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I GIORNI DEL G8 DI GENOVA DEL LUGLIO 2001
Genova, i giorni della manifestazione contro il G8 2001 Voci dalla notte più buia della città. Le telefonate tra le forze dell’ordine e le richieste d’aiuto.
G8 di Genova, il giorno dopo l’apertura del processo agli agenti Audio tratto dalla trasmissione “Reporter24” condotta da Alessandro Milan del 18/1/07 sulla sparizione delle molotov. Con Vittorio Agnoletto Europarlamentare PRC e Senatore Alfredo Biondi (FI)
Cronistoria dei fatti con articoli tratti da “La Repubblica”, “Il Manifesto”.
I GIORNI PRECEDENTI
(19 luglio 2001) “La Repubblica”
Intervista al ministro dell'Interno Claudio Scajola "Garantiremo
l'ordine pubblico con elasticità … Siamo preoccupati per alcuni gruppi
in arrivo dalla Grecia … Genova blindata? Sì, ma anche bella e rimessa
a nuovo" ROMA
- Nessuna ripresa del terrorismo. Il ministro dell'Interno, Claudio
Scajola, nel giorno delle lettere bomba recapitate in diverse città
d'Italia e alla vigilia del vertice di Genova, assicura che non c'è
nessun disegno eversivo tale da far parlare di un ritorno agli anni di
piombo.
E' comparso anche un volantino firmato Brigate Rosse, ministro. La preoccupa? "Dubitiamo della sua attendibilità". E allora qual è secondo il Viminale la pista da seguire? "Pensiamo
che gli episodi delle ultime ore siano riconducibili a un unico filone
anarchico-insurrezionalista. Ma dallo stesso nome con cui viene
indicato si capisce che ci troviamo in presenza di un universo diviso,
frastagliato, non un fronte unico". Stesso filone anarchicoinsurrezionalista, lei dice. Con quale obiettivo? "Tenere
alta la tensione, naturalmente, rendere più difficile la gestione
dell'ordine pubblico, cercare di costruire qualche incidente in
occasione del G8. Ma insomma, non tale da creare allarme". Avete qualche elemento specifico per poter indicare questa area particolare? "Le
forze dell'ordine stanno svolgendo un compito di notevole intelligence:
abbiamo elementi precisi e si seguono piste precise". E non si corre il rischio che mentre Genova viene blindata, le forze eversive sferrino il loro attacco altrove? "Noi
non controlliamo solo Genova. Ad oggi abbiamo respinto alla frontiera
850 persone, stiamo operando in piena collaborazione con le forze di
polizia degli altri paesi del G8 e dei paesi confinanti con l'Italia.
Abbiamo qualche preoccupazione in più per alcuni esponenti che stanno
arrivando in queste ore dalla Grecia, ma è in atto un'operazione di
controllo del territorio complessiva, tant'è vero che sono state
portate a compimento azioni di polizia anche importanti su altri
fronti. Penso all'operazione di Ercolano: c'era stato un appello del
sindaco la settimana scorsa, abbiamo mandato sul posto forze speciali
che hanno sgominato bande di camorra importanti, effettuando sette
arresti. Questo a dimostrazione che il resto d'Italia non è rimasto in
alcun modo sguarnito. Le forze in più che abbiamo mandato a Genova
fanno parte di una riserva che è stata costruita senza alleggerire
altre zone d'Italia". Dopo l'esperienza di Goteborg, ci sono gruppi antiglobalizzazione che ritenete di dover temere in modo particolare? "Abbiamo contato seicento sigle differenti". E' difficile, cioè, trovare un interlocutore unico? "Se
pensa che queste seicento sigle sono in parte italiane, parte si
ripetono tali e quali all'estero, alcune sono presenti solo in altri
paesi e non da noi... una mappatura è difficilissima. C'è un fenomeno
non organizzato che trova il suo comune denominatore in questo momento
di crisi di tutte le altre ideologie falsificando la globalizzazione e
dandone un taglio semplicistico: da una parte i ricchi dall'altra i
poveri, da una parte i cattivi dall'altra i buoni. Questo ha unito
sigle spontanee, pasticciate, dove c'è un po' di tutto, pacifisti,
pacifisti cattolici, ecologisti: per carità, assolutamente spontanei e
sinceri nelle loro valutazioni. A questi, però, si mescolano i soliti
gruppi di provocatori storici, frange di disoccupati organizzati e dei
centri sociali, nuovi esponenti dell'estremismo anarchico, che cercano
di gestire questa fase pensando di esserne i protagonisti. Stiamo
tenendo gli occhi bene aperti". La politica italiana sul tema della globalizzazione non si è divisa. Un dato importante. "Quello
che è emerso con particolare evidenza in questi ultimi due giorni è il
dato della sinistra italiana. Che passa al movimentismo, partecipa alle
manifestazioni dopo aver essa stessa indetto e organizzato il G8 quando
era ancora al governo. Al di là di questo travaglio interno,
inequivocabile, guardando gli atti in Parlamento, però, la linea del
governo sul G8 a partire dal giorno della fiducia e dall'emendamento
che stanzia tre miliardi per l'accoglienza, è passata a stragrande
maggioranza". Casarini,
il leader delle tute bianche, ha detto: noi siamo per la non violenza,
ma entreremo nella zona rossa. Una sfida in piena regola. "Vedono l'ingresso nella zona rossa come un simbolo". Ma quale sarà la risposta delle autorità? "Le
disposizioni che hanno ricevuto le autorità di pubblica sicurezza sono
di gestire l'ordine pubblico con la massima serenità per garantire che
non vi siano né provocazioni né incidenti. La piazza si gestisce con
molta elasticità e le forze dell'ordine sanno gestirla". A sentirla, ministro, la si direbbe tranquillo. E' davvero così? "E' così, sì. Ma sa, io sono per natura uno che ha sempre creduto nell'intelligenza degli uomini, da qualunque parte stiano". ….
I GIORNI DEL G8: LA MORTE DI CARLO GIULIANI (20 luglio 2001) LA Repubblica
Bruno Abile, fotografo, spiega la dinamica della tragedia "Colpi esplosi da una jeep dei carabinieri" Un testimone racconta: "Così gli hanno sparato"
GENOVA
- Il corpo del ragazzo ucciso in via Caffa è ancora immobile, la
polizia e i carabinieri formano un cordone tutto intorno. La gente
preme, urla, piange e in molti raccontano la loro versione. I primi
testimoni sono due ragazze, due volontarie del Gsf, che sono state le
prime a cercare di prestare soccorso al ragazzo ucciso. Le
loro parole sono frammentarie: "Ha perso la vita in seguito a due colpi
in pieno volto: sulla fronte una ferita lacero contusa profonda,
all'altezza di uno zigomo un foro circolare, simile a quelli provocati
da colpi d'arma da fuoco". La ragazza ha riferito che il giovane morto
portava un passamontagna nero. "Sono stata io a levarglielo e ho visto
quelle ferite". Erano da arma da fuoco? "Non lo so, so solo che quel
ragazzo quando siamo arrivati era appena morto. Aveva gli occhi azzurri
e perdeva molto sangue dalla bocca. Qualcuno gli ha fatto un massaggio
cardiaco, ma inutilmente".
