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REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE: ANALISI E PROSPETTIVE

Flavio Novara

La mancanza del quorum che di solito è previsto per l’approvazione o la bocciatura dei quesiti referendari proposti, in modo sistematico ha obbligato tutte le forze politiche impegnate, a mobilitarsi per evitare una possibile sconfitta. Il tema era di notevole importanza. In gioco non solo vi era l’ordinamento costituzionale ma anche l’assetto geopolitico del nostro paese.

Non tutti gli italiani hanno capito sino in fondo la portata di questa riforma, ma dato che in questi mesi abbiamo cercato, forse anche con un pizzico di presunzione, di volerlo spiegare, proveremo ad analizzare i dati complessivi di questa tornata referendaria.

Innanzitutto va sottolineato che quando un referendum “conta”, indipendentemente dal numero dei votanti, il popolo si reca alle urne. E nonostante che dal 2001 ad oggi lo abbia già fatto ben otto volte. Questo in contro tendenza a quanto sostenuto da chi, contrario ad una sua riforma, vorrebbe affossare questo importantissimo strumento democratico diretto di consultazione.

Ma partiamo dai dati referendari emersi, dalla loro suddivisione alla possibile prospettiva politica futura.

La vincita dei No (61,3%), ha di fatto sgombrato ogni dubbio riguardo l’iniquità di questa riforma e della sua profonda impopolarità che, pur partendo da punti di vista anche estremamente differenti tra loro, si sono concretamente uniti nella volontà di respingerla.

Per meglio comprendere tutto questo, credo sia necessario soffermarci su due dati impostanti: quelle del voto al Nord con il Veneto (55,3%) e la Lombardia (58,2%), uniche regioni dove, in contro tendenza a vincere è stato il SI; e  quello invece emerso per il NO, in Calabria (82,5%) e in Sicilia (69,9%).

E’ impossibile parlare dei dati emersi dalle urne del nord, senza prendere seriamente in considerazione il progetto politico proposto dalla Lega. Un progetto secessionista “di lungo respiro” che con questo tentativo di riforma, attuata grazie a Berlusconi e AN per mantenere il governo, ha di fatto ottenuto un ulteriore legittimità popolare. Ovvero, nuovo ossigeno per il “popolo del nord” che attraverso la possibilità prevista dalla riforma, avrebbe potuto ottenere la delega, quasi in completa autonomia,  ad emanare leggi sulla gestione della sanità, dei programmi scolastici e dell’istituzione di forze dell’ordine di matrice regionale. Praticamente la Lega avrebbe potuto, nel giro di pochi anni, stravolgere i programmi scolastici, in matrice nordica. Ovvero una culturizzazione del suo popolo e delle giovani generazioni, basata su dialetto, esaltazione delle capacità storiche ed economiche localistiche pre-risorgimentale; il tutto ovviamente in chiave razzistica e secessionistica. Ovvero la creazione di un moderno futuro esercito, nato dalla formazione di “giovani balilla” pronti ad affiancare la polizia locale nella richiesta, per cominciare, di un miglioramento degli standard medio alti di assistenza sanitaria regionale. Una qualità non ottenibile solo ed essenzialmente perché “quelli del sud ci rubano le risorse e poi vengono a curarsi da noi”. Oltre alla vincita di Lombardia e Veneto, il popolo del Piemonte si è espresso a favore della riforma con un 43,3% , in Liguria con il 37% e in Friuli V. G. con il 49,2%. Tenendo conto che questi dati non sono del tutto incoraggianti e della natura di questo latente progetto, le forze politiche della sinistra, non possono e non devono sottovalutare le richieste di questa parte importante della nostra nazione.

Di contro a tali teorie politico-sociali vi è il voto al Sud. In particolare in due regioni dove il legame economico-politico-mafioso ha raggiunto livelli sino ad ora impensabili.

Mettendo a confronto perciò i dati emersi durante la tornata elettorale delle ultime politiche, proprio della Calabria e della Sicilia notiamo che il centro destra ha ottenuto, complessivamente il 42,1% e il 56,9% al contrario di quanto è avvenuto per questo referendum. Un referendum che in pratica, li avrebbe coinvolti in modo radicale con possibili e profondi tagli. Se si considera inoltre che questo dato è nettamente in contro tendenza rispetto agli altri referendum (la Calabria da sempre con indici d’affluenza più bassi d’Italia), come si spiega il voto in massa contro questa riforma? Una riforma che, come prima ricordato, avrebbe da subito colpito in modo sostanzioso le risorse destinate alla sanità, fonte ormai accertata di finanziamento e di interesse politico mafioso locale. Ne sono un concreto esempio, l’omicidio del Consigliere Regionale Francesco Fortugno e i successivi arresti, proprio in ambito sanitario, dei suoi mandanti.

Questo però non significa che tutti quelli che al sud hanno optato per la bocciatura della riforma sono dei mafiosi ma identificano, ancora una volta, che una consistente parte di loro sia per meri interessi personali che per volontà dei “padrini” locali ha saputo fare bene i conti prima di recarsi a votare. Questo oltremodo dimostra che una parte consistente di questi italiani si considera concretamente fuori dalle istituzioni e si identificano nello stato, non come cittadini attivi, ma come meri utilizzatori delle risorse che a pioggia e a titolo gratuito arrivano in quelle terre. Non va però dimenticato l’enorme responsabilità che lo stato stesso ha avuto e spero non avrà progressivamente in futuro, per aver lasciato, attraverso l’accettazione passiva di voti di scambio e connubio con le mafie locali, che ciò non solo avvenisse ma si radicasse ne corso degli anni nella cultura del suo popolo. 

In sostanza, il lavoro che spetta a questo nuovo governo non è semplice. Anche perchè da questo referendum emerge complessivamente un Italia teoricamente unita nel voto contrario alla riforma ma in realtà sempre più divisa tra nord e sud. Un nord che chiede di attuare una riforma costituzionale che riveda al più presto le autonomia regionali ed in particolar modo il principio di sussidiarietà che sino ad oggi ha retto lo stato sociale del nostro paese. Pena, il pericolo che forze politiche come la Lega, di matrice balcanica, riescano ad ottenere spazi di legittimità popolare.

Dall’altra parte, un sud, onesto e soffocato da oligarchie politico mafiose, che forse con l’attuazione di una riforma “autonomista assistita” riuscirebbe a liberarsi da questa schiavitù.

Non destinare da subito, forze e risorse volte allo scioglimento di questi due fondamentali e non facili  nodi, significa impedire in modo sostanziale non solo lo sviluppo economico del nostro paese ma anche il cammino verso la nascita di una vera Europa dei popoli delle nazioni.

 

 

27/6/06

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