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Medio Oriente » Israele non è il centro del Medio Oriente  
ISRAELE NON E’ IL CENTRO DEL MEDIO ORIENTE, NE’ DEL MONDO
di Yitzhak Laor *


Fin dal diciottesimo secolo le rivoluzioni hanno rimodellato il mondo e la sua coscienza come un’esperienza universale di sovranità popolare, da Est a Ovest, da Nord a Sud. Ma sullo sfondo della rivoluzione egiziana una sorta di meschinità è apparsa qui in Israele, ad esempio presso gli opinionisti televisivi. Commentatori e presentatori non hanno mai smesso di dare il “voto di condotta”. Siamo stati sfiorati da una gigantesca cometa, ma gli opinionisti di “Channel 2” hanno bofonchiato come farebbe un sopravvissuto a un incidente stradale: “Eh, se solo avessero messo a tacere le proteste fin dall’inizio, la cosa sarebbe andata a finire in modo del tutto diverso”.

Si sono messi a cercare in continuazione qualche simbolo islamico nelle immagini delle folle egiziane, quasi fossero dei funzionari dell’immigrazione alla ricerca dei sintomi del vaiolo. Altri si sono emozionati quando hanno creduto di scoprire segnali che potevano far pensare a “noi”: Facebook, giovani che sanno parlare inglese, e ovviamente, donne in jeans. Le cosce delle donne sono sempre un bel segno di progresso…

Ma colui che si merita il premio della stravaganza è certamente il Dr. Oded Eran, il nostro ex ambasciatore in Giordania. Ha proposto che le elezioni egiziane si organizzino sotto la supervisione europea, per assicurare che gli osservatori chiudano un occhio sugli eventuali brogli da parte del regime durante la conta dei voti.

Per anni e anni, i nostri orientalisti hanno visto un pericolo nel nazionalismo arabo laico. Sia la Destra che la Sinistra hanno setacciato gli intellettuali arabi con un pettine a denti stretti allo scopo di provare che erano “pan-arabisti”. Alla base di questo atteggiamento era, come sempre, la messa in discussione di stampo colonialista del loro diritto all’autodeterminazione misurato secondo i nostri standard.

Oggi, però, adesso che la gente non sciama più nelle piazze del Libano per sostenere l’arabismo libanese, e adesso che proprio nessuno innalza dei peana alla nazione araba per le vie del Cairo, i nostri esaminatori stanno riscrivendo i quesiti del questionario: al posto dei “nazionalisti” ora cercheranno i “religiosi”.

Il vero problema di questo discorso, che vede il mondo tramite il caleidoscopio dei servizi segreti dello Shin Bet, senza inibizioni ma senza curiosità per le peculiarità del mondo egiziano, è che tale atteggiamento contribuisce a sigillare il ghetto nel quale ci stiamo a poco a poco rinchiudendo, un ghetto nel Medio Oriente e nella storia. Dovremmo forse ricordare l’atteggiamento israeliano nei confronti della nazionalizzazione del Canale di Suez, i “marci affari” che abbiamo curato in Egitto nei primi anni Cinquanta, la Campagna del Sinai nel 1956, l’affinità tra tali eventi e la nostra alleanza con lo scià di Persia  e i suoi servizi segreti criminali, e il nesso tra tutte queste cose e l’incoronazione di Bachir Gemayel come presidente libanese sulle lame spezzate delle baionette delle Forze di Difesa israeliane.

Ma lasciamo da parte la dimensione strategica. Il punto è che gli interessi militari hanno sempre allenato l’integrità e l’analisi intellettuale per fornire loro le giustificazioni e lo status di “verità”. L’adozione delle élite oppressive della regione fu compiuta con il supporto del “riciclaggio linguistico”  à la Shimon Peres, e con una serie di gesti conciliatori verso l’Occidente: Saremo per voi un avamposto nel cuore delle tenebre – anche oggi, quando l’Occidente sta voltando le spalle a questo genere di politica. Dopotutto, questo è l’unico e solo significato storico che questi eventi hanno per quanto ci riguarda: gli Stati Uniti non hanno più bisogno delle nostre profferte.

Le nostre idee relative al mondo arabo sono sorde alle sofferenze delle nazioni che ci circondano e al loro odio per i loro leader. Il reddito annuo pro capite medio è in Egitto di 6.200 dollari; quello israeliano è di quasi 30.000. La stabilità nelle relazioni tra due Paesi siffatti potrà esser mantenuta impiegando una enorme e brutale forza di polizia? Questo è l’argomento della discussione che ancora non abbiamo fatto.

La rivoluzione egiziana sta costando sangue. Molto sangue. Nessuna oligarchia toglie il disturbo di sua spontanea volontà, neppure se i suoi sostenitori di Washington hanno deciso di sbarazzarsene. Le iniziative spontanee sono destinate a spegnersi a poco a poco, e se continuerà a mancare un partito rivoluzionario non è per nulla chiaro cosa accadrà. L’opposizione egiziana è stata a lungo repressa e anche lì la sinistra è annegata nei sussidi europei a favore di dozzine di differenti ONG, che alla fine servono più da diligenti e discreti osservatori che a produrre il cambiamento.

Nessuno sa dove andrà a finire la rivoluzione: una repubblica a mo’ dell’Iran? Qualcosa sulla falsariga della situazione politica turca? O magari qualcosa di nuovo, che non abbiamo finora mai visto? In questo momento non c’è bisogno di dare una risposta, ma solo di riflettere e di ricordare che non tutto ruota attorno a noi. E davanti all’eroismo del popolo egiziano dovremmo chinare il capo umilmente.

* Yitzhak Laor è un poeta, giornalista e scrittore israeliano; scrive abitualmente sul quotidiano Haaretz

Original Version: Israel isn’t the center of the Mideast, or of the world
http://www.medarabnews.com/2011/02/09/israele-non-centro-del-medio-oriente/

14/02/2011

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