Frammenti di Resistenza: viaggio
tra i racconti di quei tragici giorni
di Linda Pastorelli
(Racconti tratti dal libro di Ezio
Meroni "SENTIERI DI LIBERTA” Ed. San Paolo, Alba (Cuneo)
UN MESSAGGIO DA GRECO
[...] La domenica, il
Partito aveva organizzato un incontro con i responsabili delle cellule. Da
Milano erano arrivati due dirigenti, per fare il punto della situazione.
Avevano sprecato i soliti paroloni per esaltare la grande partecipazione di
massa allo sciopero - "sintomo" avevano affermato "di una classe
operaia politicamente matura, ormai ostile al regime e contraria alla
guerra" -, dimenticandosi però di spiegare quale sarebbe stato il punto
d'arrivo della protesta. Invece, avevano ribadito la necessità di cambiare la
strategia di lotta, di rendere attivi gli operai anche fuori dalle fabbriche.

Erano teorie buone per un
futuro magari anche prossimo, ma al Severino interessava quello immediato. Con
che faccia si sarebbe potuto presentare ai compagni di reparto, sperando di
convincerli con il contentino del "successo politico"? Loro avevano
scioperato per far finire la guerra. Non poteva certo pensare di cavarsela
dicendo "Scusate, i partigiani non possono intervenire. Abbiamo sbagliato
i conti! Sarà per la prossima volta!". [...]
Il Severino prese fiato,
si rinfrancò e attaccò l'arringa: "Ascoltatemi. Le cose stanno andando
male per i crucchi e per i loro leccapiedi. Per quanto tempo riusciranno a reggere
il confronto con gli Alleati? Questo sciopero ha dimostrato a tutti, padroni e
nazifascisti, la forza e la compattezza della classe operaia. Adesso sanno che
non abbiamo paura: né di loro, né delle mitragliatrici, né dei carri armati, né
delle minacce. Questo è il grande risultato raggiunto".
"Dì pure il
solo" intervenne il Boffi. "Il solo risultato raggiunto da
questo sciopero disgraziato". "Ma non fa polenta" commentò
l'Annoni, che a casa aveva sei figli e ogni giorno era costretto a fare i salti
mortali per mettere qualcosa in tavola. [...]
[...] Per due giorni la
Carla corse, come una disperata, da un ufficio all'altra, dal commissario
prefettizio al parroco, dal comandante della guarnigione della Wehrmacht
di stanza in paese a quello dei carabinieri di Sesto San Giovanni, supplicando
di aiutarla a ritrovare il suo Severino, disposta ad aggrapparsi a una parola,
a un gesto, a uno sguardo pur di credere, di sperare, d'illudersi che lo
avrebbe rivisto. [...]
BALILLA
[...] Balilla non aveva
mai sgarrato di un minuto: puntuale come il segnale orario dell'EIAR, arrivava
tutte le mattine alla cascina del Colzani, per mettersi a sua disposizione e
stabilire il collegamento con il comando della Divisione Garibaldi "Bassa
Brianza". La guerra lo aveva costretto a crescere in fretta, sottraendolo
agli svaghi e alle occupazioni dei coetanei, per proiettarlo in un gioco
crudele, nel quale si era tuffato con l'idealismo e l'incoscienza dei suoi
diciassette anni. [...]
[...] "E
Balilla?" chiese subito Falco, presagendo ciò che era accaduto, ma ancora
speranzoso di poter ascoltare una versione meno drammatica. "Gli hanno
messo il sale sulla coda. Questa notte, in casa sua, a Baraccana. Lo hanno
condotto a Desio e devono avere usato le maniere forti. Il Rosso ha raccolto le
voci di gente che abita vicino alla caserma della GNR: sembra che l'abbiano
portato fuori a braccia poco prima delle otto, che faticasse a reggersi in
piedi. Probabilmente ha cantato. Sto aspettando Fulmine per saperne qualcosa di
più: l'ho spedito in paese per un giro di ricognizione, con l'ordine di dare
un'occhiata anche dalle parti della cascina del Colzani". [...] C'erano
voluti sei mesi buoni per allestire la rete organizzativa delle SAP anche nella
zona tra il Seveso e il Lambro, e ora tutto rischiava di andare in fumo.
