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Medio Oriente » Incontri con una realtà ignorata:il popolo curdo  

NEWROZ PIROZ BE!  (II°parte)

 


INCONTRI CON UNA REALTA’ IGNORATA
IL POPOLO KURDO
(III° Parte)

di Mirca Garuti

 

Il nostro viaggio, dopo il Newroz di Diyarbakir del 18 marzo, prosegue verso Sirnak, regione del Botan, città di montagna del Kurdistan turco vicino al confine con l’Irak.
Cinque ore di viaggio per raggiungere la sede del municipio dove siamo attesi dal vice sindaco, Abdul Hamit Ike e da alcuni consiglieri e membri del partito BDP. Ci troviamo nella sala del consiglio comunale.  Antonio, il nostro capo gruppo, prima di dare la parola al vice sindaco, descrive la città in cui ci troviamo. Sirnak, era qualche anno fa un centro urbano di 35mila abitanti.  La sua popolazione oggi, a causa delle continue distruzioni di molti villaggi da parte dell’esercito turco, è di circa 70mila unità. La disoccupazione è altissima: 80% considerando il fatto che non è classificato come disoccupato chi ha almeno una vacca. La pastorizia non può più essere praticata perché non è possibile allontanarsi, da questa zona, per più di dieci chilometri.
 

Sirnak è circondata da una catena montuosa che confina a sud-est con l’Iraq dove si trovano i guerriglieri del PKK. La tensione qui è sempre molto alta e la situazione molto drammatica. L’Associazione Verso il Kurdistan onlus di Alessandria ha finanziato, con l’aiuto della solidarietà internazionale, il progetto di un centro sanitario attrezzato, dove l’unica struttura esistente disponeva solo di 20 posti letto ed un solo medico per 10mila abitanti. La realizzazione del centro ha trovato però una serie d’ostacoli e difficoltà per la mancanza di medici ed infermieri disponibili a lavorare per la paura di ritorsioni dopo le tante operazioni militari turche. La prova tangibile che rappresenta questo timore si concretizza nel fatto che l’ambulanza è ferma per mancanza d’autisti e medici. L’associazione, inoltre con la regione Piemonte ha portato avanti la campagna nazionale “Arance di Natale…arance per la vita”, un progetto per l’accesso gratuito ai medicinali per lottare in modo concreto contro le malattie e la mortalità che colpisce una gran fascia di popolazione migrante. Si finanzia la farmacia del luogo per permetterle di acquistare i medicinali destinati alle persone che non sono in possesso della “carta verde”. Carta che permette di avere un minimo d’assistenza sanitaria, ma che è rilasciata dalle autorità turche in un modo assolutamente discrezionale.  Sirnak può quindi essere definita la città più militarizzata di tutto il Kurdistan turco e la penultima (l’ultima è la città di Akkari) per quanto concerne l’alfabetizzazione.

