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Medio Oriente » Incontri con una realtà ignorata (IV parte)  

INCONTRI CON UNA REALTA’ IGNORATA
IL POPOLO KURDO
(III° Parte)


INCONTRI CON UNA REALTA’ IGNORATA
IL POPOLO KURDO

di Mirca Garuti
(IV parte)

 

Lasciato con il cuore colmo di tristezza e rabbia il villaggio di Roboski, il nostro viaggio prosegue verso Hakkari per partecipare al Newroz (vedi 2°parte “NEWROZ PIROZ BE). 
Dopo il Newroz di Hakkari ripartiamo per Yuksekova. Arriviamo di sera e troviamo una città deserta immersa nel buio. Per le strade transitano solo camionette della polizia. Usciamo più tardi dall’albergo per fare un giro in questa città militarizzata. Fa molto freddo, le strade sono ghiacciate, non incontriamo nessuno a parte una macchina della polizia che punta i fari verso di noi per un controllo.

Il motivo di questo coprifuoco è sempre lo stesso: il rifiuto della Prefettura di concedere l’autorizzazione a celebrare il Newroz il 20 marzo. La giustificazione: la data della festa deve essere sempre solo quella del 21 marzo ed il luogo è stabilito dalle autorità turche. Il popolo curdo di Yuksekova non accetta quest’imposizione e scende ugualmente nella piazza decisa dal suo partito BDP il giorno 20 marzo. Il Newroz di quest’anno è stato dedicato al loro leader Ocalan; chiedono la cessazione del suo isolamento e la ripresa di un dialogo per la risoluzione del conflitto. La polizia ha usato misure molto violente per impedire alla gente di raggiungere il luogo prestabilito: gas lacrimogeni, getti d’acqua e proiettili veri. Gli scontri sono continuati tutto il giorno. Il giorno successivo sono rimasti chiusi tutti i negozi ed ogni attività si è fermata. La serrata è stata una dimostrazione di protesta contro il comportamento della polizia che ha provocato alcuni feriti tra la gente ed i poliziotti stessi, ma anche contro l’attacco al Deputato Vice Presidente del partito BDP, Ahmet Turc, ferito a Batman dai poliziotti. L’opinione pubblica turca non ha protestato, anzi il Ministro degli Interni ha elogiato i poliziotti per il buon lavoro svolto.

Il Sindaco Ercan Bova ci conferma che, negli anni scorsi, il Newroz è sempre stato festeggiato tra il 15 e il 25 marzo. La politica del governo è quella di impedire l’unità del popolo curdo. Il premier Erdogan, prima delle elezioni, aveva riconosciuto ad Akkari l’esistenza del problema curdo ed aveva affermato che doveva essere risolto, che avrebbe costruito infrastrutture e che turchi e curdi erano fratelli. Dopo aver vinto le elezioni, Erdogan ha in realtà negato tutte queste promesse ed affermazioni. La situazione è molto difficile. L’estrema ostilità nei confronti del Newroz si esprime non per negare una semplice festa, ma per paura di quello che rappresenta: un simbolo, una speranza d’unità contro la continua repressione. Il popolo curdo, attraverso il Newroz, manifesta il desiderio di poter esprimere liberamente la propria lingua e cultura. Il governo turco invece dimostra solo di essere un governo reazionario, ha paura di tutti quelli che non sono veri turchi distruggendo, per esempio, ad Istanbul baraccopoli, associazioni e locali di ritrovo. Tutto questo però non fermerà il popolo curdo che continuerà la lotta per ottenere i suoi diritti. Yuksekova, continua il sindaco, come prova della discriminazione che subisce ogni giorno, non essendo un comune appartenente al partito di governo, ha ricevuto la cifra di 55lire turche (circa 25,00 euro) per pulire le strade dalla neve durante i mesi invernali. Bitlis, invece, che è una municipalità amministrata dal partito di governo, ha incassato, sempre per pulire le strade dalla neve, 7milioni di lire turche. Il bilancio del comune di Yuksekova è molto ridotto, possono fare solo piccole cose e non esistono infrastrutture. Le spese complessive necessarie risultano essere pari a 150milioni di lire, ma le casse sono praticamente vuote e non arrivano soldi perché il comune di Yuksekova appartiene al partito BDP, mentre il governo centrale a quello dell’AKP
Il sindaco Bova termina l’illustrazione della situazione del suo comune dandoci gli ultimi dati della composizione della giunta: 5 consiglieri arrestati e 5 ricercati perché sono fuggiti.   Ora sono rimasti in 15. L’accusa è quella di appartenere all’organizzazione del KCK. Sono state fatte intercettazioni telefoniche, attribuendo a parole semplici con un significato innocuo un contenuto del tutto diverso trasformato in attività illegali. 


L’ex sindaca di Yuksekova, Ruken Yetiskin si trova nuovamente in carcere.

 


Dopo l’incontro con il Sindaco, andiamo presso la sede di Meya Der, Associazione dei martiri di Yuksekova, per consegnare le borse di studio ad alcune ragazze. L’Associazione Onlus “Verso il Kurdistan” ha avviato il progetto “Berfin” (Bucaneve) rivolto solo alle ragazze in quanto vivono situazioni più disagiate e difficili rispetto ai loro coetanei maschi. La donna è sempre considerata solo utile alla famiglia per i lavori domestici e per procreare, non ha bisogno quindi di studiare o intraprendere professioni particolari. Le borse di studio per Yuksekova sono dieci, mentre quelle per Van dodici.