Proprio quando in ogni paese i distaccamenti avevano terminato
l'addestramento![...] "L'arresto di Balilla è un imprevisto di cui avrei
fatto volentieri a meno" imprecò dentro di sé (Olmo). "Ma poiché è
capitato, bisogna che vi ponga rimedio, almeno per limitare i danni".
[...]
"Tu sei
impazzito!" esplose Olmo, cui la tensione degli ultimi due giorni aveva
messo a dura prova i nervi. "Di questo passo, dovremo scusare il compagno
che non si cuce la bocca perché ha moglie e figli, o perché ha la madre con il
mal di cuore, o perché... Porca troia, siamo in guerra! In-guer-ra! Tutti noi
sapevamo a cosa saremmo andati incontro entrando nella Resistenza! Anche
Balilla! Anche lui! Lui... lui era il tuo attendente, la tua staffetta. Che
cosa gli hai raccontato quando l'hai preso con te? "Diciassette
anni"... Ma non dire stronzate! Noi siamo soldati, e anche Balilla lo
è!". […]
L'ORIZZONTE DELLA SPERANZA
[...] Dal Ginett si andava
non soltanto per farsi suolare e risuolare le scarpe o gli zoccoli fino a che
fossero consunti: le donne si fermavano a discutere dei prezzi e a ricamare
sulle chiacchiere del paese; agli uomini piaceva ritrovarsi lì quando non
avevano in tasca i soldi per la partita a carte e per il mezzo litro di barbera
al circolo. In piedi, parlavano della loro cooperativa, degli ultimi
avvenimenti, delle imprese dei campioni sportivi; certe volte, ma solo se erano
in pochi e tutti fidati, discutevano di politica: del fascismo, del Crapùn (cioè
del "Testone", come nel gergo tipico dei 'rossi' era chiamato
Mussolini), della guerra e del futuro dell'Italia. Quelli della curt del
popul - tutti comunisti o socialisti, tranne qualche rara e ben individuata
eccezione - preferivano gli acri odori del cuoio e della pece che impregnavano
il bugigattolo del ciabattino ai profumi più delicati del negozio del barbiere,
che fra l'altro, pur non essendo fascista, non aveva mai provato simpatia per i
'rossi' e non ne faceva mistero. [...]
Quando il Tribunale
Speciale lo aveva condannato, con alcuni compaesani, a sette anni di carcere
per attività sovversiva e ricostruzione del Partito Comunista, aveva passato un
periodo nero. [...] Non si sentiva un vinto, anzi. Quella prova, però era dura
da sopportare, più delle torture patite a San Vittore. Poco per volta aveva
trovato in sé la forza per resistere, per sperare e guardare avanti. "Devo
passare sette anni qui dentro. Quando uscirò" aveva cominciato a ripetersi
ogni giorno, "voglio avere una figlia: perché viva con i suoi fratelli in
un'Italia libera". [...]
La Nella lo guardò con
tenerezza, conoscendo le ragioni della sua predilizione per quella loro
creatura. Lui ricambiò il sorriso e si avviò verso la camera da letto. Quando
lo raggiunse e le fu fatto posto sotto la pesante trapunta e le due coperte di
lana, gli sussurrò: "Hai visto come dorme serena?". "Sembra un
angelo". Gli accarezzò il volto, si girò sul fianco e lo guardò negli
occhi. Poi quasi avesse soffocato la domanda troppo a lungo dentro di sé, gli
chiese: "siamo agli sgoccioli, non è vero? [...] Si lasciò scivolare sotto
le coltri e cercò di rilassarsi. Invano: il rombo di un motore in lontananza
s'insinuò - prima sommesso, poi sempre più chiaro e sinistro - nella sua camera
e in tutte le altre della curt del popul. Trattenne il fiato per meglio
identificarlo. "Non è il solito camion delle GNR di ronda" pensò,
dopo qualche attimo di incertezza. "E' un'automobile". Ebbe un
sussulto premonitore, che sembrò trovare conferma nell'allarme lanciato da una
voce anonima dal caseggiato adiacente al passo carraio: "'Rìven i
fascisti!". […]