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Medio Oriente » DEIRYASSIN - 9 aprile 1948  

DEIR YASSIN - 9 aprile 1948


Era una calda giornata d’inizio estate. Qui, in questo periodo dell’anno, i cespugli che circondano le ringhiere delle case emanano il candido profumo del gelsomino, che si espande ovunque.
Tornavo a casa da scuola, e andavo a trovare il mio nonnino. Anche i cespugli di casa sua profumavano. Nonno ha l’abitudine di lasciare la porta di casa aperta, cosi sono entrato e ho salutato. Salutai ancora, ma nessuno rispose. Cosi corsi in salotto, e vidi il nonno molto pensieroso che guardava dalla finestra. Avvicinandomi, notai che stava piangendo. Non avevo mai visto mio nonno piangere in vita mia. Preso dal panico, lo abbracciai e gli chiesi cosa fosse successo. Iniziò cosi a raccontarmi la storia più terribile che io abbia mai sentito. Era la storia di una città, completamente spazzata e cancellata dalla cartina geografica:


“Figliolo, oggi è il 9 aprile. 65 anni fa, qui esisteva una città bellissima, di nome Deir Yassin. E’ la stessa di adesso, non è cambiata, e io lo sento, perché il profumo del gelsomino in primavera non cambia mai. Era il 1948 e avevo 12 anni. Avevo un fratello più grande di me di qualche anno e una sorellina appena nata. Mio fratello era il mio esempio, la mia guida, la mia forza. Giocavamo sempre insieme, m’insegnava tante cose e non permetteva a nessuno di farmi del male. Di solito era lui che andava a comprare il pane alla mamma, ma quel giorno era ammalato. Mia mamma si fidava di me perché sapeva che avevo sempre seguito Mohammed quando andava a far la spesa, quindi, mi diede i soldi e mi chiese di andarci. Mi aveva detto di non fare tardi, e, figliuolo mio, non t’immagini quelle parole quanto mi rimasero in testa. Ero contentissimo: finalmente avevo io il compito di andare a prendere il pane. Mi sentivo un uomo, di più, un eroe. Camminavo per strada abbastanza veloce per tornare presto. Ero distratto e assolto felicemente tra i miei pensieri, quando improvvisamente una donna si affacciò alla finestra, e mi disse: SCAPPA!  Pensai: “scappare? Come scappare?” La donna scomparve dietro le tende e non riuscii ad avere risposta. Proseguii, andai dal panettiere. Quando mi vide mi riconobbe subito. Mi consegnò il pane, non mi fece pagare, e anche lui mi disse di scappare, prendere mia mamma e mia sorella e fuggire. Iniziai a preoccuparmi, che cosa stava succedendo? Mi disse – ma ero troppo giovine per comprendere – “Stanno arrivando loro, i sionisti. Salvati, figlio mio.”
La prima cosa a cui pensai fu la mia famiglia. Decisi di correre per avvertirli della notizia, per far in tempo ad andarcene, per far qualcosa. A metà strada fui costretto a fermarmi, perché avevo davanti una scena terribile, troppo terribile per un ragazzino della mia età, ma penso per chiunque: cadaveri ovunque, figliuolo. Uomini e bambini fucilati ovunque. Anche amici miei e di Mohammed. Le strade erano piene di sangue e di case praticamente distrutte. Ci avevo messo forse mezz’ora ad andare dal panettiere, non riuscivo a credere che in cosi poco tempo tutte queste persone, tutti questi amici, tutti questi visi che conosco e che vedevo tutti i giorni erano per terra. Scoppiai a piangere, disperato, soprattutto soffermandomi sul volto di Samir, un mio amico. Poi, ricordai la promessa fatta a mamma: dovevo fare veloce, non dovevo tardare. E dovevo salvare la vita alla mia famiglia. Cosi ripresi a correre, quando, in lontananza sentii urla, urla ovunque. Mi nascosi dietro ad un cassone dell’immondizia spaventato. Improvvisamente vidi davanti a me una donna incinta, forse al settimo o all’ottavo mese, che correva urlando, ed un uomo che la inseguiva. Era un uomo delle gang israeliane. La raggiunse, la buttò a terra, lei lo supplicava di non farle del male, perché era una madre di famiglia ed era incinta del quarto bambino, e finalmente era una femmina, non poteva farle del male!!! Ma lui rise, rise di gusto figliuolo, io non capivo davvero cosa ci fosse di divertente. La spogliò, non oso raccontarti cosa le fece, posso solo dirti che dopo qualche minuto ho visto la donna perdere un sacco di sangue, e poi alzarsi sfinita e distrutta, in lacrime, lacrime addolorate, consapevole che si era appena spenta la vita nel suo grembo. Cercò di coprirsi il più possibile con gli abiti strappati, e con sguardo pieno di rancore, guardò l’uomo che si stava allontanando e lo insultò. L’uomo, avendo compreso che le parole offensive fossero rivolte a lui, si girò, prese il fucile, e con due colpi pose fine alla sua vita.

Non puoi immaginare, per 60 anni mi sono portato dietro la colpa di non essere intervenuto, di non aver fatto nulla per quella povera donna.

Dopo che il soldato se ne andò, uscii dal mio nascondiglio e corsi a casa, senza più fermarmi, sperando che le gang non fossero già arrivate. Appena giunto, trovai una folla vicino a casa. Erano mia mamma con in braccio la piccolina, mio fratello fuori con la febbre, e i vicini. Ovviamente non erano soli, c’erano loro, i sionisti. Mio fratello tentò di farmi di nascosto un cenno per indicarmi di andarmene via, ma un uomo lo notò, cosi mi vide e mi fece segno di avvicinarmi. Obbedii. Avevo paura, e mi sentivo male perché non avevo fatto veloce come mamma aveva detto. Se mi fossi dato una mossa con il pane, sicuramente non sarebbero arrivati prima loro. I sionisti presero un uomo anziano, che abitava accanto a noi. Lo fecero girare di spalle, e dopo un’attesa estenuante di 2 minuti, di ansia e speranze, di suppliche e preghiere, gli spararono. Le tre figlie urlarono e cercarono di soccorrerlo non appena cadde, cosi spararono anche ad una di loro, quella con la voce più alta. Dopo di che… Dopo di che presero mio fratello Mohammed. Mi guardò dritto negli occhi, cercava di trasmettermi sicurezza, cercava di farmi star tranquillo, sembrava volesse dirmi che dopo di lui il mondo sarebbe andato avanti lo stesso, e che da quel momento avrei dovuto prendermi cura io della famiglia. Tutto ciò in due o tre secondi, dopo di che gli spararono. Gli spararono davanti a noi. Mia mamma, che aveva in braccio mia sorella, lanciò un urlo di dolore e scoppiò in lacrime, si accasciò accanto a lui, e spararono pure lei. Ero orfano, con una bambina. Non avevo mantenuto la promessa fatta a mamma, e nemmeno quella fatta negli ultimi istanti di vita di mio fratello. I sionisti spararono anche a me, ma fui più fortunato e sopravvissi.

Nell’aria, quel giorno, c’era il profumo del gelsomino in giro, proprio come oggi, ma finì con il mescolarsi all’odore della morte e del sangue.”

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