Poi
arriva il racconto di Bruno Abile, fotografo freelance di Parigi che
fornisce molti dettagli sulla vicenda: "Ho sentito due colpi. Pensavo fossero
in aria invece ho visto cadere un ragazzo. Intorno alle 17.30 il grosso
dello schieramento di polizia in via Tolemaide ha cominciato a tornare
indietro rapidamente fino a fermarsi all'altezza del cavalcavia della
ferrovia in corso Torino. Trecento manifestanti hanno seguito la
polizia, mentre molti da dietro gridavano 'è una trappola'". "Io
sono andato dietro ai manifestanti - aggiunge - tranquillo e in un
piccolo vicolo a sinistra ho visto 30-40 carabinieri con gli scudi. La
polizia ha sparato i lacrimogeni. I carabinieri del vicolo invece non
hanno sparato, ma si sono spostati indietro di una ventina di metri
correndo in disordine sino a piazza Alimonda. Qui c'erano un furgone e
due jeep che sono subito partite. Una jeep si scontrata contro un
cassonetto. E non è riuscita a ripartire. A bordo c'erano un autista e
due persone. Sei o sette manifestanti si sono avvicinati e hanno
gettato sassi da cinque o sei metri. Poi hanno cominciato a colpire la
macchina con i bastoni". "I
poliziotti erano fermi a venti metri - conclude il fotografo - Io non
capivo perché non andavano ad aiutare i carabinieri. Mentre
fotografavo, ho visto un uomo in divisa senza scudo, forse un
ufficiale, che impugnava una pistola. Ho sentito due colpi. Pensavo
fossero in aria invece ho visto cadere un ragazzo. Il proiettile gli è
entrato nell'occhio destro e il sangue zampillava dall'occhio".
l dramma in via Caffa la vittima è un ragazzo italiano. Testimoni accusano: "Hanno sparato i carabinieri" Tragedia a Genova ucciso un manifestante
di ANDREA DI NICOLA
GENOVA
- Un ragazzo italiano, Carlo Giuliani, riverso sul selciato davanti
alla chiesa di Nostra signora del rimedio, sul volto ancora il
passamontagna a coprire i capelli biondicci radi e la barbetta
anch'essa rada. Il morto, che era stato sfiorato a Goteborg a Genova,
si materializza intorno alle 17,20 di una giornata di battaglia con una
chiazza di sangue sotto la nuca del giovane colpito da due
pistolettate. La vittima aveva 23 anni, era di Roma, ma risiedeva a
Genova da qualche anno, figlio di un noto sindacalista. Attorno
al suo corpo, steso sul selciato, un cordone di poliziotti e
carabinieri in assetto da battaglia a coprire quel volto sfigurato
dalla morte. Attimi di gelo nella piazzetta dove fino a pochi minuti
prima si sentivano le urla e i colpi dei fall che sparavano lacrimogeni
a ripetizione, gli schiocchi delle pietre che volavano sui caschi e
sugli scudi dei poliziotti e dei carabinieri. Una
questione di attimi e il budello di stradine del quartiere Foce,
intorno a via Caffa, diventa un macello. I contestatori rinforzano le
loro cariche, le forze dell'ordine si ritirano ma una camionetta di
carabinieri resta intrappolata nella stradina resa ancora più stretta
da un bidone della spazzatura rovesciato per terra. Gli
assalitori circondano la jeep e la assalgono: il ragazzo con il
passamontagna nero ha in mano un estintore rosso, dalla camionetta un
militare tira fuori la pistola e spara, si sentono almeno due colpi, il
ragazzo si accascia ma nella bolgia nessuno pensa a qualcosa di così
grave. Il giovane, in fin di vita, finisce sotto la camionetta. I
poliziotti caricano per tirare fuori i loro colleghi dall'impiccio nel
quale sono finiti. La
battaglia continua intorno al corpo del ragazzo morente tanto che un
poliziotto, sfinito dallo stress della giornata butta via lo scudo: il
suo modo per dire basta a questa lunga sequela di follie di cui la
battaglia intorno al corpo di un giovane morto è stata solo la più
grave. Alla
fine i contestatori vengono ricacciati indietro mentre i medici del
Genova social forum accorrono. "C'è lì uno ferito da una pietra dei
suoi amici", dice un celerino. Claudia, l'infermiera tedesca, arriva
sul corpo del ragazzo gli toglie il passamontagna e nota "un foro
piccolo sulla fronte, nessun segno sul corpo". Tenta un impossibile
massaggio cardiaco, chiede dell'ossigeno che non si trova, vuole un
medico ma sull'ambulanza accorsa non c'è. Claudia
e una sua collega tentano fino alla fine di tenere il giovane attaccato
alla vita, ma si devono arrendere. Il giovane è morto fra le pietre, i
vetri, i candelotti lacrimogeni. Poliziotti e carabinieri formano un
cordone intono al corpo riverso nel sangue, cercano di non far vedere,
di coprire il più possibile i due buchi sulla faccia del ragazzo.
Vogliono
evitare che i suoi compagni lo vedano e che i giornalisti vedano.
Intorno, sul sagrato, giovanissimi dal volto scoccato piangono,
insultano. "Assassini", "Ridete, assassini". Ogni movimento del blocco
di poliziotti e carabinieri viene sottolineato dagli applausi ironici.
Ma la tensione cresce. Carabinieri
e polizia sembrano indecisi ma devono presidiare quel corpo mentre
intorno si fa strada la versione delle pistolettate. "Ho registrato
tutto dice Paolo, giovanissimo, casco in testa e videocamera digitale
in mano ho le immagini" e scappa per evitare che gli sequestrino la
prova. Anche un signore che abita in zona racconta: "L'ho visto sparare
anche se i ragazzi avevano assaltato la camionetta e i carabinieri se
la stavano vedendo brutta". Passa
poco tempo, insomma, e si capisce che la prima versione ("è stato
colpito da una pietra") non regge. E questo fa salire ancora la
tensione. Un furgone del Comune viene a prendere quel povero corpo dopo
che il procuratore capo era passato, sfidando la sassaiola, a vederlo.
Pratica necessaria quando c'è di mezzo un morto. Quando il furgone va
via i giovani avanzano, vogliono per loro quell'angolo di strada dove
ormai c'è solo un mucchio di segatura a coprire il sangue. Le
forze dell'ordine capiscono. Iniziano lentamente una ritirata fra le
pietre che cominciano a volare e rispondono sparando lacrimogeni.
Praticamente di corsa si vanno a ritirare dietro le grate di ferro. Si
lasciano dietro un quartiere distrutto, una coperta di pietre e vetri
di bottiglie ed anche un ragazzo morto.
I GIORNI DEL G8: IRRUZIONE NOTTURNA ALLA SCUOLA DIAZ
(25 luglio 2001) La Repubblica
Il capo della Polizia Gianni De Gennaro: "Genova servirà da esempio per i futuri vertici. Alla Diaz siamo stati attaccati … Non abbiamo nulla da rimproverarci"
ROMA
- Non lo dice esplicitamente, ma il senso delle parole del capo della
polizia Gianni De Gennaro si può riassumere così: non abbiamo nulla da
rimproverarci. Non la gestione della manifestazione "che servirà da
esempio ai futuri vertici"; non il blitz della scuola Diaz, "era una
normale perquisizione trasformata in un'operazione di ordine pubblico
dal comportamento violento degli occupanti"; non l'episodio che ha
provocato la morte di Carlo Giuliani, "il carabiniere ha sparato per
legittima difesa". Ovvio che la conclusione dell'analisi del capo della
Polizia non può essere che una: "Non ho mai pensato di dimettermi".
