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Medio Oriente » GFM diario 2° parte  
CRONACA GAZA FREEDOM MARCH
Di Mirca Garuti


Continua dalla 1° parte

Cairo, 29/12/09 ore 11:00 Ambasciata Italiana

 

 

Siamo, nuovamente, davanti alla nostra ambasciata.
Sonia ed Elisa ci aggiornano sulla situazione in cui si trovano i francesi, praticamente, prigionieri dentro la loro stessa ambasciata: sono rimasti quasi senza acqua, cariche telefoniche e, per andare in bagno, devono mostrare il passaporto.

Ore 11:45 - Riunione del Forum Palestina
Decidiamo di continuare il programma e di proporre, alla riunione delle commissioni, la proposta di un presidio permanente e di una manifestazione al Cairo per il 31 dicembre.

Ore 14:00 - Presidio al Sindacato dei Giornalisti
Prendiamo, come il solito, un taxi per raggiungere il luogo stabilito. Spostarsi in taxi al Cairo è un’avventura: occorre pazienza e capacità d’adattamento. Il Cairo è una città con quasi venticinque milioni di abitanti, caotica e con un altissimo tasso di inquinamento. La prima difficoltà è far capire al taxista dove si vuole andare, sia a causa della lingua sia della conoscenza dei luoghi. I taxi sono, per lo più, vecchie macchine in pessime condizioni. Il traffico è veramente terribile, il suono dei clakson è ininterrotto, non esistono “diritti di precedenza” o “corsie preferenziali”, si va e basta. Ormai ci siamo abituati al caos del Cairo e, il taxi, a questo punto, può diventare un mezzo per conoscere e capire un po’ questo popolo. Facendo sempre percorsi diversi, abbiamo la possibilità di cogliere varie realtà della loro vita quotidiana. Non è difficile, quindi, capire le enormi difficoltà che il popolo egiziano è costretto ad affrontare per poter condurre un’esistenza al limite della sopravvivenza. Una sofferenza resa, ancora più pesante, dalla mancanza di diritti, dovuti alla politica dittatoriale del Presidente Mubarak.

 

  


Arriviamo, finalmente, davanti al sindacato dei giornalisti. Troviamo già tantissima gente, 300/400 persone, sulla scalinata che serve d’ingresso all’edificio, con striscioni, bandiere, cartelli che urlano slogan per la libertà di Gaza, della Palestina e, naturalmente, il solito cordone della polizia in tenuta antisommossa ed in borghese.
Sento sulla pelle una sensazione piacevole, quasi da brivido, percepisco la forza che si sprigiona da quelli che mi circondano, siamo in tanti, finalmente, a chiedere giustizia per questo popolo dimenticato. Comincio a guardarmi attorno, a scattare fotografie, per fermare questi importanti momenti. Colgo alcuni sguardi dei passanti che, di nascosto dalla polizia, cercano di offrirci solidarietà e gratitudine, per quello che stiamo facendo, perché, a loro, è assolutamente preclusa ogni possibilità di manifestare liberamente le proprie idee e posizioni. Non è semplice muoversi liberamente all’esterno del cordone della polizia, ci provo, ma, poi sono sollecitata dai poliziotti in borghese ad entrare nel “recinto”, se voglio manifestare, altrimenti, mi devo allontanare.
Questa è la regola! Rientro nel recinto e mi avvicino a Hedy Epstein, ebrea di 84 anni, sopravissuta all’olocausto, che è in sciopero della fame, come protesta contro il governo egiziano. Ad un certo punto, tra i molteplici slogan e canzoni, si alzano, da noi intonate, con grande emozione, le note di “Bella Ciao”.
Interviene, anche, un esponente egiziano, che ad alta voce, chiede di “non cedere” perché la nostra lotta è importante per abbattere il muro costruito da Mubarak.

   

 