Yuksekova è la città con più alto numero di martiri (700), così dice il Presidente del partito BDP, mentre le famiglie che fanno parte dell’associazione sono poco più di 400 e questo perché molte famiglie hanno più martiri. Lo scopo è quello di sostenere, unire ed aiutare le famiglie più bisognose, spiegando perché i loro figli sono diventati martiri e perché questa lotta che dura da 35anni è importante per il futuro. 

  

A quest’incontro sono presenti anche quattro ragazze destinatarie delle borse di studio. Tre ragazze frequentano la seconda classe del liceo ed il loro sogno è diventare architetto ed avvocato. L’ultima invece è la più piccola, frequenta la 6°classe delle elementari e vuole fare l’insegnante. Tutte hanno o il padre, zii, o sorelle morti in montagna. Alle scuole elementari, medie e superiori hanno normalmente insegnanti curdi (non possono, però parlare la lingua curda), i problemi discriminatori iniziano all’università. Nel momento in cui però ci sono insegnanti turchi cominciano a sorgere alcuni problemi e quando il governo decide di erogare un po’ di soldi alle famiglie più povere s’informa prima di tutto se in quei nuclei familiari ci sono martiri.

 


  

  


Siamo quasi arrivati al termine del nostro viaggio. Ci lasciamo alle spalle la città martire di Yuksekova e raggiungiamo la città di Van tra alte montagne innevate a quota 2200metri, sulle sponde dell’omonimo lago. Attraversiamo velocemente la città che porta ancora i segni del violento terremoto del 23 ottobre scorso, per incontrare la Vice Sindaca, sig.ra Bahar Orhan. La nostra visita purtroppo sarà molto breve: verificare la situazione odierna e consegnare le 12 borse di studio alle ragazze.
Il 22 marzo scorso non avevo ancora vissuto sulla mia pelle la “sensazione” del terremoto che avevo invece provato il 29 maggio a casa mia. Il coinvolgimento è diverso. Parlare di cose vissute o viste avvicina di più le persone. Sentire prima il boato che accompagna il terremoto, poi quasi in contemporanea, un forte movimento sussultorio od ondulatorio che non finisce mai, è veramente qualcosa di sconvolgente. La paura ti avvolge, ti senti completamente inerme, impotente, non puoi difenderti da niente e da nessuno e speri solo di avere fortuna e di salvarti. E’ questa sensazione di paura che ti rimane dentro e che non puoi dimenticare.     Il terremoto di Van non è certo paragonabile con quello avvenuto un mese fa in Emilia Romagna, ma avendo provato la stessa situazione, la posso ampliare ad un massimo livello per entrare così nell’animo di quelle persone, tenendo però anche in considerazione la situazione politica e geografica in cui vivono. In Turchia si registrano in media 20mila scosse l’anno. Il 66% del suo territorio si trova in aree sismiche di primo e di secondo grado. Il 70% della popolazione abita in queste zone dove sono anche situati il 75% dei maggiori stabilimenti industriali del paese. L’ultima regolamentazione sulle norme antisismiche è del 1998, ma purtroppo normalmente non rispettata. Il partito AKP da quando è arrivato al potere nel 2002, come del resto anche i suoi predecessori, ha continuato a chiudere un occhio sulla costruzione d’abitazioni abusive sui terreni statali. Erdogan ha affermato, dopo la devastazione causata da questo terremoto, che saranno abbattute “tutte le abitazioni abusive” del paese anche “a costo di perdere voti alle elezioni”. Il Vice Preside della facoltà d’ingegneria edile dell’Università tecnica d’Istanbul, Alper Ilki spiega che esistono diversi livelli d’abusivismo edilizio: quelli che non hanno il rogito, che comprendono il 70% dei palazzi d’Istanbul e che, quindi, non hanno un certificato d’abitabilità; quelli che non hanno il permesso per costruire e sono privi di un progetto, quindi completamente abusivo con un rischio più alto di cedimento.  Per Ilki non c’è dubbio che “in tutta la Turchia ci siano edifici fragili come a Van. E’ sicuro che il verificarsi di un altro sisma di questo tipo, in qualsiasi località, il risultato sarebbe simile”. Il terremoto di Van ha dimostrato che non solo le case fuori regola dei privati sono a rischio di crollo, ma anche le strutture statali. A Van sono rimasti in piedi solo due edifici pubblici: la prefettura ed il centro di gestione di crisi. Tutti gli altri hanno ceduto. Il Presidente del Consiglio d’amministrazione della Camera degli ingegneri edili, Serdar Harp afferma che le strutture statali sono esenti da un controllo esterno e gli ingegneri che approvano l’applicazione del progetto non hanno nemmeno l’obbligo di far parte dell’Ordine degli ingegneri edili che ha una funzione di vigilare sulla categoria. Dopo il sisma di Van, sono stati presentati vari rapporti nei quali la ragione principale dei cedimenti sembra dovuta all’utilizzo del materiale scadente: dalla sabbia non lavata adeguatamente, alla quantità di cemento armato, all’insufficienza delle staffe nei pilastri ed al mancato controllo finale da parte degli ingegneri responsabili del progetto.      