Il
Tg5 realizza l'ennesimo scoop di questo G8 e manda in onda l'intervista
del suo direttore Enrico Mentana con il capo della Polizia. Gianni De
Gennaro fino ad oggi non aveva mai parlato. Di lui invece si era
parlato molto. E adesso tocca a lui spiegare e analizzare le violenze
di Genova. "Avevamo tre esigenze: proteggere il summit, consentire la
manifestazione, garantire la sicurezza ai cittadini di Genova" attacca
De Gennaro. Centrato il primo obiettivo, meno gli altri due. Di chi è
la colpa? "Di un migliaio di violenti, dai Black Bloc agli anarchici
insurrezionalisti, a coloro che hanno cercato lo scontro con le forze
di polizia" replica De Gennaro. Mentana
arriva alla morte di Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola
mentre assaliva una camionetta dei carabinieri. De Gennaro la vede
così: "Le immagini rendono l'idea di un'aggressione violenta e di una
condizione di assoluto pericolo per il carabiniere". Le responsabilità
semmai vanno cercate nel tentativo di un gruppo di manifestanti "più
violenti" che hanno cercato di "sfondare la zona rossa e hanno
aggredito le forze dell'ordine". Poi
tocca al blitz nella sede del Gsf. Quelle immagini che hanno fatto il
giro del mondo: poliziotti in assetto di guerra, ragazzi portati fuori
in barella, macchie di sangue ovunque. De Gennaro però anche stavolta
non ha dubbi: "Era una semplice operazione di identificazione di alcune
persone che si è trasformata in un'azione di ordine pubblico perché gli
agenti sono stati attaccati". Nessun errore dunque, nessun abuso, al
massimo, concede De Gennaro, "eccessi da parte di singoli" che
un'indagine della Polizia servirà ad accertare "se saranno verificati".
Di sicuro però, e su questo il capo della Polizia non sente il bisogno
di verifiche, non ci sono stati "errori di valutazione o di
comportamento collettivo".
I GIORNI DEL G8: GLI ARRESTATI ALLA CASERMA DI BOLZANETO
(5 agosto 2001) La Repubblica
I magistrati genovesi hanno ormai raccolto testimonianze abbondanti e concordanti su quanto è accaduto nella caserma. Bolzaneto, l'accusa dei pm "Fu un luogo di tortura" Il problema è individuare i singoli responsabili delle sevizie. Chiunque poteva entrare e picchiare?
di MARCO PREVE
GENOVA
- Nell'inchiesta giudiziaria sui fatti di Bolzaneto entra la parola
tortura. Imputazione che non esiste nel nostro codice penale ma che,
sostanzialmente, potrebbe essere contestata ai picchiatori della
caserma attraverso un concorso di reati, dalle lesioni alla violenza
privata aggravati dall'"aver adoperato sevizie o l'aver agito con
crudeltà". Accuse cementate da un articolo del codice - citato in
conferenza stampa dal procuratore capo Francesco Meloni - che è il 608,
quello che punisce gli abusi dell'autorità nei confronti di persone
arrestate o detenute. Davanti alle telecamere nessuno si sbilancia, ma
quando le porte si chiudono i magistrati, non possono nascondersi che
"anche se siamo all'inizio del lavoro, i racconti delle violenze, le
testimonianze fotocopia di decine di persone che in ore e in giorni
diversi sono transitate nel carcere del G8, fanno pensare a un metodo
sistematico di torture, a vere e proprie violazioni dei diritti
dell'uomo". Detenuti costretti a stare in piedi anche per 15/16 ore,
divieto di andare in bagno, manganellate sotto le piante dei piedi,
teste sbattute contro i muri, calci, insulti, offese (l'avvocato
Simonetta Crisci annuncia una denuncia anche per violazione della legge
Mancino sul razzismo), filastrocche naziste cantate dai carcerieri o
fatte cantare a suon di sberle ai detenuti, medici che a gente con la
testa rotta dicevano "abile e arruolato". Le stesse storie su decine di
verbali italiani, tedeschi, svizzeri, inglesi.
Non
siamo stati noi, dissero a turno i poliziotti del Reparto Mobile e gli
agenti della polizia penitenziaria presenti, in numero consistente,
anche con le teste di cuoio del Gom. "Quando sono stato a Bolzaneto
nella notte di sabato e ho visitato personalmente l'area detentiva, non
ho visto nulla di irregolare" disse il ministro di Grazia e Giustizia
Roberto Castelli, e tutto si svolse con assoluta normalità anche per i
responsabili in loco della struttura, Alessandro Perugini funzionario
Digos, Anna Poggi vicequestore aggregato, e pure per Alfonso Sabella,
magistrato e alto dirigente del Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria che l'altro giorno in procura è stato sentito, e ha
portato i primi registri con gli elenchi del personale impiegato nei
vari turni.
Anche
se i pm Monica Parentini, Patrizia Petruzziello, Enrico Zucca e
Francesco Pinto ripetono fino alla noia che per ora stanno raccogliendo
le testimonianze di chi è passato nella caserma di via Sardorella, si
intuisce che dietro all'ennesimo scaricabarile tra le forze dell'ordine
potrebbe esserci di nuovo la confusione, l'anarchia che ha generato
anche il pasticcio del blitz alla Diaz. Perché è vero che a Bolzaneto
c'era chi comandava, ma, sembra emergere dalle prime ricostruzioni, i
regolamenti sarebbero stati riscritti. Ad esempio, le severe norme che
regolano l'ingresso in una struttura carceraria anche per gli
appartenenti alle forze dell'ordine, nei tre giorni di delirio del G8
vennero cancellati. Negli stanzoni dei reclusi entrava chiunque. Gli
agenti della penitenziaria avrebbero aperto le porte anche a chi non
era autorizzato. Bastava appartenere all'armata dei bravi ragazzi,
essere "uno di noi", poi si poteva picchiare, insultare, oppure
semplicemente (e tanti lo hanno fatto) guardare. Nelle
prime denunce presentate alla procura e dai tantissimi stralci degli
interrogatori di convalida trasmessi dai gip ai piemme, la descrizione
delle violenze e dei soprusi, si comincia sempre con le botte, si
prosegue con forme di detenzione che sfiorano il sadismo, e si finisce
con insulti e offese quasi sempre di natura politica (Che Guevara
bastardo, inni a Pinochet, per i comunisti è finita, e via di seguito).
A differenza di quanto accaduto alla Diaz, dove è difficilissimo
riuscire a individuare i singoli agenti responsabili delle violenze, a
Bolzaneto questo compito potrebbe risultare più semplice una volta
ricostruito l'organigramma e gli orari del personale indicato nei
registri dei turni. E per riuscire a definire anche le responsabilità
dei vari corpi il pool di pm ha fatto acquisire tutte le divise
indossate nei giorni del summit dai poliziotti, dagli agenti
penitenziari e anche dai carabinieri che, in numero ridotto, erano
presenti anche loro. Inoltre,
il video che un consulente ha filmato l'altro ieri nel corso del
sopralluogo dei magistrati con tre dei ragazzi che hanno presentato
denuncia, servirà durante gli interrogatori per far indicare ai
testimoni i luoghi delle violenze. Una scelta decisa per evitare a
tanti un traumatico ritorno nella prigione della paura.
