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Festival filosofia 2015PRIGIONIERI DEL PRESENTE
 di Flavio Novara
 
 Anche quest'anno oltre 200 mila persone hanno partecipato al Festival Filosofia aperto all'insegna del tema ereditare.   Oltre 200 appuntamenti fra lezioni magistrali, mostre, concerti,  spettacoli e cene filosofiche, si sono sviluppate tra le piazze di  Modena, Carpi, Sassuolo, occupate da numerosissimi studenti e adulti di  ogni età. Tutti attenti ad ascoltare il verbo in riflessiva meditazione.  Tra i suoi protagonisti filosofi non poteva mancare, come ormai da  diversi anni, Zygmunt Bauman che ha deciso di presentare una lezione magistrale su Educazione Globale soffermandosi più precisamente sulle origini dei Confini e sulla loro ereditarietà.  Ovviamente una scelta voluta con uno specifico obiettivo: collocare  l'innaturale migrazione verso l'Europa, causato dalle guerre, alle  origini della paura che questo stesso flusso immigratorio incute.Bauman percorre un interessate cammino storico intellettuale, cercando di non tralasciare nulla, conducendoci verso ciò che oggi siamo.
 
 La questione dei confini, la loro nascita e  il motivo della loro creazione, sono per Bauman il punto da cui  cominciare. Un legame con il passato che ci può aiutare a comprendere le  radici culturali della necessità di rivendicare un confine,  istituito a partire del 1648 a seguito dell'accordo di pace di  Vestfalia, che pose fine alla cosiddetta guerra dei trent'anni, iniziata  nel 1618, e alla guerra degli ottant'anni, tra la Spagna e le Province  Unite.
 “In pratica – riassume Bauman brevemente - si è riusciti ad arrivare ad un periodo apparentemente di pace, solo grazie ad una separazione”. Un fatto non di poco conto. Non solo ma da  quel momento una società che parlava praticamente un'unica lingua e  condivideva anche il proprio patrimonio della Conoscenza, ha dovuto, su  obbligatorietà delle famiglie regnanti, imparare una propria lingua e  smettere di collaborare con chiunque fosse straniero. L'Europa  così diventa un territorio diviso da nazioni la cui priorità diventa,  anche se Bauman però non l'affronta, la tutela del potere economico dei  potenti, a discapito della libera comunicabilità tra i popoli.
 “Quando si parla di Confini, non  dobbiamo mai dimenticare che stiamo esaltando una linea netta di  separazione tra idee e culture” a discapito della pre-conservazione  di ciò che, senza comunicabilità con l'esterno, è destinata a  scomparire. Non solo ma in questo modo si solidificano solo due modi di  poter comunicare tra nazioni e obbligatoriamente tra popoli: attraverso  scambi commerciali e culturale mediati e controllati dal potere  economico di ogni singola nazione o attraverso la guerra. Non a caso, in questi ultimi anni, si sono esaltate le differenze culturali e soprattutto religiose, che esistono e che sarebbe stupido e pericoloso negare, da parte di partiti nazionalisti. Differenze che  potrebbero essere accolte come nuove ricchezze culturali ma che al  contrario, sono state identificate come negative soprattutto per  giustificare i confini e rafforzare gli Stati Nazione. Un processo di  inversione culturale che oggi sta in parte avvenendo e che non ha più  fondamento reale ma esprime, camuffato da volontà del popolo, uno scontro profondo tra due differenti gestori economici del potere. Uno globalizzato e multi-nazionalizzato,  il cui rappresentante politico è identificabile nel Partito Democratico  e quello capitalistico locale, sostenuto dalla Lega Nord, legato  tutt'uno al territorio e alla propria nazione di piccoli artigiani,  medie imprese o industrie che per anni hanno goduto di protezioni  politiche nazionali, tali da ritenersi loro stessi proprietari dello  Stato. Uno scontro inevitabile tra due capitalismi dove i primi  identificano necessario e ineluttabile il dominio dei mercati e azioni  che mirino a raggiungere il massimo profitto a discapito degli uomini e  donne, gestiti come merce, e delle Costituzioni nazionali che con  qualche difficoltà pongono ancora alcuni ostacoli a questi processi di  distruzione sociale. I secondi, invece, esaltano le tradizioni  culturali, come quelle dei dialetti e delle ricorrenze di matrice  cattolica, strumentalmente per separare e contrastare possibili pericoli  provenienti dall'esterno del proprio mondo economico e culturale.  Apparentemente contrari, entrambi sono figli della stessa natura  capitalistica e soprattutto per nulla alternativi tra loro. Non superano  e non possono superare il conflitto politicamente assopito ma mai così  vivo tra i salariati, nello scontro quotidiano che esiste tra  capitale-lavoro. Al contrario, ne esalta aspetti marginali e forvianti  per inebriare, utilizzare e controllare i popoli delle nazioni. Questo  contrasto economico, per il momento in Europa non militare, di fatto è  uno scontro reazionario tra due entità capitaliste ben conosciute e  sotto mentite spoglie, ripropone il medesimo scontro avvenuto tra la  borghesia fascista, con il suo regime e il grande Capitalismo Americano.  