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Visti per Voi » Sorelle Mai  

SORELLE MAI
di Enrico Gatti

Regia: Marco Bellocchio
Italia, 2010
Voto ?

Raccontare la trama dell’ultimo film di Marco Bellocchio sarebbe inutile. I tanti frammenti di storie diverse che si accavallano e si rincorrono sullo schermo non possono essere riassunte in poche righe. Sono storie di famiglia, ma non della famiglia. Piuttosto dei suoi componenti. Personaggi che si incontrano e si lasciano, raccolti in una spirale di ricordi incessante che continuerà anche dopo la fine del film.
Dopo i titoli di coda rimane però una domanda: perché? Estesa: Perché Bellocchio ha fatto questo film?
Come dice il regista stesso in una intervista: “E’ un film per caso. Tanti racconti improvvisati decisi per la stagione (l’estate) … gli amici, attori e non attori, disponibili, gli ambienti gratis. Un film che non poteva essere più condizionato [dalla mancanza di soldi] e nello stesso tempo più libero.”
E ancora il regista continua affermando che la leggerezza con cui ha fatto il film è legata alla prospettiva che non sarebbe stato giudicato. Aggiunge: il film è “allo stesso tempo compatto e frammentato insieme … racconta sei storie nel tempo di dieci anni che sono state legate insieme soltanto quando ho deciso di farne un film.”
Che dire dopo queste parole. Si vede.
Non che per fare film interessanti occorrano sempre alti budget, il cinema indipendente è assolutamente indispensabile e spesso superiore alle grandi produzioni, sia per la continua ricerca e sperimentazione sia per la trattazione di temi spesso ignorati.
C’è da dire però che ridurre il ‘filo comune’, che dovrebbe unire i frammenti della pellicola, alla mera presenza degli stessi attori, non è proprio un’idea vincente. Certo Lynch lo ha fatto. Però è Lynch. I film avevamo un'altra forma, un altro scopo e almeno si aggrappavano al simbolismo.
Il film di Bellocchio rimane aimè vuoto. Quello che più si percepisce è proprio questa mancanza di un’idea di partenza. Nemmeno frammentare la narrazione è di per sé uno sbaglio; film come Paranoid Park di Gus Van Sant si spingono persino oltre rinunciando alla continuità temporale, e se questo è utile ad esprimere qualcosa diventa addirittura il punto di forza del film.
Mi chiedo inoltre se la mancanza di soldi possa influire così tanto sulla qualità visiva di un film. Le immagini sono spesso fuori fuoco e sgranate. L’utilizzo morboso di piani strettissimi quasi irritante. Un film in questo senso quasi fastidioso. Rumoroso, sia visivamente che sonoramente (troppi i suoni di sottofondo).
A questo punto: cosa salvare?
Sicuramente la prova della sorelle Bellocchio, il coraggio di girare un film in così tanti anni facendo si che gli attori crescano (e invecchino) davanti alla telecamera, l’ironia di alcuni dialoghi che escono dalle labbra sempre sorridenti delle sorelle e l’ambiguità (anche se non si capisce se voluta o se figlia di imperfezioni narrative) dei rapporti personali che si svelano man mano che il film procede.
Un giudizio finale dunque non semplice. E forse non necessario per un film che proprio un giudizio, non lo cerca.
Rimando dunque allo spettatore quello che qui non posso fare in maniera definitiva, come mai del resto.
Unico consiglio per la visione, l’unico mio compito, lo rivolgo a chi già apprezza il regista. Penso sia un film rivolto principalmente a loro.

 


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