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I neutrini ed Einstein tra scoop e disinformazione

di Daniele Tavernari

La nota vicenda dei neutrini, oltre ad aver fornito interessanti prospettive di ricerca ed approfondimento nonostante la smentita, ha messo in luce alcuni vizi di fondo nell’affrontare particolari tematiche scientifiche da parte di certe testate giornalistiche e trasmissioni televisive: l’utilizzatissimo “Einstein va in soffitta” è stato, infatti, uno slogan completamente fuori luogo anche se non fosse stato trovato alcun errore nelle misurazioni.

Come spesso si ha occasione di verificare, la ricerca spasmodica dello scoop e della notizia sensazionale tende talvolta a trascurare o, quantomeno, a non tenere sufficientemente in considerazione il precetto deontologico di fedeltà alla verità pura e semplice, senza forzate interpretazioni o immotivato induttivismo. È doverosa una premessa. La cautela, lo scetticismo di fondo e la tendenza alla “falsificazione” (intesa come confutazione), principio popperiano alla base dell’epistemologia moderna, fanno sì che la comunità scientifica, prima di rendere ufficiali certi risultati sperimentali o certe scoperte, segua un lungo e rigoroso iter di controllo e di verifica degli stessi.

Solo per citare alcune condizioni, gli esperimenti devono essere ripetibili e riproducibili, vale a dire che cambiando certe variabili tra cui la strumentazione, l’ambiente, il sistema di riferimento e addirittura gli sperimentatori si deve pervenire allo stesso risultato. Le asserzioni devono essere confutabili: ci deve essere la possibilità, almeno potenziale, di tentare di dimostrare il contrario di quanto dicono. Vi deve essere un controllo, operato da altri scienziati, della correttezza dei processi e della ragionevolezza delle conclusioni tratte (il cosiddetto peer review).
Inoltre bisogna sempre tener conto che la possibilità di smentita di risultati scientifici ha validità generale e, per così dire, “non guarda in faccia a nessuno”: incombe, infatti, anche su leggi il cui utilizzo ha sempre dato ottimi risultati e corrette previsioni, figurarsi sulle scoperte più recenti. Il concetto di verità, in ambito scientifico, ha poco più che una valenza di convenzione: ogni volta che si suppone “vera” una certa scoperta e la si sfrutta, si è consapevoli del fatto che lo è finché qualcuno non dimostra il contrario o non ne limita il campo di validità, restringendolo, ad esempio, a “caso particolare” di un principio più generale.

Per citare un caso storico, Albert Einstein, con la sua Teoria della Relatività Speciale, mise in crisi le Leggi di Trasformazione Galileiane. Esse consistevano nelle classiche addizioni delle velocità, secondo cui, per intenderci, una persona che corre su un treno, per un osservatore fermo nella stazione, va ad una velocità pari alla somma della sua velocità di corsa e di quella del treno. Su di esse si erano basate la scienza e la tecnologia per secoli, ma l’allora impiegato dell’Ufficio Brevetti dimostrò semplicemente che esse cessavano di essere valide ed utilizzabili quando le velocità diventavano troppo alte, restringendone il campo di competenza. Esse restavano comunque applicabili nella vita di tutti i giorni, ma per un satellite, ad esempio, bisognava inserire delle correzioni, dette appunto relativistiche.

Si potrebbe affermare quindi che le leggi di Galileo sono tuttora “vere”, entro certi limiti, mentre quelle di Einstein sono più generali. Nulla vieta che una teoria ancora più generale possa restringere a sua volta la validità della relatività einsteiniana, relegandola a “caso particolare”.

E qui si giunge al punto della questione.

Le stesse metodologie di controllo e revisione, la stessa cautela sopra citata, imprescindibile quando si ha a che fare con scoperte di un certo spessore, non sembrano sempre trovare riscontro nei notiziari e nei giornali. L’imperante logica dello scoop da prima pagina e del “titolone” che certe testate e trasmissioni adottano fa sì che troppo spesso si decentralizzi l’attenzione del lettore o del telespettatore dalla reale notizia alle quanto mai opinabili interpretazioni e affrettate conclusioni sensazionali, sbalorditive e talvolta addirittura shoccanti. Quelle, ovvero, che fanno impennare vendite e ascolti.

La nota vicenda dei neutrini non ha fatto eccezione.

Per una più dettagliata descrizione del fatto in sé si rimanda al relativo articolo: (link)

In queste righe, invece, l’attenzione si rivolge in particolare ai risvolti giornalistici della questione, e di come essa è stata posta. Il fenomeno registrato dai laboratori del Gran Sasso riguardo alla velocità dei neutrini consisteva nel fatto che essi avrebbero – il condizionale è d’obbligo - viaggiato più velocemente della luce, o meglio, avrebbero oltrepassato questo limite durante la loro accelerazione. La teoria della relatività generale di Einstein aveva invece dimostrato che ciò fosse fisicamente impossibile: senza entrare nel dettaglio, per aumentare la velocità di una particella dotata di massa - seppur infinitesima, come nel caso dei neutrini - fino a farle superare i fatidici 300'000 km/s,  bisognerebbe impiegare una quantità infinita di energia.

L’evidenza sperimentale è stata quindi accolta con cautela, non solo dalla comunità scientifica internazionale ma anche dagli autori stessi dell’esperimento, che fin da subito nei loro comunicati stampa si sono limitati a definirla un’”anomalia” e si sono appellati ai centri di ricerca di tutto il mondo per le dovute verifiche del caso.

Per quanto riguarda i risvolti giornalistici e la copertura mediatica della vicenda, lo slogan più diffuso, in piena conformità con le regole del sensazionalismo, è stato, come già riportato, “Einstein va in soffitta”. Questa ed altre frasi ad effetto simili, unite alla prospettiva di una revisione radicale della nostra concezione dell’universo e della fisica nel suo complesso, non hanno fatto che gonfiare in maniera smodata ed immotivata una semplice registrazione provvisoria di dati, ancora tutti da verificare e dunque ben lontani dall’essere pienamente e ufficialmente confermati. La “delusione” di quanti, spinti da “ultim’ora” e “titoloni” auspicavano un’intrigante rivoluzione della cosmologia è stata quindi grande allorché è giunta la smentita della notizia, dovuta ad un controllo della calibrazione della strumentazione.

Un simile risalto mediatico e l’esagerato peso dato alla questione, oltre a rendere oggettivamente auspicabile un maggiore impiego di “addetti ai lavori” o di specialisti della divulgazione scientifica anche nei giornali generalisti, ha contribuito, inoltre, a screditare i ricercatori stessi. Essi, dal canto loro, non hanno fatto altro che trovare un’anomalia, controllare strumenti e processi e scoprire dove avevano sbagliato, come succede normalmente nel corso di indagini ed esperimenti scientifici.

Un’ultima questione riguarda l’inesattezza di fondo del considerare finita l’epoca della relatività einsteiniana. Supponiamo per un attimo che quanto scoperto fosse stato confermato: ci saremmo semplicemente trovati in una situazione analoga a quella, sopra citata, di cui Einstein stesso è stato protagonista quando ha pubblicato le sue teorie. Satelliti, sistemi GPS, pianeti e reattori nucleari funzionano e avrebbero fondamentalmente continuato a funzionare secondo la Teoria della Relatività, che si sarebbe semplicemente vista restringere il campo di applicazione e di validità, come è successo per la fisica classica.

I sensazionalisti dovranno dunque mettersi l’animo in pace: Albert Einstein in soffitta non ha nessuna intenzione di finirci.


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