REPRESSIONE E DETENZIONE
Mirca Garuti
Siamo veramente a rischio di
democrazia?
Questa è la domanda che, da un
po’ di tempo, rivolgo a me stessa e a chiunque mi circonda.
La situazione è preoccupante,
basta osservare la competizione esistente tra la maggior parte delle
forze politiche di destra e di sinistra, a sfruttare l’attuale
allarme sociale. Allarme provocato da fatti di cronaca nera posti,
sempre più in evidenza, sulle prime pagine dai grandi media.
Una competizione alla quale, anche la
coalizione di maggioranza non ne è rimasta immune, soprattutto
dopo il grave episodio avvenuto a Roma, nei giorni scorsi, dove una
donna è stata uccisa, per mano di un giovane rumeno. Il
“decreto sicurezza”, varato proprio per dare a tutti i cittadini
italiani tutela e tranquillità, ne è la prova.
In pratica sono state trasformate in
decreto-legge, le misure di espulsioni dei cittadini comunitari,
delegando tale competenza direttamente ai prefetti e non ai giudici.
Si modifica quindi la disciplina
sull’allontanamento dei cittadini comunitari per motivi di pubblica
sicurezza. I prefetti hanno così in pratica il potere di
allontanare, dal territorio nazionale, i cittadini comunitari, quando
il loro comportamento può compromettere la dignità
umana, i diritti fondamentali della persona, oppure
la stessa incolumità pubblica. La violazione del divieto del
reingresso passa dalla semplice contravvenzione al delitto, punibile
con la reclusione fino a tre anni.
Questo, oltre a non essere democratico,
dimostra ancora una volta, che la giustizia non funziona, come non
esiste una vera libera informazione che, ingabbiata tra il potere
politico ed economico, crea solo “la notizia che serve” a
favorire competitività negativa ed intolleranza.
Nessuno vuole un criminale libero, la
giustizia non deve avere né colore, né conoscenze, né
potere. Il flusso immigratorio non si può fermare. Non esiste
una società civile quando si creano frontiere che dividono,
che segnano la demarcazione tra una probabile minaccia ed una certa
sicurezza, che diventano solo luoghi di scontro. Le frontiere
socio-culturale devono essere attraversate per poter
apprendere, assimilare, capire le differenze che esistono tra i vari
paesi. Sono come un enorme bacino da cui attingere linfa vitale
necessaria per la nostra sopravvivenza civile.
Questo sarebbe il difficile compito
delle sinistre, se volessero veramente costruire una nuova diversa
società. Purtroppo la realtà è un altra cosa ed
è molto più semplice fare decreti-leggi contro gli
immigrati che cercare di capire. Il percorso scelto è sempre
più quello militarizzato: più forze dell’ordine, più
armi di difesa e specialmente… tolleranza zero.
Si parla di dignità umana,
ma di chi?
Possono aiutarci a comprendere meglio
la situazione attuale, alcuni episodi molto gravi passati quasi in
silenzio, accaduti nelle ultime settimane…
Aldo Branzino assassinato in carcere?
Aldo Bianzino, falegname di Pietralunga
(Pg) arrestato con la sua compagna per possesso di marijuana, ucciso
poi nel carcere di Capanne (Pg).
La mattina di venerdì 12
ottobre, una squadra di agenti in borghese fa irruzione nella casa di
campagna, fra le colline del piccolo comune perugino, dove vive Aldo
con la sua compagna Roberta, il figlio quattordicenne Rudra e la
madre di lei ultranovantenne. Sono venuti per arrestarli con un
mandato della procura di Perugia. Trovano diverse piante di erba nei
campi e trenta euro in casa. Aldo è un uomo mite, di poche
parole, con il solo vizio di fumare qualche canna, quindi, perché
lui? Cosa è successo? Qual è la verità? Sabato
13, il legale d’ufficio incontra Aldo alle 14,00 e, riferisce a
Roberta, che sta bene.. ma domenica mattina succede qualcosa che non
doveva succedere. Roberta viene interrogata, in modo piuttosto
violento, da un ispettore, che continua a chiederle cosa suo marito
può aver preso, perché sta male, non respira. Poi è
in coma, ha bisogno di una lavanda gastrica, la preoccupazione,
l’ansia, aumentano. Alle undici della mattina, in questo stato di
cose, si presenta il direttore, freddo, calmo, per comunicarle che è
libera, e per Aldo? “ Le faremo sapere”. In realtà Aldo è
già morto. Ma quando? Solo l’autopsia lo potrà dire e
sembra sia successo al mattino presto. La dinamica non si sa. Dopo
aver firmato una decina di fogli per la sua scarcerazione, Roberta
continua a pensare ad Aldo, e chiede sempre al direttore quando lo
potrà vedere. E ancora una volta, nella sua freddezza, lui
risponde: lo vedrà martedì, dopo l’autopsia”.