  


L’aspetto di Van è quello di una città in costruzione: tende, lavori in corso e strade completamente distrutte. In questo completo disastro c’è però una nota curiosa: il simbolo nazionale, il “Turco Van”, ossia il gatto di Van. In mezzo ad una piazza, infatti, notiamo un’imponente statua alta 4 metri che lo raffigura. Van è la patria d’origine di una particolare razza di gatti abilissimi nuotatori. Il Turco Van è un gatto di stazza grande: il maschio può arrivare a pesare 8 o 9 kg e la struttura del corpo è lunga e robusta. La pelliccia è priva di sottopelo, setosa e soffice. La caratteristica principale è la colorazione che prevede un mantello bianco calce, con coda colorata e macchie di colore sulla testa. Ha occhi grandi e ovali, molto espressivi ed il loro colore può essere azzurro, ambra chiara o impari (uno azzurro e un’ambra chiara), mentre la palpebra deve sempre essere rosa. Il simbolo nazionale però è a rischio d’estinzione in quanto solo a Van sono rimasti gli unici esemplari ufficialmente riconosciuti al mondo. L’allevamento del Turco Van, che si trova in un edificio a due piani affiancato da due gabbie con tettoia, non ha subito danni per i due terremoti del 23 ottobre e 10 novembre scorsi. Fetih Gulyuz, direttore del Centro di ricerca sul gatto di Van dell'Università del Centenario, ateneo che si trova nella città affacciata sull'omonimo e azzurrissimo lago nell'est della Turchia, quattro ore dopo il primo terremoto ha riferito che: "I gatti si comportavano come il solito, normalmente” ed ha aggiunto che non sono mai stati abbandonati. La Turchia è così orgogliosa di questo gatto che pure Ankara ha scelto i suoi occhi bicolori per un recente logo turistico.

La vice sindaca Bahar Orhan ci riceve in un prefabbricato che funziona come Municipio, dal momento che la sede non esiste più. Il nostro interesse è capire, come la città di Van, vive dopo il terremoto dello scorso anno. Molte famiglie sono state mandate nelle città vicine, a Sirnak, Diyarbakir, Batman, ma dopo la ricostruzione, vogliono che ritornino nelle loro case. Dopo il terremoto, la città di Van è stata divisa in cinque parti dove sono state allestite delle tende di coordinamento per le donne, i bambini, i volontari provenienti da altre città ed un presidio sanitario. La terra però continua a tremare, infatti anche il giorno prima del nostro arrivo c’è stata una scossa di magnitudo 4.2 Richter. Sono arrivati aiuti da tutte le città della Turchia, ed è stato anche avviato un centro di terapia psicologica per traumi subiti dal terremoto. La gente però ha paura di tornare alle proprie abitazioni, anche se sono agibili ed ad un solo piano.  Reazione del tutto normale in situazioni come questa. Un momento simile lo stiamo vivendo anche noi ora qui in Italia nella Regione dell’Emilia Romagna a mesi di distanza dal terremoto, anche perché le scosse, anche se di bassa entità, continuano e la paura spesso non è controllabile. Oltre alle tende sono stati installati anche 35 container, ma il governo ha dato la priorità al loro uso prima di tutto ai poliziotti, ai militari e per ultimo alla gente comune. La vice sindaca ci fa presente che il budget del comune è in estrema difficoltà, ha pochissime risorse e non riesce a far fronte alle necessità della sua gente, come per esempio, costruire un luogo da adibire ad una lavanderia collettiva, nonostante abbia ricevuto i macchinari, ma manca un posto dove collocarli e metterli in funzione. Il governo centrale, infatti, come regola, invia gli aiuti alla Prefettura non al Comune interessato e, quando deve effettuare dei versamenti ai Comuni, si trattiene il 40% come acconto sui debiti che ogni municipalità ha nei confronti del Governo. Van, vista la situazione d’emergenza, ha provato a chiedere la sospensione di questa prassi, ma purtroppo la risposta è stata negativa. Per quanto riguarda, per esempio, l’uso dei container, spetta alla municipalità farsi carico dei vari allacciamenti per i necessari servizi.  La popolazione non è in grado di pagare l’acqua o la luce, e di conseguenza, il Comune non può pagare quest’erogazione ed ha provato a chiedere alla Prefettura un rinvio del pagamento, fino alla fine dell’emergenza. La risposta è stata negativa. I quartieri dove sono stati collocati i container, sono stati militarizzati dalle forze di sicurezza: nessuna organizzazione, o Ong o la stampa può entrare e parlare liberamente con la gente. Per entrare ed uscire serve un’autorizzazione. La Vice sindaca ha inoltre chiesto alla Prefettura di poter ricostruire le strade rese impraticabili dal terremoto e dal gelo, ma anche questa volta la risposta è stata un No. A Van molti palazzi non esistono più: non c’è il Municipio, non c’è la stazione dei vigili del fuoco, non c’è l’azienda dei trasporti e delle 76 scuole esistenti, 35 sono andate distrutte. I corsi scolastici continuano all’interno dei container. La municipalità è in grado d’intervenire solo sulle emergenze. Per quanto riguarda le strutture ospedaliere, ne funziona una sola, è stata negata l’autorizzazione d’impiantare un ospedale da campo proposta da una delegazione iraniana, preferendo il trasferimento dei feriti in strutture in diverse città turche. La gente colpita dal terremoto stanca ed arrabbiata per la mancanza d’aiuti ha organizzato anche una manifestazione di protesta davanti alla prefettura ma la polizia ha reagito con lacrimogeni e violenza. Il governo ha praticato una terribile censura sulla distruzione della regione di Van e riesce a bloccare tutti gli aiuti provenienti dall’estero. La Prefettura sostiene che qui rappresenta il governo e quindi,  ha il diritto di prelevare tutti i soldi inviati per poi decidere cosa farne. L’alternativa resta dunque solo quella di consegnare gli aiuti direttamente nelle mani della popolazione colpita. La nostra associazione è riuscita a portare a Van, oltre ad aiuti materiali, anche una somma in denaro che potrà servire alla costruzione di un forno collettivo, evitando così alle donne di doversi recare nei loro vecchi quartieri per fare il pane ed alla struttura necessaria per la lavanderia. 

