco di soldi.
Ho anche avuto il permesso di reclutare e assumere altri due stagisti
alle mie dipendenze. Bizzarra come cosa, e bizzarra anche la loro
espressione quando gli ho rivelato che in realtà ero una
stagista anch’io e che ero lì da poche settimane.
Pensare
che nei tempi antichi si considerava lo stage come un periodo di
tempo che andava da uno a più mesi in cui lo stagista aveva la
possibilità di venire a contatto con una realtà
lavorativa e, prestando il suo servizio gratuitamente, poteva
imparare un lavoro. Questo permetteva all’azienda di “assaggiare”
lo stagista, verificare capacità e competenze in vista di
un’assunzione; inoltre permetteva allo stagista di imparare le
modalità specifiche di una professione, nonché di
verificare se quell’ambiente lavorativo gli è congeniale.
Oggi, più semplicemente lo stage si è tolto la maschera
e si è rivelato per quello che è: un “periodo di
prova non retribuito” in cui il più delle volte l’azienda
non ha nessuna possibilità, presente o futura, di assumere una
persona, come viene ammesso senza scrupolo sin dai primi colloqui di
selezione, anche se pretendono stagisti iper qualificati e con
esperienze pregresse.
Ma del resto chi glielo fa fare di pagare
qualcuno quando possono averlo gratis?!
Di fatto però, io a
questa condizione di stagista perpetua mi ci sto quasi abituando,
direi che ci sono portata e non è una cosa da tutti visto che
approdare a questa professione è solo apparentemente facile.
In realtà il percorso verso l’ambito stage è più
lungo e insidioso di quel che si pensa e richiede molte qualità.
Prima fra tutte la pazienza, soprattutto nella sfumatura della
sopportazione. In secondo luogo la capacità di sopravvivere
senza poter fare affidamento sul denaro. Per non parlare poi
dell’immancabile capacità di gestione della fotocopiatrice e
della macchina del caffè, due elementi da cui il destino di
una persona può dipendere più di quanto si pensi.
Io in
tutte queste cose sono diventata un’ironica maestra anche se da
piccola, quando mi chiedevano che cosa volevo fare da grande, le mie
idee erano del tutto diverse. La scrittrice rispondevo. E a dire il
vero la situazione di precariato ci sarebbe stata comunque, ma magari
sarei riuscita a portarmi a casa qualche soddisfazione in più.
E
pensare che, probabilmente, questo accade soltanto per una piccola
dimenticanza nella legge Treu del ’97 che istituisce lo stage: ah
se solo si fosse accennato ad un compenso corrispondente!