Il vice sindaco Abdul inizia a raccontare la sua personale vicenda che risale al 1992. Il governo turco dell’epoca aveva proibito le celebrazioni del Newroz, ma il popolo curdo determinato a difendere i propri diritti non si era lasciato intimorire e la conseguenza era stata molto dura. I militari spararono: 74 persone furono uccise. Abdul rimase ferito da sei proiettili. Fu arrestato. All’ospedale di Diyarbakir gli agenti delle squadre speciali, mentre lui era sulla barella, si erano“divertiti” ad infierire con brutalità sulla gamba ferita. La conseguenza di tale comportamento fu che la gamba andò in cancrena e, dopo un mese, gli fu amputata.
Il Newroz, continua il vice sindaco, che dovrebbe essere festeggiato, come da decisione del suo partito BDP, il 21 marzo, non è stato ad oggi ancora autorizzato.
Gli arresti, qui rappresentano la normalità: alcuni giorni fa sono state arrestate 11 persone, cinque sono ancora in prigione. Tutto a Sirnak è ormai considerato “normale”, anche le numerose detenzioni dei minori: 25 sono nella prigione di Mydiat accusati di aver lanciato sassi e di aver partecipato ad una manifestazione. La situazione è peggiorata. Ora si trovano in carcere il sindaco attuale Ramazan Uysal, quello precedente Ahmet Artak e 17 consiglieri comunali su un totale di 19. Quasi tutti i sindaci dei comuni della zona di Sirnak sono in carcere.  Si sta assistendo ad un cambiamento di strategia da parte del governo di Ankara.
L’esercito turco, per oltre 30anni, ha bombardato, anche con armi chimiche, le montagne circostanti, nel tentativo di annientare i guerriglieri, senza però ottenere molti risultati. Per questo motivo ora il governo turco rivolge la sua attenzione alla popolazione civile, alle autorità dei comuni e specialmente verso i figli dei rappresentanti di partito.
A Cizre per esempio un bambino di dodici anni è stato in carcere per tre mesi, mentre un altro ha avuto una condanna di 60anni, in quanto accusato di essere un membro di un’organizzazione. Abdul afferma che succede tutto questo perchè la Turchia non è gestita da leggi, ma da circolari che sono emanate giorno dopo giorno dichiarando così la volontà del momento dell’autorità turca. Il discorso quindi si sposta verso il problema riguardante la carcerazione dei minori. A dimostrazione della così detta democrazia del governo di Erdogan è scoppiato ora un nuovo scandalo: abuso di potere e mancato rispetto dei diritti dei detenuti nel carcere di Pozanti.

 