Uno scenario che solo i popoli potrebbero fermare, se fossero  culturalmente e politicamente consapevoli e non oggetti di ricatti  culturali forvianti sbandierati dalla nuova sinistra riformista  internazionale. Un ricatto che si esprime con la difesa del datore di  lavoro accompagnato dall'apatica rassegnazione ad accettare qualsiasi  tipo di lavoro a prescindere dalla qualità del lavoro stesso. Un ricatto  che non trova ostacoli anche grazie alla complicità delle  organizzazioni sindacali confederali, che del conflitto ne hanno fatto  un anatema da superare, e da una classe politica di maggioranza collusa,  ma elettoralmente vincente, soprattutto a causa dell'assenza di una  credibile alternativa. Tutti a votare il partito di maggioranza,  qualunque esso sia, nella convinzione ed illusione di poter attutire lo  schianto che inesorabilmente si abbatterà sulle loro famiglie. Perchè  una volta accettato questo processo di globalizzazione prima dei mercati  e ora delle merci umane interne ed esterne alle nazioni stesse, la  società cosmopolita è inevitabile e imprescindibile dalla natura stessa  del nostro futuro. Nulla possiamo fare.
 Anche se politiche nazionaliste dovessero  essere applicate, e la vicenda delle quote degli immigrati in seno agli  Stati dell'Unione Europea o l'atteggiamento sostenuto dall'Ungheria ne  sono un esempio, il conseguente scenario potrebbe essere di vera e  propria guerra tra popoli, nei fatti, conveniente a tutto il sistema  produttivo capitalista. Marx aveva già identificato nella guerra il  meccanismo principale di ristrutturazione del sistema capitalista in  seno alla crisi sistemica che esso stesso esalta e crea ma questo  comporta anche l'utilizzo di ingenti fondi che in un mercato  globalizzato e finanziarizzato ha maggior difficoltà ad esprimersi.  Soprattutto all'interno degli Stati Nazione Occidentali o  occidentalizzati, dove è necessaria la conservazione dei mezzi di  produzione atti a ricostruire, con lauti profitti, i luoghi in cui la  guerra è stata volutamente provocata.
 Certamente a causa di questo bombardamento culturale sulle differenze e sulle nazioni, anche Bauman ammette che non può “… che mettere paura al popolo europeo che gode o ha goduto di stabilità economica e politica”. Una sicurezza messa in discussione da tutti quei migranti che arrivano come formiche in cerca di pane.
 “Noi affermiamo che “sono estranei”  non amici o nemici, ma portatori d'incertezza. Quella stessa incertezza  che esalta il nostro timore dell'incertezza” ormai unica vera espressione umana rimasta e diffusa nella nostra opulenta vita sociale. Questo perché, "... quegli stranieri sono - prosegue Bauman - i  veri messaggeri della catastrofe di cui siamo soggetti. Quegli uomini e  quelle donne solo la rappresentazione reale della Globalizzazione  perché sono costretti a scappare per non morire di fame. Noi però come  affrontiamo allora tutto questo?” Fermando il conflitto non solo sul piano economico ma morale e culturale che può realizzarsi, sempre secondo lui, solo ”attraverso l'unione degli orizzonti che conducano all'unità”.
 Molti purtroppo pensano, soprattutto i  naviganti dei social che esprimono solidarietà con i profughi,  che  internet abbia aiutato questo processo o peggio ritengono l'evoluzione  del processo tecnologico, la fonte principale di riduzione delle  distanze culturali. Purtroppo però questo non solo è falso ma non può  avvenire perché “...basta un click con un dito...”, per eliminare rapidamente tutto il nostro timore dell'incertezza. Ovvero, l'Essere Umano 2.0,  difronte all'evidente esposizione ad un problema che potrebbe  coinvolgere la sua parte umana sentimentale, sceglie con un gesto rapito  e deciso, di guardare solo il riflesso del suo viso sul monitor spento.  Questa è mancanza d'empatia e non nasce dal nulla ma è causata  dal modello sociale accettato. In questi ultimi quarantacinque anni, si  è attuata una profonda rottura del patto sociale nato nel dopoguerra.  Dalla precarietà del lavoro, all'accettazione delle ragioni di mercato  come fonte principale di longevità. Una rottura che nei fatti, ha  acutizzato il sospetto reciproco ed eliminato ogni espressione  d'empatia che agisce solo in caso d'emergenza vitale o profondo pericolo.
 Domina ormai la globalizzazione dell'indifferenza e purtroppo, ci siamo abituati all'insensibilità alla sofferenza degli altri.  Non siamo forse più in grado di provare empatia e purtroppo, nelle  nuove generazioni, raggiunge livelli sorprendenti di profondo  nichilismo. Questo processo potrebbe arrestarsi solo se tutti  riuscissimo a comprendere che la rivendicazione dei propri diritti passa  innanzitutto dalla radicale opposizione alla forte concorrenza umana, che si è sviluppata tra noi, a cui siamo chiamati ad adeguarci.
 24 settembre 2015 
 