Ma si può essere così
senza anima???
Si comincia a parlare di lesioni
massive al cervello e all’addome, di alcune costole rotte, del
distacco del fegato, mentre l’esterno del corpo di Aldo, non
presenta contusioni o ematomi. Tutto questo è sufficiente per
non parlare più di morte naturale dovuta ad un problema
cardiaco. E’ stato un caso o è stata la mano di un uomo??
Un arrestato resta in isolamento fino a quando non lo vede il giudice
delle indagini preliminari, dunque, Aldo non dovrebbe aver avuto
nessun contatto con gli altri detenuti. Troppi sono i lati oscuri
della vicenda e quindi la procura di Perugia, decide di aprire
un’indagine sul decesso. Altri così cominciano ad
interessarsi al caso: un dossier, viene aperto anche dal Comitato
europeo per la prevenzione della tortura di Strasburgo e Amensty
International; il sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi ha
preso contatti con la famiglia ed ha affermato che è un
“dovere istituzionale e punto d’onore irrinunciabile adoperarci
perché sulla morte di Aldo non rimanga alcun dubbio o zona
d’ombra”; è stata presentata un ennesima interrogazione
parlamentare depositata da Sergio D’Elia ed infine, si muove
intorno alla famiglia una catena di solidarietà composta da
varie associazioni, amici e legali.
Il pubblico ministero Giuseppe
Pedrazzini, che indaga sulla morte di Aldo, il 30 ottobre ha affidato
l’incarico, per ulteriori accertamenti, a due nuovi periti,
concedendo loro sessanta giorni per rispondere ai quesiti sinora
irrisolti e senza nessuna spiegazione.
Il corpo di Aldo è stato
restituito alla famiglia il 03 novembre, i funerali sono stati
celebrati, invece, domenica 11. Una settimana ancora per cercare di
capire meglio la natura di quei traumi interni!!
Perché mio figlio è morto?
Questa è la lettera che il papà di Aldo Bianzino ha
inviato al Manifesto
Cari amici, vi chiamo amici perché, pur non conoscendovi
personalmente, vi ho sentiti vicini nella tragedia che ci ha colpiti.
Io e mia moglie desideriamo vivamente ringraziare voi e tutti coloro
che hanno seguito e raccontato i fatti. Un grazie va a Luigi Manconi,
al quale in particolare ci affidiamo perché non molli e faccia
di tutto per arrivare alla verità e identificare i colpevoli,
e alla signora Maria Ciuffi, la mamma di Marcello Lonzi che era stata
colpita da una tragedia uguale e che ci ha scritto una lettera che
voi avete pubblicato. Unisco a questa lettera alcune mie riflessioni
delle quali mi assumo in ogni caso tutta la responsabilità
scaricando eventualmente voi.
1. Quelli che hanno massacrato Aldo
si sono comportati come i componenti della famigerata banda Kock, o
come gli aguzzini di Videla o di Pinochet. In quella gente però
c'era una diversità: combatteva, in modo ignobile, contro
qualcuno, aveva una parte avversa, inerme e debole, ma comunque
avversa, che stava «dall'altra parte», che, almeno ai
loro occhi, si configurava come «nemico». Lungi
dall'essere una giustificazione, questa se non altro può
essere una spiegazione. Ma Aldo, di chi poteva essere «parte
avversa»?