(8 agosto 2001) La Repubblica
Acquisite oggi dalla Commissione parlamentare le relazioni degli investigatori del Viminale "Alla caserma di Bolzaneto atti sporadici di violenza" Montanaro: "In caserma la disorganizzazione può aver scatenato la violenza degli agenti" ROMA
- E' verosimile che nella caserma di Bolzaneto gli arrestati abbiano
subito violenze da parte degli agenti di polizia. L'udienza della
commissione d'indagine parlamentare di oggi - che vede l'audizione del
capo della polizia Gianni De Gennaro ma anche l'acquisizione delle
relazioni dei superispettori inviati a Genova dal Viminale per indagare
sugli episodi di violenza durante il simmit del G8 - conferma le
notizie trapelate nei giorni del "licenziamento" dei tre
superpoliziotti da parte del ministro Scajola. Il disastro
organizzativo avrebbe mandato in confusione gli agenti delle forze
dell'ordine scatenando episodi di violenza e abusi sui manifestanti
fermati.
All'attenzione
della Commissione parlamentare è stata soprattutto la relazione del
super ispettore Salvatore Montanaro, che ha indagato sugli episodi
della caserma di Bolzaneto. Queste le conclusioni, al termine delle
molte pagine consegnate: "A parte il lungo e pesante disagio sopportato
dai fermati per l'espletamento delle pratiche di rito, non può
escludersi il verificarsi di sporadici atti di rudezza facilitati dalla
situazione di estrema tensione". E Montanaro, che chiede tra l'altro
provvedimenti disciplinari nei confronti di alcuni funzionari
ascoltati, aggiunge: "Risulta però estremamente difficile, al momento,
individuare precise responsabilità personali anche a causa delle
condizioni fisiche di quasi tutti i fermati, determinate dagli scontri
o dalla perquisizione subita". La
violenza sarebbe stata provocata soprattutto dalla mancanza di
organizzazione: Montanaro parla di totale e inequivocabile incapacità
di gestire l'emergenza; di inosservanza diffusa dell'obbligo di
relazionare; di una gestione caotica e separata della situazione da
parte delle forze dell'ordine che hanno agito come "corpi separati"; di
scorrettezza della compilazione dei verbali d'arresto e di
inadeguatezza della struttura.
Una
relazione dura, impietosa nei confronti dei colleghi come pure quella
dell'ispettore Pippo Macalizio, inviato a Genova per indagare sul blitz
alla scuola Diaz. Macalizio punta il dito sui troppi uomini impiegati a
fronte di solo 93 manifestanti trovati nella scuola, e sulla mancanza
di un responsabile designato a coordinare i 275 agenti della polizia
criminale, polizia di prevenzione e squadra mobile. Ma smentisce che
possa essersi trattato di rappresaglia, come i manifestanti hanno
denunciato. "Nessuno degli uomini impiegati nel blitz - scrive
l'ispettore - ha dimostrato di voler infierire sui giovani che erano
presenti nella scuola". Resta
il fatto che, emerge dalla relazione, delle 93 persone trovate ben 62
sono state ricoverate in ospedale dopo l'intervento della polizia: il
24% con prognosi fino a 5 giorni; il 36% da 6 a 10 giorni; l'11% da 11
a 20 giorni; il 18% da 21 a 40 giorni; il 5% con prognosi riservata.
I GIORNI DELLE INDAGINI: PRIME VERITA’ SULLA DIAZ FALSE LE MOLOTOV E LE COLTELLATE AI POLIZIOTTI
(1 agosto 2002)
Genova, una nuova super-prova smentisce i vertici della Ps. Mostra i capi della polizia col sacco delle molotov G8, un video-verità sull'irruzione alla Diaz
di MASSIMO CALANDRI
GENOVA
- Quello sulla sinistra, che sembra reggere il sacchetto azzurro con
dentro le molotov, è Giovanni Luperi, braccio destro del prefetto
Arnaldo La Barbera. Sta parlando con Spartaco Mortola, l'ex capo della
Digos genovese, a un passo da loro c'è l'autista del furgone Magnum, il
"pentito" che ha confessato d'aver portato le bottiglie incendiarie
dentro la scuola per ordine del vice-questore Pietro Troiani. E poi gli
altri, tutti insieme: Francesco Gratteri e Gilberto Caldarozzi, numero
1 e 2 dello Sco, il capo della Celere Vincenzo Canterini, il vicario
Lorenzo Murgolo. La Barbera è distante qualche metro dal capannello,
Troiani si è appena allontanato, manca solo Massimiliano Di Bernardini.
Poi, qualcuno che regge un casco con l'altra mano apre il sacchetto, i
presenti guardano all'interno. Luperi telefona col cellulare, sembra
quasi chiedere consiglio ad uno sconosciuto interlocutore. Eccolo,
il video-verità sulla Diaz: pochi secondi che smascherano i funzionari
di polizia, gli stessi che fino a ieri giuravano di averle viste solo
all'interno dell'istituto (o addirittura di non averle viste affatto),
le molotov. I pm l'hanno ribattezzato "Blue sky", ironizzando sul
sacchetto azzurro. Un filmato che, se ancora non dimostra che tutti
erano a conoscenza della falsificazione delle prove, tuttavia sbugiarda
in maniera clamorosa i vertici della Polizia di Stato e sottolinea un
dato di fatto: il falso e la calunnia, almeno nella redazione del
verbale di arresto dei 93 no-global e di sequestro delle fantomatiche
armi, ci sono stati.
I
difensori degli imputati giocano in difesa: "Bisogna stabilire ancora
quando il video è stato girato: all'inizio, durante o al termine della
perquisizione? Perché se l'ipotesi giusta è la terza, allora siamo al
massimo di fronte ad un 'difetto di memoria' di alcuni funzionari". In
Procura rispondono con un sorriso: le bottiglie incendiarie,
paradossalmente, non sono che uno dei tanti "errori" commessi nel corso
di un'operazione folle. E che dire delle false coltellate al giubbotto
di un agente per "giustificare" il pestaggio dei manifestanti, o del
presunto lancio di pietre che è poi il motivo dell'irruzione, o ancora
di quegli "strani" feriti tra gli agenti protagonisti del blitz, per
non dimenticare il ritrovamento di spranghe e picconi così simili agli
arnesi da lavoro scomparsi da un cantiere vicino alla Diaz? I
racconti dei funzionari sarebbero zeppi di contraddizioni ma
soprattutto partirebbero da un presupposto difficilmente credibile: che
i super-poliziotti abbiano avuto un ruolo defilato nell'intervento e,
di conseguenza, nell'elaborazione delle "prove". La squadra speciale
della Mobile genovese, cui è stato affidato il compito di svolgere
alcuni accertamenti sulla vicenda, è stata rafforzata nel numero. In
ballo adesso c'è una verifica delicatissima ordinata dai magistrati:
attraverso i tabulati dei cellulari in uso ai funzionari indagati si
dovrà risalire alle telefonate fatte la notte del blitz in via Cesare
Battisti, scoprendo in particolare con chi stava parlando - osservando
le molotov - Giovanni Luperi.