	
	
Filosofia in quartiere - undicesimo seminario 2013 L'ARTE DEL CAMBIAMENTO "L'arte del cambiamento lo si apprende solo cambiando,  evolvendo in sintonia col mistero del divenire" 
 Gli incontri si svolgono a  cadenza settimanale, il martedì alle 21 nella sala del centro civico  Villaggio Giardino, in via Marie Curie 22; sono gratuiti e aperti a  tutti. 
 CALENDARIO E PROGRAMMA  - Gennaio-marzo 2013
 8 gennaio
 «A morire non s’impara». Lo scacco estremo di ogni logica del cambiamento
 Vladimir Jankélévitch, La morte
 IN PREPARAZIONE
   15 gennaio Il tempo che seduce e l’arte del cambiamento
 Vladimir Jankélévitch , Il Non-so-che e il Quasi-niente
 IN PREPARAZIONE
 
 22 gennaio Il carisma dell’istante opportuno e l’arte di volgere il caso in occasione
 Vladimir Jankélévitch, Il Non-so-che e il Quasi-niente
 IN PREPARAZIONE 
 29 gennaio
 Il canto segreto della vita quotidiana
 Vladimir Jankélévitch, Da qualche parte nell’incompiuto
 IN PREPARAZIONE  5 febbraio
 
  La logica del sacrificio e il processo di produzione della “vittima” James George Frazer, Il ramo d’oro
 René Girard, Il capro espiatorio
 
 1° PARTE
  2° PARTE          12 febbraio La violenza indotta e segreta del sacro e l’Agnello di Dio
 René Girard, Il capro espiatorio
 IN PREPARAZIONE 
 
