MAFIA E GIUSTIZIA: UNA PARTITA TRUCCATA
di Ermanno Bugamelli
Organizzazioni malavitose e arresti lungo la penisola. Dal nord al sud dello stivale, la caccia agli uomini dediti al malaffare e al loro arresto sono ormai all'ordine del giorno. Ma davvero lo stato sta inferendo il colpo mortale ad una criminalità organizzata agonizzante? Centocinquant'anni di storia, tra indicibili sconfitte e successi pagati a caro prezzo, dimostrano il contrario. A ribadirlo è Piero Grasso, Procuratore nazionale antimafia, che ci ricorda come “la mafia sia ben lontana dall'essere sconfitta. Lei vuole farci crede questo”. Nonostante l'assiduo lavoro di importanti magistrati italiani.
Perché non si riesce a interpretare la mafia come un avversario da affrontare frontalmente?
Per illustrare questo aspetto Ayala utilizza una metafora azzeccata, una allegoria dall’acre sapore e ancora oggi tristemente attuale:”Immaginiamo una partita di calcio…le istituzioni da una parte, l’avversario dall’altra. Le squadre sono ben definite e riconoscibili senza difficoltà. La partita è regolare. Contro i terroristi avvenne questo…fini come doveva finire…vista la soverchiante forza della squadra-Stato. La partita con la Mafia non è stata giocata sul serio…i colori delle maglie si confondono…Il pubblico non è in condizione di seguire l’incontro se vede giocatori che dovrebbero stare da una parte schierarsi dall’altra e viceversa. Con alle spalle quello che dovrebbe essere il tuo avversario che richiede di passargli la palla come è possibile giocare?
La partita è truccata!”
Una politica priva di alcuna coscienza morale
I nomi di chi, nei decenni, si è macchiato di collusione è giusto vengano additati, condannati, isolati, ma non è una questione di singoli o di gruppi. Pur in loro assenza, Ayala sostiene come altri ne avrebbero preso il posto, magari con esiti ancora più nefasti. Si perché, se nella partita a cui prima si accennava, ripetutamente negli anni, scopri giocatori che dovevano militare nella squadra-stato, vestire per anni la casacca mafiosa e viceversa, la responsabilità è da ricercare nella non volontà politica del sistema paese.
Politici locali e nazionali, che per anni stringono rapporti con uomini di affari in odore di mafia, nascondendosi dietro alla foglia di fico della presunta innocenza fino a sentenza in giudicato del loro interlocutore. E questi, beneficiando del loro appoggio, attraverso la intimidazione esercitata dal braccio armato mafioso, alterano il normale corso delle attività economica di intere regioni. In un paese come il nostro, che in pratica affida ai soli giudici quando non li osteggia, il compito di combattere la mafia, una politica così priva di alcuna coscienza morale, cede via libera ad un continuo interscambio di ruoli alimentato e strutturato in svariate forme di connivenza, ma tutte inserite nel medesimo circolo vizioso: affari e denaro in cambio di voti che creano potere, con il quale il politico di turno in testa alla corrente che ne ha beneficiato, continuerà ad ampliare il raggio delle opportunità economiche dei propri referenti territoriali.
Accade così che appalti pubblici e privati di settori come edilizia e sanità, attività commerciali di ogni campo, transazioni finanziarie e bancarie, divengano truccate come la famosa partita, perché disciplinate da un sistema che droga le regole del mercato a favore di chi si allinea alle connivenze.
Gli onesti ne rimangono non solo esclusi, ma finiscono vessati da minacce e violenza, destinati in larga parte a piegarsi, partire o morire.
Se per un solo istante sognassimo invece una realtà dove lo Stato, messa in campo la sua potenziale e soverchiante forza, decidesse di amputare ogni terminale che conduca a tali connivenze, fare piazza pulita di ogni area ristagnante di consolidato e antico malaffare, la mafia si troverebbe incapace ad esercitare il suo potere perché costretta a giocare l’incontro in un campionato dove le regole del gioco godrebbero del giudizio di un vero arbitro. Ma non solo.
Il mafioso si troverebbe isolato dal resto della società, sprovvisto di appoggi, e vista la sua natura tendenzialmente vigliacca, storicamente protesa ad attaccare in gruppo i singoli, forse sarebbe indotto a guardarsi altrove.
Trattasi di un sogno, e come tale libero da catene, ma sforzandosi di conservare un pratico realismo, e pur consapevoli delle difficoltà che rimarrebbero nell’estirpare da una terra un cancro così radicato, non vi sono confini all’energia propulsiva che la legalità è in grado di fornire alla gente perbene, se posta nelle condizioni di scegliere in libertà del proprio lavoro e della vita.