I GIORNI DEI PROCESSI: A GIUDIZIO LE FORZE DELL’ORDINE
(14/12/04) La Repubblica
Genova, rinviati a giudizio 28 poliziotti della scuola Diaz
GENOVA
- Sono stati rinviati a giudizio 28 poliziotti per l'irruzione nella
scuola Diaz durante il G8. Lo ha deciso stamani il gip Daniela Faraggi
accogliendo la richiesta dei sostituti procuratori Enrico Zucca e
Francesco Cardona Albini. Fissata
anche la data della prima udienza: il prossimo 6 aprile presso la terza
sezione del Tribunale. I capi di imputazione sono abuso, calunnia,
concorso in lesioni gravi e falso. Tra gli imputati che dovranno
rispondere delle accuse, l'ex capo della Digos di Genova Spartaco
Mortola; Francesco Gratteri, all'epoca dei fatti capo dello Sco e ora
al vertice dell'antiterrorismo; Nando Dominici, già capo della Squadra
Mobile di Genova; Giovanni Lupperi, all'epoca del G8 vice capo
dell'Ucigos; Vincenzo Canterini, comandante del Settimo Nucleo
Sperimentale di Roma; Gilberto Caldarozzi, vice di Gratteri durante il
G8; Michelangelo Fournier, all'epoca vice di Canterini; il vice
questore Pietro Troiani; Fabio Ciccimarra, vice questore aggiunto di
Napoli; Carlo Di Sarro, vice questore aggiunto di Genova. L'
accusa di falso, riguarda le due bottiglie molotov trovate nella scuola
poi risultate false prove della polizia per giustificare gli arresti, e
l'episodio della falsa coltellata, secondo i pm, che un poliziotto
sostiene di aver ricevuto nella scuola da un manifestante rimasto
sconosciuto. Si
tratta della prima richiesta di giudizio sull'irruzione nella scuola
Diaz di Genova quando 93 no global furono arrestati e feriti, anche
gravemente, da agenti di polizia. Il rinvio a giudizio è stato deciso
dopo tre anni di indagini e sei mesi di udienza preliminare.
Per
gli avvocati difensori la scelta del giudice era nell'aria da tempo.
Luigi Ligotti, difesore di Francresco Gratteri: "E' stata una decisione
che non ci ha particolarmente sorpreso". Per
nulla sorpreso si è detto anche l'avvocato Silvio Romanelli, legale di
Vincenzo Canterini: "Non c'era nessuna aspettativa di altro genere sia
per il numero degli imputati sia per l'importanza del G8. Sarebbe stato
utopistico pensare che in sede di udienza preliminare il giudice
potesse scegliere diversamente". Amareggiato
l'avvocalto Piero Porciani, difensore di quattro capisquadra: "Non sono
stupito della sentenza odierna. Sono molto amareggiato che ragazzi che
hanno fatto il loro dovere si trovino in questa situazione. Hanno
eseguito solo gli ordini". Laconico
invece il commento dell'avvocato di parte civile Riccardo Passeggi:
"Non faccio commenti sui processi in corso. Stiamo ai dati concreti e i
dati concreti dicono che la tesi accusatoria ha passato il vaglio
dell'udienza preliminare e quindi ci sono gli elementi idonei a
sostenere l'accusa in giudizio. Faremo si che questi elementi portino
ad una sentenza di condanna". Il
ministro dell'Interno Pisanu ha commentato il rinvio a giudizio dei 28
poliziotti ricordando che "siamo appena all'inizio della fase
processuale" e che, comunque, "l'imputato non è considerato colpevole
sino alla condanna definitiva, come dice la nostra Costituzione". Il
ministro si è poi detto certo che "Il processo è nell'interesse di
tutti e, in primo luogo, della Polizia di Stato, che è in grado di
affrontare e superare anche questa prova". Il
ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, ha espresso solidarietà
agli agenti rinviati a giudizio: ''Quelli furono giorni terribili e
nella città furono compiute azioni di guerriglia contrarie ad ogni
forma di democrazia. Genova fu letteralmente assediata da frange di
violenti e le forze di polizia furono chiamate a svolgere un lavoro
molto delicato. Oggi 28 agenti, tra questi anche funzionari e
dirigenti, sono stati rinviati a giudizio. Ho fiducia nel lavoro dei
magistrati".
I GIORNI DEI PROCESSI: LA SPARIZIONE DELLE PROVE E LE PRIME AFFERMAZIONI
(26/01/07) Il Manifesto Genova Il tribunale ordina un'inchiesta contro ignoti: com'è stato possibile «perdere» il corpo del reato? Diaz, senza molotov il processo non si ferma
Simone Pieranni
Il
processo Diaz continua: la sparizione delle due molotov non ferma il
cammino del dibattimento. Comincia in parallelo un'indagine sulle
ragioni e le cause della scomparsa. L'ordinanza emessa ieri dal
tribunale di Genova non lascia scampo alle difese dei poliziotti e
ridicolizza la questura genovese: la stessa corte si riserva di
accertare le ragioni dello smarrimento o della distruzione (per
errore??) «di un corpo di reato di simile importanza». Per il
presidente del tribunale Gabrio Barone le testimonianze, le foto e le
perizie della scientifica bastano e avanzano per proseguire il processo
contro i 29 tra dirigenti, funzionari e agenti di polizia accusati di
lesioni, abuso d'ufficio, falso e calunnia, in relazione all'assalto
alla scuola Diaz del 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova.
Poco
prima che la corte si riunisse in camera di consiglio, era stato il pm
Enrico Zucca ad agitare un'udienza già tesa in partenza. Rispondendo
alle accuse della difesa rivolte contro la procura - che non avrebbe
mostrato il decreto di sequestro delle molotov - ha ricordato la
possibilità che alcuni degli attuali imputati potrebbe aver concorso
alla sparizione delle due molotov. Un riferimento che in molti hanno
inteso verso Spartaco Mortola, allora capo della Digos e Nando
Dominici, dirigente della squadra mobile di Genova, ancora in carica
nei propri ruoli genovesi nei giorni che precedettero la scomparsa
delle molotov: in serata con un comunicato l'avvocato di Mortola,
Maurizio Mascia, ha respinto le accuse. Il
documento della questura di Genova depositato ieri in tribunale tenta
di descrivere l'iter delle due bottiglie incriminate, con una premessa
che sembra trovarsi concorde con le difese degli imputati, secondo la
quale le molotov non sarebbero tra gli atti del procedimento Diaz,
ribadendo la tesi assolutoria dei poliziotti imputati. Quelle molotov
alla questura risultano ad oggi «sequestrate» alla Diaz e a carico dei
93 arrestati, come non ci fossero mai state indagini. Nel documento si
giustifica l'assenza attraverso una cronistoria che si ferma a
settembre: il 6 agosto 2001 le molotov sono repertate all'interno del
fascicolo contro i 93 manifestanti pestati e poi arrestati; il 16
agosto le prende in consegna l'artificiere Marcellino Melis e le porta
in questura: è la prassi per il materiale ritenuto potenzialmente
pericoloso; il 28 agosto vengono portate alla polizia scientifica: i
tecnici devono effettuare i rilievi per le impronte digitali; il 10
settembre 2001 la scientifica trasmette i rilievi a Dominici, dirigente
della squadra mobile di Genova, che li invia alla Procura; tra il 9 e
il 14 settembre 2001, per ordine del procuratore capo di Genova,
Francesco Lalla, presso lo stadio Carlini viene fatto brillare
materiale esplodente di varia natura. Poi il nulla. Nel documento della
questura genovese si lascia intendere che le due bottiglie molotov
potrebbero esser state distrutte per errore, indicando il nome
dell'artificiere, Marcellino Melis, come il probabile sbadato del caso.