Il ministero di Giustizia si trova ora al centro delle polemiche per aver ignorato i vari avvertimenti che riguardavano i maltrattamenti ed abusi nei confronti di minori in questo carcere. Il ministro Ergin ha però ricordato che le indagini compiute a seguito delle denunce iniziate nel 2010 da parte di un deputato non erano state confermate. Il co-presidente del Partito della Pace e della Democrazia (BDP), Gultan Kisanak afferma invece che gli incidenti emersi nel carcere di Pozanti sono solo un esempio dei tanti che affiggono la minoranza curda del paese: “Dobbiamo chiederci prima di tutto perché questi bambini sono in carcere. Negli ultimi 30 anni, lo Stato ha cercato di risolvere la questione curda attraverso la violenza, bruciando villaggi e costringendo milioni di persone a migrare. Questi bambini non sono in carcere per aver lanciato pietre. Sono i figli delle persone che sono state oggetto di violenza da parte dello Stato negli ultimi 30 anni”.
La maggior parte dei giovani prigionieri di Pozanti è stata arrestata per il sospetto di terrorismo.
Secondo il dossier presentato al Ministero della Giustizia, almeno 25 dei 125 minori detenuti sono stati stuprati e sistematicamente picchiati dagli altri prigionieri e dalle guardie carcerarie. La vittima più giovane ha 12 anni.
C’è un linguaggio in codice coniato dalla polizia per ogni nuovo arrivo a Pozanti che “merita” un trattamento speciale: “questo è un parente, bisogna curarlo bene”, per esempio, significa che il ragazzo verrà violentato.
Lo scandalo è stato portato alla luce dal quotidiano “Taraf” che ha pubblicato la storia di “FG”, un giovane ex detenuto a Pozanti, che ha raccontato di essere stato picchiato ripetutamente e poi stuprato da un altro prigioniero più grande d’età. Dopo la sua intervista con Taraf, “FG” è stato di nuovo arrestato per aver partecipato ad una protesta illegale. Oggi, è detenuto in un carcere giovanile, ma suo padre sostiene che è vittima d’abusi sempre più gravi, a causa dei quali, il 25 marzo ha tentato il suicidio.
Arif Akkaya, membro della fondazione Justice for Children, istituita dai genitori dei bambini in prigione, afferma che l’area del Mediterraneo turco “annovera i casi più tremendi” d’abuso sui minori.
Lo scandalo si è risolto con il trasferimento di 199 minori nel carcere di Finca ad Ankara, ma i genitori delle vittime continuano a protestare e lanciano l’appello: “Invece di trasferirli in una prigione lontana, dove non saremo in grado di far loro visita, dovrebbero migliorare le condizioni di Pozantı”.  I minori si trovano in carcere con gli adulti perché non esistono strutture per loro, a parte un carcere ad Istanbul. Il governo turco ha emanato una nuova legge contro il terrorismo che prevede il carcere anche solo per il semplice gesto di tirare un sasso. La pena può variare da qualche mese a tre anni.
La libertà d’informazione in una situazione come questa è solo un miraggio: si registrano, infatti, una serie d’arresti ai danni dei giornalisti dell’agenzia DIHA. Agenzia che aveva riportato gli abusi nel carcere di Pozanti.
Il 23 aprile in Turchia si celebra la Giornata Nazionale dei bambini. L’agenzia di stampa filo-curda Firat ha trasmesso la notizia che V.C. 17anni, da quattro mesi in carcere a Pozanti, sta vivendo l’incubo di restare in carcere per i prossimi 47 anni. E’ stato arrestato a Mersin l’otto gennaio scorso con l’accusa di: "Favoreggiamento di un'organizzazione terroristica", "partecipazione ad una manifestazione illegale ", "diffusione di propaganda per conto di un'organizzazione terroristica", "resistenza alle forze di sicurezza" e "non aver obbedito all’ordine di dispersione della folla". Contro il ragazzo hanno testimoniato alcuni funzionari di polizia e dei testimoni rimasti opportunamente anonimi. V.C. nega tali accuse ed ha dichiarato che partecipare al Newroz non costituisce un crimine. L’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) ha invitato tutti i bambini curdi a protestare e boicottare la festa dello Stato turco a causa delle violenze ed abusi a cui quotidianamente sono sottoposti. "Essere bambini in Kurdistan vuol dire vivere  costantemente sotto la minaccia dei proiettili, delle bombe e dei panzers, essere sottoposti ad abusi in carcere, lavorare nei campi di cotone per un tozzo di pane, essere abbandonati in orfanotrofio, essere discriminati, testimoni delle torture subite dai genitori, rimanere affamati, senzatetto e privati del futuro. Siamo testimoni della vita dei bambini curdi. Si tratta di una realtà che non può e non deve essere nascosta in alcun modo”.
L’Associazione per i diritti umani di Diyarbakir (IHD) dichiara nel rapporto annuale sulla condizione dell’infanzia in Turchia che hanno perso la vita, dal 2002 al 2011, (da quando l’AKP è al potere) 171 bambini. Si tratta di morti causate dal conflitto armato ed ambientale. Il rapporto inoltre ricorda che nell’ultima strage di Roboski, avvenuta lo scorso 28 febbraio, per opera delle forze armate turche (TSK), la maggior parte delle 34 vittime erano bambini. Nel solo anno 2011, 33 bambini sono caduti vittime del conflitto regionale, mentre da 24 anni, ossia dall’inizio del conflitto nel 1988, ne sono stati uccisi 552. La Turchia quindi ha molte facce e rappresenta molto bene l’ipocrisia della “democrazia” d’oggi: da una parte motore della crescita regionale e promotrice dei diritti umani in casa altrui, dall’altra è un esempio di ferocia repressione nei confronti della questione curda e di prepotenza che si esprime nella gestione dei bacini transfrontalieri, Tigri ed Eufrate.