 

 


Al termine di questa visita incontriamo anche due bambine dell’associazione dei detenuti politici di Van, Tuyad Der e consegniamo al Presidente dell’associazione il corrispettivo delle 12 borse di studio. La breve visita è finita.    Ritorniamo a Diyarbakir.

 

 


Racconto della delegazione italiana in visita nella città di Van dopo il terremoto: 

http://azadiya.blogspot.it/2011/12/2-report-delegazione-italiana-in.html

 
Racconto di Giacomo Cuscunà da Van:  http://www.canedariporto.it/Cane_da_Riporto/SVE/Voci/2012/5/18_LAquila_turca__Van.html

Siamo ritornati a Diyarbakir per l’ultimo giorno. Una breve visita alla città e gli ultimi due incontri. Il primo, con i componenti di Tuhad Fed, Federazione delle associazioni impegnate nella difesa e nell’assistenza dei detenuti politici e delle loro famiglie. L’associazione Onlus “Verso il Kurdistan” dal 1999 ha attivato il progetto “Oltre le sbarre” che permette il sostegno a trenta famiglie che, dopo l’arresto del capofamiglia o dei figli, si trovano in condizioni economiche particolarmente difficili.


All’appuntamento sono presenti una dirigente di Tuhad Fed, Latice Makas ed un uomo, ex detenuto politico, che ha raccontato la sua storia. Questa persona, per motivi di sicurezza, ha chiesto di rimanere anonimo. Oggi ha 49 anni e ne ha trascorsi 30 in carcere. E’ stato incarcerato, per la prima volta, con l’accusa di appartenere ad un’organizzazione “terroristica” a 17 anni, per un periodo di 15 anni. Dopo solo due anni è stato nuovamente condannato con le stesse motivazioni ad altri 15 anni. Il suo compito oggi è quello di far sapere al mondo la verità sulle carceri turche. Dopo il colpo di stato del 12 settembre 1980, la tortura divenne prassi quotidiana in tutte le carceri del paese. Nella “prigione 5” di Diyarbakir c’era una tortura molto pesante ed in quel periodo quattro detenuti famosi curdi si diedero fuoco per protestare contro le inumane condizioni carcerarie. Raccontare, parlare delle torture vissute è molto difficile, spesso si preferisce restare in silenzio, è troppo grande il dolore provato, sembra impossibile essere sopravissuti in quell’inferno. (Forum della Mesopotamia)


Lo Stato turco, come membro della Nato e fedele alleato degli Stati Uniti d’America, nella guerra al terrorismo doveva adeguarsi a Stato moderno democratico, anche nell’organizzazione delle carceri, introducendo, per esempio, l’isolamento. L’esempio lo poteva trovare osservando il sistema carcerario americano e spagnolo, non ignorando neppure la vecchia ma sempre moderna e praticata tortura, ottenendo così anche il rispetto del governo americano che regalò ad Ankara armi ed elicotteri di propria fabbricazione. Nel 1996 fu introdotta la prima cella di tipo “F”. Quest’innovazione aveva l’obiettivo d’isolare i prigionieri politici da quelli comuni, cosa impensabile con il vecchio sistema dato, l’altissimo numero di prigionieri nelle celle comuni. I detenuti, contrari a questo nuovo ordine, protestarono con uno sciopero della fame che coinvolse 69 persone. Morirono in 12, ma riuscirono a far chiudere il carcere appena sorto. Le rivolte furono numerose e tutte violentemente represse dai secondini, dalle forze di sicurezza rapida, dalle squadre anti-sommossa, con armi da fuoco e liquidi infiammabili. I casi più eclatanti furono le ribellioni del ’95– ’96 e ’99 che causarono la vita a molti detenuti ed il ferimento di centinaia di altri prigionieri che furono torturati, stuprati, mutilati, resi irriconoscibili. Per le lotte contro un carcere fuori d’ogni regola, lo strumento utilizzato dai detenuti in Turchia è lo sciopero della fame.