La “cultura del favore”
Se il mafioso di rango o il capomafia al contrario, diviene l’ospite prediletto dei più distinti salotti della Sicilia, non significa che l’intera regione sia in mano alla mafia, ma è il simbolo di un corale riconoscimento del suo ruolo di potere. Egli siede nelle medesime poltrone frequentate da prefetti, cardinali, onorevoli, perché come loro è una figura che può dispensare favori. Diventa quindi la classica persona da tenersi amica, chiudendo entrambi gli occhi su quale verità si celi dietro al suo potere. Il siciliano sempre secondo Ayala, non è generalmente “filo mafioso” come i più affrettatamente tendono ad etichettarlo, ma neppure sufficientemente “antimafioso” anche se potendo, farebbe della mafia a meno. Anni di vita in una terra dove la convenzionale cultura del diritto è stata sostituita dalla cultura del favore, lo hanno abituato ad assecondare chi è in grado di elargirlo. Il favore diventa un mezzo di scambio per ogni contesto, una sorta di mediazione assecondata dal solo codice giuridico stabilito da chi la esercita, pratica, comoda, flessibile, senza briglie di natura legale. La mafia ha fondato l’asse del suo potere sull’esercizio di questa attività di mediazione dai molteplici e flessibili risvolti, ed il politico a lei legato, espressione di un automatismo così perverso, trasforma l’essenza della sua azione in un continuo “arraffa, arraffa”, pena la perdita del potere. Le dinamiche di una politica così distorta, si allontanano dagli interessi generali della gente, ma finiscono per premiare il personaggio che è in grado di distribuire più favori, perché è quello che alla fine l’elettore chiede. Quale vittima di una sorta di boomerang malvagio, il semplice uomo della strada si trova costretto ad alimentare lo stesso circolo vizioso da cui vorrebbe sfuggire, per poter sopravvivere nel difficile quotidiano di una terra dove lo Stato ed i diritti ad esso legato, non esistono.
Il risultato è quanto abbiamo dinanzi agli occhi da oltre un secolo e mezzo: una politica che in Sicilia è ad uso largamente clientelare. Uno Stato centrale che pur non essendo del tutto inquinato, non si è liberato di viziose politiche nazionali dove per garantire il controllo elettorale e quindi politico di alcune regioni chiave, vitali ai fini dell’assegnazione dei seggi in parlamento agli uomini giusti, ha prolungato sino ad oggi la stessa infinita partita truccata.
Una mafia che nei decenni si è evoluta e trasformata, alternando epoche di sangue e titoli a 9 colonne, ad ere dove ha tentato di scomparire e mimetizzarsi, ma che si è sempre preoccupata di garantire ai propri giocatori, una maglia da titolare nella squadra –stato, qualunque fosse il colore della sua divisa.
Uno strano paese
Questa è la realtà a lungo occultata, che si è mossa alle spalle di chi invece la mafia aveva scelto di combatterla a viso aperto. Uomini provvisti di un con coraggio indicibile, che hanno sacrificato per decenni la vita privata e la tranquillità familiare. Milioni di frammenti di una esistenza normale per chiunque, conditi dalla paura e dall’ansia per le conseguenze che le scelte professionali prese, potevano abbattersi sulla vita di mogli, compagne e dei figli. Una famiglia che si allargava all’improvviso da un giorno all’altro, quando la crescente qualità del tuo lavoro, li trasformava in possibile obbiettivo di un attentato, e una scorta di angeli custodi diveniva loro compagna di vita. A questi uomini tante volte veniva posta una domanda semplice e terribile:”Ma chi te lo fa fare?”. La risposta a volte usciva di scatto, in un moto istintivo e spontaneo, forte come l’attaccamento al senso di giustizia e smisurato come l’amore per la propria terra. In altre occasioni il responso galleggiava sospeso nell’aria, minacciato dalla paura, sfidato dal più temibile dei pensieri, che cioè tutto questo sacrificio risultasse inutile. Ma nonostante questo in tanti hanno proseguito la loro strada, marciato su di un lungo percorso irto e faticoso, impregnato di sforzi e sofferenze ripagati spesso dalla sola, ferma, presa di coscienza nel fare ciò che era giusto, sentimento a volte insufficiente a premiarli con la sopravvivenza.
Il nostro è uno strano paese, un luogo dove un uomo può morire più volte, prima per mano dei nemici che combatteva per affermare la giustizia, e dopo per l’azione di chi ne ha infangato e tradito la memoria. Una politica nazionale che ha continuato a partorire una classe dirigente povera di coscienza morale. Esponenti che si sono bagnati le labbra con il nome dei martiri per mano mafiosa al fine di conseguire consensi, ed un attimo dopo ne hanno ingannato la memoria continuando a stringere turpi alleanze. Generalizzare è un errore, e le porzioni sane del sistema che si sono spese a favore di una aperta lotta alla criminalità organizzata sono per fortuna sopravvissute, pur trattandosi di percentuali più o meno estese, in luogo della essenziale totalità. Ma se questo è accaduto e continua ad accadere, ognuno di noi non può esimersi da colpe. Viviamo in una terra dove il valore della memoria e l’assunzione di responsabilità nel frangente elettorale sembrano scolorirsi, al contrario di un crescente spirito individualista. Tanti di noi si rendono figure incapaci o in desiderosi per interesse a riconoscere i voltagabbana, nonchè propense a delegare la guida del paese con marcata disinvoltura. Tutto ciò crea i presupposti affinché un leader politico, si senta autorizzato a spostare secondo convenienza i propri confini dell’etica, in quanto sempre più esiguo appare il gruppo di coloro che gli chiederà conto per il suo operato. E una volta rimossa, la frontiera della moralità può divenire aleatoria.
E’ stata una lunga digressione, una parentesi condita di concetti in parte già affermati, forse noiosi, ma che ogni persona desiderosa di approfondire la storia della mafia, non deve mai reputare scontati. Essi sono alla base delle dinamiche politico mafiose, necessaria chiave di lettura di quanto è accaduto e sta accadendo nel nostro paese.