Il consigliere comunale di Sirnak, Halit Gakan ci parla del fratello in carcere e della madre uccisa da un candelotto lacrimogeno sparato dalla polizia mentre stava entrando all’ospedale per una visita medica. Il suo pensiero va al leader Ocalan. Sono otto mesi che non può incontrare nessuno, né l’avvocato, né la sua famiglia.  Nessuno sa quindi quali sono le sue condizioni. Nelle carceri ci sono prigionieri rinchiusi da 20anni solo per aver festeggiato il Newroz.
Lui stesso ha fatto 10 anni di carcere senza aver fatto nulla. Ci sono 6000 prigionieri del KCK (unione delle organizzazioni della società civile curda) quali consiglieri, sindaci, ecc. che non hanno commesso reati di sangue. In ogni famiglia a Sirnak c’è qualcuno che è o è stato in prigione.
La richiesta di Halit è quella di far conoscere nelle nostre città la situazione del popolo curdo in Turchia e di sostenere in Europa le loro organizzazioni. Punta il dito contro il capitalismo, colpevole di distruggere tutti i valori. “Noi non siamo terroristi, noi amiamo la pace, i popoli hanno ragione e vinceranno”. In Turchia è in atto un nuovo processo, vogliono cambiare la costituzione, lo Stato Turco opprime 40milioni di persone. Gakan prosegue il suo racconto descrivendo alcuni episodi per rendere più chiaro il clima repressivo che si vive in particolare in questa zona. Negli ultimi 3 – 4 mesi sono stati uccisi 40 guerriglieri con armi chimiche. Un consigliere di Sirnak è stato arrestato con l’accusa di entrare e uscire molte volte dal Municipio! La stessa cosa è successa a degli operai impegnati in lavori all’interno del Comune.  Nell’ultima settimana, 194 persone (donne, uomini, bambini, funzionari, operai, insegnanti, ecc.) sono state interrogate dalla polizia solo perché si sono recate al Comune di Sirnak. La municipalità di questa città, ogni 5-6 mesi, invita i suoi cittadini a parlare, a discutere ed a decidere delle loro necessità. Per questo motivo si riuniscono nella sala messa a loro disposizione all’interno del comune, ma i poliziotti li accusano di tenere delle riunioni del KCK. Si tratta quindi di una politica d’intimidazione per allontanare il popolo dal partito BDP, ma il popolo non ha paura e l’ha dimostrato al Newroz di ieri a Diyarbakir. Un milione di persone è sceso in piazza per rivendicare i loro diritti nonostante i lacrimogeni e i cannoni d’acqua della polizia.
Nel centro di Sirnak sono state arrestate 200 persone, altre 160 nei villaggi vicini e 300 sono scappate all’estero, in Europa o in montagna. Il suo partito BDP ha organizzato un congresso a Cizre e tutti i suoi membri sono stati arrestati, sono stati sostituiti da nuove persone, arrestate subito a loro volta ed ora c’è un terzo gruppo dirigente e la lotta quindi continua.
Il vice sindaco conclude dicendo che la lotta per ottenere una autonomia di lingua, cultura, tradizione, religione non è chiesta solo per loro, ma per tutti i popoli che si trovano sottomessi da altri. “Come popolo abbiamo pagato molto, ma siamo pronti a pagare ancora di più. Per ogni persona arrestata, dieci persone sono pronte a prendere il suo posto. Noi abbiamo avuto 20mila martiri, ma il movimento continua. Solo nell’ultimo anno in Turchia, ci sono stati 10mila arresti, ma noi continuiamo con la stessa determinazione”.


1° Parte    2° Parte 

 

 

 