  19 febbraio Il cambiamento doloroso: il passaggio inceppato dal godimento al desiderio
 Natascia Ranieri, Il corpo leso
 1° PARTE   2° PARTE     
 26 febbraio
 La violenza del simbolico: l’estrema dirompenza dei dispositivi di potere
 Marzio Barbagli, Congedarsi dal mondo. Il suicidio in Occidente e in Oriente
 
 5 marzo
 Il tempo del Messia: l’inversione delle fondamentale relazioni di tempo
 (passato/futuro, memoria/speranza)
 Giorgio Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani
 
 12 marzo
 La rottura globale tra creazione del valore (economico e tecnologico) e valore
 della creazione (vita e natura)
 Jean-Luc Nancy, La creazione del mondo o la mondializzazione
   
 
	
	
ROCCO RONCHI 
 Rocco Ronchi  è nato a Forlì nel 1957. Laureatosi in filosofia a Bologna, ha poi  conseguito il dottorato di ricerca presso l'Università Statale di  Milano. Critico e saggista, insegna attualmente Scienze della  comunicazione presso il CLEACC dell'Università Bocconi di Milano e  Filosofia teoretica presso l'Università dell'Aquila. Tra le sue opere:  Bataille Levinas Blanchot. Un sapere passionale (Spirali, Milano 1985);  Bergson filosofo dell'interpretazione (Marletti, Genova 1990); La  scrittura della verità. Per una genealogia della teoria (Jaca Book,  Milano 1996); Luogo comune. Verso un'etica della scrittura (EGEA, Milano  1996); Il pensiero bastardo. Figurazione dell'invisibile e  comunicazione indiretta (Christian Marinotti Editore, Milano 2001);  Teoria critica della comunicazione, Bruno Mondadori, Milano 2003.  
 IL FANTASMA DELLA VITA* di Matteo Tomasina
 Parte I
 Il concetto di “vita” nel pensiero contemporaneo(Kant, Nietzsche, Bergson)
 
 “Vita” sarà il concetto fondamentale di  questo ciclo di lezioni, mentre con “fantasmi”, si intendono quegli  esseri di soglia che, trapassati, tornano a funestare i vivi. Un  elaborazione del pensiero che ha ricadute dirette su dibattiti odierni,  eventi recenti a cui pensiamo senza citarli esplicitamente (i casi  Englario e Welby, ad esempio).
 Il pensiero di Ronchi comincia dalla  riflessione contenuta in un saggio di Levinas del 1934, filosofo  sviluppatore di un pensiero autonomo dopo esser stato l’allievo di  Husserl e di Heidegger.
 All’epoca, ancor giovane, pubblica  “Qualche riflessione sulla filosofia dell’hitlerismo” sulla rivista  Esprit, di orientamento cattolico progressista. E’ passato un anno dalla  presa del potere del nazismo in Germania, e moti di destra sono esplosi  anche in Francia.
 Il pensiero di Levinas, distingue  innanzitutto, la filosofia dell’hitlerismo da quella degli hitleriani.  Questi ultimi sono sostenitori di un razzismo biologista, legato a  contingenze storiche, e di cui è possibile il tramonto. L’altro pensiero  contiene invece una vera e propria metafisica, un’intuizione di fondo  sulla realtà, che potrebbe sopravvivere anche alla fine della filosofia  degli hitleriani. E’ una concezione opposta alla nozione europea  dell’uomo, così come emerge in duemila anni di storia. E’ antitetica  tanto alla concezione giudaico cristiano di essenza umana, quanto alla  visione liberale e marxisa. Cioè all’idea di uomo come spirito. In  questo orientamento, l’uomo è definibile in base alla sua libertà. Non è  un ente riducibile a dati biologici e a al determinismo. E’ un negare  la natura, un essere al di là. E’criticità: il prendere le distanze del  mondo come eredità del passato e trasformarlo.
 
