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“Dall’Iraq si torna
senz’anima”
Nella Valle di Elah – voto : 8
La Valle
di Elah era un luogo dell’antica Palestina che secondo un passo narrato nella
Bibbia, fu il teatro dello scontro tra Davide e Golia. Le antiche scritture
raccontano di come l’esercito del popolo d’Israele del Re Saul e quello dei
Filistei si appostarono sui monti opposti agli estremi della valle. Ogni giorno
per quaranta giorni, Golia, il più temuto e grandioso combattente tra i
Filistei, scendeva nella valle a cercare chi lo sfidava, ma nessuno si
presentava perché troppo grande era la paura ed il senso d’inferiorità tra gli
ebrei. L’ultimo di quei giorni Golia trovò dinanzi a se Davide, un giovane
ragazzo figlio di un servitore del Re degli israeliti, pronto a riscattare
l’onore della sua gente. Al cospetto del gigante Golia, Davide si presentò senza
armi, impugnando solo una semplice fionda. In palio vi era il destino di un
popolo perché il vincitore avrebbe sancito il dominio di un esercito sull’altro.
Sfidando la paura, il
poco più che bambino Davide uccise Golia con un solo sasso scagliato con la sua
fionda…
Il titolo dell’ultimo lavoro di Paul
Haggis prende spunto da questo brano dell’antico testamento. Il regista di “
Crash, contatto fisico “, vincitore nel 2005 degli oscar per miglior film e
sceneggiatura originale, scatta un’altra dolorosa fotografia dell’america
contemporanea. Se nel film precedente, che segnava il suo debutto alla regia,
l’obbiettivo era il pregiudizio dilagante che lacera la società multirazziale
statunitense, la sua opera seconda punta il dito sulle terribili conseguenze che
il conflitto in Iraq lascia sulla pelle del popolo americano. In una piccola città del Tennesse,
un giorno giunge una telefonata a casa di Hank Deerfield ( Tommy Lee Jones ) e
sua moglie Joan ( Susan Sarandon ). Dalla base militare di appartenenza nel New
Mexico, viene segnalata la scomparsa del loro figlio Mike al rientro dal fronte
iracheno. L’inquietudine si trasforma in poche ore in angoscia e Hank decide di
partire per il New Mexico, dove avvia una problematica ricerca della verità.
L’uomo ha alle spalle una vita spesa nell’esercito, nobilitata dal titolo di
reduce del Vietnam. E’ un patriota dotato di una devozione che rasenta il
maniacale e mostra il grande attaccamento al proprio paese anche nei piccoli
gesti del quotidiano. Il suo carattere forte e risoluto subisce però un colpo
durissimo quando il figlio Mike verrà ritrovato morto di una fine orribile.
Il terribile
rinvenimento sarà solo il primo passo di un lungo cammino di dolore che il padre
e patriota Deerfield dovrà compiere man mano che emergerà la verità
sull’accaduto. Hank andrà verso la scoperta di una realtà inimmaginabile, dove
la tragedia della morte di un figlio, viene quasi sommersa dal contesto in cui
matura. Ad indagare
sull’omicidio sarà Emily Sanders ( Charlize Theron ), sensibile e brava
detective alle prese prima con le barriere discriminanti erette dai colleghi
maschi, poi con l’ostruzione del pianeta esercito, deciso a lavare in famiglia i
panni sporcati al suo interno. Un film bellissimo, una storia di dolore sordo, lancinante, penetrante.
Un’immagine dell’America che convive con le devastanti conseguenze di una guerra
assurda perché indotta e giustificata da una rassegna di strumentali menzogne e
inutile, perché combattuta in modo sbagliato, se mai si può concepirne uno
corretto, senza il rispetto per la cultura di quella popolazione che si
intendeva soccorrere. Un intervento militare criminale, per la leggerezza con
cui si considerano come danni collaterali fisiologici, il massacro ripetuto di
civili, di donne e bambini inermi. Un conflitto che sta annientando una generazione di ragazzi
nel fisico, nella mente e nell’anima e solo ora l’opinione pubblica comincia ad
aprire gli occhi al riguardo. Può non essere casuale che questo accada quando
oramai si profila all’orizzonte una sconfitta elettorale per il fronte
repubblicano alle prossime presidenziali. L’entourage di Bush sarà anche
destinato a pagare un prezzo politicamente salato, ma nulla al confronto del
costo addebitato ai ragazzi spediti in Iraq. Gli orrori quotidiani di cui questi soldati sono
protagonisti e vittime, procurano lacerazioni che li minerà per il resto della
loro vita. Mesi e mesi in una realtà fatta di trappole mortali invisibili, di
convivenza con il pericolo della morte ad ogni angolo di strada, dietro ad ogni
volto, uomo, donna o bambino che sia, generano uno stress che accumulandosi
trasforma questi fragili ragazzi in esseri primitivi. Scompare la ragione e nel
nome della sopravvivenza l’istinto induce a commettere bestialità inumane.
