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Altri arresti per Camorra a Modena, mentre nell’isola felice di un tempo la lotta alla mafia è turbata da gravi esternazioni

A 800 km da chi …

 

di Ermanno Bugamelli

 



L’isola che non c’è più
Camorra, Modena, racket, estorsioni, Parma, imprenditore gambizzato, Ndrangheta, Reggio Emilia, associazione mafiosa, Emilia Romagna, Clan dei Casalesi. Sembrano parole accostate con la forza, destinate a respingersi appena lasciate libere, come l’acqua e l’olio in un bicchiere appena smetti di miscelarli. Rimandano a concetti ritenuti per troppo tempo non associabili al nostro territorio, validi per luoghi lontani, ma l’isola felice di un tempo, se mai è esistita, non c’è più e solo gli ottusi si ostinano a scorgerla ancora.

Nuovi arresti a Modena
Oggi l’Emilia Romagna è una regione più fortunata di altre sotto un ampio ventaglio di aspetti, ma la sua permeabilità alle infiltrazioni della criminalità organizzata, è certificata da un lungo elenco di fatti concreti. L’ultimo di questi in ordine di tempo solo qualche giorno fa, nel corso della seconda fase della operazione “Medusa”, così ribattezzata in omaggio al mostro mitologico dai mille tentacoli. L’azione di polizia già il mese scorso aveva consentito l’arresto di cinque persone, tra cui due secondini del penitenziario Sant’Anna di Modena, che pare ammorbidissero il regime di carcere duro per alcuni affiliati dei Casalesi. Nella seconda trance, sono state fermate altre cinque figure ritenute dagli inquirenti affiliati alla camorra del medesimo clan operanti sempre nella provincia di Modena, nonché chiusi due circoli privati a Carpi e Castelfranco Emilia, centri organizzativi delle loro attività e al bisogno bische per il gioco d’azzardo con i cui profitti si finanziavano le imprese illecite. Uomini dai soprannomi curiosi, fantasiosi, capaci di alimentare uno spontaneo sorriso, ma dietro ai quali, come ci ha insegnato l’intenso corso di matrice “Gomorriana” del mai troppo lodato Roberto Saviano, si nasconde un sistema regolato da morti, soprusi, violenze, crimini che come una pietra tombale oscurano ogni speranza di legalità. La vicenda del dodicenne suicida in provincia di Napoli del venerdì santo appena trascorso, ne è un ulteriore tragico esempio.

Un territorio minacciato
Questo sistema oggi, minaccia il nostro tessuto sociale ed economico in maniera concreta.  Ecco che Pasquale Ciocia detto o “Brufolone”, Nicola Nappa “Nik Nak”, o Antonio Pagano ribattezzato “Pettulone”, diventano personaggi che popolano anche il quotidiano dei modenesi; malviventi accusati di operare per conto della camorra casalese e proseguire l’opera di conquista dell’Emilia avviata da oltre 20 anni. Gli allarmi provenienti dalle associazioni di imprenditori e commercianti di provincia e regione, vittime di episodi estorsivi ed intimidatori ad ampio spettro, mosse dai tentacoli fino a qui estesi di Camorra, Mafia e Ndrangheta, si sommano alle confessioni del pentito Bidognetti e alle segnalazioni e ai riscontri delle forze dell’ordine impegnate in diverse operazioni tese a contrastarle.

Esternazioni che indignano
Mese dopo mese si arricchisce la mappatura delle attività mafiose in regione e si resta esterrefatti e indignati, nell’ascoltare le parole del prefetto di Parma Paolo Scarpis, all’indomani di quella rara e sensazionale lezione di antimafia per voce di Roberto Saviano in prima serata Rai del 25 marzo scorso. Scarpis ha liquidato i ripetuti riferimenti dello scrittore alle attività mafiose nella città ducale, con un secco “…Sono sparate di uno che sta a 800 km di distanza…che a visto la città di passaggio”. Ad arricchire la sua esternazione, con l’intento di fornirle autorevole consenso, il prefetto parmense ha aggiunto: ”Durante una riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza avevo chiesto al procuratore un resoconto su eventuali posizioni aperte nel parmense sentendo Dda Bologna e Dia di Firenze: la risposta è stata non ci sono indagini di questo tipo”.
Nessun dubbio sull’esito di quella riunione, ma l’intenzione di proteggere il proprio orticello è sembrata palese. Trattasi di parole inopportune nella sostanza in quanto originano pericolose crepe nella stretta antimafia disorientando l’opinione pubblica, proprio perché giungono da chi la mafia per ruolo istituzionale, dovrebbe combatterla e denunciarla eludendo ogni sterile polemica o interesse personale; la scelta dei vocaboli è poi per lo meno infelice nella forma, dove il termine “sparata” suona davvero irrispettoso visto il contesto e lo spessore della figura a cui viene indirizzata. Concordo infine con l’osservazione che pone nel suo blog il cronista del Sole24Ore Roberto Galullo, che si interroga su quali informazioni il signor Scarpis disponga per stabilire l’esatta distanza da Parma della residenza di Saviano, considerando la forzata vita da errabondo a cui è obbligato per sfuggire alla vendetta dei clan.