 La filosofia dell’hitlerismo è negazione  di tutto ciò. La situazione a cui l’uomo è inchiodato è fatta fondo del  suo essere. La prima cosa che siamo è corpo, determinismo biologico. Per  la filosofia hitlerista valore fondante è il corpo vivente biologico,  non lo spirito e la criticità. Io sono in balia della vita, non posso  non essere il corpo che sono. L’uomo non è spirito, ma vita e corpo  vivente.
 Il lessico valorizzato nella civiltà  giudaico cristiana viene scartato, oppure impiegato ma svuotato del suo  senso originale (creando una neolingua). Lo spirito diviene così la  vita, come elemento razziale biologico. E’ impiegata spesso la parola  “destino”: si deve assumere la responsabilità del proprio fondamento  “gettato”. Nascere ariano è un dato, il dovere è corrispondere a ciò che  la nascita ha prodotto. Si insiste sul binomio sangue-terra, come fondo  di essere a cui si è inchiodati. Il culto del corpo vivente, come  veicolo per cui passa la vita, non è ornamentale. Il regime sosterrà  campagne di massa per la salute.
 Per L. si tratta di una metafisica vera e  propria. Viene individuata la nuda vita: ha valore per il fatto che  vive. La sacralizzazione della pura vita è all’opposto della concezione  giudaico cristiana. Dal punto di vista cristiano infatti non è la pura  vita a distinguere l’uomo. Per S. Paolo l’uomo è tripartito: il corpo,  la vita, è l’aspetto con meno valore. Si trova poi una psiche, l’io, che  muore con il corpo. Infine, il pneuma, lo spirito. L’elemento vitale  vegetativo è posto in basso, come l’anima, la funzione ecologica. Lo  spirito invece non è né anima né corpo: è il piano su cui opera la  salvezza.
 L’hitlerismo inchioda invece l’uomo alla  definizione di nuda vita: non dipende da noi, e lungi da  essere una  condizione da cui astrarsi, diventa verità ultima, dato di fatto. La  filosofia hitleriana è metafisica della nuda vita. Il sacro è la vita.  E’ indisponibile, non dipende da noi. La centralità della vita è la sua  specificità fondamentale.
 
 L’eugenetica nazista potrebbe apparire a  questo punto una contraddizione. Si tratta di un’idea con una tradizione  filosofica millenaria. Fu sostenuta da Platone, anche se pochi lo  ricordano. Si teorizza la combinazione sessuale dei migliori nella  Repubblica. L’eugenetica è infatti una grande politica del vivente. Ha a  che fare con la produzione della realtà. L’ultimo Nietzsche, parlando  di “grande politica”, sta pensando proprio alla politica del vivente. Si  tratta di porre tutta la macchina statale in funzione della vita, che è  valore assoluto. Si deve selezionare la vita migliore. L’eugenetica è  la manipolazione della vita per la sua selezione. La selezione naturale  viene fatta proseguire sul piano politico. Il politico si mette al  servizio del processo naturale del vivere. Di per sé, questo è un  processo impersonale che ha come scopo se stesso. La vita vuole solo un  più di vita. L’eugenetica non è in contraddizione con l’hitlerismo. Il  nazismo vuole l’apparato politico al servizio dell’apparato vitale.
 Il vitalismo hitlerista è declinato in  senso razzista dalla filosofia hitleriana. Il razzismo è la  differenza  specifica che qualifica la vita. Prima del nazismo, c’era già un secolo  di pensiero razzista, covato con le colonie e l’imperialismo. Anche lo  sterminio attuato nel III Reich ha delle continuità con le politiche  razziste nelle colonie.
 Per questo abbiamo parlato di “fantasma”  della nuda vita. E’ il fantasma di Hitler. E’ il pensiero di una vita la  cui sola caratteristica è voler vivere. Per i nazisti l’esistenza è  vita. Mai due concetti non necessariamente sono sinonimi. Esistere  implica un rapporto con la vita, ma vivere non è esistere. La  dimostrazione è nel fatto che esistono anche situazioni in cui la vita  può essere vissuta come invivibile. Si sente che quella vita non è tale.  Nei libri dei sopravvissuti dei campi di Auschwitz, si parla ad esempio  del “musulmano”: letteralmente, “colui non ha volontà propria”. E’  sceso al livello della pura biologia, in conseguenza del fatto di essere  stato costretto a vivere una vita impossibile. Esistere non è  riducibile alla vita. Esistere è essere in relazione, rapporto con il  mondo esterno. La vita sana è quella che si realizza in modo  conversativo con l’ambiente esterno. Non si è solo normati, ma si  possiede anche una capacità normativa. L’esistenza ha il senso  dell’atto, la vita è puro fatto, sottoposto a leggi meccaniche. Per  esistere è indubbiamente necessario vivere, ma a questo l’esistenza non  si riduce.
 
