SCIOPERO DELLA LIBERTA’ DI STAMPA
Flavio Novara
E’ da poco che si è concluso
lo sciopero di ben cinque giorni dei giornalisti della carta
stampata. Cinque giorni in cui in tutte le edicole sono mancati le
maggior parte dei quotidiani nazionali.
Tralasciando alcune testate crumire,
quasi tutti i mezzi di comunicazione o come giusto definire di
“informazione”, hanno letto un comunicato di protesta per
l’ancora mancata firma del contratto nazionale di categoria. Un
contratto che è in attesa di essere discusso da ben due anni.
I giornalisti rivendicano la necessità
di rivedere la figura del “precario a cottimo”, ormai dominante
in molte redazioni che minerebbe la democrazia dell’informazione
libera di questo paese. Dall’altra parte, la controparte degli
editori che non accetta neanche di sedersi al tavolo delle
trattative, affermando che le richieste avanzate non tengono
minimamente conto della costante crisi di questo settore.
Questa diatriba, che apparentemente
appare come una qualsiasi altra rivendicazione salariale, nasconde in
verità una situazione assai più complessa. Più
di quanto entrambe le categoria vogliano farla apparire. Vi sembrerà
strana la nostra decisione di affrontare tale argomento, con serenità
e libertà di parola. In fondo ve lo dobbiamo. Non abbiamo
forse, sempre sostenuto che la trasparenza dell’informazione deve
essere la nostra principale fonte d’ispirazione?
Prendiamo la nostra categoria. Quella
dei giornalisti. Innanzitutto all’interno delle grandi redazioni e
non solo, esistono di fatto due categorie. I giornalisti strapagati,
sempre più in numero inferiore, e gli sfruttati. I primi
scioperano per difendere il loro status che gli permette di
guadagnare altre quattromila euro al mese, standosene tranquillamente
seduti sulle loro poltrone a trascrivere articoli tratti da semplici
comunicati stampa. Poltrone queste messo in disequilibrio da
giornalisti più giovani e volenterosi che per tre euro ad
articolo, scrivono e lavorano altre dieci ore al giorno. Questi
professionisti dell’informazione, si nascondono dietro questa
giusta rivendicazione, dimenticandosi poi di scrivere nei loro
articoli la verità su ciò che sta avvenendo nel nostro
paese. Un luogo dove è ormai evidente la necessità di
combattere la precarietà anche in tutti quegli altri settori
dove, a parer loro invece,”E’ necessario privatizzare e
precarizzare per rendere più moderno ed efficiente il nostro
paese”.
Come mai negli altri settori è
giusto così, mentre per il nostro, la regola non è
valida?
Certamente il precario, perché
ricattabile, mette in pericolo “la democrazia dell’informazione”.
Ma di quale democrazia stiamo realmente parlando? La democrazia fatta
e scritta da chi si vende al miglior offerente o di quella
esplicitata come notizia? Qui non si tratta solo di elargire più
soldi ai precari regolarizzandoli, quei si tratta di fare un radicale
intervento in questo settore ormai saturo di lacchè e di
giornalisti intellettuali venduti al miglior spazio pubblicitario.
Uno sciopero serio dovrebbe
innanzitutto pretendere il diritto e la necessità di fare
liberamente il nostro lavoro. Non ci vuole molto, basta farlo secondo
i canoni deontologici insegnati in tutte le scuole di giornalismo del
mondo. La ricerca della verità passa sempre attraverso la
verifica e l’approfondimento dell’informazione e non attraverso
“l’autocensura tutelativa”. Forse la gente non cambierà
solo canale o non si recherà in edicola solo il giorno dello
sciopero, se la nostra battaglia sarà essenzialmente
incentrata su questo punto.
Se non riusciremo a fare questo, saremo
non solo sconfitti ma progressivamente espulsi dalle redazioni di
tutti i network. Ovvero sarà la definitiva morte
dell’informazione in quanto diritto democratico riesercitabile.
Per quanto riguarda gli editori,
dovrebbero vergognarsi. Oggi i loro giornali, sono riempiti di gadget
e di pubblicità che contorna mediocri articoli di costume
anche quando si tratta di fatti di cronaca. Dovrebbero vergognarsi
perché se i loro giornali o prodotti sono sempre più in
crisi, lo devono proprio allo scarsissimo prodotto che realizzano. Un
prodotto economicamente strutturato soprattutto sulla raccolta di
abbonamenti a prezzi stracciati, sostenuti e proposti anche grazie
all’elargizione di paghe sempre più basse ai propri
giornalisti e alla conseguente riduzione dei costi di distribuzione.
In questa grandiosa strategia è racchiuso tutto il segreto
della raccolta della pubblicità. Gli abbonati sono e restano
comunque i sicuri fruitori della loro pubblicità.
“Il profitto innanzitutto”,
qualcuno avrebbe da obiettarmi e allora: smettiamo di acquistarli e
vediamo chi avrà la meglio; chiediamo a gran voce che si
smettano di finanziare giornali di partito inesistenti e dirottiamo
tali proventi verso forme di informazioni serie e qualificate;
aiutiamo inoltre, tutto questo, liberando veramente il mercato della
pubblicità dalla concentrazione di Fininvest e Rai.
La nostra forza nel dire liberamente
tutto questo? Non abbiamo padroni. O meglio, noi siamo i padroni di
noi stessi.