Ore 18:00
Alcuni movimenti d’opposizione egiziani, in particolare “Kefaia”, “sfruttano” la nostra presenza, come scudo di sicurezza, per manifestare contro il loro governo per la visita del Primo Ministro Israeliano Benjamin Netanyahu. Il loro diritto di manifestare è, infatti, molto limitato e, se sono soli, spesso sono dispersi con la violenza ed uso di armi, da parte della polizia.
Purtroppo, siamo sollecitati, con urgenza, dai responsabili del Forum Palestina, a lasciare il presidio per partecipare ad una riunione della massima importanza. Ci troviamo, quasi tutti, all’albergo e, con nostra sorpresa, veniamo a conoscenza dell’ultimatum di CodePink: entro le ore 19.00, dobbiamo dichiarare se siamo d’accordo oppure no, con la proposta, concordata con la moglie di Mubarak.  L’offerta egiziana consiste nella possibilità di inviare una piccola delegazione (100 persone), con carattere unicamente umanitario, per portare gli aiuti a Gaza. Un rappresentante per ogni delegazione di ciascun paese. Si deve, quindi, decidere anche il nome di chi può andare. Rimaniamo, per un attimo, sbalorditi di fronte a quanto ci viene richiesto. Iniziano le discussioni che si fanno sempre più accese e rabbiose. Emergono le prime difficoltà, i contrasti. Perché dobbiamo, per forza, dare subito una risposta alle responsabili di CodePink, prima di discuterne con tutte le altre delegazioni?  CodePink non può imporci una soluzione non discutibile! Ma, è anche vero che, di fronte al netto rifiuto, da parte del governo egiziano, di fare entrare a Gaza tutti i volontari, la piccola delegazione avrebbe, almeno, la possibilità di portare al popolo palestinese i nostri aiuti umanitari.
La tensione aumenta, il tempo corre, i responsabili del Forum Palestina sollecitano una risposta, ma noi vogliamo più chiarezza. Alcuni di noi, quindi, si recano ad un incontro con CodePink e le altre delegazioni, mentre, gli altri continuano la discussione.
Arriva la notizia che Luisa Morgantini sostiene con forza le ragioni dell'accettazione dell’accordo.
Il dibattito mette, quindi, in evidenza la mancanza di un vero approfondimento politico e la frammentazione di tutti gli attivisti.
Riceviamo un comunicato stampa da Gaza del Comitato Direttivo della Gaza Freedom March: “Nonostante la delusione per non riuscire ancora ad incontrarvi tutti a causa di quest’assedio medioevale che ci separa, noi sentiamo che il vostro arrivo al Cairo ha già dato i suoi frutti. La vostra insistenza ad interrompere l’assedio per potervi unire in solidarietà con noi ha ispirato e ha stupito molte persone. Grazie per la vostra presenza al nostro fianco: insieme abbiamo istituito una rete per interrompere l’assedio e liberare la Palestina. Sosterremo ogni decisione che il Comitato Coordinatore della Gaza Freedom March vorrà prendere nei riguardi dell’ingresso a Gaza di soli 100 dei 1400 delegati presenti al Cairo. La decisione di inviare 100 delegati, in ogni caso, sembra dividere la crescente campagna di solidarietà con il popolo Palestinese. L’unità della campagna globale di solidarietà è di fondamentale importanza per noi, i Palestinesi assediati a Gaza. Vogliamo continuare ad intensificare la campagna di solidarietà, non dividerla”.

La discussione termina verso le 02,30 del mattino. I confronti, pur se intensi, accesi, dirompenti, servono alla fine per capire cosa vogliamo fare e dove vogliamo arrivare. La nostra decisione è stata quella di non accettare quella proposta, perché significava cadere nella trappola del governo egiziano. La sua intenzione era, infatti, proprio quella di bloccare ogni nostra azione sul territorio egiziano, di dividerci tra “buoni e sinceri” e “provocatori e hooligans” e di trasformare la Gaza Freedom March unicamente in una missione umanitaria, cancellando, completamente, il suo valore politico.
Al termine di questa intensa serata, è stato realizzato un documento che riporta queste nostre conclusioni, da leggere, la mattina successiva, alla partenza dei due bus per Gaza. (v.documento)

Cairo, 30/12/09 ore 07:00
Flavio si reca al punto di partenza dei pulmann. Un gruppo di attivisti, con cartelli, urlano verso i volontari che sono già saliti sui bus. Sono letti i documenti scritti nella notte precedente nel tentativo di dissuadere quelli che ancora vogliono partire. Piano piano, cominciano, però, a scendere, ed il convoglio, a questo punto, non rappresenta più la Gaza Freedom March.
Arrivano telefonate, da Gaza, di alcuni importanti responsabili del Movimento di Boicottaggio(BDS) di Gaza e del West Bank e del Collettivo della Società Civile Palestinese, per convincere gli attivisti a non partire, per non dividere, così, il Movimento.
Partono, infine, una quarantina di persone, perlopiù statunitensi d’origine palestinese.
Arrivati ad Al-Arish raccolgono un altro gruppo ed entrano, così, a Gaza 80/90 persone.

