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Visti per Voi » Philomena  
PHILOMENA
Di Enrico Gatti


Regia: Stephen Frears
Gran Bretagna, USA, Francia, 2013
Voto: 8 ½


Per la sua ventiquattresima regia, il britannico Stephen Frears chiede in prestito al mondo una storia vera, una storia, quella di Philomena, che ha dell’incredibile. Lei, ragazza madre rinchiusa per quattro anni in una Casa Magdalene, in Irlanda, costretta a partorire in segreto senza la presenza di un’infermiera, costretta a lavorare nella lavanderia dell’istituto per pagare i propri debiti, decide dopo 50 anni di rompere il silenzio sulla sua vita, sul suo dolore, determinata a ritrovare quel figlio che le fu tolto, a soli tre anni, e dato in adozione ad una coppia di americani facoltosi.
Quella che sembrava dovesse essere solamente una versione edulcorata del bellissimo Magdalene, film del 2002 diretto da Peter Mullan, riserva invece alcune sorprese. Sebbene il film di Mullan rimanga decisamente più diretto e realistico, Philomena può vantare considerazioni di più ampio respiro e diverse riflessioni di carattere morale.
Se in entrambi i film la denuncia verso questa barbarie perpetrata dalla chiesa cattolica ai danni di giovani ‘peccatrici’ è assolutamente netta e chiara, solamente in Philomena si riesce a riflettere sulla fede e sul perdono. Nonostante i torti subiti infatti, Philomena non perde la propria fede in Dio e non incolpa nessuno per quello che le è accaduto, nemmeno le suore del convento. Chi si arrabbia per lei è Martin, il giornalista che l’aiuterà nella sua ricerca, e noi con lui.
Quello che non riusciamo a fare, mai fino in fondo, è immedesimarci con la protagonista. Il personaggio di Philomena rimane molto enigmatico in questo senso; se da un lato è semplice percepirne la vicinanza per via della compassione che proviamo nei suoi confronti, dall’altro il film mantiene sempre una certa distanza emotiva. Ma proprio è questo allontanamento, questa empatia perennemente rinviata, a sfumare i sentimenti, a complicarli e a ricordarci che solo chi è testimone della propria storia, dal punto di vista unico di chi quella storia l’ha vissuta in prima persona, può dare realmente un nome a ciò che prova.
Se per noi è quindi più facile puntare il dito e alzare la voce insieme a Martin, sarà parimenti difficoltoso e frustrante cercare di capire una donna stanca, molto stanca, che ha sofferto troppo e, ora, non ha più energie da consumare nell’odio. Ci arrabbiamo, con lei, perché ci mostra quello che non riusciamo più a fare, perdonare; col nostro cinismo, con la nostra intelligenza, con la nostra cultura, col nostro indefesso senso della giustizia, siamo innervositi, incolleriti, di fronte ad un modo di essere (sovra)umani come non siamo, e forse non siamo mai stati, in grado di essere.
Una Judi Dench da Oscar, seconda a nessuno, e forse la sola in grado di dare corpo, voce e anima, ad un personaggio simile, è la colonna su cui si erge tutto il film. Sicuramente ben scritto (da Jeff Pope e Steve Coogan, l’attore che interpreta Martin) e diretto, anche se piuttosto romanzato e forse fin troppo delicato, Philomena porta sullo schermo, con un tatto molto british, e perché no, anche con ironia, una storia commovente e difficile da raccontare, una storia che proprio grazie ad un film con queste caratteristiche potrà raggiungere un pubblico vastissimo. Non è forse questa una delle cose più belle dell’arte?




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