Il Signor X continua il racconto molto sofferto della sua vita, sente la necessità di farci partecipe di tutte le brutalità subite con la speranza che tutta questa violenza possa un giorno terminare. In queste carceri – afferma – lo scopo è arrivare all’isolamento totale della persona fino al suo completo annullamento. Oggi in Turchia ci sono 12 carceri speciali (il carcere di Van è stato evacuato a causa del terremoto). I prigionieri vivono in totale isolamento, senza nessuna possibilità di comunicazione neppure tra loro e sono quindi esposti a tutte le più distruttive pratiche esistenti di tortura. I detenuti quando arrivano qua, per prima cosa sono obbligati a spogliarsi completamente, nonostante abbiano già superato capillari controlli. Il mettere a nudo i prigionieri, era la tattica usata dai nazisti nei campi di concentramento. Rappresenta il modo più diretto per far sentire il detenuto che, da quel momento in poi, non sarà più considerato un essere umano, ma solo una “cosa” senza nessun diritto e nessuna dignità.  I detenuti spesso oppongono resistenza, rifiutano di spogliarsi, incuranti della reazione violenta dei poliziotti che, per prima cosa, li picchiano furiosamente con i bastoni, poi li mettono in totale isolamento in una cella singola per tre settimane. In queste carceri non possono esserci né minorenni né donne, ma in realtà i minorenni ci sono perché l’età è stabilita dai giudici e non risulta dalla carta d’identità. In Turchia esiste un ergastolo normale, che significa una pena fino a 36anni, e quello grave che va fino alla morte. Le donne sono maltrattate e violentate spesso durante i trasferimenti nelle carceri o negli ospedali e sono più di mille.
La politica di tipo F è una politica di totale spersonalizzazione. Il detenuto è obbligato a presentare per qualsiasi richiesta una domanda scritta che sarà soddisfatta solo se ha rispettato scrupolosamente tutti gli ordini della direzione carceraria. In carcere sono previste attività sociali, ma i detenuti politici hanno paura perché è sufficiente cantare una canzone ritenuta popolare per ricevere una punizione che può essere il divieto di comunicare con i propri familiari anche per tre mesi. I detenuti politici sono spesso costretti a chiedere ai loro familiari di interrompere le loro visite per non dover sempre subire molteplici ed umilianti perquisizioni da parte delle guardie. La vita d’inverno nelle carceri speciali è molto dura, non c’è riscaldamento e manca l’acqua calda. I medici sono scelti tra i militari che hanno prestato servizio in Kurdistan, sono molto giovani con poca esperienza e, per qualsiasi problema dispensano ai detenuti psicofarmaci. Il signor X, per esempio, in carcere ha avuto problemi di cuore, ma è stato mandato in cura dallo psicologo. La cosa positiva è quella che, in una situazione simile, si è creata una rete importante di solidarietà tra i detenuti politici e quelli comuni. X continua a ripetere che è molto difficile raccontare in modo capillare la vita d’ogni giorno vissuta in carcere perché troppe sono le cose che succedono. Le autorità turche, attraverso questi sistemi, vogliono principalmente separare i detenuti dalla famiglia e, per questo, prima di tutto sono inviati in un carcere che risiede in un’altra zona rispetto alla propria residenza. In questo modo per la famiglia diventa molto difficile e costoso poter continuare le visite ai propri detenuti.
Secondo i dati del Ministero di Giustizia nel 2011 sono morti in carcere per mancanza di cure 364 prigionieri e negli ultimi 10anni sono morti 1752 persone. Oggi ci sono più di 100 detenuti malati di cancro ed altre malattie gravi. Nel 1992 il totale dei detenuti tra politici e comuni era di 52.000, oggi di 126.000, di cui 12.000 politici e tra questi 6.400 appartenenti all’organizzazione del KCK. Gli aderenti al KCK non sono guerriglieri, ma sono sindaci, consiglieri, insegnanti, deputati, professionisti, semplici cittadini, tutti della società civile. Alcuni studenti per aver fatto uno striscione con la richiesta d’istruzione gratuita sono stati condannati a due anni di carcere con l’accusa di terrorismo e di separatismo. (IHD)

  

La nostra conversazione continua esaminando anche l’aspetto legato alla situazione dei 95 giornalisti che si trovano in carcere. La Turchia, in fatto d’arresti della carta stampata, riesce a superare anche la Cina. Le autorità turche, secondo una recente dichiarazione del Ministro degli Interni, in 60anni hanno vietato più di 22.600 libri. Secondo il rapporto dell’IHD, 11.994 persone, nel 2010, hanno subito un processo per “propaganda d’organizzazioni terroristiche” e 6.504 siti Internet, nel 2011, sono stati bloccati peggiorando notevolmente la situazione della libertà d’espressione. Secondo l’agenzia Bianet, sono stati confiscati sette quotidiani per 11 volte, vietati o confiscati tre libri, nove manifesti e due banner, ed un libro è stato oggetto d’indagine. Inoltre, le Autorità hanno ammonito 33 canali televisivi 41 volte e 3 volte una radio. La polizia, sempre secondo l’IHD, nel corso del 2011, ha fatto irruzione in ben sedici sedi dei mass media in Turchia. La Piattaforma per la Libertà dei Giornalisti ha rilasciato il 26 giugno scorso una dichiarazione scritta per annunciare una marcia per chiedere la libertà per più dei 100 esponenti dei media incarcerati in Turchia. La marcia ha avuto luogo il 29 giugno ultimo scorso. La Turchia si è quindi trasformata nella più grande prigione per giornalisti, così come per esponenti dei sindacati, avvocati, rappresentanti eletti, studenti, donne e bambini. Il silenzio dei governi occidentali ha certamente aiutato quest’operazione.

Lettera di un giornalista arrestato: http://kurdistanturco.wordpress.com/2012/06/17/lettera-da-un-giornalista-arrestato/

Parlare d’ingiustizia in Turchia si è rivelato un lavoro immenso, poche pagine scritte sono certamente insufficienti, ma sono abbastanza da far capire, a chi ritiene la Turchia un paese democratico, a chi la vorrebbe in Europa ed a chi la crede difensore dei Diritti del popolo palestinese o meglio, come dice Erdogan, di tutti i popoli oppressi, il vero volto di questo paese, osservando cosa sta facendo al popolo curdo ed ai difensori dei Diritti Umani curdi. La Turchia è un paese pericoloso anche per i lavoratori, nonostante la situazione economica vantata dal governo ed osannata dall’Occidente, perché si continua a morire per lavorare: 238 morti dall’inizio del 2012, e in nove anni, quasi 10.300. Secondo l’Ufficio Internazionale del Lavoro, ogni anno muoiono 2,2milioni di lavoratori in tutto il mondo, per infortuni sul lavoro o per malattie professionali, quasi 5000 persone il giorno. La Turchia si trova al primo posto nella lista tra i paesi europei ed è classificata terza al mondo.  Il 9 marzo, undici lavoratori sono morti in un incendio che ha distrutto la tenda che utilizzavano per trascorrere la notte, presso la sede di un importante centro commerciale di Esenyurt, ad Istanbul. Il 27 aprile, il deputato del BDP Ertugrul Kurkcu, ha chiesto la creazione di una commissione parlamentare d'inchiesta per determinare le cause della recrudescenza di tali incidenti: "Bassi salari, tempi di lavoro estenuanti che si spingono fino a 14 ore, la mancanza di sicurezza sociale, l’assenza di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si abbattono su più di 10 milioni di persone", ha detto l’Onorevole....I settori più colpiti sono l'edilizia, l’energia, l’industria metallurgica e il settore dei servizi……Il dipartimento non sta facendo il suo dovere, evitando di proteggere la vita dei lavoratori, al contrario, sta cercando di indebolire e sciogliere i sindacati. La vita di un uomo non può ridursi a numeri o statistiche, nulla è più importante della vita umana”.  Attualmente, quaranta sindacalisti sono “ospiti” nelle prigioni turche. Il Ministro della Giustizia, Ergin ha pubblicato questi dati: al 31 dicembre 2000 sono stati registrati 49.512 detenuti nelle carceri turche, nell’aprile 2012 il numero è salito a 132.060 (95.652 detenuti e 36.408 detenute). A questo punto, la famosa frase di Voltaire “ Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri perché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione” è la risposta più semplice alla domanda: la Turchia è un paese democratico e libero?

