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Visti per Voi » Holy Motors  
HOLY MOTORS
di Enrico Gatti


Regia: Léos Carax
Francia, Germania, 2012
Voto: 8 ½


Da un avvio dal sapore decisamente lynchiano prende corpo un film tutto particolare, cupo e irreale, senza una vera continuità narrativa, ma decisamente suggestivo.
Monsieur Oscar, il protagonista, è una specie di attore che interpreta però i suoi personaggi nel mondo reale, e non in teatro. La sua limousine, attrezzata come un camerino, con tanto di specchio per il trucco e bauli coi travestimenti, lo trasporta da un capo all’altro di Parigi nei luoghi dove avverranno gli appuntamenti.
In una realtà fatta di incontri inconsistenti, in cui il vero e la finzione giocano ad armi pari, Oscar impersona in ciascuna occasione un uomo che non è solamente un uomo, ma un simbolo dell’intera umanità, un’umanità che purtroppo ha fallito, in tutto.
Il ricco banchiere e il mendicante, il carnefice e la sua vittima non sono, secondo Carax, figure in competizione, quanto piuttosto le due facce dello stesso fallimento.
Allo stesso modo, l’ipnotica danza che vediamo nel secondo capitolo sembra unire due opposti, da un lato c’è il desiderio bruciante di passione che spinge i due corpi l’uno verso l’altro, dall’altro c’è l’impossibilità di un vero contatto fisico fra i due, costretti, nelle proprie tute, a vivere una carnalità digitalizzata e totalmente cerebrale. Seguono altre riflessioni, sul rapporto genitore figlio, sull’amore romantico e persino sulla figura femminile, ritratta lanciando una provocazione assoluta: una modella impegnata su un set fotografico, i flash che suonano come l’incalzare di un coito, e poi un bruto, che salverà la bella (da se stessa verrebbe da dire) e la coprirà con un burqa, che in ultima battuta si trasformerà in un velo ‘cristiano’; quasi a dire che la redenzione potrebbe arrivare, ma in un modo del tutto inatteso. Eppure questa è solo una delle possibili interpretazioni.
Carax ci fa guardare con un occhio spaventato e ricco di angoscia, riuscendo ad evocare emozioni e sensazioni nascoste, imprigionate nel profondo della nostra mente. Il messaggio, non sempre così diretto, passa anch’esso attraverso la pura suggestione. L’effetto è sicuramente più straniante, ma la forza del messaggio viene a dir poco amplificata.
Filosofismi a parte, il film ha veramente la potenza di un incubo, arriva all’inconscio grazie ad un linguaggio onirico, comunque non troppo ermetico, ispirato, e desideroso di comunicare alle diverse sensibilità del pubblico. Un film che parte da un uomo solo e si rivolge ad altri uomini, più o meno soli, ma in ogni caso uomini, che vivono tante vite, interpretano tanti ruoli, e rimangono isolati in un mondo che sembra fatto di incomunicabilità.
Il futuro? Il finale del film ci ricorda che non è ancora finita, in fondo siamo animali, e come tali destinati ad una continua evoluzione, e non verso un meglio o un peggio (quale senso potranno mai avere queste parole), l’unica possibilità, l’unica certezza, sarà il cambiamento.



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