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Visti per Voi » Il mondo di Arthur Newman  
IL MONDO DI ARTHUR NEWMAN
Di Enrico Gatti


Regia: Dante Ariola
USA, 2012
Voto: 6 ½


Chi è veramente Arthur Newman? Arthur Newman è vita, amore, tranquillità, Arthur Newman è il lavoro perfetto, la libertà, la casa dei sogni, la donna ideale, Arthur Newman è la fine di un passato.
Wallace Avery è Arthur Newman, o almeno vorrebbe esserlo. Wallace, uomo di mezza età, con un divorzio alle spalle, una relazione senza passione con la rassicurante e bella Anne Heche (nel film Mina Crawley) e un figlio adolescente che lo odia, decide di farla finita una volta per tutte. La sua morte, la sua finta morte, programmata nei minimi dettagli ormai da un anno, potrebbe essere il biglietto di sola andata per una nuova vita. Morendo, Wallace diventerà Arthur, un uomo nuovo (New-Man, appunto).
Ma le cose non sono mai così semplici; il passato non resta a guardare e sempre nuove sorprese compaiono a complicare le cose.
Una di queste sorprese è Mike/Charlotte Fitzgerald, briosa e tormentata ragazza, anche lei in fuga da una situazione famigliare problematica, incontrerà Wallace/Arthur in un motel ed insieme a lui viaggerà verso quella vita perfetta* che entrambi sembrano desiderare.
Per il suo esordio cinematografico, il regista di pubblicità Dante Ariola si assicura due interpreti d’eccezione, nientemeno che Colin Firth ed Emily Blunt.
Il primo è alle prese con un personaggio, che in fondo ha già interpretato, bisognoso solamente della sua delicata e malinconica recitazione per essere famigliare già dalle prime scene.
La Blunt gioca invece con un ruolo più ambiguo; a volte è una ragazza cupa con la felpa larga e le occhiaie molto simile agli adolescenti vansantiani, a volte una ribelle rockettara presa in prestito dalle copertine dei White Zombie che, un attimo dopo, è capace di trasformarsi senza difficoltà in una dea ammiccante e sensuale vestita Intimissimi.
Entrambi gli attori fanno il loro dovere, la sceneggiatura un po’ meno. E’ timida nell’esplorare i conflitti e sorniona nel riproporre cose già viste.
Tuttavia, il film è godibile. Se ne apprezzano il ritmo, lento, e la messa in scena, entrambi in grado di concedere respiro alla recitazione degli attori.  Dove non arriva la sceneggiatura ci sono le atmosfere, le musiche, le lunghe pause e i dettagli degli sguardi ad arricchire il carnet delle emozioni. Ci si potrebbe persino convincere che i protagonisti non siano poi così didascalici.
Il film è un rassicurante scorrere di ovvietà, con attimi di stucchevole lirismo che allietano le fantasie romantiche dello spettatore. Ma estrema è la coerenza. Perciò tutto funziona, e nel contesto nulla è fuori posto. Un esempio di come la misura possa rendere un prodotto mediocre, un buon prodotto.


* Interessante notare come nel film la ‘vita perfetta’a cui anela il protagonista coincida con uno dei più famosi stereotipi americani della bella vita tutta club, golf, belle case e quartieri tanto chic quanto isolati dal mondo reale. Il grande sogno di Wallace si riduce quindi ad una fantasia preconfezionata e non rappresenta invece il frutto di una riflessione interiore rivolta ai propri desideri e obiettivi. Come a dire ‘una vita perfetta vale l’altra, l’importate è lasciarsi tutto il marcio alle spalle’. Il film riesce bene, forse inconsapevolmente, a smontare questa illusione facendo riflettere sulla vacuità di questi modelli ideali(zzati) incapaci di soddisfare i bisogni della vita reale, sempre diversi per persone diverse.




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