Ore 15:00 - Ambasciata Francese
E’ confermata la notizia che le delegazioni non sono partite.
E’ confermata la manifestazione di domani, 31 dicembre, al Cairo con il tentativo di bloccare le strade che portano al Museo Egizio.
La situazione all’ambasciata francese è più tranquilla, serena, sono soddisfatti della lotta che hanno portato avanti. Partono il primo dell’anno per continuare la lotta a Parigi davanti all’ambasciata egiziana.

 

 

 



Cairo, 31/12/09 ore 10:00
E’ arrivato il momento più importante: la manifestazione al Cairo, come risposta a quella negata della Striscia di Gaza.
Usciamo dall’albergo a piccoli gruppi, senza nessun segno di riconoscimento e senza nessuna foto camera o macchina fotografica, visibile. L’appuntamento è per le 10,00 sul lato destro della Piazza del Museo egizio. Flavio ed io usciamo da soli. Prendiamo il taxi per raggiungere il museo. Siamo davanti all’ingresso del Museo, ci guardiamo intorno, i poliziotti ci osservano e ci fanno cenno di entrare. Cosa fare?  Per non creare sospetti, accettiamo l’invito, passiamo tutti i primi controlli e, alla fine, un poliziotto ci accompagna (non sappiamo se questa è la prassi per tutti i turisti, oppure, se è una delicatezza solo per noi!) davanti all’ingresso e quasi ci spinge dentro. Entriamo. La visita al museo, non è la nostra meta, dobbiamo trovare un modo, quindi, per uscire in fretta. Flavio si dirige subito al cambio valuta, mentre io mi siedo su un muretto, per aspettarlo. Immediatamente arriva un poliziotto in borghese che vuole sapere chi sono e che cosa faccio. Candidamente rispondo che sono qui per il museo e per cosa se no? Finalmente Flavio ritorna e va alla cassa, ma, torna subito indietro, dicendo, un po’ arrabbiato, come scusante, che il biglietto costava troppo (60 pounds=euro 7,50) e, presa per un braccio, usciamo dal museo! Ci troviamo così fuori e, subito, avvistiamo il resto del gruppo già accerchiato dalla polizia. Cerchiamo di raggiungere i compagni più in fretta possibile, ma la polizia ci blocca, è nervosa, un poliziotto mi prende per un braccio spingendomi verso la ressa, ma riesco a liberarmi. Si avverte tensione, paura, ma, gli slogan contro Mubarak ed Israele non cessano. Ad un certo punto, vista la situazione, siamo costretti ad allontanarci di corsa. Da questo momento fino alle 17 non facciamo altro che andare avanti e indietro; avvicinandoci ai nostri compagni finché la polizia non ci costringe ad andare via, per poi tornare a fare un altro tentativo e così via, fino alla fine dell’occupazione. Riusciamo a sapere che il blocco delle strade è durato circa 6/7 minuti, l’attacco della polizia è stato immediato: spintoni, calci. E’iniziata, subito, la resistenza passiva da parte degli attivisti. Un nutrito numero di polizia in assetto antisommossa circonda, così, i manifestanti spingendoli sempre di più nell’angolo in fondo alla strada.

   

 


Nello stesso istante in cui stiamo occupando una parte della piazza del museo egizio, circa 1000 israeliani e palestinesi dello stato d’Israele stanno manifestando al valico di Eretz, confine israeliano con Gaza. “Siamo insieme, voi al Cairo e noi qui. Finalmente il mondo, grazie a tutti, ha sotto gli occhi, la vergogna dell’assedio di Gaza!” – queste sono le parole di Michel Warschawski, scrittore e direttore dell’Alternative Information Center di Gerusalemme, raggiunto al telefono da Alessandra Mecozzi della Fiom-Cgil.
Arriva la notizia che ci sono dei feriti italiani. Siamo in ansia perché non sappiamo ancora la gravità della situazione. Cerchiamo, nuovamente, di avvicinarci, ma la polizia ci respinge. Non essere insieme ci fa sentire impotenti e rabbiosi. Andiamo a comprare qualcosa da mangiare e da bere per i nostri compagni. L’emergenza è rientrata, i feriti sono stati curati dai medici presenti e, la persona che si è sentita male, è stata portata fuori con l’intervento della nostra ambasciata. Noi ci troviamo proprio di fronte a loro, nell’unico posto dove la polizia, pur sorvegliandoci, ci lascia tranquilli. E’ qui che, ad un certo momento, sono avvicinata da due ragazze arabe che mi chiedono se siamo noi quelli della Gaza Freedom March ed, al mio sì, affermano di essere palestinesi di Gaza, mi abbracciano e mi ringraziano per quello che stiamo facendo. Questo semplice abbraccio è la risposta positiva a questa manifestazione. Finalmente alle 17 l’assedio finisce e sono tutti fuori.