Non sarebbe il primo in questa storia. Nelle sue relazioni sulle
avvenute distruzioni di varie bottiglie incendiarie del G8 (pochissime,
di cui alcune di plastica) Melis tuttavia non menziona l'esplosione
delle molotov che lui stesso aveva custodito e poi sottoposto alle
analisi della scientifica, né ricorda l'esistenza di un verbale che
attesti la distruzione - e il premio di disattivazione riservato agli
artificieri a lavoro finito - di «quelle» molotov. Prossima udienza il
30 gennaio, in attesa che la polizia ancora una volta indaghi su se
stessa.
(13/06/07) La Repubblica
G8: ex vicequestore, “alla Diaz fu operazione da macelleria”
"Fu
un'operazione da macelleria messicana". E' stata definita così dal
vicequestore Michelangelo Fournier, la sanguinosa irruzione della
Polizia nella scuola Diaz durante il G8 di Genova, nel corso del suo
interrogatorio al processo in cui è imputato con altri 28 colleghi.
Fournier,
all' epoca vice questore aggiunto del primo reparto mobile di Roma
comandato da Vincenzo Canterini, a sua volta imputato, dopo aver
ribadito la colorita definizione dell'irruzione, già contenuta nei
verbali, per la prima volta ha invece ammesso che al momento della sua
irruzione al primo piano dell' istituto erano in atto ancora veri e
propri pestaggi di no global inermi a terra. Precedentemente aveva
detto ai pm che al suo ingresso non aveva visto aggressioni in corso. Alla
contestazione dei pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini sul perché
oggi abbia cambiato versione, Fournier ha spiegato: "Durante le
indagini non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave
da parte dei poliziotti per spirito di appartenenza". Con un moto di
orgoglio ha aggiunto:"Faccio parte di una famiglia di poliziotti".
Fournier non ha neppure escluso che qualche agente del suo reparto
abbia picchiato. "Sono rimasto terrorizzato e basito - ha raccontato
- quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza
di sangue. Pensavo che stesse morendo anche perché mi sembrò di vedere
attorno grumi di materia cerebrale". Fu a quel punto, come hanno anche
confermato dodici dei no global presenti al primo piano, che il
poliziotto, togliendosi il casco, gridò:"Basta,basta" e allontanò i
poliziotti ancora intenti a picchiare. Poi Fournier fece chiamare le
ambulanze e ordinò ai suoi uomini di uscire dalla scuola. Quindi si
occupò di trasferire i fermati "quelli ancora interi" nella caserma di
Bolzaneto. La
testimonianza di Forunier ha sollevato polemiche e spinto diversi
esponenti della sinistra a rinnovare la richiesta di una commissione
d'inchiesta sui fatti del G8. Secondo Heidi Giuliani, madre di Carlo,
"la coraggiosa testimonianza dell'ex vice questore sulla mattanza
compiuta dalla polizia ha rotto finalmente l'intreccio di menzogne e
coperture indegne di un paese civile". "E' urgente istituire una
commissione parlamentare d'inchiesta per identificare i responsabili".
Analoga
richiesta arriva, tra gli altri, da Francesco Caruso, sempre di
Rifondazione comunista; Paolo Cento, sottosegretario all'economia; da
Pino Sgobio (Pdc) e Carlo Leoni(Sinistra Democratica). Per Vittorio
Agnoletto, portavoce del Genova Social Forum all'epoca del
G8:"finalmente dopo sei anni un poliziotto trova il coraggio di dire la
verità e conferma che alla Diaz fu un vero e proprio massacro. Ora il
governo non ha più nessuna scusa: bisogna costituire una commissione d'
inchiesta". Per Ermete Realacci dell' esecutivo della Margherita, "si è
fatto un passo avanti importante per l' accertamento della verità".
G8 a Genova, «la polizia ha infierito» Testimonianza
choc in aula del vice questore aggiunto Fournier:«Durante le indagini
non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave: la scuola
Diaz come una macelleria»
GENOVA
- Sugli incidenti accaduti a Genova in occasione del G8 è arrivata
un'ammissione importante: «Durante le indagini non ebbi il coraggio di
rivelare un comportamento così grave da parte dei poliziotti per
spirito di appartenenza». È questa la testimonianza resa da
Michelangelo Fournier, all'epoca del G8 a Genova vice questore aggiunto
del primo Reparto Mobile di Roma e oggi uno dei 28 poliziotti imputati
per la sanguinosa irruzione nella scuola Diaz. In aula, Fournier ha
fornito infatti una nuova versione su quello che aveva visto nella
scuola al momento della sua irruzione: non manifestanti già feriti a
terra, ma veri e propri pestaggi ancora in atto. «I
POLIZIOTTI HANNO INFIERITO» - «Arrivato al primo piano dell'istituto -
ha detto Fournier - ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro
poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano
infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria
messicana». Nelle dichiarazioni invece rese precedentemente dal
poliziotto ai pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Cardona
Albini il poliziotto aveva raccontato di aver trovato a terra persone
già ferite e non pestaggi ancora in atto. …
Fournier,
sollecitato dalle domande del Pm Francesco Cardona Albini ha aggiunto:
« … Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola
e di chiamare le ambulanze». Fournier ha poi raccontato di aver
assistito la ragazza ferita fino all'arrivo dei militi con l'aiuto di
un'altra manifestante che aveva con sè una cassetta di pronto soccorso.
«Ho invitato però la giovane - ha raccontato - a non muovere la ragazza
ferita perché per me la ragazza stava morendo». «HA
SBAGLIATO A TACERE» - «Il dottor Michelangelo Forrnier - scrive in un
comunicato il Comitato Verità e Giustizia per Genova - ha sbagliato a
tacere per sei anni su quello che ha visto dentro la scuola Diaz.
Proprio lo "spirito di appartenenza" avrebbe dovuto spingerlo a
raccontare tutto e subito. Solo così avrebbe servito nel migliore dei
modi, con lealtà e responsabilità, lo stato di cui è funzionario. Ad
ogni modo, sia pure in ritardo, ha raccontato ciò che ha visto,
confermando le testimonianze di decine di persone. Il dottor Fournier
ha parlato di "macelleria messicana". L'attuale ministro degli Esteri,
nel 2001, parlò di "notte cilena". Si ricorre all'esotismo, ma siamo di
fronte a una "perquisizione all'italiana" che ha macchiato la
credibilità della polizia e dello stato. A questo punto chiediamo: il
capo della polizia non ha niente da dire? Il ministro degli Interni
farà finta di nulla anche stavolta? Il parlamento continuerà a tenere
in un cassetto la legge sulla commissione d'inchiesta?
COMMISSIONE
PARLAMENTARE D'INCHIESTA - «La testimonianza resa da Michelangelo
Fournier è l'ennesima conferma della necessità di istituire quella
commissione parlamentare d'inchiesta sui fatti del G8 di Genova,
prevista nel programma di governo dell'Unione e che il centrodestra,
nella precedente legislatura, ha sempre negato». Lo afferma il vice
presidente della Camera e parlamentare della Sd, Carlo Leoni,
commentando la deposizione di oggi presso il tribunale penale di Genova.