2. Il direttore del carcere chiama se stesso e la
sua organizzazione fuori da ogni colpa: ma in quel carcere, che si
definisce «di sicurezza», non era forse lui prima di
tutti il responsabile di ciò che avveniva, della vita e della
salute di chi gli era stato affidato? Si possono paragonare tra loro
l'illegalità (secondo la legge italiana attuale) di coltivare
piante di cannabis e le sevizie mortali (materiali, mentali, morali)
inflitte ad un uomo? Eppure si sente già aleggiare, tra i
«benpensanti», la gente «per bene», che in
fondo era un drogato, quindi aveva le sue colpe. La legge infame di
cui sopra, tra l'altro, accomuna marijuana e crack, eroina, cocaina,
etc.: è come paragonare la camomilla ai barbiturici. Quanto al
tenore di cannabinolo contenuto nelle piantine coltivate ai nostri
climi, per una pianta che, a quanto mi risulta, è acclimatata
bene in Libano e in Messico, credo ci sarebbe da discutere. Per
l'accusa di spaccio, basta ricordare che la perquisizione in casa di
Aldo ha fatto trovare in tutto 30 (trenta!) euro. E Aldo non aveva
conto in banca o in posta.
3. Mi dicono che il PM che ha in mano
l'inchiesta sia una persona seria, che vuole andare a fondo e trovare
i colpevoli. Ma è quello stesso che ha fatto arrestare Aldo e
la sua compagna. Possibile che non avesse saputo che così
facendo avrebbe lasciato soli in una casa isolata sull'Appennino un
minore (quattordicenne) con la nonna ultranovantenne dalla salute
precaria?
4. Non ho nessuna fiducia che si arrivi a stabilire la
verità tramite la «giustizia» italiana. Abbiamo
troppi esempi in cui lo stato italiano ha coperto le colpe di delitti
e stragi su cui aveva interesse che la verità non venisse
fuori. Mi vengono in mente Piazza Fontana, Brescia, Bologna,
l'Italicus, Ustica, il G8 di Genova, l'assassinio di Pinelli, in cui
il primo responsabile a sua volta è stato messo a tacere in un
modo che ricorda parecchio il caso Kennedy, mandando poi in galera
gente che probabilmente non c'entrava affatto. Voglio vedere (ma
vorrei non vedere) se anche qui trionferà la logica degli
omissis (magari non dichiarati) del segreto di stato, della vergogna.
Siamo sicuri che tutte le morti avvenute in carcere in questi anni e
catalogate come «suicidio» siano state veramente tali?
5.
C'è un pezzo per pianoforte di Robert Schumann, triste, ma di
una tristezza quasi incredula, che ripete, in vari toni, la stessa
frase musicale che è una disperata domanda: si intitola
«Warum?», perché?
Giuseppe Bianzino
Morti silenziose
Credo sia
esemplare dei fatti contestati, la lettera di Maria Ciuffi, madre di
Marcello Lonzi morto nel carcere di Livorno l'11 luglio 2003, ai
parenti di Aldo Bianzino e pubblicata dal "Manifesto" il
28/10/07.
Sono la mamma di Marcello Lonzi,
morto nel carcere delle Sughere l'11 luglio 2003. Voglio mandare un
forte abbraccio alla famiglia del povero Aldo Branzino ,morto nel
carcere di Perugia. Vi sono vicina nel dolore e nella rabbia. Ma
vorrei dirvi, non mollate. Capisco che non è facile, ma io da
4 anni sto combattendo per avere giustizia. Anche per mio figlio
(morte naturale), se non era per le ferite al volto, ci sarei caduta.
Un anno fa, però, è stato riesumato e avendo scoperto
che non aveva due costole rotte, ma otto, il polso sinistro rotto,due
buchi profondi alla testa sino all'osso, mandibola fratturata, non si
può definire la sua morte naturale. Anch’io fui avvertita
con 12 ore di ritardo e c'è stata un'archiviazione. Ma non ho
accettato e ho combattuto contro tutti e tutto, tra poco avrò
finalmente una vera risposta. Non credo alle parole del sostituto
procuratore Giuseppe Petrazzini, perchè le ho già
sentite, ma poi ci fu un'archiviazione. Ecco perchè vi ripeto
non mollate. All'inizio ci sono state le interrogazioni, tutte quelle
belle parole alle quali ti aggrappi con tutta la tua forza, che
svaniscono in una bolla di sapone, allora ti chiedi perchè?