  

L’ultimo argomento che affrontiamo con il signor X è lo sciopero della fame in corso, all’interno e all’esterno delle carceri in Turchia e, come solidarietà, a Strasburgo. Lo sciopero della fame in carcere in Turchia è uno strumento ricorrente e molto utilizzato per avanzare legittime richieste, anche se non ottiene quasi mai dei risultati positivi. X conferma che ormai siamo arrivati al 123esimo giorno. Questa è la risposta alla totale indifferenza del governo turco nei confronti degli scioperi della fame a tempo determinato, avvenuti tra il 1° dicembre 2011 ed il 15 febbraio 2012 da circa 8.000 prigionieri politici curdi.  Il movimento di protesta si è poi rafforzato, trasformandosi in uno sciopero della fame ad oltranza.  Dal 15 febbraio, anniversario della cospirazione internazionale che ha portato alla cattura di Abdullah Ocalan, più di 400 prigionieri politici – continua X – hanno aderito allo sciopero.  Fuori delle mura delle prigioni, dal 20 febbraio in poi circa 20 parlamentari del BDP si sono uniti ai prigionieri, così come anche numerosi sindacalisti, sindaci, membri della società civile e familiari dei detenuti. Centinaia di persone in tutto il paese,  in particolare ad Hakkari, Diyarbakir,  Batman,  Istanbul,  Van e Sirnak,  hanno deciso di aderire allo sciopero. Decine di curdi provenienti da tutta Europa sono in sciopero della fame ad oltranza dal 1° marzo a Strasburgo per chiedere il rilascio di Abdullah Öcalan e la fine delle strategie d’annientamento che il governo dell'AKP sta attuando ai danni della popolazione curda. Gli 8000 militanti del PKK hanno annunciato che non abbandoneranno lo sciopero se il Governo non risponderà positivamente alle loro richieste. Il Governo turco ed Abdullah Ocalan sono gli attori principali e gli elementi chiave per una soluzione politica della questione curda in Turchia. Nel corso degli ultimi anni, ci sono state delle fasi di negoziazione, ma dal luglio 2011 lo stato turco ha ripreso una politica di totale isolamento nell'isola prigione d’Imrali, in cui è rinchiuso dal 1999 Ocalan ed altri 5 detenuti.  A seguito di tali provvedimenti, tutte le visite ad Ocalan, incluse quelle dei suoi avvocati, sono state negate. Le possibilità di comunicazione verso l’esterno sono estremamente limitate. I suoi avvocati difensori sono sistematicamente sottoposti a processi penali. Fino a questo momento, le Autorità Turche hanno scelto di affrontare la questione Curda, tramite l’uso della violenza e dell’annientamento, rifiutando il dialogo e la negoziazione. Negli ultimi mesi  le operazioni militari transfrontaliere hanno provocato la morte di ben 41 civili e l’Esercito Turco ha utilizzato armi chimiche (in violazione della Convenzione di Parigi), contro le forze della guerriglia Curda.  Le potenze occidentali, che non esitano ad intervenire in Medio Oriente in nome dei diritti umani e della democrazia, improvvisamente diventano cieche, sorde e mute quando si tratta curdi. E lo stesso vale per le Organizzazioni Internazionali. La diversità con la quale i governi europei hanno reagito di fronte alla notizia dell’inizio dello sciopero della fame il 20 aprile dell’ex primo ministro ucraino Yulia Tymoshenko, è un esempio concreto del detto “due pesi e due misure”.
Il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle ha minacciato di bloccare la ratifica dell'accordo d’associazione UE / Ucraina, il governo austriaco, in un'intervista del 3 maggio, ha deciso di boicottare le partite del campionato europeo di calcio 2012 che si terrà in Ucraina. Per la Tymoshenko si sono tutti mobilitati, dai governi alla stampa e mass media, per i 15 curdi a Strasburbo, che hanno portato avanti lo sciopero per 52 giorni, per i 2000 prigionieri politici curdi che hanno partecipato allo sciopero lanciato dai 400 detenuti dentro le carceri turche e per i 1200 prigionieri palestinesi che hanno iniziato uno sciopero della fame illimitato il 17 aprile per ottenere diritti fondamentali, niente, nessuna reazione, silenzio totale.
L’Onorevole Selma Irma, deputata del BDP, che ha iniziato uno sciopero della fame ad oltranza in carcere, ha spiegato la sua tragica e coraggiosa decisione con queste parole: "per coloro che hanno menti e cuori aperti le sbarre della prigione o la limitazione nello spazio non significano niente. D’altra parte, coloro che si pongono al servizio della libertà e della democrazia, prima o poi finiscono sempre in prigione. La questione curda è giunta ad un punto in cui solo un processo democratico basato sul dialogo e sulla negoziazione può portare alla pace. Siamo consapevoli che questo sarà un processo lungo e delicato. Da trent’anni a questa parte il nostro popolo sta chiedendo una soluzione democratica. Rispondere a tale domanda è insieme facile e difficile. Ogni processo di pace ha bisogno dei suoi attori e la persona che ha assunto il ruolo di leader del nostro popolo è l’onorevole signor Öcalan. In quanto rappresentanti eletti dal nostro popolo, siamo pronti a svolgere il nostro ruolo in questo processo, mettendo le nostre vite a servizio della causa. Sono preoccupata quanto voi per l’interruzione del processo di pace e dei negoziati con il signor Öcalan. Sono allarmata al pensiero che il genocidio politico contro i curdi messo in atto tramite gli arresti di massa, le esecuzioni, i massacri e le pressioni psicologiche, causerà attriti che porteranno a nuovi scontri fra i nostri due popoli”.
L’Europa ha inoltre dichiarato che le carceri di tipo F sono compatibili con il sistema carcerario europeo.
La presidente di Tuhad ha poi ricordato che gli avvocati dell’associazione sono in carcere e che tre loro dirigenti sono stati messi in libertà da tre giorni, ma il loro processo è ancora in corso. Ci presenta anche una donna che ha 7 familiari in carcere, di cui 5 hanno subito una condanna a 36 anni ciascuno.
Al termine dell’incontro, la delegazione italiana consegna al Presidente di Tuhad–Der, (associazione dei familiari dei detenuti politici) Latice Makas il denaro corrispondente a 30 affidi a distanza, mentre ad un responsabile di Sthay Der di Siirt (associazione dei detenuti politici e dei martiri) il corrispondente di 14 affidi. Adottare a distanza significa dare un aiuto concreto alle vittime della repressione.

