Guerra proporzionata
Tratto dal sito www.israele.net
Da un
articolo di Abraham H. Foxman
Israele fa ciò che Beirut e comunità internazionale consideravano troppo arduo:
applicare la 1559.
La posizione di Israele di fronte al mondo nel suo conflitto contro Hezbollah è
una delle più solide che il paese abbia mai avuto: non occupa il territorio da
cui è partita l’aggressione, affronta un nemico universalmente riconosciuto come
un’organizzazione terroristica che controlla illegalmente la parte meridionale
del Libano, ha subito un attacco del tutto non provocato con la cattura di
ostaggi da parte di un gruppo terroristico votato alla distruzione di Israele.
In questo quadro, a Israele viene riconosciuto il diritto di difendersi anche da
molti che normalmente condannano Israele in modo automatico.
Il problema per
Israele va ora al di là delle cause immediate del conflitto, ed ha a che vedere
con l’accusa sempre più spesso ripetuta, in varia forma, d’aver scatenato una
risposta “sproporzionata”: a volte lo si accusa di aver distrutto il Libano solo
per liberare due soldati; a volte l’accusa si basa sul confronto uno a dieci fra
il numero delle vittime di parte libanese e di parte israeliana; altre volte si
basa sulla considerazione che il Libano aveva finalmente iniziato a emergere da
tre decenni di guerre, divisioni e distruzioni e che ora Israele lo fa
retrocedere in modo irreparabile.
Si tratta di accuse gravi. Israele ha
effettivamente la responsabilità, di fronte a se stesso e alla comunità
internazionale, di evitare fin dove possibile vittime civili e distruzioni di
infrastrutture libanesi. Ma questa accusa contro Israele perde completamente di
vista il contesto nel quale questo conflitto è scoppiato. Israele non è entrato
in guerra solo per due soldati presi in ostaggio, anche se la loro liberazione è
e deve restare una priorità. La guerra è scoppiata perché Israele doveva
eliminare la minaccia degli attacchi missilistici alla sua popolazione del nord
e le incursioni mai cessate contro il suo territorio da parte di
Hezbollah.
Città e villaggi del nord di Israele sono rimaste
ininterrottamente sotto la minaccia di attacchi missilistici, soprattutto dal
momento che Hezbollah ha continuato ad ammassare un arsenale impressionante
(come si vede in queste ore) per tutti gli anni successivi al ritiro di Israele
dal territorio libanese. Se Israele non avesse affrontato il potenziale militare
di Hezbollah, questi avrebbe continuato a svilupparsi sino a diventare una ben
più grave minaccia alla sicurezza dello stesso stato d’Israele.
Mentre la
comunità internazionale non muoveva un dito contro il controllo di Hezbollah sul
Libano meridionale nonostante la risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza ,
il gruppo terrorista aveva già accumulato 13.000 razzi e missili, alcuni a
quanto pare con una gittata fino a 200 km. Se Israele non avesse attaccato
quando l’ha fatto, Damasco e Teheran avrebbero senza dubbio continuato ad
accrescere la quantità, la qualità e la gittata dei missili di Hezbollah,
arrivando sicuramente a dotarli in un futuro non lontano anche di testate
chimiche.
Dunque, quando viene sollevata la questione della proporzionalità,
bisogna considerare la misura della minaccia rappresentata da un’entità
terroristica semi-autonoma, impiantata nel Libano meridionale, votata alla
distruzione di Israele, e rifornita senza limiti da Siria e Iran di armi sempre
più sofisticate.
Assai significative sono poi le infrastrutture di Hezbollah
all’interno del Libano. Sarebbe già stato un compito difficile per Israele
affrontare lancia-razzi, migliaia di missili, supporti logistici e strumenti
mediatici al servizio di Hezbollah in diverse parti del paese. Ma tutto è reso
ancora più complicato dal fatto che Hezbollah posiziona i suoi missili in luoghi
civili, e che cerca continuamente di ricevere rifornimenti da Damasco (via
terra, via mare e via cielo), mentre viene incoraggiato e armato da Teheran. In
altre parole, Hezbollah è una grande e complicata operazione che pone una
minaccia di prima grandezza.
E non si dimentichi che la comunità
internazionale sapeva con esattezza da anni cosa stava accadendo. La risoluzione
1559, che chiedeva lo smantellamento di Hezbollah e la sua sostituzione nel sud
del paese con forze regolari libanesi, rifletteva la precisa consapevolezza che
non si trattava affatto di una questione da poco, bensì di un grosso problema
che comportava azioni e scontri assai impegnativi. Alla fine, purtroppo, né il
governo libanese né la comunità internazionale hanno applicato la 1559,
considerandolo un compito troppo arduo. Dove sarebbe, allora, la sproporzione
dell’intervento israeliano?
Di più. Come ha sottolineato il professor Alan
Dershowitz sul Wall Street Journal del 18 luglio, l’elemento della
proporzionalità, che entra in gioco a causa delle vittime civili e dei danni
alle infrastrutture, deve tenere conto della funesta strategia di Hezbollah.
Prendendo di mira deliberatamente civili israeliani con i suoi lanci di missili
a casaccio, rendendo nel contempo praticamente impossibile per Israele colpire
le sue strutture militari senza danneggiare i civili libanesi, Hezbollah ha
calcolatamente messo Israele in un dilemma impossibile: evitare di colpire in
alcun modo i civili libanesi lasciando intatto il potenziale missilistico di
Hezbollah e lasciando i cittadini israeliani alla mercé degli attacchi del
gruppo terroristico, oppure mettere fuori combattimento i missili Hezbollah
assumendosi il rischio di provocare anche danni ai civili e mettendo in conto la
riprovazione da parte della comunità internazionale?
Alla fine Israele non si
è lasciato paralizzare da questo dilemma. Quello che ha fatto è stato rispondere
alla prima responsabilità di uno stato sovrano: proteggere i propri cittadini
dalla minaccia esterna. Nel farlo, cerca comunque di ridurre al minimo i danni
ai libanesi. Il risultato può essere insoddisfacente da entrambi i punti di
vista. Tuttavia questa non è solo la posizione eticamente più corretta da
assumere; è anche la più saggia, dal momento che Israele deve evitare di
alienarsi la popolazione libanese, che dovrà riempire il vuoto quando Israele
avrà sconfitto Hezbollah.
Infine, l’accusa sulla proporzionalità viene
avanzata nel quadro di un Libano che prima di questo conflitto stava tornando
alla normalità. Sotto molti aspetti questo è vero e ciò che sta accadendo è
davvero desolante, sebbene sia Hezbollah che ne porta la principale
responsabilità. A un livello più sostanziale, tuttavia, bisogna anche dire che
era assai illusorio parlare di un Libano indipendente e normale fintanto che un
gruppo terroristico, armato fino ai denti da due dei più pericolosi regimi del
pianeta, la faceva da padrone in tutto il sud del paese e in una parte della sua
capitale.
Guadando al conflitto da questa prospettiva, la reazione di Israele
non appare affatto sproporzionata. Per fortuna non manca chi,
nell’amministrazione Bush e in altri governi del mondo, capisce bene
quest’ordine di problemi.
(Da. Ha’aretz, 24.07.06)