Martedì 20 marzo arriviamo ad Uludere, piccolo comune della provincia di Sirnak nella regione dell’Anatolia Sud orientale. Incontriamo l’attuale Sindaco, Fehmi Yaman e il Presidente del partito BDP, Yunus Urek.
Yaman sostituisce il precedente Sindaco la Signora Sukran Sincar, costretta a fuggire in Europa per essere stata condannata ad una pena di 10 anni per aver difeso i diritti delle donne e degli uomini d’Uludere. Anche la madre di Sukran è stata condannata a 10anni e costretta quindi a scappare all’estero.
Per prima cosa si è parlato del progetto di canalizzazione dell’acqua che l’associazione “Verso la Mesopotamia” sta portando avanti con la Provincia autonoma di Trento. Il progetto è iniziato con la costruzione della strada, del basamento e con l’acquisto dei materiali necessari. Ora però è tutto fermo a causa della stagione invernale, il terreno è troppo duro per poterlo lavorare. I lavori riprenderanno ad aprile-maggio, prevedendo la loro conclusione per la fine di luglio. Oggi, l’acqua arriva nelle case per due ore il giorno, al termine di questo progetto (40mila euro), i cittadini di Uludere potranno avere l’acqua per 24ore.
Yaman conferma che negli ultimi due anni l’oppressione politica e psicologica è fortemente aumentata come negli anni ottanta. L’AKP, il partito del premier Erdogan, nella recente campagna elettorale per ottenere voti aveva fatto tante promesse alla popolazione curda. Alcune decine di migliaia di persone hanno creduto ad Erdogan, regalandogli così i loro voti, ma vinte le elezioni, le promesse sono svanite e la repressione invece intensificata. I prigionieri politici detenuti nelle carceri turche, attraverso l’azione militare contro la guerriglia e quella politica-giudiziaria contro la popolazione civile, sono ad oggi 8000, tra intellettuali, dirigenti del partito BDP, sindaci, amministratori comunali e cittadini.
Il nostro incontro con il sindaco di Uludere termina con l’osservazione del problema drammatico dell’alto numero di suicidi tra i militari curdi nell’esercito turco. I giovani curdi sono costretti a prestare servizio militare nell’esercito turco. Negli ultimi anni non sono più mandati nella Turchia occidentale, ma sono inviati in quell’orientale, nel Kurdistan, dove sono impiegati contro i propri connazionali sia nelle operazioni antiguerriglia e sia nel mantenimento dell’ordine pubblico. La popolazione curda ha il sospetto che non si tratti di veri suicidi ma che in realtà queste morti sono uccisioni volute.
Bianet, agenzia per un’informazione indipendente in Turchia, riporta ai primi di maggio scorso la notizia di un’interrogazione parlamentare dell’On. Veli Agbaba del CHP (partito popolare repubblicano) al Ministro della Difesa Ismet Yilmaz, in merito al chiarimento sulla morte del soldato Eren Ozel e del numero dei soldati morti durante il servizio di leva. 
Il Ministro Yılmaz ha dichiarato che: "1470 persone sono morte nel corso di operazioni militari tra 2002-2012". La lista conteneva anche la causa della morte: "Incidenti con armi, gli incidenti con veicoli militari, “sentendosi inadatto al servizio militare”, infortuni sul lavoro e suicidio”. L’On. Ağbaba ha chiesto "Qual è il numero di soldati che si sono tolti la vita negli ultimi 10 anni?" e la risposta di Yılmaz è stata "934". "Il soldato semplice Eren Özel stava facendo il servizio militare obbligatorio a Kahramanmaraş ed è deceduto l'otto settembre 2011. Per prima cosa è stato affermato che aveva commesso un suicidio, ma il suicidio si è rivelato un omicidio commesso da un commilitone di Eren".


L’ultima notizia d’ordinaria repressione: da oggi, 20marzo la gendarmeria ha bloccato le strade per impedire la celebrazione del Newroz prevista per domani 21 marzo.

 

 

Lasciamo Uludere e proseguiamo verso Roboski. Percorriamo quasi una mulattiera in mezzo ad alte montagne innevate, mentre nelle vallate si possono già ravvisare i colori della primavera. Attraversiamo piccoli villaggi con casupole di terra cotta al sole. Intorno a noi mucche, asini, capre e tanti bambini sorridenti.