 Come afferma Sartre, non sono riducibile  al mio corpo-cosa, ma non sono senza. Io non sono quella cosa,  essendola. Sono il copro, non essendolo. I nazisti vogliono inchiodare a  questa dimensione, così come lo sguardo medico incolto. La distanza fra  esistenza e vita, cioè la trascendenza dal corpo, rappresenta invece la  dignità della persona. Non posso non essere quella cosa, ma non sono  quella cosa. Io non sono riducibile alla vita, ma sono una vita. Questa  si mostra quando ci rendiamo chiaramente conto che la vita non è tutto,  anche senza arrivare a essere un eroe. La vita poi può essere  sacrificata. C’è una qualità superiore che non si può schiacciare a  elemento biologico. Una vita abietta, invece, è quella in cui la  differenza tra esistere e vivere viene annullata.
 
 La filosofia può dare un contributo al  dibattito etico. Può liberarci dal fantasma della vita, salvarci dalla  metafisica della vita. L’essenza dell’hitlerismo, la vita in sé, come  valore assoluto, è del resto un costrutto teorico recente. Il concetto  di un processo impersonale che vuole solo vivere nasce nel XVIII secolo.  Prima si parlava solo di esseri viventi. Sono i filosofi romantici  della natura che leggono Kant in un certo modo, traducendo la pura  volontà come volontà di vivere. Poi si arriverà alla volontà di potenza  di Nietzsche. La nuda vita è così un concetto giovane, e pericoloso.  La  modernità produce il concetto di vita arrivando a ridurre l’esistere a  un fatto, per questo misurabile e sottoponibile a processi di  regolazione politica. Diviene un bene economico: un risorsa scarsa che  deve essere gestita in un certo modo.
 
 Ivan Illich., prete cattolico che  contribuì anche ai lavori del Concilio Vaticano II, dopo essersi  ritirato per dedicarsi solo alla riflessione filosofica, in un discorso  alle chiese luterane degli Stati Uniti, afferma che “il nuovo feticcio  che può distruggere il cristianesimo è la nuda vita”. E’ l’adorazione  del vitello d’oro. I cristiani rischiano di fare il contrario di quello  in cui credono. “Trasformare persone in pura vita è tanto pericoloso  quanto mangiare il frutto di Eva”. L’uomo diventa risorsa economica, un  bene da gestire al servizio della vita. E’ una riduzione di natura atea,  materialistica. Il paradigma vitale diventa materialistico: si nega  l’altro rispetto al fatto biologico.
 Tutta la modernità si caratterizza per la riduzione dell’esistenza a fatto biologico. Anche la Salvezza è ridotta a salute.
 Ciò che è insospettabile è che la  riduzione venga fatta dal pensiero cattolico. Si trova in continuità con  il pensiero ateo materialista. Sostiene il principio  dell’indisponibilità della vita: la vita vuole solo vivere. Su questo  piano la Chiesa difende la cultura del secolo.
 