Perchè?
Piangi, vorresti urlare, spaccare tutto, e continui a guardare quella
foto, l'unica cosa che ti è rimasta. Mi sono chiesta tante
volte: perchè quando muore un detenuto la tv, tipo la Rai ecc.
non ne parla? Sono figli nostri, mariti; e muoiono in un posto dove
lo stato li prende in consegna, e dovrebbe proteggerli. Invece lo
stato li uccide.
Un abbraccio dal profondo del cuore.
Maria
Ciuffi, Pisa
Operazione Brushwood
Il carcere di Capanne (Pg) è
diventato proprio, in questo ultimo periodo, il luogo più
conosciuto; prima vi ha trovato la morte Aldo Bianzino, poi è
diventato il luogo di reclusione dei quattro ragazzi ventenni ed un
uomo di quarantadue anni, arrestati a Spoleto, durante “L’operazione
Brushwood”. Il termine “boscaglia”, appunto, chiamato così
dalle forze dell’ordine, deriva dal fatto che “i cinque”
sarebbero stati ritrovati nei boschi spoletini per “organizzare e
portare a termine atti di violenza con finalità di terrorismo
ed eversione dell’ordine democratico.” Il 23 ottobre, infatti,
più di cento carabinieri dei ROS (Raggruppamento Operativo
Speciale), coadiuvati dal comando di Perugia e Firenze, con il
supporto di quattro elicotteri, hanno arrestato questa presunta
cellula “anarco-insurrezionalista” appartenente alla “
Coop-Fai” (Contro ogni ordine politico – Federazione Anarchica).
L’accusa è quella di aver violato l’articolo 270bis del
codice penale contro le “ associazioni con finalità di
terrorismo anche internazionale “.
Sono tutti originari di Spoleto,
incensurati o con piccoli precedenti per reati contro l’ordine
pubblico. Alcuni di loro sono conosciuti e stimati per essersi
schierati e aver lottato, apertamente, per la libertà e la
giustizia sociale, contro la tortura e la morte in carcere e per aver
partecipato ai movimenti popolari in difesa dell’acqua, della terra
e della salute pubblica. A scatenare questa operazione sono state le
intercettazioni telefoniche effettuate nei confronti dei ragazzi,
che hanno infine convinto gli investigatori della loro responsabilità
in merito ad alcuni reati commessi a Spoleto. Si tratta di scritte
sui muri contro il sindaco e di solidarietà con un pensionato
che, lo scorso anno, lo aggredì con un coltello. Sono accusati
anche di aver ideato un attentato, poi non riuscito, nei confronti
del cantiere della mobilità alternativa della Posterna e, per
questo motivo, di aver successivamente scritto su un muro “ Spoleto
non si sventra”.
L’episodio più di rilievo,
invece contestato solo a tre di loro, è quello relativo alla
lettera minatoria, contenente uno o due proiettili, recapitata alla
Presidente della Regione Umbra, Lorenzetti. Analizzando i fatti, la
prima cosa che ci si chiede è il perché di quella
operazione e perché proprio in questo momento. A conclusione
dell’intervento, infatti, il generale dei Ros, Giampaolo Ganzer,
per prima cosa, organizzava una conferenza stampa. Innanzitutto la
spettacolarità dell’azione lascia un po’ perplessi in
quanto gli atti di questi cinque ragazzi non sembrano essere così
pericolosi da dover giustificare tale comportamento. Perché
questa notizia doveva assolutamente andare in prima pagina? Occorreva
forse distogliere l’attenzione
dell’aopinione
pubblica da altri problemi più gravi? Perché poi la
Presidente della Regione è andata direttamente nella sede dei
carabinieri per congratularsi con loro per aver trovato subito i
“colpevoli”? Qualcuno, forse, ha dimenticato che esiste ancora
il diritto della presunzione di innocenza fino a prova
contraria??
