Lo scandalo che ha stritolato la
passione ha radici lontane
I
sogni in un pallone bucato
Ermanno Bugamelli
Molti
anni or sono, quando avevo l’età da ragazzino, parlare di
calcio era sinonimo di frivolezza. Le notizie dal mondo del pallone
avevano un sapore leggero che si estraniava da tutto il resto. Gli
uomini di cultura e politica, affrontavano l’argomento solo per
staccare la spina, per allungare un piede in una zona franca.
Prestavano estrema attenzione a rimanervi a distanza di sicurezza in
tutti gli altri casi, per non essere tacciati di superficialità
e scarsa serietà. Magari sfruttavano l’eco degli eventi più
altisonanti per fini di immagine ma non si andava oltre.
Crescendo,
per molti anni, discutere delle faccende calcistiche, sfottere
l’amico sulle disavventure della sua squadra o esaltare le glorie
della propria, diventava un modo per conservare camere di
fanciullezza nel sempre più severo condominio dell’esistenza.
Poi
qualcosa è cambiato. Prima lentamente, senza capire nemmeno
cosa e perché rendesse tutto meno divertente, meno capace di
conservare il disincanto della giocosità. Incolpavo la vita,
lo smarrire il dono di sapersi divertire con semplicità,
gravato da pensieri pesanti e ombrosi.
Motivazione
personalmente plausibile, ma non bastava a giustificare una
sensazione diffusa.
Una
percezione che divenne essenza concreta, un processo che è
poi accelerato negli ultimi anni, fino all’esplosione mediatica
roboante e distruttiva di calciopoli la scorsa primavera.
Tutto
ciò che è emerso ha superato abbondantemente ogni
fantasia. Le tante discussioni con amici e colleghi prolungate negli
anni, divertenti e canzonatorie, vengono stritolate da una evidenza
capace di ferire a morte la passione sportiva.
Anche
i tifosi più sospettosi, coloro che da tempo denunciavano
situazioni ambigue, hanno dovuto confessare di non aver mai
immaginato un fenomeno tanto criminoso e radicato nel sistema. Io
nell’intimo mi sono sentito uno stupido. Da anni nutrivo una
passione per un gioco marcio fino al midollo.
Mi
ritenevo capace di non fermarmi all’apparenza ma mi sbagliavo.
Ancorato
com’ero all’ ingenua illusione che le mille maldicenze che per
anni ho ascoltato sulla mia squadra del cuore, la Juventus, fossero
il frutto di invidia per chi ha vinto tanto, come si trattasse di una
valanga di rifiuti che una volta differenziati ci consegnavano un
ambiente alterato ma non marcio, ho chiuso gli occhi e mi sono
tappato il naso.
Rabbia,
indignazione, disillusione e fame di sapere sono state le reazioni.
Irritazione che è cresciuta nello scoprire che tantissimo di
ciò che era emerso arrivava da lontano, annunciato da tempo,
esteso ben oltre il caso juve, denunciato da poche ma oneste e
inascoltate voci del giornalismo.
Tra
tutte queste ho scelto quella di Oliviero Beha attraverso un
suo libro (scritto a quattro mani con Andrea Di Caro): “Indagine
sul calcio”.
Pubblicato
nel maggio del 2006, quindi poche settimane prima lo scoppio di
“calciopoli” e alla vigilia dei vittoriosi mondiali di Germania,
assume un valore aggiunto per la capacità di trattare in
anticipo sui tempi, tanti dei numerosi aspetti che diverranno di lì
a breve, oggetto di cronaca. Ripercorrendo la storia di questo sport
dal post mondiale di Spagna del 1982, fino alla vigilia di Germania
2006, compie un accurato percorso sulle vicende del calcio italico,
fotografando di volta in volta il contesto politico e sociale del
momento.
Un
sistema che ha subito una degenerazione progressiva e il contributo
di molti personaggi che dal mondo politico e dell’imprenditoria
sono “scesi in campo” verso l’ambiente calcio, è stato
determinante in questo senso. Nell’ultimo ventennio il mondo
pallonaro è stato trasformato in un’industria con il
trasferimento di tutte le applicazioni che la regolano. Le società
diventano aziende, gestite da manager,quotate in borsa, con un
bilancio a cui rendere conto. Il disegno del nuovo calcio mira a
trasferire lo spettatore dalle tribune ai salotti, perché i
diritti tv sono la fonte d’introiti più ghiotta.
A
questo aggiungiamo il degrado dei valori morali ed etici. L’onestà
e il rispetto delle regole divengono attributi degradanti, adottati
quasi a sminuire l’abilità dei professionisti che tentano
disperatamente di rimanervi aggrappati.
