RIFORMA
DEL TFR: PRIMA DI DECIDERE …
Flavio
Novara
Ormai
sono diversi mesi che si parla di manovra del TFR una manovra che ci
costringerà a decidere, grazie un apposito modulo, la
destinazione del nostro futuro “Trattamento di Fine Rapporto”.
Una decisione epocale che peserà su tutti i lavoratori
dipendenti in modo a volte differenziato ma certamente unilaterale.
Anche perché oggi sembra primario, per la vita delle nostre
pensioni, recuperare dalle casse dalle aziende il nostro salario
aggiunto mai percepito.
L’operazione non è
una di quelle che possono passare inosservate e la confusione e la
richiesta di “trasparenza” in questo senso è sempre più
alta. Le cifre in gioco sono notevoli ed è per questo
che abbiamo deciso di provare a spiegarvi, in modo oggettivo, senza
sfumature o oscuri tornaconti, questa manovra.
Sciogliere i vostri dubbi non sarà facile e
per questo abbiamo scelto una formula d’informazione basata
principalmente su una serie di registrazioni e collegamenti a siti
preposti a spiegare e a criticare, questa manovra. Come al solito
pareri a “favore o contro” per consentire la massima libertà
di decisione.
Questo
atteggiamento però, non può esimermi dal focalizzare
alcuni punti che ritengo fondamentali per decidere in serenità
la scelta più appropriata. Risposte che devono tener conto
della serietà dell’argomento. Qui in gioco non vi è
un aumento salariale negato e recuperabile o altro, qui in gioco c’è
il nostro Trattamento di Fine Rapporto (TFR) e il concetto stesso di
previdenza (non solo pensioni) ordinaria (fornita dallo stato).
Una
storia che viene da lontano
Quando
intorno al 1995 fu istituito per legge la facoltà di
intraprendere la strada dei fondi previdenziali complementari, alcuni
sindacalisti di base e forze politiche appartenenti alla sinistra più
radicale, denunciarono in modo chiaro il pericolo di questa apertura.
Di quanto questa decisione avrebbe provocato, come una sorta di
volano, una resa all’insolvenza per il futuro della previdenza
obbligatoria. Furono avanzate proposte che partendo dal “mancato
pagamento” dello stato nei confronti dell’INPS, causato da cassa
integrazioni e prepensionamenti, chiedeva una forte e seria lotta
all’evasione contributiva.
La
risposta, sia dalle forze politiche di sinistra che dai vertici
sindacali, praticamente fu inesistente. Anzi, da subito, senza
avviare nessuna lotta per contrastare tale smantellamento, si
istituirono dei fondi in tutte le categorie contrattuali. Il motivo
fu per “meglio tutelare” il futuro dei lavoratori. Una scusante
che fu rafforzata attraverso l’uso strumentale dei dati di bassa
natalità su proiezione trentennale.
I
primi sindacati ad andare in questa direzione furono proprio la CISL
e UIL che da subito cavalcarono questo nuovo possibile sistema. Non
fu da meno però la CGIL. Tutti erano già pronti. Prova
di questo fu che da li a pochissimi mesi a seguire, partì il
fondo rivolto ai Metalmeccanici denominato “Cometa”. Un fondo che
dopo soli tre anni accusò un pericoloso rischio di fallimento
per cattiva gestione finanziaria.
In
questo contesto, non dobbiamo sottovalutare le politiche dei vari
governi, di destra e di sinistra che si sono susseguiti, rivolte nei
confronti degli imprenditori. Una politica che negli anni a seguire
sino ai giorni nostri, sono sempre andate nella direzione di un
progressivo sgravio dei versamenti contributivi e una forte
contrazione “per legge” dei salari. Contrazione attuata grazie ad
una consistente aumento della precarietà lavorativa (legge
Treu + Legge Biagi). Se a questo si accompagna l’incentivo a non
lasciare il proprio posto di lavoro, regalando ai lavoratori
“pensionabili” la quota contributiva destinata all’INPS, non
possiamo che arrivare all’attuale grave situazione pensionistica
finanziaria.
Tutto
questo è avvenuto sotto i nostri occhi, senza che nessuno
abbia ne detto o fatto nulla. Il gioco era semplice, “se non volete
aprirvi a una forma di mercato libero e senza regole, facciamo in
modo di portarvi in quella direzione”.
Per
comprendere la gravità di tale riforma bisogna ricordare che
il TFR rappresentava, sino ad oggi, valore salariale aggiunto
(stipendio non distribuito), accantonato e a disposizione dei
lavoratori in caso di richieste di anticipi a norma di legge (70% per
prima casa per se e figli e interventi sanitari) o come fondo in caso
di licenziamento o fallimento. Il TFR in poche parole era un
“cuscino” che nulla aveva a che fare con la nostra pensione.
Oggi,
invece, pur rimanendo questi principi, si vuole trasformarlo in un
“fondo” per il nostro futuro.