 


Cairo, 01/01/2010 ore 13:00 - Ambasciata Israeliana
L’appuntamento è davanti allo Zoo. Arriviamo, ormai, come al solito a piccoli gruppi. All’ora prestabilita, ci dirigiamo verso il ponte dove si trova l’ambasciata israeliana. Si forma, così, in pochi minuti, una lunga fila di uomini e donne con striscioni, cartelli, bandiere che urlano “Free Gaza”. La polizia speciale, oggi, impiega, ben 15 minuti per arrivare sul luogo del presidio! Evidentemente questa nostra iniziativa, non l’aveva prevista!
Abbiamo così il tempo di farci vedere dal popolo egiziano che, sentendosi libero da occhi vigili, ci saluta, applaude e ringrazia. All’arrivo della polizia, però tutto finisce. Inizia, invece, la corsa dei poliziotti, comandati da alte cariche in borghese, con le transenne per chiuderci entro uno spazio, come il solito, molto ristretto, per poi posizionarsi davanti a ciascuno di noi.  Sempre più vicini.
Tutto è tranquillo: si canta, si gridano slogan e si balla. Manifestano con noi anche la rete “Ebrei contro l’occupazione” e il Rabbino capo della moschea di Manchester. Un gruppo di ebrei americani celebra, in cerchio e bevendo da un calice, il rito del “pane della pace”, sotto gli sguardi un po’ increduli dei poliziotti.
Alle 15:30 lasciamo il presidio.

   

   



Ore 18:30 Piazza Midan et-Tahrir - Assemblea Generale
Incontro di tutte le delegazioni per la conclusione della Gaza Freedom March. Ci sediamo a terra per ascoltare i vari interventi. La polizia, questa sera in forma molto discreta, ci osserva da lontano.
La rappresentante di Codepink, Signora Medea, ringrazia per la massiccia partecipazione e porge alcune scuse per l’accettazione del compromesso con la moglie di Mubarak, che ha provocato notevoli problemi all’interno di ogni delegazione. La nostra rappresentante del Forum Palestina, Mila propone, invece, di lanciare il boicottaggio anche nei confronti del governo egiziano. Sorgono alcuni mormorii. La delegazione sudafricana presenta un documento “la Dichiarazione del Cairo” (v.documento), sottoscritto, poi, da tutti i partecipanti alla Gaza Freedom March, finalizzato ad accelerare la campagna globale per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) contro l’apartheid israeliana. La serata termina con la canzone “Bella Ciao”.

 


Cairo 02/01/2010
Giorno libero per effettuare il trasferimento dell’albergo alle Piramidi (doveva essere il giorno del nostro rientro da Gaza!). Corre voce che, forse, domani riusciremo ad entrare a Gaza!
La speranza continua..  