(20 giugno 2007) La Repubblica
ll
capo della Polizia iscritto dopo una testimonianza dell'ex questore
Colucci. L'ipotesi di reato è quella di istigazione alla falsa
testimonianza Gianni De Gennaro indagato nell'inchiesta sul G8 di
Genova. Il capo della Polizia avrebbe suggerito una sua versione dei fatti della Diaz Un piano preparato a tavolino per scagionare alcuni dirigenti
di MARCO PREVE e MASSIMO CALANDRI
GENOVA
- Induzione e istigazione alla falsa testimonianza. La recente
iscrizione nel registro degli indagati del prefetto Gianni De Gennaro
sarebbe legata ad un'indagine aperta nel corso del processo per lo
sciagurato blitz nella scuola Diaz, durante il G8 di Genova.
Un'indagine tesa a dimostrare che i vertici della Polizia di Stato si
sarebbero messi d'accordo per raccontare in tribunale un'altra
"verità", molto più comoda, sulla sanguinaria irruzione del 21 luglio
2001. Un
piano a tavolino per scagionare alcuni e scaricare le colpe sui
rimanenti. Le accuse della locale Procura a De Gennaro sono conseguenza
del fascicolo per la "falsa testimonianza" di Francesco Colucci, che
sei anni fa era questore nel capoluogo ligure.
Lo
scorso 3 maggio Colucci era stato interrogato in aula, e di fronte alle
domande dei pm era caduto in un'imbarazzante serie di contraddizioni,
"non ricordo" e silenzi. Cambiando versione rispetto a quanto
dichiarato subito dopo il G8 aveva indirettamente alleggerito la
posizione del prefetto, che da Roma sembrava non aver avuto alcun ruolo
nell'operazione. Alcuni
giorni più tardi il questore ha ricevuto un avviso di garanzia per le
presunte bugie raccontate. Bugie che gli sarebbero state suggerite
dallo stesso De Gennaro. Il mese passato i pubblici ministeri avevano
in programma di ascoltare anche il capo della polizia sul blitz alla
Diaz, ma all'improvviso l'appuntamento in tribunale era saltato. Con il
senno di poi, è facile ritenere che non abbiano voluto convocare in
pubblico il prefetto perché sarebbero stato costretti a rivelargli che
era ufficialmente indagato in un altro procedimento. L'avviso di
garanzia gli è comunque arrivato - l'undici giugno - perché gli
inquirenti hanno deciso di sentirlo nei loro uffici, assistito da un
avvocato: De Gennaro ha chiesto e ottenuto di differire l'incontro a
data ancora da destinarsi. Tutto
ruoterebbe intorno alla presenza alla scuola Diaz, quella notte da
dimenticare, dell'uomo che allora era l'addetto stampa del capo della
polizia: Roberto Sgalla. Interrogato dai pm Francesco Cardona Albini ed
Enrico Zucca, nell'ottobre del 2001 Francesco Colucci raccontò che
subito dopo aver deciso la perquisizione dell'istituto - e prima ancora
di farvi irruzione - ricevette una telefonata da De Gennaro, che
durante il vertice non si era mosso da Roma: "Mi disse di avvertire
Sgalla". Era mezzanotte, l'addetto stampa a sua volta chiamò giornali e
televisioni: c'era aria di arresti, di riscatto. Dopo due giorni di
guerriglia urbana le forze dell'ordine volevano dimostrare di avere
ripreso in pugno la situazione. E il prefetto coordinava l'operazione. Interrogato
nel dicembre 2002 dalla Procura di Genova, De Gennaro smentisce la
versione del questore: "Prendo atto che il dottor Colucci ha riferito
che avrei dato disposizioni di avvisare il dottor Sgalla. Credo che
ricordi male. Ricordo bene invece che raccomandai il giorno dopo
misura, prudenza e sobrietà nel dare notizia sull'evento". Sei anni più
tardi, nel corso del processo che vede imputati 25 tra agenti e
superpoliziotti, Colucci ci ripensa: "Fui io a chiamare Sgalla: lo
giuro davanti a Dio e allo Stato italiano". Scatta
l'iscrizione nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Poco
dopo l'apertura del nuovo fascicolo, ecco il secondo indagato: Gianni
De Gennaro, accusato di aver istigato e indotto un suo subalterno a
raccontare l'"altra" verità sulla Diaz.
(29 giugno 2007) LA Repubblica
Dalle
carte dell'inchiesta, le perplessità del futuro numero uno della
polizia sui fatti di Genova. Espresse direttamente al suo capo G8,
tutti i dubbi di Manganelli "A De Gennaro dissi: ne usciamo male"
di MARCO PREVE
Una manifestante ferita portata via in ambulanza dopo l'irruzione della polizia alla scuola Diaz "Io
credo che tu abbia visto un altro G8", gli dissi scherzosamente... "noi
ne usciamo male e insomma, a me non sembrano pregresse quelle ferite".
Credo di essere stato io, e il capo della polizia Gianni De Gennaro me
ne dà atto ancora oggi, quello che gli ha richiamato l'attenzione sulla
gravità degli incidenti... erano circa le 10 del mattino di domenica 22
luglio e fino a quel punto, guardando la televisione, mi era sembrato
di cogliere dal capo della polizia una sensazione di "esito positivo"".
È uno
dei passaggi contenuti nelle 60 pagine di interrogatorio cui venne
sottoposto, in qualità di testimone, Antonio Manganelli, il 16 dicembre
2002 a Roma, dai pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini.
I
magistrati che iniziavano la difficile inchiesta sull'irruzione alla
scuola Diaz di Genova, avvenuta l'ultima notte del G8, il 21 luglio
2001. Ecco il pensiero, le valutazioni, i dubbi, sulla vicenda Diaz
espresse dall'allora direttore centrale della polizia criminale e
futuro numero uno della Ps, uno che quella notte come ricorda lui
stesso "stava andando a letto" e si ritrova "in una delle pagine
storiche". Le
frasi più dure sono nei confronti dell'episodio delle due bottiglie
molotov, infiltrate nella scuola dalla stessa polizia e poi usate come
prove a carico dei 93 no global arrestati, scagionati e oggi parti
offese al processo. "Mi è sembrato che alla perquisizione Diaz ci
fossero un po' troppi generali senza contestuale distribuzione di
compiti e di livelli di responsabilità... poi tutto va storicizzato...
debbo dire che la cosa che mi ha colpito di più in assoluto, che non
riesco a digerire è la provenienza illegale delle molotov. Perché
guardi, io ne ho viste tante, mi spiace dirlo al registratore, ma ne ho
anche fatte tante... situazioni complicate difficili... la Uno Bianca,
le stragi a Palermo, i sequestri a Nuoro... ma la bustina in tasca allo
spacciatore... insomma l'avevo vista nei film ma non credevo potesse
succedere". I
pm sottolineano che non è solo la questione delle molotov in gioco, ma
"l'anomalia pare risiedere in tutto l'atto di polizia giudiziaria", e
Manganelli concorda: "Su questo siamo assolutamente d'accordo. Guardare
con particolare disapprovazione una scelta operativa non significa
approvare il resto". Molte
domande riguardano il ruolo di Francesco Gratteri, allora direttore del
Servizio Centrale Operativo, uno degli imputati che secondo l'allora
vice capo della polizia Ansoino Andreassi "già dal mattino del sabato
aveva assunto direttamente il controllo di alcune operazioni che
avevano portato ad arresti...". Manganelli
ricorda le telefonate scambiate dalla sua casa romana con Gratteri e le
parole che gli disse il suo ospite, l'ex direttore dell'unità e
deputato Ds Giuseppe Caldarola a proposito dei disordini di strada "...
e l'intellettuale impegnato mi faceva notare "ma tu guarda che rischi
di tornare dieci anni indietro" e non c'era stata ancora la Diaz...". I
pm ricordano che Andreassi parla di due riunioni prima del blitz alla
Diaz, e alla seconda, quella operativa, il vice di De Gennaro non
partecipa. "Lo trovo perfettamente coerente con la nostra
organizzazione... il prefetto è il prefetto... magari se ci fossi stato
io - dice Manganelli - mi sarei intrufolato nella riunione operativa,
perché c'è ancora la matrice sbirresca che mi motiva... Andreassi è di
un'altra formazione, non è quello che si mette a pianificare...". E
poco prima sulle modalità del blitz: "Come pianificazione delle
modalità operative, da come è andata credo che, insomma, abbia lasciato
un po' a desiderare...". E infine sulla contestata conferenza stampa in
questura il mattino dopo l'irruzione: "Io l'avrei organizzata meglio".