 

  


L’ultimo incontro è con le “Madri per la Pace”, associazione di donne curde che organizzano conferenze stampa, sit-in, manifestazioni per diffondere il loro ideale: mettere fine a questa guerra. Un fazzoletto bianco posto sulla testa rappresenta il simbolo del loro lutto per un morto avuto in famiglia a causa del conflitto in essere. Nel 1996 nasceva l’associazione “Madri di Piazza Galatasaray” le parenti dei "kayiplar" (desaparecidos): ogni sabato mattina si raccoglievano in questa piazza ad Istanbul per chiedere chiarezza sulla sorte delle migliaia di detenuti politici e di militari uccisi negli scontri. Dopo l’arresto di Ocalan nel 1999, decidono d’impegnarsi in prima persona. Nasce così nel 1999, da un gruppo di donne curde e turche che avevano perso i loro figli d’ambo le parti in guerra, l’associazione legalmente costituita in Turchia, chiamata “Iniziativa delle Madri della Pace”, erede dell’esperienza di Piazza Galatasaray.  Un movimento in linea, inserito anche nell’ambito della proposta di pace avanzata e praticata, unilateralmente dal movimento kurdo negli ultimi due anni. Le "Madri della Pace" hanno una sede centrale ad Istanbul e sedi locali nelle città turche di Adana e Izmir e nelle città kurde di Diyarbakir e Van e stampano una rivista con una notevole attività pubblicistica. La base del loro movimento è il rifiuto della violenza e della rassegnazione, impegnandosi quotidianamente per la pace, la democrazia e i diritti umani. In ogni città le “madri” hanno acquisito un vasto protagonismo anche con forme autonome d’organizzazione in seno al partito democratico filokurdo DEHAP ed il loro punto di riferimento è l’associazione per i diritti umani IHD. Sostenere quindi queste donne tramite l’associazione IHD, mediante l’affidamento a distanza, significa dare un aiuto concreto alle vittime di questa repressione. La delegazione al termine di quest’incontro consegna il denaro corrispondente a 12 affidi con la speranza che per il prossimo anno questo numero sia aumentato.
 

Parliamo con due donne, la prima Raife Ozbey ci riferisce che sua figlia si trova in montagna tra i guerriglieri, ha 35 anni ed è laureata. Per nove anni ha lavorato in una fabbrica di tabacco ed è stata in carcere due anni. Quando è arrivata la sentenza della sua condanna a molti anni, ha scelto la montagna. La sua famiglia viveva a Mus, avevano casa e giardini ma l’esercito turco bruciò tutto e per questo furono costretti a scappare a Silvan. I tormenti non erano finiti: i figli erano umiliati a scuola, spesso l’esercito faceva incursioni e portavano in caserma o i figli o il marito e sparavano contro la casa. Altro trasferimento quindi a Adana, dove sono rimasti per due anni, ma anche qui la situazione non cambiava. Un’altra figlia che frequentava un corso da infermiera, subì un’aggressione con il tentativo d’impedirle di continuare gli studi e fu medicata con 25 punti di sutura in testa.  Altro trasferimento a Antalya dove rimasero per 4 anni, ma sempre nella stessa situazione d’oppressione. Il marito ed il figlio spesso erano arrestati e, per questo motivo si stabilirono infine a Diyarbakir. In questa guerra Raife ha perso 7 familiari.

