RAPPORTI DI FORZA
I “No Tav” della Val di Susa
di Boris
Azioni e Reazioni caratterizzano da sempre i Rapporti di Forza nella politica come in campo sociale. Ed è per questo che non dico fosse scontato, quanto è successo domenica 3 luglio 2011 in Val di Susa, ma quasi.
Da troppi anni i popoli di quella valle chiedevano una risposta a chi, per il bene di pochi, aveva deciso di rendergli la vita estremamente diversa da quella che prefiggeva di svolgere. Un radicale attacco alla loro storia e alla libertà di poter decidere o almeno interagire con un finto progresso imposto, dove lo sviluppo dei popoli e di una nazione, non sono altro che un’icona, un progetto da esibire come necessario cambiamento per “il bene di tutti”. In alcuni casi addirittura come potenziale rilancio dell'economia del nostro paese.
In quella Valle, in quest'ultima settimana, si è giocata l'ennesima imposizione di uno Stato che in nome solo ed esclusivamente del profitto e del fare inutile, ha deciso di non lasciare alcun spazio di mediazione e analisi degna di essere chiamata tale.
Qui non si tratta di voler imporre la volontà democratica di un paese ad avere un treno ad Alta Velocità, come enunciato dal segretario del Partito Democratico, ma di voler imporre con la forza e la repressione, un sistema economico che ha come fondamento l'illecito profitto. Il distruggere per guadagnare. Il sopprimere per dominare.
Si può stimare, sulla base di dati economici indicati nel progetto preliminare 2010, che per realizzare l’opera, il preventivo di spesa per le finanze italiane ammonta circa a 12-13 miliardi di euro. Ma, questi soldi non ci sono, quindi lo Stato italiano dovrà accendere mutui con le banche più importanti del nostro paese per una durata, si può presupporre, di trent’anni ad un tasso del 6%. Il costo complessivo compreso di interessi ed accessori arriverà a 16-17 miliardi di euro: mezzo miliardo di debito pubblico per 30 anni per il Tav Torino-Lione.
Per non parlare poi del progetto che esperti, non di “differente estrazione politica” ma soprattutto tecnici riconosciuti, hanno spiegato in modo dettagliato quanto sta per essere realizzato. Come il prof. Andrea Boitani, cattedra d’Economia politica dell'Università Cattolica di Milano, che si occupa da anni di quest’argomento e che insieme ai prof. Marco Ponti e Francesco Ramella, ha pubblicato per l'Istituto Bruno Leoni di Torino uno studio dal titolo "Tav: le ragioni liberali del No" (2007), oppure, come le inchieste realizzate dal Politecnico di Torino e Milano, ben esposti dalle trasmissioni di Report di RAI 3 o La 7, che hanno evidenziato l'impatto ambientale di quel tunnel di 54 km realizzato in una montagna già scavata dall'Enel perchè ricca d'uranio. Per non parlare ancora, della presenza accertata di amianto che ha indotto la stessa ASL di Torino a parlare di oltre 20.000 morti nei prossimi anni a causa della nube creata dall'escavazione.
Un altro dei tanti motivi enunciati per elogiare questo progetto, sta nel definire la Torino-Lione, una potenziale linea ferroviaria su cui si trasferirà un ingente trasporto delle merci attualmente destinato a quello su gomma. Trasferimento dovuto agli attuali collegamenti stradali del versante alpino nord-occidentale che sarebbero prossimi alla saturazione. Peccato che i dati siano in controtendenza proprio perchè i trafori stradali del Monte Bianco e del Frejus sono utilizzati appena al 35% della loro capacità massima. Quindi ne consegue che la Tav non riuscirebbe a competere, a meno che il passaggio dei camion attraverso il Frejus non fosse vietato.
Secondo sempre i sostenitori del progetto, è l'Unione Europea che chiede la sua urgente realizzazione, mentre, in realtà, ancora una volta se ne dà una voluta e faziosa interpretazione. In Europa ci viene chiesto di velocizzare il trasporto delle merci e dei passeggeri sul corridoio 5. Null'altro. Ruolo questo che potrebbe essere facilmente raggiungibile in modo soddisfacente anche potenziando l'attuale rete ferroviaria esistente.
Che senso ha allora tutto questo con quanto è avvenuto nel cantiere e nei boschi La Maddalena o nelle altre frazioni di Chiomonte?
Domenica mattina un corteo di 60-70mila persone ha marciato compatto, esibendo una grande forza di numeri ed intenti. Una marcia pacifica per rivendicare il diritto alla sopravvivenza. Una mobilitazione che ha visto partecipi anche chi, oltre a recriminare giustizia, ha pensato bene di ripagare allo stesso modo “chi da tempo non vuole ascoltare”.
In quella reazione violenta non vi erano solo i ragazzi dei centri sociali, come la maggior parte dei mass-media vuol farci credere, ma vi erano anche chi non ne può più di essere usato come servo sul posto di lavoro, chi è stato considerato“troppo vecchio” per far parte delle nuove organizzazioni produttive, chi sta studiando e ha capito che se vuole qualcosa di nuovo per se stesso e per il proprio futuro deve lasciare al più presto questo paese.
Quella reazione esprime non solo la volontà di misurarsi con chi da Genova nel 2001, è pagato dai Governi per reprimere senza ascoltare, come quelle forze legali di Polizia che, indipendentemente al comando ci siano esponenti di destra o di sinistra, rispondono ad una logica di sistema che nulla ha a che fare con la Costituzione a cui avrebbero giurato fedeltà.
Quello che quegli “Eroi”, come definiti da Beppe Grillo, hanno fatto in quei boschi, ha sicuramente il valore di ricordare alle forze economiche di questo paese e agli “Eroi in divisa”, come affermato dall'onorevole Casini, che non tutti i cittadini sono disposti ad accettare passivamente un futuro da sudditi.
Forse alcuni pensano che lo scontro avvenuto domenica in quelle valli, finito con oltre 400 feriti di cui 233 manifestanti e 188 agenti delle forze dell'ordine, sia solo figlio di uno sfogo incontrollato o dalla voglia smisurata di vendetta, mentre evidenzia anche un’inconsapevole e latente reazione allo stato esistente delle cose. Una reazione che cresce senza attualmente prefigurare nessuno scenario rivoluzionario strutturato, anche se così conviene far credere, ma una futura e possibile violenta reazione popolare per i diritti che rischia di far diventare consuetudine, la contro-reazione violenta e pericolosamente populista degli attuali difensori dello Stato. Anche contro le stesse forze politiche e partitiche che credono di controllare ed amministrare questo paese. Non è solo una questione di democrazia, la questione va ben oltre.
05/07/2011
Testimonianze di partecipanti alla manifestazione
Per una nuova polizia (dal sito www.peacereporter.net)
La valle colonizzata di Movimento 5 Stelle Modena e provincia