Cairo 03/01/2010
Partenza ore 09: 00 per raggiungere, sempre in taxi, l’albergo vicino alla nostra ambasciata, dove, dovrebbe arrivare un bus diretto al valico. Appena usciamo dall’albergo,  la polizia si avvicina,
cerca di capire le nostre intenzioni, ci chiede dove siamo diretti, ferma un taxi, parla con l’autista e prende nota del numero della targa. L’autista è visibilmente agitato, cerchiamo così di rassicuralo, poi, finalmente, riusciamo a partire. Ricomincia l’attesa…..  
Alle ore 11,00 riceviamo la conferma che non è possibile partire: il valico è aperto solo per gli internazionali con già l’autorizzazione da parte del governo egiziano.
Non c’è nulla da fare, per noi, l’ingresso a Gaza è vietato!
Nell’attesa di andare, quindi, all’ospedale palestinese del Cairo, per portare gli aiuti che erano diretti a Gaza, andiamo alla “Città dei Morti”
L’immenso cimitero della capitale egiziana è stato occupato da una moltitudine di poveri che hanno trovato, accanto ai morti, un rifugio in cui vivere. Ci lasciamo alle spalle la grande moschea di Al-Azhar, l’affollato bazar di Khanal-Khalili, usciamo, quindi, dalla consueta frenesia e confusione, per entrare in un’altra dimensione, dove regna la calma, il silenzio e lo sguardo si perde tra le viuzze sterrate. Il cimitero, destinato già dal 640d.c. alla sepoltura dei morti, occupa un’aerea di oltre dieci chilometri all’estrema periferia orientale della città, in un luogo nemmeno tanto isolato. Si trovano qui anche alcuni preziosi mausolei e luoghi di preghiera fatti costruire, nei secoli scorsi, dai sultani ed emiri che governarono il Cairo. Le tombe tradizionali, oltre alla stanza per il morto, avevano anche una o più stanze usate dai parenti per poter trascorrere alcuni giorni in “compagnia” dei propri defunti. Una tomba assimilabile ad una casa a corte. La credenza comune è che, dopo il terzo giorno dalla morte, l’anima ritorni al corpo, il settimo, il quindicesimo ed il quarantesimo giorno dopo la morte ed ogni venerdì. Il Cairo è l’unica città mussulmana dove, da più di dieci secoli, le donne si recano il venerdì a pregare nei cimiteri, mentre gli uomini nelle moschee.  La città del Cairo, con i suoi 25 milioni di abitanti, vive, quindi, un grande dramma urbano. Non si tratta qui di bidonville, come nelle grandi metropoli del Sud America o asiatiche, ma, di abitanti nei cimiteri: vivi e morti insieme che ne condividono lo spazio. La mia prima sensazione nell’osservare questo luogo, non è stata quella di trovarmi in un cimitero, ma, in un quartiere sorto spontaneamente alla periferia, fuori da ogni controllo.  L’insediamento nel cimitero è iniziato a partire dall’inizio del secolo scorso, causato da un forte aumento demografico, dal cattivo stato delle vecchie case popolari e dal costo eccessivo degli immobili rispetto al valore, troppo basso, dei salari. Il processo d’insediamento è avvenuto, per alcuni, con l’occupazione delle tombe, per altri con un regolare procedimento d’assegnazione di tombe abbandonate da parte dei gestori (becchini). Vivono nel cimitero oltre 15.000 persone, tra le quali anche impiegati, commercianti e lavoratori giornalieri. La Città dei Morti è, in ogni modo, percepita, dalla restante popolazione cairota, con diffidenza e repulsione. E’ preferibile, quindi, ignorare questa realtà. E’ un quartiere a parte, un mondo a parte, viene rappresentata nelle carte del Cairo in bianco, come se non ci fosse. Il governo naturalmente non riuscendo a gestire questa situazione, considera, il cimitero una zona degradata, ai margini della società cairota.

 

 


Ore 14:00 Ospedale Palestinese
Torniamo all’ospedale per consegnare gli aiuti raccolti in Italia destinati agli abitanti di Gaza: medicine, vestiario e giochi per bambini. Sarà cura dell’ospedale stesso recapitare le medicine, in caso di necessità, all’ospedale di Gaza, mentre il resto del materiale sarà interamente consegnato alla popolazione di Gaza.

 


Cairo 04/01/2010 ore 14:30
E’ arrivato l’ultimo giorno. La speranza è finita. Si torna a casa.
Lasciamo il Cairo super scortati dalla polizia fino all’aeroporto, cantando “Bella Ciao”.

Iniziano i commenti ed i bilanci
Arrivati in Italia, sono iniziati sia dai partecipanti sia dai vari organizzatori, le valutazioni sulla Gaza Freedom March.
La Gaza Freedom March, movimento internazionale di 1400 attivisti provenienti da 43 paesi diversi, voleva essere una marcia per ricordare l’operazione “Piombo Fuso”, crimine sionista al suo primo anniversario e per denunciare la mancanza di ogni diritto alla libertà di vivere normalmente da parte dei cittadini di Gaza e della loro possibilità di entrare ed uscire da Gaza, come da qualsiasi altra frontiera. Il bilancio finale, anche se il nostro obiettivo principale non è stato raggiunto, è stato positivo per gli effetti politici che ha prodotto sia in Italia sia sul territorio egiziano. Le varie manifestazioni svolte al Cairo hanno rivelato il ruolo complice dell’Egitto con l’assedio di Gaza. I mass media italiani sono stati costretti, loro malgrado, a scrivere, a parlare delle iniziative che si stavano facendo al Cairo per rompere l’assedio a Gaza. Abbiamo, dunque, rotto il silenzio intorno alla questione della Palestina.
L’organizzazione della Gaza Freedom March ha però messo, anche, in evidenza gli errori che hanno, poi, portato ad affrontare molte difficoltà, contrasti, differenze emerse nelle varie delegazioni, compresa anche quella italiana. Non è stata considerata l’opportunità di creare un coordinamento internazionale di tutte le delegazioni per permettere un collegamento e la loro presenza diretta a tutte le decisioni. La mancanza di partecipazione è stata sentita molto da tutto il gruppo, resa ancora più complicata dalle varie e diverse sistemazioni logistiche.
E’ stata, a tutti gli effetti, un’iniziativa importante che rimarrà nella storia della lotta per i diritti della Palestina.

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