Il clima sociale in Umbria, come
sostiene il consigliere comunale, del Coordinamento per l’Unità
dei Comunisti, Aurelio Fabiani, padre anche di uno dei quattro
ragazzi, negli ultimi dieci anni è profondamente cambiato. La
regione è stata beneficiata da decine di milioni di euro per
la ricostruzione e, l’intreccio politica-affari si è
dilatato a dimensioni preoccupanti. Il generale Ganzer, infine ha
dovuto giustificare la massiccia operazione, così: “ La
cellula riproponeva in Umbria le stesse campagne e le stesse
tematiche sviluppate, con attentati, anche in altre regioni italiane.
Stava, inoltre, programmando un salto di qualità con delle
azioni di pericolosità ancora maggiore. L’esperienza ci ha
portato a pensare che sarebbe passata da incendi e danneggiamenti
all’uso di ordigni esplosivi ad alto potenziale, con dannosità
anche alle persone”.
Si tratta quindi di supposizioni da
parte dei Ros che, in attesa di reali accertamenti ed in modo
preventivo (termine, come si sa, molto in uso, oggi), hanno
provveduto a mettere in carcere cinque persone. Su questo episodio,
la città di Spoleto ha reagito bene, non si è fatta
intimidire, ha dato prova di coraggio e di civiltà. I Ros
hanno sequestrato computer e documenti, ma non hanno trovato armi. “
Hanno portato via anche documenti che ho scritto trenta anni fa –
dice Aurelio Fabiani – che, in nessun modo, possono essere
collegati a mio figlio. So molte cose e fatti di questa città,
ma di sicuro, questi ragazzi non c’entrano nulla con il
terrorismo.”
La lettera di Michele Fabiani, uno dei ragazzi
arrestati
"Sono Michele
Fabiani, detto “Mec", come direbbero i giudici, eh eh
...
Vorrei che questo scritto girasse il più possibile, non
so ancora se potrò fotocopiarlo o se dovrò ricopiarlo a
mano per cercare di mandarlo il più possibile in giro. Dalla
seconda media mi chiamano Mec perché per spirito di
contraddizione tifavo la Mac Laren.... e così ho appena
scoperto che di sfortune ne ho avute di 2 in 2 giorni: la macchina di
Agnelli e Montezemolo vince i mondiali e io finisco in
galera.
Martedì 23 ottobre 5 brutti uomini dell'arma dei
carabinieri (2 erano cosi' brutti che si sono messi il passamontagna)
irrompevano in casa mia, la mettevano completamente sottosopra e mi
arrestavano con il fascistissimo articolo 270bis (scritto dal
ministro Rocco per la buonanima di Mussolini). I reati associativi
come l'art. 270 bis e 270 permettono di arrestare qualcuno non per
ciò che ha fatto, ma per come la pensa, perché fa parte
di qualche fantomatica associazione che lo Stato decide di non
tollerare. Basti pensare che uno di noi 5 rinchiusi in isolamento
giudiziario da quasi 4 giorni e da oggi in E.I.V. è accusato
solo di aver fatto una scritta su un muro!!! Ci pensate? Tre volanti
(a testa), i mitra, i passamontagna dei ROS, la scorta aerea
dell'elicottero, le telecamere, il carcere, l'isolamento, l'e.i.v.,
per una scritta su un muro!!!
Sono poi stato portato alla caserma
dei carabinieri di Spoleto e poi a quella di Perugia, infine da
quella di Perugia al carcere. Il primo momento propriamente comico
della messinscena è stato il trasferimento tra la caserma di
Perugia e il carcere: il "bravo" agente che guidava la
macchina, terrorizzato dal fatto che gli stavano dicendo che da un
momento all'altro i miei compagni avrebbero attaccato il mezzo e mi
avrebbero liberato (o forse, semplicemente rincoglionito dal mio
continuo chiacchierare) si è sbagliato strada e abbiamo fatto
2 volte il giro intorno alla stazione ferroviaria.
