TRE
MORTI AL GIORNO
Di
Flavio Novara
Non è
un dato percentuale di una qualsiasi giornata di guerra, di un
qualsiasi paese del mondo. Una di quelle guerre a cui ormai sembriamo
tutti passivamente indifferenti. Questi tre morti al giorno, sono
quelli che quotidianamente avvengono nel nostro paese per poter
lavorare. Per poter compiere quel azione fisica ed onesta, necessaria
al sostentamento dei nostri familiari.
Un
dato sempre più agghiacciante a cui pochi prestano attenzione.
Un dato ormai accettato e poco realmente contrastato, combattuto e
denunciato. Inferiore certamente per i media, alle vittime della
strada. Sembra a volte che il morire sul posto di lavoro sia sempre
figlia della sfortuna, una evento sempre scongiurato e preso
seriamente in discussione solo ed esclusivamente nel momento in cui
questo si verifica intorno a noi. Qui siamo ormai di fronte, come ad
esempio è avvenuto per il progetto TAV, ad un concetto di
morte sul lavoro calcolato in base al monte ore complessivo e al
numero di persone impiegate per il suo realizzo. Un semplicissimo
calco delle probabilità da presentare per l'adeguata copertura
assicurativa. La vita di un uomo calcolata come puro e semplice
ragion di profitto.
Esaustivo
di questo concetto è stata la relazione presentata ad un
convegno sulle automazioni dei sistemi produttivi, alcune settimane
fa all’università di Brescia. Il relatore, ingegnere
responsabile di una nota ditta di Elettrodomestici della Provincia di
Treviso, nel comunicare alla platea la corretta applicazione nel suo
stabilimento della normativa sulla sicurezza, concludeva questo
capitolo elogiando quanto questo contribuisse a ridurre i possibili
danni al “materiale umano”.
Dietro
alle prestazioni di un salariato, vive un uomo e non un attrezzo da
lavoro o una macchina produttrice di profitto. Un profitto ricercato
a tutti i costi che ti invita a non curarti o a cinicamente calcolare
i "morti possibili" come un possibile costo a cui far
fronte.
Per
questi motivi e tanti altri, abbiamo deciso di ricordare il 1°
maggio con uno speciale. Per evitare, come ormai avviene da diversi
anni, che venga solamente celebrata questa festività come un
momento di svago e vacanza. Una festa celebrata anche con un
bellissimo concerto organizzato dalle tre confederazioni sindacali,
utile come metodo di comunicazione rivolto in particolare alle nuove
generazioni, ma al quale andrebbe contrapposto e appeso sul palco lo
slogan “non c’è nulla da ridere”. Nel nostro speciale,
infatti, abbiamo voluto dare un taglio diverso che, partendo dalla
sua storia, ben sviluppata nell’articolo di Mirca, presenta una
serie di scritti e interviste che denunciano in modo evidente, cosa
significa oggi lavorare da precario. Situazione questa ben espressa
dall’osservatore “Mario Rossi” nel suo articolo dove evidenzia
in modo determinato, cosa significa essere dei salariati a tempi
alternati, schiacciati tra l'impossibilità reale, soprattutto
per i bassi profili professionali, di sperare in un futuro sereno per
se e per la propria famiglia.
Questa
è la vera emergenza nazionale e a noi rimane solo il
denunciare a “tambur battente”, quanto sia paradossale che i
problemi delle famiglie, tutte racchiuse nella casa, salari bassi,
asili, scuole, trasporto, assistenza sanitaria ecc. oggi possano
risolversi solo nell’approvazione dei DICO e/o nella marcia per il
"Family Day".