 

 

 

 

 

Siamo qui a Roboski non per incontrare autorità, per sentire i racconti della violenza dell’esercito turco. Siamo qui per vedere questa violenza, per stringere a noi i familiari di tutte quelle 34 vittime civili cadute sotto un bombardamento turco.
Il 28 dicembre scorso un drone Predator dell’esercito turco ha colpito 34 persone scambiate per militanti dell’autonomista Pkk, mentre attraversavano il confine tra Iraq e Turchia. 34 i morti di quello che il governo turco ha definito un “incidente operativo”. E’ l’ennesimo tragico episodio di un sanguinoso conflitto che da ottobre si sta facendo di giorno in giorno più duro. Le vittime, tutti giovani ragazzi erano contrabbandieri. La realtà di un villaggio di montagna come tanti altri, dove non ci sono altre alternative occupazionali, dove il contrabbando risulta essere l’unico sistema per sopravvivere.
Una lunga fila di uomini, di donne, di bambini, nell’attesa del nostro arrivo, si allunga fino all’ingresso del cimitero. E’ un momento di forte commozione. Il silenzio è sceso sulla valle. Passiamo uno ad uno davanti a tutte quelle persone, madri, padri, sorelle, fidanzati, zii che tengono in mano la fotografia del proprio congiunto assassinato in quella notte. Commossi stringiamo mani, abbracciamo corpi rigidi nella loro disperazione e asciughiamo lacrime su quei visi tristi ma ancora determinati a chiedere una giustizia per tutte quelle 34 vittime.

 

Al cimitero, tra le tombe con tanti fiori di plastica, incontriamo uno dei due superstiti del massacro che racconta i momenti di quella notte: “Gli aerei turchi ci hanno sparato bombe chimiche. I corpi sparsi in molti pezzi sulla neve erano anneriti, come carbonizzati. Erano insieme agli arti mutilati degli asini che trasportavano la merce, tutto era irriconoscibile. La bomba mi ha scaraventato lontano. A salvarmi è stata la kefia che mi copriva il volto immerso nella neve fresca”.

 

La sorella di un martire ci legge la lettera scritta per suo fratello ucciso sotto le bombe

                       

 

 

 

Il giorno dopo la strage di Roboski, Hüseyin Çelik parlamentare di Van e vice presidente del Partito della giustizia e dello sviluppo – al governo - ha dichiarato che non si può parlare di un atto premeditato. “I primi dati in nostro possesso indicano che si è trattato di un incidente operativo. Se c’è stato un errore, la verità non sarà occultata”, ha assicurato. I familiari delle vittime sostengono invece che le autorità sapevano che nella zona bombardata si trovavano civili. Secondo Ferhat Üncü, uno dei portavoce dei familiari, prima di attraversare il confine erano stati avvertiti sia i militari e sia la polizia. Üncü ha annunciato, inoltre, che rinuncerà, con gli altri familiari delle vittime, al risarcimento di 150mila lire turche (circa 65mila euro) offerto dal premier Erdoğan dopo la strage: “Non ci interessano i soldi, vogliamo sapere chi sono i responsabili della morte dei nostri familiari e che siano puniti, poi,  si può parlare d’indennizzi”.
Il
BDP, partito che rappresenta la parte curda della Turchia, ha denunciato il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan, il ministro degli Interni Idris Şahin Naim, il suo collega alla Giustizia Sadullah Ergin, il capo di Stato maggiore generale Necdet Özel, il sottosegretario del MIT Hakan Fidan, il comandante delle forze di terra Hayri Kıvrıkoğlu, il comandante dell’aviazione militare Mehmet Erten e le autorità addette al controllo dell’UAV, in quanto "persone direttamente coinvolte" nel bombardamento aereo del villaggio di Roboski.

(v.blog http://azadiya.blogspot.it/2012/02/il-massacro-di-roboski-ha-avuto-inizio.html)
Fonti: Atlasweb – Osservatorio Iraq – Uiki Onlus

20/06/2012

Continua…


INCONTRI CON UNA REALTA’ IGNORATA:
IL POPOLO KURDO
(IV parte)

 

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