(6 luglio 2007) La Repubblica
Genova, gli avvocati delle parti offese depositeranno le comunicazioni oggi al processo per il blitz nella scuola. Un agente della polizia dopo l'irruzione: "Qui ci sono teste aperte a manganellate" G8, le telefonate tra poliziotti e centrale "Speriamo che muoiano tutti, 1-0 per noi"
di MARCO PREVE
GENOVA
- C'è la poliziotta che scherza sulla tragedia di Carlo Giuliani
("speriamo che muoiano tutti... tanto uno già...1 a 0 per noi.."), il
funzionario che impreca per i ritardi, l'agente che non sa che accade,
l'altro che racconta di teste spaccate, il capoufficio stampa di Gianni
De Gennaro "dimenticato" per strada, il capo della celere distrutto
dalla nottata, quello della Digos che cerca di disfarsi delle due
molotov. Sono le 26 telefonate che gli avvocati delle parti offese del
processo per il blitz alla Diaz nel luglio 2001 - 29 tra funzionari e
agenti imputati per lesioni, falso e calunnia - depositeranno
nell'udienza di oggi, l'ultima prima della pausa estiva. Le
comunicazioni sono quelle che intercorrono tra i poliziotti sul campo e
la centrale operativa del 113 in questura.
Ore
21.35 l'irruzione deve ancora essere decisa ma vengono inviate
pattuglie per verificare la situazione attorno alla scuola che ospita
la sede del Genoa Social Forum. Una funzionaria della centrale
operativa (Co) parla prima con una pattuglia della Digos: "In piazza
Merani ci hanno segnalato questi dieci zecconi (i manifestanti ma anche
i giovani di sinistra, ndr) maledetti che mettevano i bidoni della
spazzatura in mezzo alla strada...". Alle 21.57 la stessa poliziotta
parla via radio con un collega (R) il tono è rilassato e scherzoso. R:
"Ma guarda che io dalle 7 di ieri e di oggi sono stato in servizio fino
alle 11, quindi... ho visto tutti 'sti balordi queste zecche del
cazzo... comunque...". Co: "... speriamo che muoiano tutti...". R: "Eh
sei simpatica". Co: "Tanto uno già va beh e gli altri... 1-0 per noi...
tanto siamo solo sul 113 e registrano tutto". A
cavallo della mezzanotte, al 113, arrivano le telefonate allarmate di
residenti della zona. Ore 23.58: "... via Cesare Battisti... guardi che
è un macello... "; ore 23.59: "Lo sapete che hanno attaccato i ragazzi
qui della scuola Diaz". I
primi feriti. Ore 00.17, l'agente al posto di polizia dell'ospedale San
Martino chiama il 113: "Ascolta ha chiamato il 118 che sta arrivando
una valanga di feriti, è possibile?". 113: "Sì no, guarda io non te lo
so dire...". Non
hanno idea della situazione neanche gli agenti del reparto prevenzione
mandati a piantonare i feriti all'ospedale. Alle 2.36 uno di loro
chiama la Centrale operativa. "Sono 25 persone, uno ha problemi al
torace... l'altro lo metti in chirurgia, l'altro in neurologia..", 113:
"Sono in stato d'arresto?". Il poliziotto: "No devono essere
accompagnati... si vede che questi sono i protagonisti degli scontri di
oggi... però chi ha proceduto io non lo so". Co: "Guarda non lo so
neanche io... ". Alla
stessa ora il poliziotto al San Martino spiega al 113, che chiede se ci
sono ferite da taglio: "No, no teste aperte a manganellate". Uno
degli imputati il commissario Alfredo Fabbrocini parla al telefono con
il 113 che chiede informazioni su quanto accaduto alla Diaz. Co:
"Allora scusami esatto... quante persone avete accompagnato voi a
Bolzaneto?". F:
"Guarda ti direi una bugia, non lo so... c'era un tale caos, guarda,
anche perché noi non accompagnavamo, noi facevamo la scorta... comunque
c'era il funzionario della Digos, il funzionario della mobile". Co: "E
lì ti fermi... perché non c'era altro". F: "Non lo so se non c'era
altro, c'era qualche funzionario addetto della Digos, ce n'erano almeno
tre o quattro.. c'era il dottor Sgalla, c'era anche Ciccimarra che li
conosco, quella là più alta in grado non so chi era, comunque ce
n'erano altri... ah c'era Gratteri, c'era il dottor Gratteri... loro
hanno disposto il servizio, noi abbiamo fatto manovalanza...". All'1.23
Lorenzo Murgolo alto funzionario della questura di Bologna, indagato e
poi prosciolto, si infuria con il 113 perché non arriva un pullman per
il trasferimento dei "prigionieri" arrestati: "Sono il dottor Murgolo
porca... perché non rispondete porca.. è tutt'oggi che non rispondete a
sto ca... di 113.. ". Cinque
minuti dopo è ancora lui, in sottofondo si sente la gente che urla
"assassini assassini". L'operatrice del 113 è in difficoltà di fronte
alla rabbia di Murgolo e chiama un funzionario ma la musica non cambia:
"Ma porca... ma mi volete dire dov'è 'sto pullman..". 113: "La navetta
è sul posto...". M: "Mah.. io non la vedo". Alle
2.07 Mario Viola funzionario collaboratore di Roberto Sgalla capo
ufficio stampa del capo della polizia chiama ripetutamente il 113 per
avere una volante che li riporti indietro perché tutti i mezzi sono
partiti "scordando" i due dirigenti. Alle 2.44 richiama e dice che è
stato accompagnato dal capo della mobile "perché se aspettavamo una
volante stavamo ancora lì". Mentre
attendono di essere collegati dal centralino Viola parla con dei
colleghi: "Che ha detto?... ha detto che non è stata proprio una bella
cosa quella che abbiamo fatto" e un altro ribatte "che se ne andasse a
fan... ". Alle
3.05 Vincenzo Canterini ("... sai che non connetto più io..
dissociato.. davvero so dissociato...") capo della celere romana parla
con un suo attuale coimputato, Spartaco Mortola, ex dirigente Digos di
Genova che agli agenti nel suo ufficio dice: "Oh ragazzi le molotov non
lasciatemele qui...". Sono le due bottiglie che, scoprirà la procura,
furono introdotte nella Diaz dagli stessi poliziotti.
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