In carcere mi
stanno trattando bene, non mi hanno mai toccato (in tutti i sensi,
neanche per gli spostamenti). La cella è molto sporca, c'è
un tavolo appeso al muro con un armadietto inchiodato ed un letto
inchiodato per terra ed alla parete. Oggi è caduto
l'isolamento e abbiamo anche la tv. Resta il divieto di comunicare
tra noi, che è la cosa peggiore. Ho visto le immagini del TGR
Umbria che eravate fuori durante gli interrogatori: eravate tanti!
Sono stato tanto felice, purtroppo da dentro non vi abbiamo sentito.
...
Nessuno tema o si rallegri: io ero, sono e resto un
PRIGIONIERO RIVOLUZIONARIO. Lo ero, un prigioniero ed un
rivoluzionario, anche prima di martedì: siamo tutti
prigionieri, tutti i giorni. Quando ci alziamo la mattina per andare
a lavorare, quando passiamo gli anni più belli della nostra
vita sprecati su una macchina, quando facciamo spesa, quando non
possiamo farlo perchè mancano i soldi, quando li buttiamo via
i soldi per delle cazzate (vestiti, aperitivi, sigarette non c'è
differenza) quando guardiamo la tv che ci fa il lavaggio del
cervello, che cerca di terrorizzarci con morti, omicidi, rapine
(quando in 15 anni gli omicidi sono diminuiti del 70%) così
che noi possiamo chiedere più telecamere, più sbirri,
più carceri, pene sicure, quando se c'è una pena
davvero sicura a questo mondo è quella che incatena lo
sfruttato alle sue condizioni.
Io non ho mai detto "SONO UN
UOMO LIBERO", in pochi possono dirlo senza presunzioni. Se io
fossi un uomo libero, andrei tutti i giorni sulla cima del Monte
Fionchi, in estate con le mucche e le pecore e in inverno con la
neve, e dopo aver raggiunto faticosamente le cime...guardare a nord
ovest, la valle Umbra o Valle Spoletina, come si diceva una volta,
poi a nord est la Valnerina e il Vettore quasi sempre liscio dietro,
e poi via verso est tutti gli appennini che cominciano da lì,
fino a sud dove ci sono quelle meravigliose foreste... E forse,
ripensandoci, neanche lì sarei davvero libero. perchè
la valle Umbra è piena di cave, di capannoni, di fabbriche, di
mostri che devono essere combattuti. Ma mancano gli eroi oggi mentre
di mostri ce ne sono anche troppi.
Quindi io non sono un uomo
libero, il dominio non è organizzato per prevedere uomini
liberi Però sono un RIVOLUZIONARIO, un PRIGIONIERO
RIVOLUZIONARIO. Proprio perchè io sono un rivoluzionario che
mi hanno "formalizzato" la loro carcerazione martedì.
Io sapevo già di essere un prigioniero, prima che un giudice
me lo dicesse. Certo, questa prigione è diversa da quella
fuori: qui vedi tutti i giorni, in maniera limpida, simbolica e allo
stesso tempo materiale quali sono i rapporti di forza del dominio;
dove c'è chiaramente e distintamente l'uomo, con i suoi sogni,
i suoi amori, il suo carattere, e il sistema, le sbarre, le catene,
le telecamere, le guardie Potremmo dire, ironicamente, che da un
punto di vista politico-filosofico qui le cose sono più
semplici: il sistema cerca di annientare l'individuo, l'individuo
cerca di resistere.
Ovviamente l'uomo qui sta peggio. E' inutile
fare retorica. Dopo qualche giorno la gabbia te la trovi intorno alla
testa, è come se avessero costruito un'altra piccola
gabbietta, precisa precisa intorno alla tua testa. Con il cervello
che ragiona ma non ha gli oggetti su cui ragionare, con la voglia
incontenibile di parlare e non c'è nessuno, di correre e non
c'è spazio, quando mi affaccio alla finestra vedo un muro con
altre sbarre, non si vede un filo d'erba, una collina (neanche
durante l'aria, che passo solo in una stanza più grande),
fuori dalla tua gabbia c'è un altra gabbia.