  
 
La seconda donna, Adalet Yasayul è un ospite dell’associazione, è stata in carcere molti anni fa ed ha subito torture per 45 giorni. Ora suo figlio e sua figlia si trovano in montagna. La sua famiglia è stata esiliata prima ad Istanbul e poi a Mersin. Si trova ora qui a Diyarbakir, scappata con il marito dal villaggio in cui viveva per i soprusi da parte dei “guardiani”, ma anche perché si deve sottoporre ad una terapia fisica riabilitativa e psicologica per i postumi lasciati dalle torture subite. Le torture, infatti, le hanno causato lo strappo dei muscoli delle spalle e delle ginocchia e le hanno lasciato traumi psichici per l’atroce esperienza vissuta. Continua il racconto la figlia. Dopo il colpo di stato del ‘80, la famiglia di Adalet è stata minacciata e ha dovuto lasciare la sua casa. “Nel 1992 e 1993 – racconta la figlia – i poliziotti hanno assaltato la nostra casa, i miei fratelli erano piccoli, 4/5 anni, hanno arrestato mia madre e l’hanno torturata per 45 giorni continuativi.  All’inizio è stata sottoposta ad una tortura psicologia facendole credere di aver ucciso un suo bambino, ma poi sono passati alle torture fisiche: è stata ripetutamente e selvaggiamente picchiata ed infine stuprata con un bastone. Era una maschera di sangue. Si è salvata per le cure delle sue compagne di cella”.

In quel periodo la famiglia era dispersa. Alla sua liberazione si trasferirono ad Istanbul dove, oltre ad affrontare i traumi della violenza subita, dovevano anche far fronte alla miseria e alienazione della vita in una grande città, alla quale non erano abituati essendo solo dei contadini. Sono rimasti ad Istanbul 10 anni. Anche qui le arrestarono due figli perché curdi. Non sentendosi sicuri sono tornati al loro villaggio, ma la loro casa non c’era più, era distrutta. Erano rimasti soli e per questo soffrivano molto. La figlia lavora qui con le “Madri della Pace” e, per questo, Adalet ed il marito si trovano a Diyarbakir.

Qui finisce il nostro viaggio. E’ stata un’esperienza molto forte, toccante che certamente non potrà esaurirsi perché anche noi, al fianco del popolo Curdo, continueremo a denunciare, a lottare, a sperare per una soluzione pacifica di quest’eterno conflitto.

Per dovere di cronaca, il 9 marzo scorso le Madri della Pace, provenienti dalle province d’Istanbul, Diyarbakır, Smirne, Batman, Siirt e Yüksekova / Hakkari, si sono recate nel villaggio di Roboski, dove il 28 dicembre 2011, l’aviazione Turca ha ucciso 34 innocenti. La prima tappa della delegazione è stata dedicata ad una visita presso le tombe delle 34 vittime, su cui hanno deposto simbolicamente dei garofani. La portavoce della delegazione d’IzmirBehiye Yalcin, ha duramente criticato la recente visita della moglie del Primo Ministro al villaggio. Yalcin a tal proposito ha fatto la seguente dichiarazione: “La Signora Emine Erdogan, in occasione della visita alle madri delle 34 vittime, avrebbe dovuto fornire l’elenco dei colpevoli di tale massacro. Oggi ci troviamo nel villaggio dove lo Stato ha ucciso 34 innocenti tramite l’uso d’armi chimiche. Noi, condanniamo questa strage e crediamo che tutte le madri curde dovrebbero unire le forze allo scopo di porre fine a questo spargimento di sangue. Non ci daremo pace finché non cesseranno queste esecuzioni”. La portavoce delle Madri della Pace di Diyarbakır, Havva Kiran, ha dato sfogo alla sua frustrazione in merito al silenzio omertoso adottato dall’opinione pubblica internazionale sui fatti accaduti a Roboski: "Chiediamo la democrazia per il mondo intero, non solo per i curdi. Tuttavia, a tali richieste, lo Stato ha risposto con il massacro dei nostri figli. Mi chiedo come avrebbe reagito il Primo Ministro se i corpi dei suoi figli fossero stati ridotti a brandelli dalle armi chimiche, senza la possibilità di distinguere le parti dei corpi dei figli da quelle degli asini. Non abbiamo cresciuto i nostri figli per vederli uccisi. Se le autorità intendono collocare i loro militari e le stazioni di polizia nei nostri villaggi,  dovrebbero almeno contribuire ad un processo di pace ma se questo non avverrà, dovranno lasciare il nostro territorio ". La Signora Kiran ha sottolineato che è arrivato il momento di dire basta: "Se non sarà garantita una soluzione pacifica entro la primavera, il fuoco annienterà tutto”.

I soldati turchi hanno attaccato il 28 giugno scorso la “Veglia di Giustizia per Roboski”. Il motto del raduno e della veglia affermava: “Non abbiamo dimenticato Roboski e non lasceremo che avvenga”. I soldati, come risposta, hanno usato getti d´acqua a pressione per disperdere la folla che stava raggiungendo la marcia. Alla marcia, guidata dal Congresso della Società Democratica (DTK), hanno aderito i rappresentanti di numerosi partiti politici e organizzazioni non-governative.

I dimostranti, che chiedono giustizia a fronte dell´assenza di qualsiasi processo giudiziario contro gli autori della strage, sono stati sottoposti a pressioni da parte delle forze di sicurezza del regime AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo). La marcia, partita dal villaggio, si è conclusa nell’area della tragedia dove 34 civili, inclusi 19 minorenni, sono morti a causa del bombardamento d’aerei da guerra turchi il 28 dicembre 2011.

30/06/2012
Fonti: ANF News Agence, IHD, Firat news, Secondo Protocollo, Nuce Tv, ActuKurde, Sguardo sul Medioriente,Azadiya.blog                               

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