A
tredici anni ha fatto arrestare un killer: ora è sotto
protezione
Nemico
giurato della camorra, bollato come infame perché ha
raccontato a un giudice di aver visto in faccia un assassino
facendolo arrestare: non è un pentito, è solo un
ragazzino di tredici anni che ha fatto fino in fondo il suo dovere di
testimone di un delitto di camorra. Questa storia si svolge in una
città squassata dalla guerra fra i clan e in particolare dalla
faida di Scampia, il quartiere maledetto dove due gruppi, la famiglia
Di Lauro e la cosca degli «Scissionisti», si scontrano da
anni per conquistare il controllo del mercato della droga. Oggi il
protagonista, che chiameremo Marco, non vive più lì: si
è trasferito con la famiglia in una città distante
molti chilometri dalla Campania, sotto la discreta protezione della
polizia. Studia con profitto. I compagni di scuola non immaginano
certo il rischio terribile che sta correndo. Un rischio mortale,
eppure Marco non molla: sembra deciso ad andare fino in fondo, a
raccontare anche in un’aula di tribunale tutto ciò che ha
visto il 10 agosto scorso. Era una giornata calda da morire
nonostante la pioggia. Marco quella mattina era andato al Magic Word,
un parco acquatico sul litorale a nord di Napoli. Ma la camorra è
dappertutto e colpisce ovunque, anche in un parco di divertimenti.
Quel giorno, poco lontano da Marco, c’era un uomo tarchiato che con
la famiglia faceva la fila davanti a una biglietteria: era Nunzio
Cangiano, uno che aveva tradito il clan Di Lauro. Fu una questione di
attimi. L’uomo venne affiancato da due tipi che sembravano
bagnanti. Uno dei due, però, aveva la pistola, e sparò
con precisione centrando in pieno la sua vittima. Seguirono momenti
di panico, con la gente che scappava, le grida dei bambini, e poi le
sirene delle auto dei carabinieri. Marco, però, non fuggì.
Rimase come folgorato vicino a quel corpo con la testa sfigurata dai
proiettili, e quando vide i carabinieri pronunciò poche parole
che per la legge non scritta della camorra lo relegarono subito
nell’inferno degli «infami»: «Ho visto chi ha
sparato, è stato Topolino». Marco sapeva chi era
l’assassino perché a Scampia tutti conoscono e temono i
malavitosi di un certo livello, figuriamoci un sicario. Di lui
ricordava quel soprannome curioso, «Topolino», che certo
non si attaglia a un professionista dell’omicidio. Il ragazzo, che
viveva in un contesto dove la camorra è una presenza continua,
e dove certi sgarri si pagano con la vita, ha trovato il coraggio di
andare avanti. Non solo ha collaborato con l’ufficiale dei
carabinieri che svolgeva le indagini, il colonnello Fabio Cagnazzo,
ma ha ribadito l’accusa anche davanti ai magistrati della Direzione
distrettuale di Napoli Alberto Cannavale e Stefania Castaldi.
Aggiungendo altri particolari: «Topolino ha gli occhi azzurri e
impugnava una pistola con la canna lunga». Elementi, questi,
preziosi per gli inquirenti che così hanno potuto verificare
l’attendibilità del testimone.
«Topolino»
è stato catturato: si chiama Mario Buono, è un
fedelissimo del clan Di Lauro. Inutilmente i suoi avvocati si sono
rivolti al Tribunale del Riesame e alla Cassazione per ottenere la
revoca dell’arresto. Buono è ancora in carcere, inchiodato
dalla testimonianza di un bambino. Marco sta pagando un prezzo
altissimo per il suo coraggio. Si è trasferito con la famiglia
fuori dalla Campania, tenta di rifarsi una vita ma non può
permettersi il lusso di dimenticare quella mattina del 10 agosto. Non
può perché dovrà ripetere con precisione che
cosa ha visto e sentito in un’aula di tribunale, quando ci sarà
il processo. Sarà dura per lui: gli toccherà rispondere
alle domande insidiose degli avvocati dell’imputato, sarà
costretto a descrivere nei minimi particolari gli attimi che hanno
preceduto la morte di un uomo. E’ difficile dire se reggerà
al trauma del ritorno a Napoli, e soprattutto se resisterà
allo sguardo di «Topolino» che certamente lo fisserà
a lungo con i suoi occhi azzurri.
La
stampa 13/3/08