Anche una volta tornati
in patria, queste menti devastate non possono cancellare i tanti orrori, e non
sono isolati gli episodi di violenza che li vedono protagonisti ai danni di
familiari e conoscenti, per non citare i numerosi casi di suicidio. Il sostegno
che ricevono da parte di quel esercito che tanto amorevolmente li ha voluti con
se, si limita ad un impacciato supporto psicologico, sexy pub dove sfogare le
ormonali frustrazioni e la chiusura di entrambi gli occhi dinanzi al dilagare
dell’uso e commercio di ogni tipo di droghe. Haggis si è ispirato ad una vicenda
realmente accaduta: la foto al centro del racconto era una delle tante immagini
che sono state diffuse sul web dai soldati, a volte l’unica via a loro
disposizione per scavalcare il silenzio mediatico imposto dal governo su quanto
accade laggiù. Anche la
realizzazione di questo progetto avviata nel 2003, ha dovuto superare le
notevoli ostruzioni delle influenze governative. Determinante l’intervento
dell’amico “repubblicano” Clint Eastwood presso la Warner Bros , per consentire
al democratico e antimilitarista Haggis di condurre in porto l’intero
lavoro. L’unica critica
che si può muovere al regista, riguarda il legame con il titolo. Se come viene
narrato in una sequenza del film “ La Valle di Elah” è sinonimo di quel luogo
dove occorre scendere per guardare negli occhi le proprie paure e sconfiggerle
per andare avanti, diverse sono le possibili “valli” che emergono dal racconto.
Ve ne è una per Hank, che sarà obbligato a scendere da quel piedistallo di
certezze patriottiche sulle quali a fondato la vita, e affrontare i sensi di
colpa per non aver saputo leggere dietro al grido d’aiuto lanciato dalla propria
famiglia sacrificata nel nome della nazione. Ve ne è un’altra per l’America
tutta, che deve scrollarsi dall’apatia e dalla cecità che l’ha colpita nel
momento in cui ha consegnato il suo destino nelle mani di uomini come Bush, ma
non solo. Occorre scendere giù da quel altare di nazione auto elettasi nel ruolo
di governatrice del pianeta su cui si era saliti dopo la seconda guerra
mondiale, e guardare negli occhi i mostri partoriti lungo il cammino di una
epoca fondata sul potere militare quale strumento primario di politica
estera. L’interpretazione che il regista di origine canadese ha dato, come
rilasciato in un ‘intervista pubblicata sul settimanale della “Repubblica” “Il
Venerdì”, è relativa al crimine commesso dal Governo Americano nel mandare dei
ragazzi a combattere contro un mostruoso gigante, metafora dell’inferno
iracheno. Questi tanti Davide, non solo non hanno speranza di abbattere il loro
Golia, anche perché sprovvisti di quella consapevolezza che il personaggio
biblico possedeva, ma indotti dalle circostanze finiscono per allargare la
spirale dell’orrore e della violenza. La dedica conclusiva “A tutti i bambini”,
è l’omaggio alle tante vittime innocenti rimaste sul terreno della loro
“Valle”. Il cast che
Paul Haggis ha voluto con se, è una rassegna di attori straordinari, tutti con
premi oscar nella vetrina di casa: Tommy Lee Jones come attore non protagonista
nel 1993 per “ Il fuggitivo”, Charlize Theron e Susan Sarandon quali attrici
protagoniste rispettivamente di “Monster” ( 2003 ) e “Dead Man Walking” ( 1995
). Tre artisti in grado di fornire prove perfette. Lee Jones è meraviglioso, il suo
dolore impregnato di fiera dignità traspare da un viso pietrificato, la
metamorfosi che lo stravolge nell’anima è svelata dallo sguardo acquoso dei suoi
occhi di uomo anziano, costretto nell’ultima stagione della vita a fare i conti
con i tanti suoi errori. La sua interpretazione è forse la più importante di una già splendida
carriera. La Theron è
oramai una realtà consolidata del cinema mondiale. La sua stupefacente bellezza
addolcisce e illumina i contorni di un talento assoluto: un’avvenenza tra
l’altro, a cui l’attrice ha spesso rinunciato nei ruoli più importanti. L’agente
Sanders racchiude la rabbia, l’indignazione, il dolore di un intero paese
dinanzi ai frutti di una politica tanto cieca e sconsiderata. In lei s’intravede
il coraggio sospinto dall’onesta dei sentimenti, la forza dettata dal bisogno di
giustizia della gente semplice, che è stanca di soprusi e omertà, che queste
provengano dal maschilismo dei colleghi o dall’abuso di potere dei
militari. Susan Sarandon
è il dolore delle madri. La sequenza che contiene il suo sguardo alla vista del
cadavere del figlio, costituisce una delle scene simbolo e più toccanti
dell’intera pellicola. E’ l’orrore che raggiunge le fondamenta della nostra
società, la famiglia, annichilendola. E’ l’emblema della morte che ha il
sopravvento sulla vita, è il tracollo di un sistema che impone alle madri la
vista dei corpi martoriati dei propri figli. Un ruolo che la Sarandon ha accettato anche se la sua
presenza in scena è per quantità limitata. Una dimostrazione dello spessore
della donna e della attrice che ha compreso l’importanza ed il peso della sua
figura nella trama. L’immagine della bandiera americana rovesciata, con le stelle verso il
basso, simbolo in codice militare di un paese alla rovina che chiede soccorso e
aiuto, diventano l’atto di accusa conclusivo del regista. Il paese è moralmente
allo sfascio, incapace di aver cura dei suoi figli, alla mercè di una classe
politica priva di carisma, corrotta e bugiarda, che esercita la sua forza
manipolatrice attraverso il ridondante ripetersi di slogan falsi e ipocriti,
trasmessi da tutti i media ad ogni ora del giorno. Un quadro che stride incredibilmente
con il significato attribuito alla stessa bandiera nel 1945, nel corso di un
altro grande film di Clint Eastwood a cui Haggis aveva collaborato, “ The flags
of our fathers”. In quella circostanza l’innalzamento a Iwo Jima dell’effige a
stelle e strisce, rappresentava la reazione del coraggio e orgoglio di una
nazione, la sua rabbiosa voglia di riscatto, la testimonianza di un popolo
disposto a morire per una causa che riteneva sinceramente giusta . Sono passati sì 60 anni, ma quel
significato sembra oggi lontano oltre 6 secoli…
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