 La filosofia può fornire in questo caso al  nostro agire un criterio rilevante e oggettivo, che orienta il diritto.  Possiamo affermare oggettivamente che tutte quelle pratiche che  annullano “l’oltre” dell’uomo, la sua dignità, e lo gettano  nell’abiezione, sono pratiche malvagie. Al contrario di tutte le  pratiche che vanno in direzione del “divino”, della somiglianza con  l’assoluto. Il testamento biologico può essere serio. E’ una pratica che  salvaguardia la differenza dell’esistenza con la vita. Il problema può  sorgere per la mancanza di attualità di consenso: chi scrive il  testamento? In realtà a farlo è lo “spirito”, non la vita che vive, ma  chi prende le distanze da questa. E’ così per tutti i testamenti: è un  “non vivo che scrive”. E’ lo spirito.
 Solo con questa pratica, si può negare la filosofia dell’hitlerismo.
 
 * Relatore il filosofo Rocco Ronchi
 
 23/01/12
 Parte II  
 
	
		 
 Modena 2011 “NATURA”
 Lezioni magistrali di:
 
 Christoph Wulf - Educazione
 
   
 Simona Forti - Biopotere
  
  
 Stefano Rodotà - Biodiritto
  
  
 Umberto Galimberti - Corpo
  
 
 
 
	
	
KARL MARX E LA MERCE COME FETICCIO Alfonso M. Iacono*
 
 Marx per un verso e Freud per un altro operarono uno spostamento epistemologico, ponendo il punto di vista dell'osservatore all'interno del contesto di osservazione. Questo spostamento, tuttavia, non produce, per così dire, un ritorno all'innocenza perduta dell'osservatore. Il volgere dello sguardo occidentale dall'altro a sé, in quanto altro, che permea una parte rilevante della riflessione del XX secolo sul feticismo, piuttosto che rimettere le cose a posto dopo il malinteso originario, le complica ulteriormente. (...) Dopo Marx e Freud, cioè dopo lo spostamento dell'osservatore all'interno della cultura occidentale, la nozione di feticcio ha in un certo senso accresciuto la sua problematicità (e difficoltà) epistemologica. In un sistema-mondo dove le merci pervadono le relazioni simboliche e i rapporti umani ormai su scala planetaria, diventa estremamente difficile prescindere da ciò ogni qual volta si cerca una definizione di feticcio. (da A.M. Iacono, Storia, verità e finzione, Roma, Manifestolibri, 2006, pp. 147-149)
 * Professore ordinario di Storia della filosofia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pisa, di cui è Preside, e direttore scientifico del Laboratorio Ichnos istituito presso la stessa facoltà. Nelle sue ricerche ha indagato criticamente la formazione dei sistemi di pensiero e di rappresentazione sociale cruciali nello sviluppo dell'ideologia e dell'identità politica moderna: tra di essi, le figure della produzione economica, il concetto di feticismo, la costruzione della soggettività, il rapporto tra autonomia e minorità, le teorie della complessità, i concetti di mimesis e di rappresentazione.
 
 Conferenza registrata il 14/6/11 presso Fondazione Collegio San Carlo di Modena durante la rassegna di Alti Studi Scienze della Cultura  - “Il desiderio e l'illusione”
 
 
 
	
	
Lezione Magistrale
 NUOVI MONDI: TECNOLOGIA A MISURA D'UOMO
 Mali e opportunità delle nuove tecnologie
 di Franco Bolelli*
 
 presenta lo scrittore Davide Bregola
 
 
  Le riflessioni del filosofo
  
 L'incontro con il pubblico
  
 
 * Filosofo e scrittore, Franco Bolelli vive a Milano e parla di frontiere avanzate, mondi creativi, nuovi modelli umani. Ha progettato e messo in scena festival sperimentali e pop, come FRONTIERE, tra filosofia, rock e nuove tecnologie. Ha pubblicato numerosi libri, tra cui “Vota te stesso” (1996), Live (1998), Più mondi (2002), Cartesio non balla. Definitiva superiorità della cultura pop (quella più avanzata) (2007), Viva Tutto, in collaborazione con Jovanotti (2010).
 
 in collaborazione con il Museo della Bilancia e Biblioteca di Campogalliano (17 aprile 2011)
 
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