I fondi come panacea dei mali
Quando
i Fondi presero vita, fu il principio d’integrazione
pensionistica a dominare la campagna di adesione e nessuno immaginava
che a breve, si sarebbe progressivamente strutturato come futuro
sostitutivo. Cosa che di fatto, sembra tra le righe, propone
la riforma.
Trasformare
il nostro TFR in fondo integrativo per la nostra pensione significa
procedere, come progressivamente futuribile, nella trasformazione
della previdenza integrativa come unica reale fonte primaria di
finanziarizzazione individuale.
Un
processo alle intenzioni? Non credo, anche perché non si
spiegherebbe altresì la necessità obbligatoria del
versamento del 100% del TFR di tutti i lavoratori assunti dopo il 29
aprile 1993. Una scelta che ancora una volta, partendo dalle
proiezioni prima elencate, non ha tenuto minimamente conto delle
altre proposte avanzate e degli effetti reali che la riforma Dini,
sull’età pensionabile, potrà portare. Una scelta che
mira solo a ritrovare denaro fresco da collocare sul mercato
finanziario, abbandonato dai piccoli risparmiatori dopo le truffe di
questi ultimi anni. Una scelta quindi, che non prova minimamente a
rilanciare la previdenza obbligatoria ma procede verso un sistema di
“Pensioni individuali” che hanno come base di rivalutazione gli
investimenti borsistici.
Come
negli Stati Uniti dove numerosi sono stati i fallimenti reali e
“pilotati” che hanno provocato masse di nullatenenti e affamati.
Un sistema che anche il Partito Democratico Americano, sta studiando
di sostituire.
Per
non parlare poi del nostro paese, dove proprio in questi giorni sono
falliti due fondi pensionistici. Quello del Teatro Carlo Felice di
Genova (Un fallimento da 8,643 milioni di euro con 300 persone senza
pensione) e quello ben più grave della Banca Commerciale
Italiana dove sono ben 22.000 le persone coinvolte nel crack.
La
riforma di oggi
Va
specificato che le organizzazioni come Confindustria hanno accettato,
facendo cattivo viso ma buon gioco, tale riforma anche perché
è stato previsto un fondo che permetta loro di accedere a
prestiti a tassi agevolati. Un fondo che, entro giugno, lo stato
provvederà a stipulare per sopperire al loro mancato
finanziamento causato dal versamento del TFR nelle casse dello stato.
Mi
si vorrà contestare che anche per i lavoratori sarà
garantito una sicurezza ai fallimenti grazie a un altro Fondo creato
appositamente, ma va specificato però, che tale copertura
riguarderà solo la quota del TFR versato e non le quote
volontaristiche eventualmente aggiunte.
La
cosa buffa è che il medesimo trattamento è stato
riservato sia al fondo “Chiuso” (quelli di categoria es. COMETA,
FONDAPI etc.) che a quello tipo “Aperto” (proposti da enti
assicurativi, bancari ecc.). Un’altro regalo agli speculatori di
borsa che neanche la riforma Maroni aveva concesso.
In
pratica, ci propongono oggi di destinare il nostro TFR maturando dal
1 Luglio 2007, scegliendo tra tre modalità: “Fondi Chiusi”,
“Aperti” o “PIP”. Fondi questi che ovviamente presentano
aspetti positivi e negativi.
Tralasciando
quelli definiti Aperti perché fanno puramente riferimento al
mercato azionistico, quelli di tipo Chiuso offrono indubbiamente
minor reddito ma maggior garanzia. Una garanzia che comunque lascia
il tempo che trova anche perché i capitali versati verranno
comunque gestiti “con consapevolezza” dai promotori finanziari.
Credo infatti che non basti sapere che circa l’80% di questi verrà
principalmente investito in titoli di stato europei e non e la
differenza in “titoli sicuri”.
Se
questo è lo scenario che ci attende, credo che oggi i
lavoratori debbano fare una scelta precisa di ammutinamento. Una
scelta che vada nella richiesta di rilanciare la previdenza
ordinaria, affinché si attuino politiche di risanamento
dell’INPS dissanguato dallo stato. Una riorganizzazione della
previdenza ordinaria attuata anche attraverso l’unificazione de
vari enti previdenziali e la regolarizzazione dei lavoratori
stranieri che sono sempre più impiegati in nero nelle nostre
aziende.
Una
scelta questa che si può solo concretizzarsi attraverso una
forte mobilitazione sociale che deve cominciare con la destinazione
del TFR futuro nei fondi INPS.
La truffa del TFR
Gli interventi pubblicati sono stati
registrati durante il convegno: “La truffa del TFR” organizzata dai delegati FIOM di Modena
e la RETE 28 Aprile. Buon ascolto
Visto le dimensioni dei files il download potrebbe richiedere alcuni minuti
Conferenza Generale
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Paolo Brini (Serg. Nazionale FIOM –
Modena)
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Giorgio Cremaschi (Segretario Nazionale
FIOM)
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Donato Pivanti (Serg. Provinciale CGIL
- Modena)
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Il Sole 24 ore
Speciale TFR “Sole24ore” normativa
e applicazioni
C.G.I.L
Speciale TFR “CGIL” normativa e
applicazione