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PANDEMIA FARMACOLOGICA

Boris

Un pericolo si aggira per l’Europa: è l’H5N1 l’influenza aviaria, quella dei polli. Un virus che a detta del nostro ministero della salute potrebbe in breve contagiare oltre 16 milioni di persone e ucciderne oltre 150 mila. Un virus che dal cigno, simbolo per molti di purezza e rassicurazione, potrebbe trasferirsi in breve all’uomo, dominante onesto di questo pianeta.

Una sorta in breve di richiamo al “si salvi chi può”. Un grido d’allarme che ancora una volta non vuole risparmiare nessuno. Dalle bombe dei terroristi, all’attacco batteriologico di bellicoso ricordo.

Il pericolo esiste? Si rischia veramente, di finire come nel 1918 quando per colpa del ceppo influenzale denominata “la spagnola” morirono 50 milioni di persone in pochi mesi?

A questa domanda non siamo in grado di rispondervi. Del resto, non lo dicono neanche i massimi esperti dell’Ordine Mondiale della Sanità.

Una cosa però per entrambi è certa: ad oggi l’unica vera cura disponibile sul mercato è il Tamiflu prodotto dalla ditta Roche di Basilea. Un vaccino questo, dalla storia curiosa che ci conduce ad alcuni anni prima di quel 1997, in cui per la prima volta fu scoperta la trasmissione del virus dai polli agli essere umani. La Sars.

Il Tamiflu fu registrato, con un brevetto valido sino al 2017, nell’autunno del 1999. Ben sette anni dopo che il 14 ottobre 1992 l’azienda californiana Gilead, in seguito diventata partner della Roche nelle ricerche, dichiarò pubblicamente che era riuscita a realizzare una molecola che poteva fermare qualsiasi virus influenzale. In questa breve distanza di anni, ingenti finanziamenti furono spesi da entrambi per riuscire a realizzare un farmaco somministrabile per via orale. Un farmaco “facile”, rispetto a quel prodotto dalla GlaxoSmithKline che si assumeva per inalazione, e che una volta scoppiata l’epidemia, avrebbe certamente fruttato ingenti guadagni.

I primi casi del 1997 diedero impulso alla Roche di produrre in larga scala la medicina che avrebbe dovuto eliminare tutte le influenze. Ancora una volta investendo ingenti capitali in un prodotto dalla durata purtroppo limita: un solo anno.

 Due anni dopo la sua commercializzazione le vendite andarono sempre peggio e la Roche fu costretta a distruggere ingenti quantitativi di vaccini scaduti. Le perdite in questo campo furono ingenti. Almeno sino a quando non arrivò l’influenza aviaria, l’H5N1 comparsa con la medesima virulenza della Sars ma in una variabile molto aggressiva. Secondo i dati dell’OMS, 60 delle 116 persone contagiate in Asia, morirono a causa di infezioni polmonari provocati certamente dal virus.

Ad oggi la produzione e le vendite sono quadruplicate anche grazie alle richieste dei governi dei singoli stati per far fronte all’emergenza pandemia. Richieste queste che consentiranno alla Roche, di moltiplicare i propri utili nei prossimi anni. Un incremento al già ben oltre 14% del suo volume d’affari, ottenuto grazie ad altri prodotti farmaceutici realizzati per curare il cancro.

Penso che chiarificatore sia la dichiarazione rilasciata durante un’intervista al Das Magazin Svizzero, dal virologo neozelandese David Reddy che dirige la sezione creata dalla Roche per affrontare il rischio pandemia:

“Il fatto che la Roche tragga profitto dal Tamiflu è un'ottima cosa, perché ci consente di proseguire le ricerche su nuovi principi attivi.” O ancora “ …non siamo noi a decidere quanto Tamiflu comprano i singoli governi….Il nostro compito è quello produrre più Tamiflu possibile per cercare di soddisfare le richieste.” 

Il seguito è storia dei nostri giorni.

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