A 800 km da chi
Non si capisce a 800 km da chi, il signor prefetto ritenga provengano tutti i segnali inequivocabili di una pianificata ramificazione mafiosa in Emilia, quando proprio a Parma vi è stata la prima sentenza di primo grado per associazione mafiosa della regione. Parma è ritenuta dall’ex P.M. di Napoli Raffaele Cantone, ora giudice di Cassazione, una delle teste di ponte della criminalità organizzata, nel riciclo del denaro illecito in affari puliti nel ricco nord del paese.
Lo stesso Silverio Piro, procuratore capo di quella Dda di Bologna che nel corso della famosa riunione non avrebbe riferito a Scarpis di indagini in corso a Parma, ha dichiarato testualmente: “Saviano non solo ha le idee chiare e riesce ad attaccare con assoluta indifferenza chiunque, ma è una delle stelle che brillano nel buio della lotta alle grandi organizzazioni criminali. Per quanto riguarda Parma, è evidente che è stata ed è interessata da infiltrazioni di organizzazioni criminali! E lo dimostra il fatto che la Dda di Bologna e Napoli hanno indagini aperte di cui ovviamente non si può parlare”.
Altre voci autorevoli, come quella del procuratore capo della Direzione Nazionale Antimafia Pietro Grasso, descrivono una offensiva di Camorra, Mafia e Ndrangheta in tutto il nord, Emilia compresa.
Il coro di voci che smentiscono il prefetto Scarpis (che alcuni sostengono in procinto di ottenere la guida della prefettura di quella Milano che già lo vide questore, e forse questo spiega molte cose, in quanto gli uomini di potere portatori di funeste verità non godrebbero di popolarità), rimane compatto e autorevole, e include persino i rappresentanti di alcuni sindacati di polizia giunti al punto di chiederne le dimissioni.
Una riflessione profonda inoltre, la merita quanto avvenne sempre a Parma all’indomani della pubblicazione sull’Espresso dei risultati dell’inchiesta antimafia dell’allora P.M. Cantone, che includeva anche la città ducale. Il settimanale fu reso quasi introvabile nelle edicole, perché massicci acquisti in massa furono eseguiti di prima mattina. La Camorra utilizza personaggi del luogo per operare, ed era chiaro l’intento di impedire ai cittadini la conoscenza di verità scomode sulla città.

Un limpido esempio
Quale modello di concreta e limpida azione la politica dovrebbe esercitare nel contrastare la criminalità organizzata?
Una strada da percorrere la indica la candidata indipendente alle prossime elezioni europee nelle liste dell’Italia dei Valori Sonia Alfano, in merito agli ultimi arresti dei casalesi a Modena.
La signora Alfano rappresenta un esempio del dolore privato trasformato in una vita spesa nell’impegno civile al servizio del paese nella lotta alle mafie. Suo padre si chiamava Beppe Alfano, un bravissimo giornalista che per frenare le sue inchieste inerenti la collusione tra il boss Nitto Santapaola e figure dell’elite politico economica del messinese, venne assassinato in via preventiva da Cosa Nostra l’8 gennaio del 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Un delitto le cui indagini furono oggetto di inquinamento e depistaggi, e che ancora oggi reclama completa giustizia.
Afferma la signora Sonia: “Vorrei innanzi tutto complimentarmi con le forze dell'ordine e con l'autorità giudiziaria che a Modena, hanno arrestato i cinque affiliati al clan camorristico dei Casalesi ed esprimere al contempo tutta la mia preoccupazione per una situazione che diventa giorno dopo giorno più grave… Le forze dell'ordine potranno anche arrestare tutti i mafiosi presenti nelle nostre città ma se non cacciamo quella parte di classe dirigente che ha consentito che i clan mettessero radici sul territorio, il fenomeno mafioso continuerà a prosperare… Il problema  non sono i singoli mafiosi, camorristi, 'ndranghetisti che delinquono sul territorio. La vera piaga è costituita dagli appoggi istituzionali che queste persone hanno. Per questo la cittadinanza dell'Emilia Romagna dovrebbe attuare un controllo serrato sugli atti firmati dalle proprie amministrazioni - come gli appalti - ed individuare chi ha la responsabilità delle decine di appalti vinti da 'ndranghetisti e camorristi. E' sopratutto negli appalti e nei massicci investimenti privati che si concentrano gli interessi dei clan".

Alkemia, 14 aprile 2009


 

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