La mia paura è
che questa sensazione mi rimanga anche quando esco. Che la lotta per
non impazzire diventerà il fine della mia vita. Nel carcere
"formale" l'uomo combatte contro se stesso, mentre nel
mondo fuori il rivoluzionario deve combattere una guerra contro
entità oggettive. La mia paura è che ci si dimentichi
di questi 2 livelli di scontro, che anche quando uscirò ci
sarà questa gabbia intorno alla testa che mi ............ e mi
dice di non prendere a calci la porta della cella e di mettermi ad
urlare.
Non solo l'uomo antropofizza il mondo, ma in galera l'uomo
antropofizza anche se stesso: come distruggiamo le montagne, così
qui distruggiamo la nostra mente, costruendo fantasmi contro cui
scontrarci. Il rapporto è tutto mentale qui. E' di questo che
voglio liberarmi, voglio uscire e
continuare ad avere una
capacità di analisi oggettiva della realtà. Qui questa
capacità rischio di perderla.
Mentre fuori, innaffiando un
seme e facendo crescere una pianta, si ha un'interazione fisica con
il mondo qui lo scontro è tutto psicologico.
Lo scontro è
fisico solo ad un primo livello, con i muri che non mi fanno uscire,
ma in realtà la guerra è anche con i nostri fantasmi. I
muri sono troppo materiali per essere reali. Sbagliano i marxisti
quando riconducono tutto alla materia. La realtà è una
sintesi in cui l'uomo colloca se stesso tra il mondo e le sue idee.
In galera purtroppo questa sintesi è pericolosamente,
patologicamente, troppo incentrata sulla mente.
Ai compagni che
scrivono che non trovano parole dico di trovarle queste parole che ne
abbiamo troppo bisogno. Scriveteci a tutti e 5!!!
Vorrei che
qualcuno dicesse ad Erika che le mando un bacio.
Mec - Un
anarchico in cattività 26/10/07"
Per meglio comprendere questa triste
situazione, forse, sarebbe necessario sapere anche chi sono i
protagonisti di tutta questa vicenda.
I ROS di Ganzer,
Il generale Ganzer responsabile
dell’operazione, nell’ottobre del 2003, è finito sotto
inchiesta, con altri venti ufficiali, per associazione a delinquere,
abuso e peculato. Il quotidiano “Repubblica” , in un articolo
pubblicato il 23 ottobre 2003, riferisce i risultati di sette anni di
indagini, da parte della Procura della Repubblica di Milano, relative
ai ROS dei Carabinieri. Le denunce sono tante e tutte “pesanti”,
quali la violazione di norme che regolano le operazioni antidroga,
l’omissione di arresti obbligatori di latitanti e il riciclaggio di
denaro sequestrato. Sono, infatti, spariti nel nulla oltre
cinquecento milioni di lire e circa sessantacinque chilogrammi di
stupefacenti. In merito a tutto ciò era stata anche
presentata, il ventisette ottobre dello stesso anno,
un’interrogazione parlamentare, da parte dell’onorevole Luigi
Malabarba, ai ministri dell’interno e della difesa.
Ganzer, attualmente, è
sotto processo, nessuno ne parla, ma, quello che lascia più
disorientati, è il fatto che, nonostante quelle pesanti
accuse, il suddetto generale non ha fatto neppure un giorno di
detenzione preventiva, né è stato sospeso dal suo
servizio ed il suo principale accusatore, Biagio Rotondo, si è
purtroppo suicidato in carcere il ventinove agosto di quest’anno.
Come si può quindi ancora accettare che queste indagini ed
operazioni siano condotte da uomini come il generale Ganzer?
Chi fosse curioso e
volesse avere più notizie in merito, è sufficiente
andare in internet e digitare “generale Ganzer”.
Il Tribunale del riesame di Perugia,
infine, ha deciso di dare la libertà a Fabrizio Reali, gli
arresti domiciliari a Dario Polinori e Damiano Corrias, mentre invece
Michele Fabiani e Andrea Di Nucci, restano in carcere.
Tutto naturalmente è passato in
silenzio, come per la manifestazione del 10 novembre a Spoleto.
Manifestazione convocata per chiedere la verità sulla morte in
carcere di Aldo Bianzino e solidarietà agli anarchici
arrestati.
Una vera democrazia si basa su una
chiara informazione ed è per questo che noi abbiamo scelto di
parlarne!