La
storia si addensa di episodi con partite vendute, bilanci truccati,
giocatori dopati, arbitri corrotti. Nessuna squadra di vertice rimane
immune, ma nemmeno per tante di secondo piano il destino è
diverso. Si è innescato un gioco vizioso al rialzo, dove i
risultati sono legati al profitto e per vincere si ricorre a tutto il
praticabile. Le tecniche si affinano e vengono applicate con criteri
scientifici. Rapidamente chi anche intende continuare a giocare in
modo pulito, si trova in condizione d’inferiorità. La scelta
per questi è obbligata: o accetti le nuove regole per restare
competitivo o abbandoni. La variante “denuncia” non è
percorribile. Chi parla viene automaticamente escluso e la connivenza
tra chi gestisce il potere e gli organi di controllo, garantisce un
rassicurante filtro che taglia le voci fuori dal coro.
Il
legame tra successi o insuccessi sportivi di diverse squadre e
l’andamento delle grandi aziende ivi legate, con i relativi
obbiettivi commerciali è stretto. In alcune vicende l’intrigo
s’infittisce fino a sfiorare l’ambito della criminalità
organizzata collusa alla politica.
Con
questi strumenti il lettore potrà attraverso le dichiarazioni
dei protagonisti, documenti processuali, veline d’agenzia,
ricostruzione di avvenimenti storici, ricomporre un quadro veramente
avvilente ma appassionante come un romanzo per le sfumature
impensabili se legate a “semplici partite di pallone”. Potrà
forse, armarsi di una nuova spiegazione per vittorie o sconfitte
sospette, per rileggere il corso di ere calcistiche legate a nomi
divenuti poi celebri a tutti e non per meriti sportivi.
Un libro
dedicato ai tifosi, agli sportivi, ma soprattutto a chiunque abbia
fame di verità e sia stanco di essere solo un bovino da
foraggiare. Un documento utile non ad annullare la passione per
questo sport bellissimo, ma per contribuire alla nascita di una nuova
generazione di sportivi capace di ragionare e scegliere con autonomia
e trasformarsi in un elemento attivo per influire come utente, sulle
scelte future del sistema.
Oliviero
Beha è un giornalista di successo, scrittore, autore di
programmi televisivi e radiofonici. Una voce autorevole e
indipendente che gli sportivi di buona memoria ricordano per aver
denunciato come sospetto, il pareggio tra Italia e Camerun ai
mondiali di Spagna. Nonostante gli indizi a sua disposizione fossero
quanto meno significativi, venne subissato d’insulti popolari per
aver oltraggiato con le ombre della combine il trionfo azzurro ai
campionati del 1982.
A mesi
di distanza il polverone su “Calciopoli” si è posato e la
percezione collettiva confluisce in una complessiva sensazione di
giustizia sommaria e rapida, resa necessaria per non dover
distruggere totalmente il giocattolo con la rinuncia degli annessi
ricavi. Hanno pagato in pochi e troppo poco se ripensiamo alla
gravità dei reati commessi.
I dati
inerenti a spettatori negli stadi e abbonamenti alle svariate formule
di pay tv, sembrano convergere su di un distacco verso questo sport.
Forse un fenomeno transitorio, che paga lo scotto di uno scandalo
ancora troppo recente. Forse.
Certo
che la precisa volontà di cambiamento tanto sventolata in
estate, non può ritenersi accettabile se i “nomi nuovi”
sono quelli di Antonio Matarrese a presidente di Lega. Un ambiente
che dopo la parentesi d’entusiasmo dei mondiali teutonici, fatica
nel cambiare direzione, nel fornire un trasparente e sincero slancio
a cambiare pagina, a darsi regole nuove. Il lavoro di Luca Pancalli
in veste di super Commissario della Federcalcio non sarà
semplice, ma pare ottenere i primi ufficiosi consensi. I suoi
trascorsi di alto dirigente della Federazione dello sport disabile,
sono una iniezione di aria fresca per chi ancora spera in un calcio
almeno capace di reggersi su regolamenti in grado di definirsi
“normali” in base ai comuni principi del buon senso.
Il
fenomeno calcio è stato sviscerato da fior di sociologi. Il
suo successo planetario in grado di contagiare genti di ogni razza,
religione, costume, è da ricercare in quella alchimia che
consente a chiunque d’identificarsi nelle divise e i volti dei
protagonisti, attraverso poche semplici regole. Una trasposizione che
permette di sognare, a qualsiasi età, senza barriere. Ci sono
gli eccessi, le deviazioni, ma come in ogni ambito.
Una
passione che aiuta a sognare, in modo sano, depurata dalla becera
violenza, merita ai vertici uomini migliori del suo recente passato.
E’ ora
che questo sport venga riconsegnato a coloro che lo amano, ragazzi o
adulti che siano, perché chi lo ama davvero conosce la formula
per conservarlo compagno di giochi e di sogni per sempre.
Senza
calcio si può anche vivere.
Senza i
sogni no.